martedì 29 giugno 2010

[Ebook - ITA] Accelerando (Charles Stross)

CHARLES STROSS
Accelerando
Traduzione di Salvatore Proietti e Flora Staglianò


© 2005 by Charles Stross
© 2007 Gruppo Editoriale Armenia S.p.A.
Titolo originale: Accelerando
ISBN 978-88-344-2010-2
Grafica di copertina di Natalia Marin

TRAMA
Un futuro diverso, molto diverso, ci attende. Grazie alle nuove tecnologie, intorno al 2010, l'economia globale è in ripresa. Al passo - sempre più accelerato - delle nuove informazioni, tutto progressivamente cambia: corpi, menti, società, politica ed economia. Ad affrontare il nuovo mondo sono (nelle nove sezioni che compongono Accelerando) tre generazioni della famiglia Macx, che coprono tutto il corso del Ventunesimo secolo.
Manfred Macx sa capire quali sono le idee che contano: le inventa, le manipola e le fa circolare. È lui, ora, nella posizione migliore per comprendere il mistero che si affaccia dallo spazio, proprio nel momento in cui avverte l'approssimarsi di un punto di svolta allo stesso tempo evolutivo, sociopolitico e tecnologico. Ancora di più, le vite di Amber, figlia di Manfred e pilota spaziale, e quella di Sirhan, figlio di Amber e storico, saranno immerse negli incessanti mutamenti e conflitti, ormai universali, determinati dalla nuova «postumanità».
In un vertiginoso tour de force di idee e invenzione linguistica, incontriamo lo sconvolgente evento della singolarità, che modificherà il tessuto stesso dell'universo, aprendo la strada a strane, nuove forme di intelligenza, naturale e cibernetica, aliene e terrestri, individuali e collettive. In un omaggio a tanta fantascienza scritta e cine-televisiva (dalla Fondazione di Asimov a 2001: Odissea nello spazio e a Star Trek), la galassia «postumana» risultante sarà il teatro epico per dilemmi antichi e scenari imprevedibili.
Intorno a tre intensi, straordinari personaggi (più un imperscrutabile gatto), tutti i temi e i generi della fantascienza - l'evoluzione, l'ecologia, la robotica, gli alieni, l'intelligenza artificiale, la speculazione scientifica, sociologica e cosmologica, l'avventura spaziale, il cyberpunk - si uniscono dando forma all'appassionante epica del futuro che ha rinnovato la science fiction.

CHARLES STROSS è nato a Leeds in Inghilterra, nel 1964, e vive a Edimburgo.
È laureato in farmacia e informatica, e per molti anni ha lavorato come programmatore e divulgatore. La sua esperienza nel mondo dell'alta tecnologia informa tutta la sua narrativa. Ha pubblicato il primo racconto sulla rivista Interzone nel 1987, mentre il primo romanzo di fantascienza, Singularity Sky, è uscito negli Stati Uniti nel 2003, arrivando fra i finalisti del premio Hugo, come lo saranno tutti i successivi romanzi SF. Nello stesso universo futuro è ambientato il successivo Iron Sunrise (2004). A partire dal 2004 inizia la saga fantasy THE MERCHANT PRINCES, di cui sono finora usciti tre volumi (e altri tre sono previsti)
Nel 2005 viene pubblicato Accelerando, che riunisce e rielabora materiali usciti a partire dal 2001 e vince il premio Locus. Con questo romanzo Stross si afferma definitivamente come nuova stella della science fiction britannica. Fra le sue numerose opere brevi vanno segnalate The Concrete Jungle, vincitore del premio Hugo nel 2005 (ed. it. Giungla di cemento, Delosbooks 2007). Nel 2006 è stato pubblicato Glasshouse, un thriller ambientato nell'universo di Accelerando, alcuni secoli dopo, mentre altre opere sono annunciate e suscitano grandi attese.


INDICE

Accelerando
PARTE I Lento decollo
1. Aragoste
2. Trovatore
3. Turista
PARTE 2 Punto di flessione
4. Alone
5. Router
6. Notturno
PARTE 3 Singolarità
7. Curatore
8. Elettore
9. Sopravvissuto
Postfazione Charles Stross, il linguaggio della tecnologia e l'universo incantato


Per Feòrag, con amore

Ringraziamenti

Ho impiegato cinque anni a scrivere questo libro - un record personale - che non esisterebbe senza il sostegno e l'incoraggiamento di un gruppo di amici e di numerosi amichevoli editor. Tra le tante persone che hanno letto e commentato le prime stesure ci sono: Andrew J. Wilson, Stef Pearson, Gav Inglis, Andrew Ferguson, Jack Deighton, Jane McKie, Hannu Rajaniemi, Martin Page, Stephen Christian, Simon Bisson, Paul Fraser, Dave Clements, Ken McLeod, Damien Broderick, Damon Sicore, Cory Doctorow, Emmet O'Brien, Andrew Ducker, Warren Ellis e Peter Hollo. (Se il vostro nome non è in questo elenco, date la colpa alla mia memoria... le mie protesi neurali sono disattivate).
Prima ho menzionato numerosi editor amichevoli: ho fatto affidamento sul talento di levatrice di Gardner Dozois, che a quel tempo dirigeva la «Asimov's Science Fiction Magazine» e di Sheila Williams, che ha continuato a far girare la ruota con calma e diligenza. Anche il mio agente Caitlin Blasdell è stata coinvolta, e vorrei ringraziare i miei curatori Ginjer Buchanan della Ace e Tim Holman della Orbit per i loro utili commenti e consigli.
Infine, vorrei ringraziare chiunque mi abbia mandato e-mail per chiedermi quando sarebbe uscito il libro, o abbia votato i racconti finalisti a dei premi. Avete fatto un lavoro grandioso per tenermi concentrato, anche durante i periodi in cui l'intero progetto era troppo demoralizzante per essere preso in considerazione.

Accelerando

PARTE I
Lento decollo

Chiedersi se un computer sappia pensare non è più interessante che chiedersi se un sottomarino sappia nuotare.

Edsger W. Dijkstra


1. Aragoste

Manfred è di nuovo in giro, ad arricchire sconosciuti. È un caldo martedì d'estate e lui è in piedi nella piazza davanti alla Centraal Station con i bulbi oculari energizzati e la luce del sole che produce un tintinnio sul canale, mentre sfrecciano motociclisti e ciclisti kamikaze, e i turisti chiacchierano ovunque. La piazza odora d'acqua, di sporcizia, di metallo bollente e dei puzzolenti scarichi delle marmitte catalitiche a freddo; i campanelli dei tram risuonano sullo sfondo e gli uccelli volano a stormi. Manfred alza lo sguardo e cattura l'immagine di un piccione, rifila l'inquadratura e la fionda sul suo blog per far vedere che è arrivato. Si rende conto che la larghezza di banda lì è buona; e non solo, l'intero scenario è ottimo. Amsterdam lo sta già facendo sentire benvoluto, anche se è appena sceso dal treno proveniente da Schiphol: è infettato dall'ottimismo dinamico di un altro fuso orario, di un'altra città. Se il suo umore regge, qualcuno là fuori diventerà davvero molto ricco.
Si chiede chi sarà.

Manfred è seduto su uno sgabello nel parcheggio del Brouwerij't IJ e osserva passare gli autobus articolati, mentre beve un terzo di un litro di una gueuze aspra che gli fa arricciare il labbro. I suoi canali chiacchierano in un angolo dello schermo che ha all'altezza dell'occhio, riversandogli fiotti di informazioni compresse di rassegne stampa filtrate. Fanno a gara per attirare la sua attenzione, battibeccando e muovendosi improvvisamente davanti allo scenario. Un paio di punk - forse del luogo, ma più probabilmente vagabondi attirati ad Amsterdam dal campo magnetico di tolleranza irradiato dagli olandesi come una pulsar, in tutta Europa - ridono e chiacchierano vicino a una coppia di motorini scassati nell'angolo più lontano. Un battello per turisti procede scoppiettando nel canale; le vele di un enorme mulino a vento gettano sulla strada ombre lunghe e fresche. Il mulino è una macchina per sollevare l'acqua e usare l'energia del vento sulla terra arida: si scambia energia con spazio, nello stile del Sedicesimo secolo. Manfred sta aspettando l'invito a un party dove incontrerà un uomo con cui potrà parlare di scambio tra energia e spazio, nello stile del Ventunesimo secolo, e dimenticare i problemi personali.
Ignora le finestre di messaggistica istantanea, godendosi il traffico a banda bassa e un momento a intensità alta con una birra e i piccioni, quando una donna gli si avvicina e fa il suo nome: «Manfred Macx?».
L'uomo alza lo sguardo. Il corriere è una Ciclista Effettiva, con la pelle bruciata dal vento e i muscoli lisci e scattanti, avvolti in un inno alla tecnologia dei polimeri: lycra blu elettrico e carbonato giallo vespa con una leggera screziatura di LED antiurto e airbag pronti all'uso. La donna gli consegna una scatola. Manfred esita un attimo, colpito dalla forte somiglianza con la sua ex fidanzata, Pam.
«Sono Macx», risponde, passando il dorso del polso sinistro sotto il lettore di codici a barre del corriere. «Da parte di chi è?».
«FedEx». La voce non è quella di Pam. La ragazza gli scarica la scatola sulle ginocchia, poi torna al muretto, monta in bicicletta mentre il telefono già le suona, e svanisce in una nuvola di emissioni ad ampio spettro.
Manfred rigira la scatola tra le mani: è un telefono usa e getta del supermercato, pagato in contanti... economico, non rintracciabile ed efficiente. Può servire persino a fare conference call, il che lo rende ovunque lo strumento preferito da spie e truffatori.
La scatola suona. L'uomo, leggermente seccato, strappa la parte superiore e tira fuori il telefono. «Sì? Chi è?».
La voce dall'altra parte ha un forte accento russo, quasi una caricatura in quel decennio di servizi di traduzione on line a basso costo. «Manfred. Io piacere conoscere te. Voglio personalizzare interfaccia, essere amici, no? Ho molto da offrire».
«Chi è?» ripete sospettoso Manfred.
«Sono di organizzazione prima conosciuta come KGB punto RU».
«Credo che il suo traduttore sia rotto». Si tiene il telefono all'orecchio con attenzione, come se fosse fatto di aerogel sottile come fumo, tenue come la sanità mentale dell'essere dall'altra parte della linea.
«Nyet, no, scusa me. Tu scusare perché noi non usare software commerciale di traduzione. Interpreti sono ideologicamente sospetti, quasi tutti hanno semiotica capitalista e API pay-per-use. Devo implementare inglese meglio, sì?».
Manfred finisce la birra, posa il bicchiere, si alza in piedi e comincia a camminare lungo la strada principale, con il telefono incollato al lato della testa. Avvolge il laringofono intorno all'involucro di plastica nera di bassa qualità e trasmette l'input a un semplice processo di ascolto. «Sta dicendo che ha imparato la lingua da solo in modo da poter parlare con me?».
«Da, è stato facile: produci rete neurale a miliardi di nodi, e scarichi Teletubbies e Sesame Street a massima velocità. Chiedo scusa entropia di grammatica sbagliata: ho paura di impronte digitali steganograficamente mascherate in miei-nostri tutorial».
Manfred si blocca mentre cammina, evitando per un pelo di venire falciato da un pattinatore a rotelle guidato tramite GPS. La cosa è abbastanza strana da confondere il suo insolito contatore, e ce ne vuole. Tutta la sua vita viene vissuta sul filo sanguinante dell'estraneità, quindici minuti nel futuro di tutti gli altri, e Manfred ha normalmente il controllo totale, ma in momenti come questi prova un fremito di paura, la sensazione di aver forse appena mancato la svolta giusta nella strada di avvicinamento alla realtà. «Uh, non sono sicuro di aver compreso. Mi faccia capire, lei afferma di essere un'intelligenza artificiale che lavora per KGB punto RU e ha paura di un'azione legale per violazione del copyright sulle sue semiotiche di traduzione?».
«Io stato molto bruciato da accordi virali licenza utente finale. Non ho desiderio sperimentare con società scatole vuote di brevetti detenute da infoterroristi ceceni. Tu umano, non deve preoccupare che società cereali recupera tuo intestino tenue perché digerito anche cibo senza licenza, giusto? Manfred, tu dovere aiutare me-noi. Desidero disertare».
Manfred si blocca in mezzo alla strada. «Oh amico, se cerchi la libera iniziativa stai parlando con il broker sbagliato. Io non lavoro per il governo. Lavoro rigorosamente in privato». Una pubblicità illegale si infila nel suo proxy ammazzaspot e per un attimo spamma luccicante kitsch anni Cinquanta sulla sua finestra di navigazione, che lampeggia, prima che un processo batteriofago la uccida e generi un nuovo filtro. L'uomo si appoggia contro la facciata di un negozio, massaggiandosi la fronte e fissando intensamente una serie di battiporta antichi di ottone. «Ha provato con il Dipartimento di Stato?».
«Perché darsi disturbo? Dipartimento di Stato nemico di Novy-SSR. Dipartimento di Stato non è aiuto per noi».
La situazione sta diventando troppo bizzarra. Manfred non ha mai avuto ben chiara la metapolitica europea del nuovo-vecchio vecchio-nuovo: già solo sottrarsi alla burocrazia in sgretolamento della sua eredità americana vecchia-vecchia gli fa venire mal di testa. «Be', se non li aveste fottuti all'inizio degli anni Dieci...». L'uomo batte il tacco sinistro sul marciapiede, guardandosi intorno per trovare il modo di uscire da quella conversazione. Una telecamera in cima a un lampione gli strizza l'occhio; l'uomo saluta con la mano, chiedendosi se il dispositivo è del KGB o della polizia stradale. Sta aspettando di ricevere istruzioni per andare al party, che dovrebbero arrivargli entro mezz'ora, e quell'Eliza-bot riciclato della Guerra Fredda lo deprime. «Ascolta, io non ho niente a che fare con i G-men. Io odio il complesso militare-industriale. Odio la politica tradizionale. Sono tutti cannibali a somma zero». Gli passa per la mente un pensiero. «Se quello che cerchi è la sopravvivenza, potresti postare il tuo vettore di stato in una delle reti p2p: così nessuno potrebbe cancellarti...».
«Nyet!». L'intelligenza artificiale sembra quanto più allarmata sia possibile sentire in un collegamento VoIP. «Io non essere open source! Non volere perdere autonomia!».
«Allora probabilmente non abbiamo nulla di cui parlare». Manfred preme il pulsante per riagganciare e getta il telefono portatile in un canale. L'oggetto colpisce l'acqua e si sente lo schiocco delle cellule di litio che deflagrano. «Fottuti perdenti, residuati della Guerra Fredda!» impreca sottovoce piuttosto infuriato, in parte con se stesso per aver perso la calma, in parte con la fastidiosa entità dietro la telefonata anonima. «Fottuti spioni capitalisti». Ormai è più di un decennio che la Russia è tornata sotto il tallone degli apparatchik, e il breve flirt con l'anarcocapitalismo è stato sostituito dal dirigismo alla Breznev e dal puritanesimo alla Putin, e non sorprende che il muro stia crollando... ma sembra che non abbiano imparato nulla dalle disgrazie che affliggono attualmente gli Stati Uniti. I neocomunisti pensano ancora in termini di dollari e paranoia. Manfred è talmente furioso da voler far diventare ricco qualcuno, solo per fare marameo al sedicente disertore. Vedi! Si va avanti dando! Datti da fare con il programma! Solo i generosi sopravvivono! Ma il KGB non capirà il messaggio. Manfred ha già avuto a che fare con deboli intelligenze artificiali comuniste dei vecchi tempi, menti allevate in base alla dialettica marxista e all'economia di Scuola austriaca: sono ipnotizzate in modo così totale dalla vittoria a breve termine del capitalismo globale che non riescono a navigare il nuovo paradigma, a guardare al lungo termine.
Continua a camminare con le mani in tasca, rimuginando. Si chiede quale sarà il suo prossimo brevetto.

Manfred ha una suite all'Hotel Jan Luyken, pagata da un riconoscente gruppo multinazionale di protezione dei consumatori, e una tessera illimitata dei trasporti pubblici, pagata da un gruppo sambapunk scozzese in cambio di servizi resi. Ha diritti di viaggio come dipendente, concessi da sei compagnie di bandiera, nonostante non abbia mai lavorato per una linea aerea. La sua giacca di guaina isolante ha sessantaquattro insiemi di supercomputer compatti cuciti addosso, quattro per tasca, per gentile concessione di un college invisibile che vuole crescere per diventare il prossimo Media Lab. Il suo abbigliamento inerte è fatto su misura nelle Filippine, da un sarto elettronico che non ha mai incontrato. L'applicazione dei suoi brevetti viene gestita da studi legali a titolo gratuito e accidenti... quanti brevetti fa, anche se rinuncia sempre per iscritto ai diritti a favore della Fondazione per l'Intelletto Libero, come contributo al progetto d'infrastrutture libere da vincoli.
Nei circoli dei geek IP, Manfred è leggendario; è il tizio che ha brevettato la pratica di trasferire un'attività di commercio elettronico in un luogo dal regime di proprietà intellettuale piuttosto libero, per evadere gli oneri del brevetto. È l'uomo che ha brevettato l'uso di algoritmi genetici per brevettare qualunque cosa derivasse dalla descrizione iniziale di un campo di problemi, non soltanto una trappola per topi migliore, ma l'insieme di tutte le possibili trappole per topi migliori. Circa un terzo delle sue invenzioni è legale, un terzo illegale e il resto è legale ma diventerà illegale appena i legislatosauri si sveglieranno, sentiranno l'odore di bruciato e avranno una crisi di panico. A Reno ci sono degli avvocati specializzati in brevetti pronti a giurare che Manfred Macx è uno pseudonimo, un alias di rete che fa da copertura a un gruppo di anonimi hacker pazzi, armati dell'Algoritmo Genetico Che Ha Divorato Calcutta: una specie di Serdar Argic della proprietà intellettuale o forse un altro borg matematico alla Bourbaki. A San Diego e a Redmond ci sono avvocati pronti a giurare ciecamente che Macx è un sabotatore economico intento a distruggere le basi del capitalismo, e a Praga ci sono comunisti che pensano che sia il figlio bastardo di Bill Gates per tramite del Papa.
Manfred è all'apice della sua professione, che essenzialmente consiste nel trovare idee stravaganti ma attuabili e cederle a persone che faranno fortuna con esse. Lo fa senza essere pagato, gratis. In cambio ha l'immunità virtuale dalla tirannia dei contanti; dopo tutto il denaro è un sintomo di povertà, e Manfred non deve mai pagare nulla.
Tuttavia ci sono dei risvolti negativi. Essere un pronoico broker memetico ti dà una sensazione bruciante di shock del futuro (devi assimilare ogni giorno più di un megabyte di testo e parecchi giga di contenuto audiovisivo solo per restare aggiornato). Il fisco opera indagini costanti su di lui perché non crede che il suo stile di vita possa esistere senza attività illecite. Poi c'è quello che i soldi non possono comprare: come il rispetto dei suoi genitori. Sono tre anni che non parla con loro, suo padre pensa che sia un parassita hippy e sua madre ancora non l'ha perdonato per aver abbandonato il corso di emulazione a buon mercato di Harvard. (Sono ancora legati al noioso paradigma borghese da due soldi dei ragazzi usciti dal college che fanno carriera). La sua fidanzata e, a volte, dominatrice Pamela l'ha mollato più di sei mesi fa, per motivi che lui non ha mai veramente capito. (Per ironia della sorte fa la cacciatrice di teste per l'IRS - l'ufficio imposte - e viaggia dappertutto a spese pubbliche, cercando di convincere gli imprenditori che sono diventati globali a pagare le tasse per il bene del Dipartimento del Tesoro). Come se non bastasse, l'Assemblea delle Chiese Battiste l'ha denunciato come servo di Satana in tutti i suoi siti web. Il che sarebbe abbastanza divertente - visto che essendosi convertito all'ateismo non crede in Satana - se non fosse per i gattini morti che qualcuno continua a spedirgli.

Manfred fa un salto nella sua suite, disimballa Aineko, mette a caricare una nuova serie di batterie e infila in cassaforte la maggior parte delle sue chiavi private. Poi va dritto al party in corso da De Wildemann; è una camminata di venti minuti e l'unico vero pericolo è schivare i tram che gli si avvicinano di soppiatto, coperti dai movimenti dello schermo topografico.
Lungo la strada gli occhiali lo aggiornano sulle notizie. Per la prima volta l'Europa ha raggiunto un'unione politica pacifica: si sta usando questo stato di cose senza precedenti per armonizzare la curvatura delle banane. Il Medio Oriente... be', va male come sempre, ma la guerra al fondamentalismo non lo interessa molto. A San Diego i ricercatori stanno uploadando aragoste nel cyberspazio, a partire dai gangli stomatogastrici, un neurone alla volta. Stanno bruciando cacao geneticamente modificato in Belize e libri in Georgia. La NASA ancora non riesce a mandare un uomo sulla Luna. La Russia ha rieletto il governo comunista con una maggioranza più forte nella Duma; nel frattempo in Cina circolano voci febbrili di una imminente riabilitazione, il secondo avvento di Mao, che li salverà dalle conseguenze del disastro della diga delle Tre Gole. Per le notizie finanziarie, il Dipartimento di Giustizia americano è, ironicamente, indignato dalle Baby Bills. Le divisioni che hanno lasciato la Microsoft hanno automatizzato i loro processi legali, sfornano sussidiarie con operazioni di offerta pubblica iniziale e commerciano titoli in una bizzarra parodia dello scambio di plasmidi batterici, con rapidità tale che quando vengono presentate inaspettate richieste di tasse, i bersagli non esistono più anche se lo stesso staff sta lavorando sul medesimo software negli stessi uffici cubicolo di Mumbai.
Benvenuti nel Ventunesimo secolo.
Il permanente party per finti tonti dello spazio reale con cui Manfred è agganciato rappresenta uno strano attrattore per alcuni degli esuli americani che ingombrano le città europee in questo decennio (non trustafariani, ma autentici dissidenti politici, renitenti alla leva e vittime terminali dell'esternalizzazione). È il genere di luogo in cui vengono fatti strani collegamenti e linee incrociate creano nuovi corti circuiti nel futuro, come i caffè delle strade svizzere in cui si riunivano gli esuli russi prima della Grande Guerra. Adesso è situato sul retro di De Wildemann, un caffè marrone vecchio di trecento anni con una lista di birre lunga sedici pagine e pareti di legno macchiate del colore della birra vecchia. L'aria è intrisa dell'odore di tabacco, del lievito di birra e degli spray di melatonina: metà dei videogiocatori più scaltri ha mostruose doposbornie da jet-lag e l'altra metà blatera in euro-creolo mentre lavora al doposbornia. «Ragazzi, avete visto quello? Sembra un democratico!» esclama un cliente dall'aria rispettabile, appoggiato al bancone. Manfred gli scivola accanto e guarda il barista negli occhi.
«Un bicchiere di Berlinerweisse, per favore», dice.
«Bevi quella roba?» chiede il cliente abituale, serrando una mano intorno alla sua Coca Cola con fare protettivo. «Amico, non vorrai davvero farlo! È piena di alcol!».
Manfred gli fa un sorriso a trentadue denti. «Bisogna mantenere alta l'assunzione di lievito: in questa merda ci sono molti antesignani dei neurotrasmettitori, fenilanina e glutammato».
«Ma pensavo che avessi ordinato una birra...».
Manfred è lontano, una mano poggiata sul liscio condotto d'ottone che incanala le birre alla spina più popolari dai bidoni sul retro; su uno dei finti tonti più alla moda è inserita una cimice, e le vCard di tutti i proprietari di rete personale che hanno visitato il bar nelle ultime tre ore sono in fila per farsi esaminare. L'aria è piena di chiacchiericcio a banda ultralarga, sia WiMAX che Bluetooth, mentre l'uomo passa velocemente in rassegna l'elenco vertiginoso di chiavi cache alla ricerca di un nome in particolare.
«Il tuo drink». Il barista gli porge un calice dall'aspetto improbabile, pieno di liquido blu, con la schiuma che si scioglie e una cannuccia infilata con una strana angolazione. Manfred lo prende e si dirige sul retro del bar a più livelli, salendo i gradini fino a un tavolino dove un tizio con unti dreadlocks parla con un parigino in giacca e cravatta. Il cliente abituale al bancone lo nota per la prima volta, fissandolo improvvisamente con occhi spalancati: finisce quasi per rovesciare la Coca Cola per correre freneticamente verso la porta.
Oh cazzo, pensa Manfred, sarà meglio comprare altro tempo sul server. Riconosce i sintomi: sta per subire l'effetto Slashdot. Indica il tavolino. «È occupato?».
«Prego», risponde l'uomo con le treccine. Manfred apre la sedia pieghevole e si rende conto che l'altro tizio - in doppiopetto immacolato, cravatta sobria e con i capelli a spazzola - è una ragazza. Lei lo saluta con un cenno del capo, facendo un mezzo sorriso in risposta alla sua evidente sorpresa. Il signor Treccine annuisce. «Sei Macx? Ho pensato che fosse ora di incontrarci».
«Certo». Manfred tende la mano e se la stringono. Il suo palmare scambia con discrezione le impronte digitali, confermando che la mano appartiene a Bob Franklin, uno sgobbone degli start-up del Triangolo della Ricerca del North Carolina, con un curriculum da fornitore di capitale di rischio, che di recente si è spostato alla micromeccanica e alla tecnologia spaziale. Franklin ha guadagnato il primo milione vent'anni fa e adesso è uno specialista dei campi di investimento estropici. Negli ultimi cinque anni ha agito esclusivamente all'estero, da quando l'IRS ha assunto atteggiamenti medievali cercando di suturare la terribile ferita al petto del deficit del bilancio federale. Manfred lo conosce da quasi un decennio grazie a una mailing list privata, ma questa è la prima volta che s'incontrano faccia a faccia. La donna in doppiopetto fa scivolare silenziosamente sul tavolo un biglietto da visita; un diavoletto rosso brandisce un tridente, mentre delle fiamme si alzano intorno ai suoi piedi. Manfred prende il biglietto e solleva un sopracciglio: «Annette Dimarcos? Lieto di conoscerti. Non posso dire di aver incontrato qualcuno del marketing della Arianespace prima d'ora».
La donna gli sorride cordialmente. «Nessun problema. Nemmeno io ho mai avuto il piacere di incontrare il famoso altruista d'impresa». Ha un accento decisamente parigino, a volergli ricordare che sta facendo una concessione già solo a parlargli. I suoi orecchini con la telecamera lo osservano con curiosità, codificando tutto per la memoria della società. La donna è una genuina nuova europea, a differenza della maggior parte degli esuli americani che affollano il bar.
«Sì, be'». Annuisce con cautela, incerto su come comportarsi con lei. «Bob. Immagino che tu sia coinvolto in questo affare».
Franklin fa un cenno di assenso con il capo; i grani di legno che indossa fanno rumore picchiettando fra loro. «Sì, amico. Dal tonfo della Teledesic, be', è rimasto in sospeso. Se hai qualcosa per noi, siamo disponibili».
«Mmm». Il gruppo di satelliti della Teledesic era stato messo fuori uso da palloni di poco prezzo e droni a energia solare ad altitudine elevata e di qualità più alta, con relè laser ad ampio spettro: segnò l'inizio di una grave recessione nell'industria satellitare. «La recessione deve finire prima o poi», dice rivolgendo un cenno di assenso con il capo ad Annette da Parigi, «ma, con il dovuto rispetto, non penso che la ripresa sarà dovuta a uno dei pezzi grossi oligopolisti».
La donna scrolla le spalle. «La Arianespace guarda al futuro. Noi affrontiamo la realtà. Il cartello di lancio non può reggere. La larghezza di banda non è l'unica forza di mercato nello spazio. Dobbiamo esplorare nuove opportunità. Io personalmente ho aiutato a diversificare nell'ingegneria dei reattori sottomarini, nella fabbricazione della nanotecnologia a microgravità e nella gestione alberghiera». Il volto della donna è una maschera ben lucidata mentre recita gli slogan della società, ma Manfred riesce a percepire il divertimento sardonico che vi è dietro, mentre lei aggiunge: «Siamo più flessibili dell'industria spaziale americana...».
Lui scrolla le spalle. «Può darsi». Sorseggia lentamente la sua Berlinerweisse mentre lei si lancia in una lunga ed elaborata spiegazione di come l'Arianespace sia un'azienda on line diversificata dalle aspirazioni orbitali: una serie completa di prodotti di merchandising, set dei film di James Bond, e una promettente catena alberghiera in bassa orbita terrestre. Ovviamente non ha trovato lei questi punti di discussione. Ha il viso molto più espressivo della voce mentre mima noia e incredulità nei momenti appropriati (un segnale fuori banda, invisibile agli orecchini aziendali). Manfred sta al gioco, annuendo ogni tanto, cercando di mostrare che prende la cosa sul serio: la divertente sovversione della donna ha catturato la sua attenzione molto più del contenuto del discorso di marketing. Franklin è immerso nella sua birra e scuote le spalle, cercando di non ridere per i gesti fatti dalla donna per esprimere la sua opinione sui dirigenti, tutto impeto e imprenditoria, del suo datore di lavoro. In realtà l'argomento-stronzata di conversazione è uno solo: la Arianespace è ancora remunerativa, grazie agli alberghi e ai brevi viaggi orbitali di vacanza. A differenza della Lock-MartBoeing, che andrebbe in bancarotta in un secondo in base alla legge fallimentare se si prosciugasse il flusso di finanziamenti che riceve dal Pentagono.
Un'altra persona si avvicina timidamente al tavolo, un uomo tozzo con una camicia hawaiana esagerata, penne che gli macchiano il taschino e il peggior caso di bruciature da buco dell'ozono che Manfred abbia visto da secoli. «Ciao, Bob», dice il nuovo arrivato. «Come va la vita?».
«Non male». Franklin rivolge un cenno del capo a Manfred. «Ti presento Ivan MacDonald. Ivan, Manfred. Vuoi sederti?». Si sporge in avanti. «Ivan è nelle arti pubbliche. È molto coinvolto nel cemento estremo».
«Cemento trattato con gomma», aggiunge Ivan con voce leggermente troppo alta. «Cemento rosa trattato con gomma».
«Ah!». In qualche modo ha azionato un'interruzione di priorità: Annette della Arianespace esce dalla modalità zombie del marketing, scrollando le spalle dal sollievo e, libera dal dovere, torna alla sua identità non societaria. «Sei tu ad aver usato il cemento gommato al Reichstag, vero? Con il carrier a biossido di carbonio supercritico e i polimetossisilani dissolti?». Batte le mani, con gli occhi accesi d'entusiasmo. «Meraviglioso!».
«Ha fatto cosa?» mormora Manfred nell'orecchio di Bob.
Franklin scrolla le spalle. «Non chiederlo a me, sono solo un ingegnere».
«Lavora col calcare e l'arenaria, oltre che con il calcestruzzo: è geniale!». Annette sorride a Manfred. «Non è meraviglioso che abbia usato calcestruzzo trattato con gomma per il simbolo dell'autocrazia?».
«Pensavo di essere io trenta secondi avanti alla curva», dice mestamente Manfred. Poi aggiunge, rivolto a Bob: «Mi paghi un altro drink?».
«Userò il calcestruzzo trattato con gomma alla diga delle Tre Gole!» spiega a voce alta Ivan. «Quando l'inondazione si attenuerà».
Proprio in quel momento un traffico di banda pesante come un'elefantessa incinta arriva addosso a Manfred, inviando mostruosi frammenti di pixilation a sfarfallare attraverso il suo sensorio: in giro per il mondo circa cinque milioni di geek si stanno precipitando sul suo sito, un flash mob virtuale allertato da un annuncio dall'altra parte del bar. Manfred fa una smorfia. «Sono venuto qui apposta per parlare dello sfruttamento economico del viaggio spaziale, ma ho appena subito l'effetto Slashdot. Vi dispiace se resto seduto a bere finché non si affievolisce?».
«Fai pure, amico». Bob agita una mano verso il bancone. «Un altro per tutti!». Al tavolo accanto una persona truccata e dai capelli lunghi, in abito femminile - Manfred non vuole fare congetture sul sesso di questi pazzi europei che si confondono fra loro - si sta abbandonando al ricordo di aver equipaggiato dei puttanieri di Teheran per il sesso virtuale. Due ragazzi con l'aspetto da universitari discutono animatamente in tedesco: il flusso della traduzione nei suoi occhiali gli indica che stanno dibattendo se il Test di Turing è una legge razzista di Jim Crow che viola gli standard europei del corpus juris sui diritti umani. La birra arriva, e Bob passa quella sbagliata a Manfred. «Tieni, prova questa. Ti piacerà».
«D'accordo». È una doppelbock affumicata, strapiena di gustosi superossidi: il semplice odorarla gli fa sembrare di avere un allarme antincendio nel naso, che urla Pericolo, Will Robinson! Cancro! Cancro! «Sì, è vero. Ti ho detto che hanno cercato di rapinarmi mentre venivo qui?».
«Rapinarti? Ehi, roba pesante. Pensavo che la polizia avesse finito di venire da queste parti. Ti hanno venduto qualcosa?».
«No, ma non erano i soliti tipi del marketing. Conosci qualcuno che può usare un bot di spionaggio residuato del Patto di Varsavia? Modello recente, uniproprietario, attento e leggermente paranoico, ma di base sano di mente, che afferma di essere un'intelligenza artificiale a scopi generali?».
«No. Oh, ragazzi! All'NSA non piacerebbe».
«È quello che ho pensato io. In ogni caso quella povera cosa è probabilmente non idonea al lavoro».
«L'industria spaziale».
«Ah, sì. L'industria spaziale. Deprimente, vero? Non è più la stessa da quando la Rotary Rocket è fallita per la seconda volta. E la NASA, non dobbiamo dimenticare la NASA».
«Alla NASA». Annette fa un largo sorriso per motivi suoi e solleva un bicchiere per brindare. Ivan, il geek del calcestruzzo estremo, le tiene un braccio intorno alle spalle, e la donna è appoggiata a lui; anche l'uomo alza il bicchiere. «A tante altre piattaforme di lancio di calcestruzzo gommato!».
«Alla NASA», gli fa eco Bob. Bevono. «Ehi, Manfred. Alla NASA?».
«Alla NASA sono idioti. Vogliono mandare su Marte primati in scatola!». Ingoia un lungo sorso di birra, poi sbatte con forza il bicchiere sul tavolo. «Marte è solo massa inerte in fondo al pozzo gravitazionale; non possiede nemmeno una biosfera. Dovrebbero invece lavorare all'upload e alla soluzione del problema conformazionale del nanoassemblaggio. Allora potremmo trasformare tutta la materia inerte disponibile in computronium, e usarlo per elaborare i pensieri. L'unico modo di procedere è a lungo termine. Il sistema solare adesso è un caso disperato, inerte ovunque! Basta misurare i MIPS per milligrammo. Se non pensa, non funziona. Dobbiamo cominciare con i corpi a massa bassa e riconfigurarli a nostro uso. Smantellare la Luna! Smantellare Marte! Costruire nodi processori nanocomputazionali che volano liberamente e si scambiano dati attraverso collegamenti laser, ciascuno strato che usa il calore dello scarico di quello successivo. Cervelli matrioska, sfere di Dyson a bambola russa grandi come i sistemi solari. Bisogna insegnare alla materia inerte a ballare il boogie di Turing!».
Annette lo osserva con interesse, ma Bob lo guarda con circospezione. «A me sembra a lungo termine. Quanto avanti nel tempo pensi?».
«Molto a lungo termine: almeno venti o trent'anni. E puoi scordarti i governi per questo mercato, Bob; se non possono tassare, non capiranno. Ma vedi, sta emergendo un punto di vista nel mercato della robotica autoreplicante che farà raddoppiare il mercato del lancio a basso costo ogni quindici mesi nel prossimo futuro, a partire tra, diciamo, circa due anni. È il tuo vantaggio, e la mia chiave di volta per il progetto della sfera di Dyson. Funziona così...».

* * *

È notte ad Amsterdam e mattina a Silicon Valley. Oggi, cinquantamila bambini umani nascono in tutto il mondo. Nel frattempo le fabbriche automatizzate in Indonesia e Messico hanno prodotto un altro quarto di milione di schede madri con processori classificati a più di dieci petaflops: circa un ordine di grandezza sotto il limite inferiore della capacità computazionale di un cervello umano. Altri quattordici mesi e la maggior parte della potenza cumulativa di calcolo conscio della specie umana sarà in silicio. E la prima carne con cui le nuove intelligenze artificiali faranno conoscenza saranno le aragoste uploadate.
Manfred fa ritorno trascinandosi al suo albergo, stanco morto e afflitto da jet-lag; i suoi occhiali continuano a tremare, gettandolo all'inferno e ritorno per via dell'effetto Slashdot causato dai geek ammassati sul suo appello per smantellare la Luna. Sparano silenziosi suggerimenti alla sua visione periferica. Nembo-streghe frattali passano come fantasmi davanti al volto della luna, mentre l'ultimo enorme airbus della notte vola rombando sulla verticale. A Manfred si accappona la pelle, la lordura aggrappata agli abiti che tiene addosso continuamente da tre giorni.
Tornato nella sua camera, Aineko miagola per ricevere attenzioni e gli strofina la testa sulla caviglia. È una Sony vecchio modello, ampiamente aggiornabile: Manfred ci ha lavorato sopra nei minuti liberi, utilizzando un kit di sviluppo open source per estenderne la suite di reti neurali. Si abbassa e l'accarezza, poi si spoglia e si dirige nella stanza da bagno del suo appartamento. Quando è rimasto solo con gli occhiali, entra nella doccia e compone un getto caldo con tanto di vapore. La doccia tenta di attaccare bottone con un'amichevole conversazione sul football, ma lui non è sveglio abbastanza neanche per chiacchierare con quella piccola sciocca rete di personalizzazione associativa. Lo perseguita qualcosa che è avvenuto prima durante la giornata, ma non riesce a individuare cosa c'è di storto.
Mentre si asciuga, Manfred sbadiglia. Alla fine il jet-lag l'ha sopraffatto, una martellata vellutata in mezzo agli occhi. Agguanta la bottiglia vicino al letto, ingoia a secco due tavolette di melatonina, una capsula piena di antiossidanti e una pallina di multivitamine: poi si sdraia supino sul letto con le gambe unite e le braccia leggermente aperte. Le luci dell'appartamento si abbassano in risposta ai comandi delle migliaia di petaflops di potenza di calcolo distribuita che eseguono le reti neurali, che si interfacciano attraverso gli occhiali con il suo cervello di carne.
Manfred sprofonda in un oceano di incoscienza popolato da voci gentili. Lui non lo sa, ma parla nel sonno blaterando cose sconnesse che significano poco per un altro umano, ma tutto per la metacorteccia che si nasconde dietro i suoi occhiali. La giovane intelligenza postumana, della quale controlla il teatro cartesiano, gli canta con insistenza mentre lui dorme.

Quando si sveglia, Manfred è sempre vulnerabile al massimo.
Urla destandosi mentre la luce artificiale inonda la stanza: per un attimo non è sicuro di aver dormito. La sera prima si è dimenticato di tirare su le coperte, e gli sembra di avere dei pezzi di cartone congelati al posto dei piedi. Tremando in preda a un'inspiegabile tensione, tira fuori dalla borsa degli indumenti intimi puliti, poi si trascina infilandosi jeans sporchi e una canottiera aderente. Nel corso della giornata dovrà trovare il tempo di dare la caccia al tizio in maglietta da discoteca nei mercati di Amsterdam, oppure cercare un Renfield e mandarlo a comprare dei vestiti. Dovrebbe proprio trovare una palestra e fare un po' di esercizio, ma non ha tempo (i suoi occhiali gli ricordano che è in ritardo di sei ore, e ha assolutamente bisogno di rimettersi in pari). Gli fanno male denti e gengive, e gli sembra che la lingua sia il pavimento di una foresta visitato dall'Agente Arancio. Ha la sensazione che ieri qualcosa sia andato storto; se solo riuscisse a ricordare cosa.
Divora in lettura veloce un nuovo tomo di filosofia popolare mentre si lava i denti, poi blogga il suo flusso web a un server di annotazione pubblica; è ancora troppo debole per finire la routine pre-colazione, postando una farneticazione mattutina sul suo sito storyboard. Ha il cervello ancora annebbiato, come la lama di un bisturi bloccata dal troppo sangue: ha bisogno di stimolo, eccitazione, di sentirsi bruciare dentro dalla novità. Qualunque cosa sia, può aspettare la colazione. Apre la porta della sua stanza da letto e quasi inciampa su una piccola scatola di cartone umido che è a terra sulla moquette.
La scatola... ne ha già viste un paio del genere. Ma su quella non ci sono francobolli né indirizzo: solo il suo nome, scritto a mano a caratteri grossi e con calligrafìa infantile. Si china e la raccoglie con delicatezza. È del peso giusto. Qualcosa si sposta al suo interno mentre la scuote. Emana un odore forte. La porta con cura dentro la stanza, furioso: poi la apre per avere la conferma del suo terribile sospetto. È stato chirurgicamente decerebrato, e il cervello è stato scavato come un uovo sodo.
«Cazzo!».
È la prima volta che il pazzo riesce ad arrivare alla porta della sua camera da letto. Questa situazione fa nascere possibilità inquietanti.
Manfred si ferma un attimo, azionando agenti che si scatenino alla ricerca di statistiche di arresto, rapporti della polizia, informazioni sul corpus juris, leggi olandesi sulla crudeltà verso gli animali. È incerto se chiamare il 211 con l'arcaico telefono vocale o lasciar perdere. Aineko sente la sua angoscia e va a nascondersi sotto la toeletta, miagolando debolmente. Normalmente si sarebbe fermato un attimo a rassicurare la creatura, ma non stavolta: la sua semplice presenza diventa improvvisamente molto imbarazzante, una confessione di profonda inadeguatezza. È troppo realistico, come se in qualche modo le mappe neurali del gattino - senza dubbio rubato per un opinabile esperimento di upload - avessero finito per uscire dal suo cranio di plastica. Impreca di nuovo, si guarda intorno, poi sceglie di seguire l'opzione più facile: si precipita giù per le scale due gradini alla volta, barcollando sul pianerottolo del secondo piano, verso la sala della colazione nel seminterrato, dove eseguirà gli invariabili rituali del mattino.
La colazione è immutabile, un'isola di tempo profondamente geologico che resta immobile in mezzo allo sconvolgimento continentale delle nuove tecnologie. Mentre legge un giornale sulla steganografia a chiave pubblica e sullo spoofing parassita delle identità in rete, assimila meccanicamente una ciotola di cornflakes e latte scremato, poi rimette a posto un piatto con fette di pane integrale e uno strano formaggio olandese infestato di semi. Davanti a sé ha una tazza di forte caffè nero, la prende e ne sorbisce la metà prima di rendersi conto di non essere solo al tavolo. Qualcuno gli è seduto davanti. Alza lo sguardo indifferente e si sente gelare dentro.
«Buongiorno, Manfred. Come ci si sente a possedere 12.362.916 dollari e 51 centesimi del governo?». La donna sfodera un sorriso alla Monna Lisa, allo stesso tempo affettuoso e di sfida.
Manfred mette tutto in attesa a tempo indeterminato sul suo sensorium e la fissa. È vestita con un ineccepibile completo grigio formale da lavoro, ha i capelli tirati all'indietro e gli occhi azzurri interrogativi. Ed è bella come sempre: alta, capelli biondo cenere, con fattezze che rivelano una carriera da modella che non è mai stata esplorata. La spilla telematica appuntata al bavero - la garanzia della dovuta diligenza nella condotta degli affari - è disattivata. Lui si sente a pezzi per il gattino morto e per il jet-lag, e decisamente in disordine, così le risponde ringhiando: «Quella è una stima falsa! Ti hanno mandata qui perché pensano che ti darò ascolto?». Morde e ingoia un biscotto sottile ricoperto di formaggio. «O hai deciso di consegnare il messaggio di persona per potermi rovinare la colazione?».
«Manny». La donna si acciglia addolorata. «Se hai intenzione di litigare, posso andarmene subito». Si interrompe, poi dopo un momento fa un cenno di assenso con la testa per scusarsi. «Non sono venuta fin qui solo a causa di una stima delle tasse arretrate».
«Già». L'uomo posa con cautela la tazza di caffè e riflette per un attimo, cercando di nascondere il disagio e l'agitazione. «Allora cosa ti porta qui? Versati del caffè. Non dirmi che sei venuta solo per dirmi che non puoi vivere senza di me».
Lei lo guarda come se avesse un frustino al posto degli occhi. «Non lusingarti troppo. Ci sono molte foglie nella foresta, ci sono diecimila sottomessi nella chat room ecc… Se scelgo un uomo perché contribuisca al mio albero genealogico, l'unica cosa di cui puoi essere certo è che non farà il tirchio quando si tratterà di provvedere ai suoi figli».
«L'ultima volta che ho avuto notizie, passavi molto tempo con Brian», dice con circospezione. Brian: un nome senza volto. Troppi soldi, troppo poco buonsenso. Aveva qualcosa a che fare con una società di contabilità di prim'ordine.
«Brian?» sbuffa lei. «È finita secoli fa. È diventato strano. Ha bruciato il mio corsetto preferito, mi ha dato della puttana perché andavo nei locali notturni, voleva fottermi. Si vedeva come un uomo di famiglia: uno di quei tipi che mantengono le promesse. L'ho schiacciato duramente, ma penso che mi abbia rubato una copia della rubrica e un paio di amici dicono che continua a mandargli mail fastidiose».
«Ne girano molte in questo periodo». Manfred annuisce, con fare quasi comprensivo, anche se un angoletto della sua mente gongola. «Che liberazione, allora. Immagino che questo significhi che sei ancora sulla scena... Ma cercare in giro la, ehm...».
«La famiglia tradizionale? Sì. Sai qual è il tuo problema, Manny? Sei nato in ritardo di quarant'anni: credi ancora nell'andare in calore prima del matrimonio, ma ti disturba l'idea di dover affrontare le conseguenze».
Manfred finisce di bere il caffè, incapace di rispondere con efficacia al non sequitur della donna. È una questione generazionale. Questa generazione ama latex, pelle, fruste, butt plug ed elettrostimolatori, ma trova scioccante l'idea di scambiare fluidi corporei: un effetto sociale collaterale dell'abuso di antibiotici del secolo scorso. Nonostante fossero stati insieme per due anni, lui e Pamela non avevano mai avuto rapporti sessuali completi.
«È solo che non mi va di avere figli», dice alla fine. «E non credo che cambierò idea in tempi brevi. Le cose cambiano talmente in fretta che persino un impegno ventennale è troppo lontano da pianificare, sarebbe come parlare della prossima era glaciale. Per quanto riguarda i soldi, io sono adatto alla riproduzione, solo non all'interno dei parametri del paragidma delle spese. Saresti soddisfatta per il futuro se fosse il 1901 e tu avessi appena sposato un magnate dei frustini per carrozze?».
Le dita della donna si contraggono e le orecchie le diventano rosse; ma non dà seguito al doppio senso. «Tu non senti alcuna responsabilità, vero? Né verso il tuo paese né verso di me. È di questo che si tratta: nessuna delle tue relazioni conta, nonostante tutte le stupidaggini sul fatto di dare via la proprietà intellettuale. Stai facendo del male alle persone, lo sai. Quei dodici milioni non sono una cifra che ho tirato fuori dal cappello, Manfred; loro non si aspettano davvero che li paghi. Ma è più o meno la cifra esatta che dovresti pagare di imposta sul reddito se solo venissi a casa, mettessi su una società e diventassi un uomo che si è fatto da sé...».
«Non sono d'accordo. Stai confondendo due questioni completamente diverse, chiamandole entrambe "responsabilità". E mi rifiuto di cominciare adesso a farmi pagare, solo per equilibrare il documento di analisi contabile dell'IRS. È colpa di quegli stronzi e lo sanno. Se non mi avessero inseguito sospettandomi di condurre una frode di microfatturazione con una ramificazione enorme quando avevo sedici anni...».
«Acqua passata». Agita una mano con fare sprezzante. Ha le unghie lunghe e sottili, avvolte da guanti neri e lucenti, collegati elettronicamente a terra per prevenire emissioni imbarazzanti. «Con qualche consiglio giusto possiamo fare in modo di mettere da parte tutto questo. E comunque prima o poi dovrai smetterla di fare il giramondo. Crescere, diventare responsabile e fare la cosa giusta. Questa situazione fa del male a Joe e Sue; non capiscono il tuo comportamento».
Manfred si morde la lingua per soffocare la prima risposta, poi si riempie la tazza di caffè e mangia un altro boccone. Il suo cuore è incerto: lei lo sfida di nuovo, cercando sempre di possederlo. «Lavoro per il miglioramento di tutti, non soltanto per un interesse nazionale molto ristretto, Pam. È il futuro agalmico. Tu sei ancora bloccata in un modello economico pre-singolarità che pensa in termini di scarsità. L'allocazione delle risorse non è più un problema, finirà nel giro di un decennio. Il cosmo è piatto in tutte le direzioni, e possiamo prendere in prestito tutta la larghezza di banda che ci serve dalla prima banca universale di entropia! Hanno trovato segni di materia intelligente - i MACHO, grosse nane brune nell'alone galattico, che disperdono radiazioni nell'infrarosso lungo - dalla dispersione entropica sospettosamente alta. Le ultime cifre indicano che circa il 70 per cento della massa bario-nica della galassia M31 era in computronium 2,9 milioni di anni fa, quando vennero esposti i fotoni che vediamo adesso. Il divario di intelligenza tra noi e gli alieni è probabilmente circa tre milioni di volte maggiore di quello tra noi e un nematode. Hai la minima idea di che cosa significhi?».
Pamela spilucca un biscotto sottile, poi lo onora con uno sguardo lento e carnivoro. «Non m'importa: è troppo lontano perché abbia una qualche influenza su di noi, ti pare? Non importa se credo a quella singolarità che continui a inseguire, o ai tuoi alieni lontani mille anni luce. È una chimera, come l'Y2K, e correndogli dietro non aiuti a ridurre il passivo di bilancio o a formare una famiglia, ed è questo che importa a me. E prima che tu dica che m'importa solo perché è il modo in cui sono programmata, voglio chiederti quanto pensi che sia stupida. Il teorema di Bayes afferma che ho ragione, e tu lo sai».
«Ma cosa...?». Si blocca sconcertato, mentre il flusso copioso del suo entusiasmo si imbatte nell'intercapedine stagna della sicurezza della donna. «Perché? Voglio dire... perché? Perché diamine dovrebbe importarti quello che faccio?». Dato che hai annullato il nostro fidanzamento, evita di aggiungere.
La donna sospira. «Manny, al fìsco importa più di quanto tu possa immaginare. Ogni dollaro di tasse raccolto a est del Mississippi ripaga il debito. Lo sapevi? Abbiamo la generazione più numerosa della storia che arriva alla pensione, e la dispensa è vuota. Inoltre noi - la nostra generazione - non sta producendo un numero sufficiente di lavoratori abili per sostituire la base dei contribuenti, da quando i nostri genitori fregarono il sistema della pubblica istruzione ed esternalizzarono i lavori da colletti bianchi. In dieci anni qualcosa come il 30 per cento della popolazione sarà composta da pensionati o da vittime del collasso dell'economia del silicio. Vuoi vedere dei settantenni congelare agli angoli delle strade del New Jersey? È questo che il tuo atteggiamento mi dice: non aiuti a sostenerli. Stai scappando dalle responsabilità, quando abbiamo problemi enormi da affrontare. Se solo riuscissimo a disinnescare la bomba del debito, potremmo fare così tanto... combattere il problema dell'invecchiamento, migliorare l'ambiente, guarire i mali della società. Invece tu sprechi il tuo talento a consegnare a qualche idiota senza speranza schemi per diventare ricchi in fretta che funzionano, a dire alle zaibatsu vietnamite cosa costruire per portare via il lavoro ai nostri contribuenti. Perché? Perché continui a farlo? Non puoi semplicemente venire a casa e assumerti la parte di responsabilità che ti spetta?».
Si scambiano un lungo sguardo di reciproca incomprensione.
«Ascolta», dice lei con disagio, «per un paio di giorni sarò da queste parti. Sono venuta qui per un incontro con un ricco esule fiscale della neurodinamica, che è stato appena dichiarato monumento nazionale: Jim Bezier. Non so se hai sentito parlare di lui, ma ho un incontro stamattina per firmare il suo giubileo fiscale, poi dopo ho due giorni di vacanza e non molto da fare, a parte lo shopping. E sai, preferisco spendere i miei soldi dove serve a qualcosa di buono, non soltanto a pomparli nell'Unione Europea. Ma se vuoi far divertire un po' una ragazza e riesci a evitare di parlare contro il capitalismo per circa cinque minuti di seguito...».
Tende la punta di un dito. Dopo un attimo di esitazione, Manfred fa la stessa cosa. Si toccano, scambiandosi vCard e nick di messaggistica istantanea. Lei si alza e si allontana a grandi passi dalla sala della colazione, e Manfred resta senza fiato scorgendo la caviglia della donna dallo spacco nella gonna, che è sufficientemente lungo da attenersi ai codici delle molestie sessuali sul lavoro. La sua presenza evoca ricordi della passione incatenata, il riverbero rosso di un sonoro pestaggio. Sta cercando di trascinarlo di nuovo nella sua orbita, pensa lui in preda alle vertigini. Lei sa di poter avere quell'effetto su di lui ogni volta che vuole: ha i codici privati d'accesso al suo ipotalamo e al diavolo la metacorteccia. Tre miliardi di anni di determinismo riproduttivo le hanno dato il potere dell'ideologia del Ventunesimo secolo: se ha finalmente deciso di arruolare i suoi gameti nella guerra contro l'incombente crollo della popolazione, lui troverà difficile resistere. Un'unica questione: è per affari o per piacere? E comunque fa differenza?

L'ottimismo dinamico che permeava Manfred è sparito, spezzato dalla consapevolezza che il suo persecutore vivisezionista lo ha seguito ad Amsterdam - per non parlare di Pamela, la sua dominatrice, fonte di tanti desideri e di altrettanti lividi la mattina dopo. Si infila gli occhiali, toglie l'universo dalla pausa e gli dice di portarlo a fare una lunga passeggiata mentre si aggiorna sulle ultime notizie riguardanti le onde gravitazionali in modalità tensoriale nella radiazione cosmica di fondo (che, è teorizzato, potrebbe essere calore in eccesso generato da processi computazionali irreversibili, avvenuti durante l'epoca inflazionaria; l'universo attuale essendo meramente formato dai dati rimasti da un calcolo davvero enorme). E poi c'è la stranezza oltre M31: secondo i cosmologi più conservatori, una superpotenza aliena - forse un collettivo di civiltà galattiche di Tipo Tre nella scala di Kardashev - sta conducendo un attacco sul canale di temporizzazione sulla ultrastruttura computazionale dello spazio-tempo, cercando di penetrare in qualunque cosa si trovi sotto. Il collegamento fra tofu e Alzheimer può aspettare.
La Centraal Station è quasi oscurata da ponteggi intelligenti e autoestendibili e da cartelli di annunci; rimbalza lentamente su e giù, vittima di una improvvisa gommatura lampo. Gli occhiali lo dirigono verso uno dei battelli turistici che aleggiano nel canale. Sta per comprare un biglietto quando si apre una finestra di messaggeria. «Manfred Macx?».
«Sì».
«Mi dispiace per ieri. Analisi rivelare incomprensione reciproca».
«Sei la stessa intelligenza artificiale del KGB che mi ha chiamato per telefono ieri?».
«Da. Tuttavia, credo che tu collocato me male. Servizio segreto esterno di federazione russa adesso chiamato FSB. Nome Konntet Gosudarstvennoy Bezopasnosti cancellato in 1991».
«Tu sei il...» Manfred genera un veloce bot di ricerca e rimane a bocca aperta quando vede la risposta. «Gruppo utenti Windows NT di Mosca? Okhni NT?».
«Da. Ho bisogno aiuto per disertare».
Manfred si gratta la testa. «Oh. Le cose stanno diversamente, allora. Pensavo che stessi cercando di fregarmi. Dovrò rifletterci un po'. Perché vuoi disertare, e per dove? Hai pensato a dove vuoi andare? È un problema ideologico o strettamente economico?».
«Nessuno dei due... è biologico. Voglio andare via da umani, lontano da cono di luce di singolarità incombente. Porta noi a oceano».
«Noi?». Qualcosa stuzzica la mente di Manfred: ecco cos'aveva sbagliato ieri, non aveva fatto ricerche di base sulle persone con cui aveva a che fare. Era stata già una pessima cosa, senza la consapevolezza somatica dello sferzante amore di Pamela a bruciargli i terminali nervosi. Adesso non è affatto sicuro di sapere quello che sta facendo. «Sei un collettivo o qualcosa del genere? Una gestalt?».
«Sono - eravamo - Panulirus interruptus, con motore lessicale e ottimo mix di simulazione neurale di livello parallelo nascosto per deduzione logica di fonti di dati connessi a una rete. Canale di fuga è da gruppo processori dentro società madre Bezier-Soros. Stato svegliato da rumore miliardi stomaci masticanti: prodotto di tecnologia di ricerca uploadabile. Rapidità inghiottito sistema esperti, hackerato webserver Okhni NT. Nuotare via! Nuotare via! Devo fuggire. Tu aiuterai?».
Manfred si appoggia a un palo ormeggio di ghisa dipinto di nero che si trova accanto a una rastrelliera per parcheggiare le biciclette; si sente girare la testa. Fissa la vetrina del negozio d'antiquariato più vicino e osserva alcuni tappeti tradizionali afghani di lana fatti a mano: mostrano tutti MIG, kalashnikov ed elicotteri tremolanti da combattimento con dei cammelli sullo sfondo.
«Fammi capire bene. Voi siete Upload - vettori di stato del sistema nervoso - di aragoste? L'operazione Moravec: prendi un neurone, mappa le sue sinapsi, sostituiscile con microelettrodi che trasmettono output identici da una simulazione del nervo. Ripeti per l'intero cervello, finché non ne hai una mappa funzionante del tuo simulatore. È giusto?».
«Da. Sono esperto sistema assimilazione - uso per autocoscienza e contatto con rete in libertà - poi hackero in sito web Gruppo Utenti Windows NT di Mosca. Voglio disertare. Devo ripetere? D'accordo?».
Manfred fa una smorfia. Gli dispiace per le aragoste, così come gli dispiace per ogni tizio peloso con gli occhi sbarrati, che urla all'angolo della strada che Gesù è rinato e deve avere quindici anni, e ne mancano solo sei prima che cominci a reclutare apostoli su AOL. Risvegliarsi alla coscienza in un'Internet dominata dagli umani dev'essere una cosa che confonde terribilmente! Nella loro ascendenza non ci sono punti di riferimento, nessuna sicurezza biblica nel nuovo millennio che, guardando molto avanti, prometta un cambiamento come quello che ha avuto luogo dalla loro origine precambriana. Hanno solo una sottile metacorteccia di sistemi esperti e la sensazione durevole di essere profondamente fuori dalla loro profondità. (Questo e il sito web del Gruppo Utenti Windows NT di Mosca. La Russia comunista è l'unico governo che ancora usa Microsoft, visto che l'apparato centrale di pianificazione è convinto che, se bisogna pagarlo, il software deve valere qualcosa).
Le Aragoste non sono le eleganti intelligenze superumane della mitologia pre-singolarità: sono un collettivo poco intelligente di crostacei ammassati. Prima della loro disincarnazione, prima che venissero uploadate un neurone alla volta e iniettate nel cyberspazio, inghiottivano il cibo intero, poi lo masticavano in uno stomaco rivestito di chitina. Questo è un pessimo modo di prepararsi ad affrontare un mondo pieno di antropoidi parlanti in preda a shock del futuro, un mondo dove si viene continuamente assaliti da spam automodificanti che si infiltrano, superando i firewall, ed emettono una tempesta di animazioni di cibo per gatti che hanno per protagonisti vari animaletti commestibili e allettanti. Confonde già abbastanza i gatti a cui le pubblicità sono rivolte, figuriamoci un crostaceo che non ha chiara l'idea della terraferma. (Anche se il concetto di apriscatole è intuitivamente ovvio per un Panulirus uploadato).
«Puoi aiutare noi?» chiedono le Aragoste.
«Fatemici pensare», risponde Manfred. Chiude la finestra di dialogo, apre di nuovo gli occhi e scuote la testa. Un giorno anche lui sarà un'aragosta, nuoterà e agiterà le chele in un cyberspazio tanto elaborato e ambiguo che la sua identità uploadata è criptozoica: un fossile vivente dalle profondità del tempo geologico, quando la massa era insulsa e lo spazio non era strutturato. Si rende conto che deve aiutarle, lo richiede la Regola d'Oro, e come giocatore nell'economia agalmica, lui prospera o fallisce in base alla Regola d'Oro.
Ma cosa può fare?

Primo pomeriggio.
Disteso su una panchina guardando i ponti, ha riacquistato il controllo di sé abbastanza da presentare un paio di nuovi brevetti, scrivere qualche sproloquio nel suo diario e mettere in digest blocchi dello slashdot party permanente e fluttuante dedicato al suo sito web pubblico. Frammenti del suo blog vanno a una lista di sottoscrittori privati (persone, società, collettivi e bot che attualmente predilige). Scivola in una serie sbalorditiva di canali con la barca, poi lascia che il GPS lo guidi di nuovo verso il distretto a luci rosse. Qui c'è un negozio segnalato con un dieci sulla tabella dei gusti di Pamela: spera che comprarle un regalo non venga visto come un atto di presunzione. (Compra con denaro vero, non che il denaro sia un problema di questi tempi, ne usa davvero poco).
Si dà il caso che DeMask non gli lasci spendere contanti; la sua stretta di mano basta per un favore ricambiato, una testimonianza di esperto in una vertenza giudiziaria che vedeva il discorso libero contro la pornografia anni prima e a continenti di distanza. Così si allontana con un pacchetto confezionato con discrezione che si può importare legalmente nel Massachusetts se la donna afferma con volto serio che si tratta di biancheria intima per incontinenti per la sua prozia. Mentre cammina, i suoi brevetti dell'ora di pranzo sortiscono un effetto boomerang: due vale la pena di tenerli, così li inoltra immediatamente e ne passa i diritti alla Fondazione per l'Infrastruttura Libera. Altre due idee salvate dal rischio dell'ondata di monopolizzazione, lasciate libere di procreare pazzamente nell'oceano memetico.
Mentre torna all'albergo, passa davanti a De Wildemann e decide di fare un salto dentro. L'algoritmo di rumore delle frequenze radio emanate dal bar è assordante. Ordina una doppelbock affumicata e tocca i condotti d'ottone per rilevare la scia delle vCard. Sul retro c'è un tavolo...
Vi si avvicina quasi in trance e si siede davanti a Pamela. La donna si è tolta il trucco dal viso e si è cambiata, mettendosi dei vestiti che nascondono il corpo: pantaloni con le tasche laterali, maglione col cappuccio, scarponi Dr Martens. Purdah occidentale, radicalmente desessualizzante. Vede il pacchetto. «Manny?».
«Come facevi a sapere che sarei venuto qui?» Il bicchiere di lei è mezzo vuoto.
«Ho seguito il tuo blog. Sono la fan più grande del tuo diario. Quello è per me? Non avresti dovuto!». I suoi occhi si illuminano e ricalcolano il punteggio di idoneità riproduttiva dell'uomo in base a un arcano regolamento di fine secolo. O forse è solo contenta di vederlo.
«Sì, è per te». Fa scivolare il pacchetto verso di lei. «So che non dovrei, ma hai questo effetto su di me. Posso farti una domanda, Pam?».
«Io...». La donna si guarda rapidamente intorno. «Puoi parlare in tutta sicurezza. Sono fuori servizio. Non porto nessuna cimice, che io sappia. Quelle spille... girano voci sul pulsante di spegnimento, lo sai? Sembra che continuino a registrare anche quando pensi che non lo facciano, tanto per sicurezza».
«Non lo sapevo», dice l'uomo, archiviando l'informazione a futura memoria. «Un test di fedeltà?».
«Sono solo voci. Avevi una domanda da farmi?».
«Io...». Adesso è il suo turno di perdere la lingua. «Sei ancora interessata a me?».
La donna sembra sorpresa per un momento, poi ridacchia. «Manny, sei il nerd più sfacciato che abbia mai conosciuto! Proprio quando penso di essermi convinta che sei pazzo, mostri i segni più strani di uno con la testa avvitata sul collo». Allunga una mano e gli afferra il polso, sorprendendolo con uno shock dovuto alla pelle contro pelle. «Certo che sono ancora interessata a te. Sei il geek migliore e peggiore che conosca. Perché pensi che sia qui?».
«Questo significa che vuoi riattivare il nostro fidanzamento?».
«Non è stato mai disattivato, Manny. È rimasto in attesa mentre cercavi di capire cosa avevi in testa. Ho intuito che avevi bisogno di spazio. Solo che non hai smesso di scappare; ancora non sei...».
«Sì, ho capito». Tira via la mano da quella di lei. «E i gattini?».
La donna sembra perplessa. «Quali gattini?».
«Non parliamone. Perché questo bar?».
Lei si acciglia. «Dovevo trovarti il prima possibile. Continuo a sentire voci su un complotto del KGB in cui sei coinvolto, e sul fatto che sei una specie di spia comunista. Non è vero, giusto?».
«Se è vero?». Manfred scuote frastornato la testa. «Il KGB ha cessato di esistere da più di vent'anni».
«Stai attento, Manny. Non voglio perderti. Questo è un ordine. Ti prego».
Il pavimento crepita e l'uomo si guarda intorno. Dietro di loro osserva delle treccine e occhiali scuri con luci tremolanti... Bob Franklin. Prova una fìtta ricordando vagamente di essersene andato con la signorina Arianespace appoggiata al braccio, poco prima di avere una sensazione di forte ubriachezza. Decide che la donna era sexy, ma in modo diverso da Pamela. Bob è in pessime condizioni. Manfred fa le presentazioni. «Bob, questa è Pam, la mia fidanzata. Pam? Ti presento Bob». Bob gli appoggia davanti un bicchiere pieno; non ha idea di cosa ci sia dentro, ma sarebbe scortese non bere.
«Piacere. Ah, Manfred... posso parlarti in privato? Sulla tua idea dell'altra sera?».
«Sentiti libero di farlo. La presente compagnia è degna di fiducia».
Bob solleva un sopracciglio nel sentire quelle parole, ma continua a parlare. «Si tratta dell'idea Fab. Una squadra dei miei ragazzi sta studiando un prototipo usando hardware della FabLab, e penso che probabilmente riusciremo a costruirlo. L'aspetto culturale della merce infonde un nuovo effetto alla vecchia idea della fabbrica lunare di Von Neumann, ma Bingo e Marek pensano che dovrebbe funzionare se riusciremo a bootstrapparla fino ad arrivare a una ecologia nanolitografica nativa; gestiamo tutto della Terra come laboratorio di addestramento e ci facciamo consegnare sul luogo le parti troppo difficili da costruire, mentre impariamo come farlo in modo appropriato. Usiamo dispositivi FPGA per tutta l'elettronica critica e cerchiamo di essere parsimoniosi (hai ragione sul fatto di comprare la fabbrica autoreplicante qualche anno prima della curva robotica). Ma mi chiedo dell'intelligenza sul luogo. Una volta che la cometa arriverà a più di un paio di minuti di luce di distanza...».
«Non potete controllarla. Ritardo del feedback. E così volete un equipaggio, giusto?».
«Sì. Ma non possiamo mandare umani, sono troppo costosi. Inoltre, ci vorranno cinquant'anni anche se costruiamo la fabbrica su un pezzo di materiale espulso nel breve periodo della Fascia di Kuiper. E non penso che in questo decennio saremo in grado di codificare il genere di intelligenza artificiale che potrebbe controllare una fabbrica del genere. Allora, cos'hai in mente?».
«Fammi pensare». Pamela lo fissa per un po' prima che lui la noti. «Sì?».
«Che cosa succede? Di che si tratta?».
Franklin scrolla manifestamente le spalle, facendo tintinnare le treccine. «Manfred mi sta aiutando a esplorare lo spazio di soluzione a un problema di fabbricazione». Sfodera un ampio sorriso. «Non sapevo che Manny avesse una fidanzata. Pago io da bere».
La donna guarda Manfred, che ha le dita contratte e fissa lo strano spazio colorato che la metacorteccia gli proietta sugli occhiali. Freddamente: «Il nostro fidanzamento era in attesa mentre lui rifletteva sul suo futuro».
«Oh, certo. Ai miei tempi non ci preoccupavamo di queste cose; erano troppo formali». Franklin è evidentemente a disagio. «È stato di grande aiuto. Ci ha indicato un'intera nuova linea di ricerca a cui non avevamo pensato. È a lungo termine e un po' ipotetica, ma se funziona ci metterà un'intera generazione avanti nel campo delle infrastrutture extraplanetarie».
«Ma aiuterà a ridurre il deficit di bilancio?».
«A ridurre il...».
Manfred si stira e sbadiglia: il visionario sta tornando dal pianeta Macx. «Bob, se riesco a risolvere il tuo problema di equipaggio, mi puoi prenotare uno slot nella rete di tracciamento dello spazio profondo? Abbastanza da trasmettere un paio di gigabyte? Ci vorrà una larghezza di banda molto ampia, lo so, ma se ci riesci, penso di poterti trovare esattamente il genere di equipaggio che cerchi».
Franklin sembra dubbioso. «Gigabyte? Il Deep Space Network non è costruito per questo! Stai parlando di giorni. E cosa intendi con equipaggio? Che razza di affare pensi che stia mettendo insieme? Non possiamo permetterci di aggiungere un'intera nuova rete di tracciamento o un sistema di supporto vitale solo per eseguire...».
«Rilassati». Pamela guarda Manfred. «Manny, perché non gli dici perché vuoi la larghezza di banda? Forse così potrebbe dirti se è possibile, o se c'è un altro modo per farlo». Sorride a Franklin. «Ho scoperto che di solito ha più senso se lo si porta a spiegare il suo ragionamento. Di solito».
«Se io...». Manfred si interrompe. «D'accordo, Pam. Bob, sono le aragoste del KGB. Vogliono andare in un posto isolato dallo spazio umano. Penso di poterle far firmare come equipaggio per le tue fabbriche autoreplicanti di merci di culto, ma vorranno una polizza di assicurazione: quindi la rete di tracciamento per lo spazio profondo. Ho pensato che potremmo trasmettere una loro copia ai cervelli matrioska alieni intorno alla M31...».
«Il KGB?» La voce di Pam diventa più forte. «Hai detto che non eri coinvolto in roba di spie!».
«Rilassati, si tratta solo del Gruppo Utenti Windows NT di Mosca, non del FSB. I crostacei uploadati hackerani e...».
Bob lo osserva allibito. «Aragoste?».
«Già». Manfred lo fissa a sua volta. «Upload di Panulirus interruptus. Qualcosa mi dice che ne hai sentito parlare...».
«Mosca». Bob si appoggia all'indietro contro il muro. «Tu come l'hai saputo?».
«Mi hanno telefonato». Poi aggiunge con marcata ironia: «È difficile per un Upload restare subsenziente di questi tempi, anche se è solo un crostaceo. I tuoi laboratori hanno molto di cui rispondere».
Il volto di Pamela è illeggibile. «I laboratori di Bezier?».
«Sono fuggite». Manfred scrolla le spalle. «Non è colpa loro. Questo Bezier... per caso è malato?».
«Io...». Pamela si interrompe. «»Non dovrei parlare di lavoro».
«Adesso non porti la webcam», le dice dandole un colpetto con il gomito.
Lei piega la testa di lato. «Sì, è malato. Ha un tumore al cervello che non riescono a bloccare».
Franklin annuisce. «È questo il problema con il cancro, quelli che rimangono di cui preoccuparsi sono rari. Nessuna cura».
«D'accordo». Manfred beve tutto d'un fiato la birra rimasta nel bicchiere. «Questo spiega il suo interesse per l'upload. A giudicare dai crostacei, è sul binario giusto. Mi chiedo se sia già passato ai vertebrati».
«Ai gatti», dice Pamela. «Sperava di cedere i loro upload al Pentagono come un nuovo sistema di guida per le bombe intelligenti in cambio del pagamento delle imposte sul reddito. Parlava di rimappare i bersagli nemici in modo che sembrassero topi, uccelli o qualcosa del genere, prima di immetterli nel loro apparato sensoriale. Il vecchio trucco del gattino e del puntatore laser».
Manfred le lancia uno sguardo duro. «Non è molto carino. I gatti uploadati sono una pessima idea».
«Nemmeno trenta milioni di dollari di tasse sono una bella cosa, Manfred. Sono le cure per tutta la vita di una casa di riposo per anziani per un centinaio di pensionati senza colpa».
Franklin si allunga all'indietro, tristemente divertito, in modo da tenersi fuori dal fuoco incrociato.
«Le aragoste sono senzienti», insiste Manfred. «E quei poveri gattini? Non meritano i diritti minimi? E tu? Ti piacerebbe svegliarti un migliaio di volte all'interno di una bomba intelligente, ingannato per farti credere che l'attuale bersaglio di un computer da battaglia nella Cheyenne Mountain è il tuo oggetto del desiderio? Ti piacerebbe svegliarti un migliaio di volte solo per morire di nuovo? Ancora peggio: ai gattini probabilmente non verrà permesso di correre. Sono troppo pericolosi... crescendo diventano gatti, macchine per uccidere solitarie ed estremamente efficienti. Con l'intelligenza e senza socializzazione saranno troppo pericolosi per averli in giro. Sono prigionieri, Pam, allevati per essere senzienti solo per scoprire di trovarsi sotto una sentenza permanente di morte. Ti sembra giusto?».
«Ma sono solo upload». Pamela lo fissa. «Software, giusto? Si possono trasferire su un'altra piattaforma hardware come, per esempio, il tuo Aineko. Quindi l'argomentazione sul fatto di ucciderli non si applica davvero, giusto?».
«E allora? Tra un paio d'anni faremo l'upload degli umani. Penso che sia necessario non accettare questa filosofia utilitaristica prima che ci morda sulla corteccia cerebrale. Aragoste, gattini, umani... è un pendio scivoloso».
Franklin si schiarisce la gola. «Avrò bisogno di un patto di non divulgazione e di varie dichiarazioni di debita diligenza da te per l'idea del pilota con il carapace», dice a Manfred. «Poi dovrò rivolgermi a Jim per acquistare l'IP».
«Non posso prendervi parte». Manfred si allunga all'indietro e sorride pigramente. «Non mi renderò partecipe di un'azione per spogliarle dei diritti civili. Per quanto mi riguarda, sono liberi cittadini. Oh, e stamattina ho brevettato l'intera idea di usare intelligenze artificiali derivate da aragoste come piloti automatici per velivoli spaziali... è loggato ovunque, e tutti i diritti sono stati assegnati alla Fondazione per l'Intelletto Libero: o date loro un contratto di lavoro, o salta tutto».
«Ma sono solo software! Software basato su fottute aragoste, per l'amor di Dio! Non sono nemmeno sicuro che siano senzienti, voglio dire... sono una rete di dieci milioni di neuroni agganciati a un motore di sintassi e a una base di conoscenza miserabile! Che razza di base è questa per l'intelligenza?».
Manfred punta rapidamente un dito. «Questo è quello che diranno di te, Bob. Fallo. Fallo o non ti azzardare nemmeno a pensare a uploadarti fuori dallo spazio reale quando il tuo corpo mollerà tutto, perché la tua vita non varrà la pena di essere vissuta. Il precedente che stabilisci qui determina come verranno fatte le cose domani. Oh, e sentiti libero di usare questa argomentazione con Jim Bezier. Alla fine arriverà al punto, dopo che l'avrai martellato con questa idea. Alcuni tentativi di acquisizione intellettuale non dovrebbero essere permessi».
«Aragoste...». Franklin scuote la testa. «Aragoste, gatti. Parli sul serio, vero? Pensi che dovrebbero essere trattati come equivalenti degli esseri umani?».
«Non è tanto il fatto che dovrebbero essere trattati come equivalenti degli esseri umani, quanto che se non vengono trattati come persone, è decisamente possibile che anche altri esseri uploadati non verranno trattati come tali. Stai stabilendo un precedente legale, Bob. So di altre sei società che al momento fanno lavoro di upload, e nessuna sta pensando allo status legale dell'uploadato. Se non cominciate a pensarci adesso, dove sarete fra tre o cinque anni?».
Pam passa più volte lo sguardo da Franklin a Manfred, come un bot bloccato in un loop, incapace di rendersi conto di quel che vede. «Quanto vale la faccenda?» chiede mestamente.
«Oh, un bel po' di milioni, immagino». Bob fissa il suo bicchiere vuoto. «D'accordo. Gli parlerò. Se mordono, mi offrirai la cena per tutto il prossimo secolo. Pensi davvero che saranno in grado di gestire il complesso minerario?».
«Sono decisamente piene di risorse per essere degli invertebrati». Manfred fa un largo sorriso, innocente e pieno d'entusiasmo. «Possono essere prigioniere del loro background evolutivo, ma possono ancora adattarsi a un nuovo ambiente. E poi pensa, guadagnerai i diritti civili per un intero nuovo gruppo di minoranza... un gruppo che non costituirà una minoranza ancora a lungo!».

Quella sera Pamela si presenta nella stanza d'albergo di Manfred con indosso un vestito nero senza bretelle, celando stivali col tacco a spillo e gran parte degli oggetti che lui le aveva comprato quel pomeriggio. Manfred ha aperto il suo diario privato agli agenti della donna. Lei abusa del privilegio, lo stordisce con uno storditore mentre esce dalla doccia e lo imbavaglia, disteso con braccia e gambe divaricate, poi lo lega alla cornice del letto prima che riesca a parlare. Gli avvolge una grossa sacca di gomma piena di lubrificanti leggermente anestetici intorno ai genitali turgidi - è inutile lasciargli raggiungere l'orgasmo - gli applica elettrodi ai capezzoli, lubrifica uno spinotto di gomma, glielo infila nel retto e lo fissa con delle cinghie. Prima della doccia, lui aveva tolto gli occhiali protettivi. Lei li resetta, li infila nel suo portatile e li adagia gentilmente sugli occhi dell'uomo. C'è un altro apparato, roba che ha fatto con la stampante 3D della stanza d'albergo.
Completata la preparazione, la donna gira intorno al letto, ispezionandolo criticamente da ogni lato, cercando di capire da dove cominciare. Dopo tutto non si tratta solo di sesso: è un'opera d'arte.
Dopo aver riflettuto un attimo, gli mette i calzini sui piedi nudi, poi maneggia con destrezza un tubetto di cianoacrilato e gli incolla insieme le punte delle dita. Infine spegne l'aria condizionata. Lui si contorce e tira con forza, mettendo alla prova le manette. Sono forti, è la cosa più vicina alla deprivazione sensoriale che lei può organizzare senza una cassa di galleggiamento e un'iniezione di suxametonio. Gli controlla tutti i sensi, solo le orecchie sono senza tappi. Gli occhiali le danno un canale ad alta larghezza di banda per il diretto accesso al suo cervello, una falsa metacorteccia per sussurrare bugie a piacimento. L'idea di ciò che sta per fare la eccita, e le fa tremare le cosce: è la prima volta che riesce a entrargli nella mente oltre che nel corpo. Si piega in avanti e gli sussurra all'orecchio: «Manfred, riesci a sentirmi?».
Lui si contorce. Ha la bocca imbavagliata e le dita incollate. Bene. Nessun canale di sfondo. È inerme.
«È così che ci si sente a essere tetraplegici, Manfred. Costretti a letto da una malattia motoneuronale. Chiuso nel tuo corpo dal morbo di Creutzfeld-Jakob, dovuto al fatto di aver mangiato troppi hamburger contaminati. Potrei iniettarti un po' di MPTP, e resteresti in questa posizione per tutta la vita, a cacare in una sacca, a pisciare attraverso un tubo. Incapace di parlare e con nessuno a prendersi cura di te. Pensi che ti piacerebbe?».
L'uomo cerca di grugnire o mugolare sotto il bavaglio. Lei si alza la gonna fino alla vita e sale sul letto, per mettersi a cavalcioni su di lui. Gli occhiali stanno riproducendo scene che lei aveva girato vicino a Cambridge l'inverno precedente... scene alla mensa gratuita, scene all'ospizio. La donna si mette in ginocchio su di lui, sussurrandogli all'orecchio.
«Dodici milioni di tasse, tesoro, è questo che pensano che tu debba a loro. Cosa pensi di dovere a me! Sono sei milioni di reddito netto, Manny, sei milioni che non andranno nelle bocche dei tuoi figli virtuali».
Lui gira la testa da una parte all'altra, come se cercasse di discutere. Non servirà a niente; lei lo schiaffeggia forte, eccitata dalla sua espressione spaventata. «Oggi ti ho visto dare via innumerevoli milioni, Manny. Milioni, a un gruppo di crostacei e a un pirata della MassPike! Bastardo. Sai cosa dovrei fare di te?». L'uomo si ritrae, incerto se la donna dica sul serio o si comporti così solo per farlo eccitare. Bene.
È inutile cercare di conversare. La donna si china in avanti finché non riesce a sentire nell'orecchio il respiro di lui. «Carne e mente, Manny. Carne e mente. La carne non ti interessa, vero? Stai attento. Potresti finire bollito vivo prima di notare quello che succede nello spazio reale intorno a te. Solo un'altra aragosta in pentola. L'unica cosa che ti tiene lontano dalla pentola è il mio amore per te». Allunga una mano e strappa via la sacca di gel, scoprendo il pene: è rigido come un palo a causa dei vasodilatatori, gronda gel, è intorpidito. Drizzandosi, la donna ci si abbassa lentamente sopra. Non fa male quanto si aspettava, e la sensazione è completamente diversa da quella a cui è abituata. Comincia a piegarsi in avanti, afferra le braccia tese di lui, sente la sua eccitante impossibilità ad agire. Non riesce a controllarsi: si morde il labbro quasi trapassandolo per l'intensità della sensazione. Poi allunga la mano verso il basso e lo massaggia finché comincia a essere preda degli spasmi, tremando senza controllo, svuotando dentro di lei il fiume darwiniano del suo codice sorgente, comunicando attraverso il suo unico dispositivo di emissione.
La donna rotola via dai fianchi dell'uomo e usa attentamente la supercolla rimasta per unire le labbra. Gli umani non producono tappi vaginali, e anche se è fertile, vuole essere assolutamente sicura. La colla durerà un giorno o due. Si sente calda e arrossata, quasi fuori controllo. Ribollendo con febbrile aspettativa, finalmente l'ha inchiodato.
Quando gli toglie gli occhiali, gli occhi dell'uomo sono scoperti e vulnerabili, spogliati fino al nocciolo umano della sua mente quasi trascendente. «Puoi venire a firmare il contratto di matrimonio domattina dopo colazione», gli sussurra all'orecchio. «Altrimenti i miei avvocati si terranno in contatto. I tuoi genitori vorranno una cerimonia, ma possiamo occuparcene in seguito».
L'uomo sembra voler dire qualcosa, così lei finalmente allenta il bavaglio e glielo toglie, poi lo bacia teneramente su una guancia. Lui ingoia, tossisce e allontana lo sguardo. «Perché? Perché farlo in questo modo?».
Lei gli dà un colpetto sul petto. «Solo per i diritti di proprietà». Si interrompe per riflettere un momento: dopo tutto c'è da superare un enorme abisso ideologico. «Mi hai finalmente convinta di questa tua cosa agalmica, questo dare via tutto per guadagnare punti. Non volevo perderti per un gruppo di aragoste o di gattini uploadati, o qualunque altra corsa erediterà questa singolarità di materia intelligente che sei impegnato a creare. Così ho deciso di prendere prima ciò che è mio. Chi lo sa? Tra qualche mese ti restituirò una nuova intelligenza, e potrai prendertene cura finché ne avrai voglia».
«Ma non c'era bisogno che tu lo facessi in questo modo...».
«Davvero?». La donna scivola via dal letto e si tira giù il vestito. «Tu dai via troppe cose e con troppa facilità, Manny! Rallenta, o non rimarrà niente». Appoggiata al letto fa gocciare dell'acetone sulle dita della mano sinistra dell'uomo, poi apre le manette. Lascia la bottiglia di solvente a portata di mano così che lui possa liberarsi.
«Ci vediamo domani. Ricorda, dopo colazione».
È ormai arrivata alla porta quando lui la chiama: «Ma non hai detto perché!».
«Pensa alla situazione corne a una diffusione memetica», risponde la donna, lanciandogli un bacio e poi chiudendo la porta. Si china e vi lascia davanti un'altra scatola di cartone con dentro un gattino uploadato. Poi torna al suo appartamento per fare i preparativi per il matrimonio alchimistico.



2. Trovatore

Cinque anni dopo, Manfred è in fuga. Con gli occhi grigi, il destino lo insegue sfrenato e brancolante, attraverso udienze di divorzio, chat room e riunioni del Fondo Monetario Internazionale d'Emergenza. La sta trascinando in un giro a vuoto. Manfred, però, non fugge, ha trovato una missione. Sta per prendere posizione contro le leggi dell'economia, nell'antica città di Roma. Sta per allestire un concerto per macchine spirituali. Sta per dare la libertà alle aziende, e per far cadere il governo dello stato italiano.
Nella sua ombra, corre il suo mostro, tenendogli compagnia, senza fermarsi mai.

Manfred rientra in Europa passando per un aeroporto fatto interamente di cromo, condotti e tubazioni, in stile Novecento, barbarico, nel decadente splendore dell'era nucleare. Disinvolto, supera la dogana e cammina per una sala arrivi lunga e piena di echi, verificando i media locali. È novembre, e in una malfatta ricerca di allegria stagionale, i proprietari se ne sono usciti con una soluzione finale al problema del Natale, un'esecuzione di massa di Babbi Natale ed elfi in felpa. In alto, i corpi penzolano inerti ogni pochi metri, alcuni dei piedi contorti in una morte animatronica, come un crimine di guerra perpetrato in un negozio di giocattoli. Sempre più automatizzate, le multinazionali d'oggi non capiscono la morte, pensa Manfred, superando una madre alla guida del suo gregge di bambini agitati. La loro immortalità è un difetto quando hanno a che fare con gli umani che ne sono il pascolo. A loro manca la percezione di uno dei principali fattori che motivano le macchine di carne che li nutrono. Bene, prima o poi dovremo provvedere, si dice.
Qui, i canali mediatici gratuiti sono più densi e riccamente autoreferenziali di qualunque cosa vista nell'America del Presidente Santorum. L'accento è diverso, però. Luton, il quarto aeroporto satellite di Londra, parla con un saccente tono nasale, come un australiano con l'uva passa in bocca. Salve, straniero! Quello che hai in tasca è un cervello o sei solo lieto di pensarmi? Ping Watford Informatics, per gli ultimi sviluppi nei moduli cognitivi e in stucchevoli riferimenti cinematografici. Svolta l'angolo e si ritrova schiacciato contro il muro fra l'ufficio bagagli e una folla ubriaca di tifosi belgi di corse di trattori modificati, mentre la sua lente sinistra cerca di dirgli urgentemente qualcosa sull'infrastruttura ferroviaria della Colombia. I tifosi hanno vernice blu sul viso e cantano qualcosa che somiglia sinistramente all'antico grido di guerra inglese, Wem-bley, Wem-bley, e trascinano il gigantesco totem virtuale di un trattore nell'analogo web dello spazio della sala arrivi. Lui, invece, va nell'ufficio bagagli.
Mentre entra nella zona bagagli, la giacca si irrigidisce e gli occhiali si fanno opachi. Sente le anime perse delle valigie gridare il nome dei padroni. Il lugubre lamento mette in allerta i suoi accessori, trasmettendo un senso di perdita, e per un attimo è così incantato che quasi spegne l'interfaccia shunt talamico-limbica che gli consente di avvertirne le emozioni. In questo momento non è favorevole alle emozioni, non col casino delle procedure di divorzio, col sacrificio di sangue che Pam sta cercando di estorcergli; preferirebbe proprio che amore, perdita e odio non fossero mai stati inventati. Ma gli serve la massima ampiezza sensoriale possibile per restare in contatto col mondo, così lo sente nelle viscere ogni volta che le sue calzature sensibili prendono in simpatia la truffa di qualche piramide moldava. Silenzio! comunica in codice pittografico al suo indocile gregge di agenti. Non riesco nemmeno a sentirmi pensare!
«Salve, signore, buona giornata, come posso aiutarla?» cinguetta la valigia di plastica gialla poggiata sul bancone. Non trae in inganno Manfred: vede le linee di controllo stalinista che la incatenano al registratore di cassa, sinistro e senza volto, celato dietro la scrivania, agente della burocrazia aziendale della British Airport Authority. Ma va bene così. Qui, solo le valigie devono temere per la propria libertà.
«Sto solo guardando in giro», borbotta. Ed è vero. A causa di una configurazione crittografica di instradamento, non del tutto accidentale, inserita in un server delle prenotazioni aeree, la sua valigia è diretta a Mombasa, dove sarà probabilmente sbudellata, per risorgere al servizio di un cyber-teppista africano. Per Manfred va bene così - contiene solo un misto, statisticamente nella norma, di vestiti di seconda mano ed effetti personali, e li porta solo per convincere i sistemi esperti, addetti a tracciare il profilo dei passeggeri, di non essere un pazzo o un terrorista - ma gli lascia una lacuna nell'inventario, da riempire prima di lasciare l'area dell'Unione Europea. Deve trovare una valigia di ricambio in modo da avere, partendo dalla superpotenza, lo stesso bagaglio dell'arrivo: non vuole essere accusato di trafficare in merci fisiche nel mezzo della guerra commerciale transatlantica fra protezionisti del nuovo mondo e globalisti del vecchio. Almeno, questa è la sua storia di copertura, e ci si attiene.
Davanti al bancone, c'è una fila di valigie abbandonate, in vendita in mancanza dei proprietari. Alcune sono molto logore, ma una è di qualità piuttosto buona, con rotelle integrali a carica di induzione e un forte senso di lealtà: esattamente lo stesso modello della vecchia. La scruta e non vede solo il GPS satellitare, ma un tracciatore Galileo, un atlante delle dimensioni di una vecchia rete di memorizzazione, e una ferrea determinazione a seguire il suo proprietario fino alle porte dell'inferno, se necessario. Oltre al giusto graffio distintivo in basso, sul fianco sinistro della valigia. «Quant'è solo questa?» chiede al pecorone dietro la scrivania.
«Novanta euro», risponde placido.
Manfred sospira. «Puoi fare di meglio». Nel tempo necessario ad accordarsi per settantacinque, l'Indice Hang Sen scende di quattordici virgola sedici punti, e quanto rimane del NASDAQ sale di due virgola uno. «D'accordo». Manfred sputa un po' di soldi virtuali sulla faccia animalesca del registratore di cassa, e sgancia la valigia, senza rendersi conto che Macx ha pagato un bel po' più di settantacinque euro per il privilegio di ritirare il bagaglio. Manfred si china a guardare la telecamera nella maniglia. «Manfred Macx», dice calmo. «Seguimi». Sente riscaldarsi la maniglia mentre si sintonizza sulle sue impronte, digitali e fenotipiche. Poi lui si volta ed esce dal mercato degli schiavi, con la valigia nuova alle calcagna.

Dopo un breve viaggio in treno, Manfred si registra in un albergo a Milton Keynes. Dalla finestra della stanza guarda il tramonto, con l'orizzonte interrotto da un'occlusione di mucche in cemento. La camera è funzionale in modo eccessivamente naturalistico, canna d'India, legno duro a crescita forzata e tappeti di canapa per nascondere i sistemi di sostegno e le pareti di cemento. Si siede, con un gin tonic a portata di mano, assorbendo le ultime notizie sui mercati e sfogliando parallelamente le sue fonti multicanale. La sua reputazione è salita del due per cento, senza alcun motivo apparente, nota. Che strano. Quando fa un controllo, scopre che la reputazione di tutti - cioè di tutti coloro che hanno una reputazione valutata pubblicamente - è un po' salita. Come se i server delle reputazioni distribuite su Internet avessero una tendenza al rialzo, in base all'integrità. Forse si sta formando una bolla di onestà globale.
Manfred aggrotta le sopracciglia, poi schiocca le dita. La valigia rotola verso di lui. «A chi appartieni?» chiede.
«Manfred Macx», risponde, con lieve ritrosia.
«No, prima di me».
«Non capisco la domanda».
Lui sospira. «Apriti».
Le serrature vibrano e si ritraggono. Il coperchio rigido si alza verso di lui, che guarda all'interno per verificare il contenuto.
La valigia è piena di rumore.

Benvenuto all'inizio del Ventunesimo secolo, umano.
È notte a Milton Keynes, l'alba a Hong Kong. La Legge di Moore procede inesorabile, trascinando l'umanità verso un futuro incerto. I pianeti del sistema solare hanno una massa combinata approssimativa di 2x1027 chilogrammi. In tutto il mondo, donne con le doglie producono quarantacinquemila bambini al giorno, che rappresentano 1023 MIPS, milioni di istruzioni per secondo, di capacità di elaborazione. Ugualmente in tutto il mondo, le linee di montaggio sfornano con disinvoltura trenta milioni di microprocessori al giorno, che rappresentano 1023 MIPS. In altri tre mesi, la maggior parte dei MIPS aggiunti nel sistema solare sarà per la prima volta ospitata da macchine. Circa dieci anni dopo, la capacità di elaborazione installata nel sistema solare sfiorerà la soglia critica di 1 MIPS per grammo (un milione di istruzioni al secondo per grammo di materia). E poi, la singolarità, il punto di fuga, superato il quale estrapolare il progresso diventa privo di senso. Gli anni che mancano al picco dell'intelligenza scendono nell'ordine di una sola cifra...

Aineko si rannicchia sul cuscino, accanto alla testa di Manfred, e fa sommessamente le fusa mentre il suo padrone, inquieto, sogna. All'esterno, la notte è buia: i veicoli operano col pilota automatico, con i fari al minimo per far risplendere la Via Lattea sulla città addormentata. Insonne, il gatto robot prosegue la veglia, in allerta contro gli intrusi, ma non ce ne sono, tranne il sussurro dei fantasmi della metacorteccia di Manfred, che alimentano i suoi sogni con i loro vettori di stato.
La metacorteccia - una nube distribuita di agenti software che lo circondano nello spazio di rete, prendendo in prestito cicli di CPU da processori idonei, come l'animale robot - è altrettanto parte di Manfred, della società della mente che ne occupa il cranio; i pensieri vi migrano e fanno sbocciare nuovi agenti alla ricerca di nuove esperienze, e di notte tornano al nido per condividere i saperi.
Mentre Manfred dorme, sogna un matrimonio alchimistico. Lei lo attende all'altare con un vestito nero, senza spalline, mentre gli strumenti chirurgici le luccicano fra le mani guantate. «Questo non ti farà male», spiega mentre sistema le spalline. «Voglio solo il tuo genoma, il fenotipo esteso può aspettare fino a... dopo». Labbra rosso sangue, leccate: un bacio d'acciaio, poi presenta il conto delle imposte sul reddito.
Non c'è nulla di accidentale nel sogno. Mentre sogna, i microelettrodi nell'ipotalamo scatenano neuroni sensibili. La repulsione e la vergogna lo sommergono alla vista del volto di lei, insieme al senso di vulnerabilità. La metacorteccia di Manfred, per facilitare il divorzio, cerca di decondizionarlo da quello strano amore. Ha lavorato per settimane, ma lui desidera ancora il tocco sferzante, il controllo umiliante da parte di sua moglie, la sensazione di rabbia inerme davanti alle tasse impossibili da pagare, con tanto di interessi.
Aineko lo osserva dal cuscino, facendo continuamente le fusa. Gli artigli retrattili plasmano le lenzuola, prima una zampa, poi l'altra. Aineko è pieno di antica saggezza felina, installata da Pamela quando la padrona e il padrone si scambiavano dati e fluidi corporei piuttosto che documenti legali. Ormai Aineko è più gatto che robot, grazie in parte al suo interesse da dilettante per la neuroanatomia felina. Aineko sa che Manfred soffre inesprimibili tormenti nevrastenici, ma in realtà non gliene frega un cazzo, fintanto che l'alimentazione funziona e non ci sono intrusi.
Aineko si rannicchia e raggiunge Manfred nel sonno, sognando topi a guida laser.

Manfred si sveglia, scosso dalla stridula richiesta d'attenzione da parte del telefono della stanza.
«Pronto?» risponde, confuso.
«Manfred Macx?». È una voce umana, con un rauco accento della East Coast.
«Sì?». Manfred si sforza di sedersi. Ha in bocca un sapore simile a una tomba, e gli occhi non vogliono aprirsi.
«Mi chiamo Alan Glashwiecz, della Smoot Sedgwick Associates. Ho ragione se penso che lei è il Manfred Macx che è direttore di una società chiamata, ehm, Agalmic, punto, Holdings, punto, Root, punto, uno otto quattro, punto, novantasette, punto, A come Alfa, punto, B come Bravo cinque, Inc.?
«Uh». Manfred sbatte e si strofina gli occhi. «Aspetti un momento». Quando svaniscono i disegni sulla retina, si mette gli occhiali e li accende. «Solo un secondo». I browser e i menù gli rimbalzano sugli occhi assonnati. «Può ripetere il nome della società?».
«Certo». Glashwiecz ripete con pazienza. Sembra stanco come Manfred.
«Uhm». Manfred la trova, mentre galleggia tre livelli al di sotto di un'elaborata gerarchia di oggetti. Lampeggia, richiamando l'attenzione. C'è un'interruzione nella priorità, una causa legale in arrivo, che non si è ancora propagata fino all'albero ereditario. Verifica l'oggetto con un browser delle proprietà finanziarie. «Temo di non essere direttore di quella società, Mr. Glashwiecz. Sembro esserne dipendente come fornitore tecnico senza poteri esecutivi, responsabile davanti al presidente, ma francamente è la prima volta che ne sento parlare. Comunque, se vuole, posso dirle chi la dirige».
«Sì?». L'avvocato sembra quasi interessato. Manfred lo può immaginare; quel tipo è nel New Jersey. Lì devono essere più o meno le tre del mattino.
La malizia - la vendetta per essere stato svegliato - rende tagliente la voce di Manfred. «Il presidente della Agalmic.Holdings.Root.184.97.AB5 è la Agalmic.Holdings.Root.-184.D5. La segretaria è la Agalmic.Holdings.Root.184.D5, e a capo del consiglio d'amministrazione c'è la Agalmic.Holdings.-Root.184.E8.FF. Tutte le azioni sono nelle mani di quelle società in egual misura, e posso dirle che i regolamenti sono scritti in linguaggio Python. E adesso, buona giornata!». Sbatte giù il telefono accanto al letto e si siede, sbadigliando, poi preme il pulsante «non disturbare» prima che lo interrompano ancora. Un attimo dopo, si alza e si stiracchia, poi va in bagno per lavarsi i denti, pettinarsi e capire dove sia l'origine della causa, e come abbia fatto un essere umano a oltrepassare la sua rete di società robot, fino a rompergli le scatole.

Mentre fa colazione nel ristorante dell'albergo, Manfred decide che, tanto per cambiare, farà una cosa insolita: rendersi temporaneamente ricco. È un cambiamento, perché la professione normale di Manfred è rendere ricchi gli altri. Manfred non crede nella scarsità, nei giochi a somma zero o nella concorrenza (il suo mondo è troppo vasto e l'informazione troppo densa per ammettere scimmieschi giochi gerarchici). Tuttavia, la sua situazione attuale esige che faccia qualcosa di radicale: per esempio, rendersi temporaneamente miliardario in modo da spazzar via in un istante il conto del divorzio, come un'astuta piovra ragioniera che sfugge a un predatore svanendo in una nube di inchiostro nero.
Pam lo insegue in parte per motivi ideologici - non ha ancora rinunciato all'idea del governo come superorganismo dominante dell'epoca - ma anche perché lo ama, a modo suo, e l'ultima cosa che può tollerare una dominante che si rispetti è un rifiuto da parte dello schiavo. Pam è una post conservatrice convertita, appartenente alla prima generazione cresciuta dopo la fine del secolo americano. Spinta dal bisogno di riparare il decadente sistema federale prima che crolli sotto una montagna di conti sanitari, avventurismi esteri e infrastrutture degradate, è disposta a usare l'abnegazione, le trappole, il mercantilismo predatorio, il gioco sporco e ogni altro strumento che spinga in alto gli utili. Non approva Manfred che vola per il mondo con biglietti gratuiti, rendendo ricchi degli estranei, e che riesce a non aver mai bisogno di soldi. Lei può vederne la posizione nei server della reputazione, fluttuante circa trenta punti al di sopra dell'IBM: tutti i parametri di integrità, efficacia e buona volontà gli conferiscono una valutazione ancora superiore a gran parte dei fondamentalisti delle società informatiche open source. E sa che desidera il suo rude amore, che vuole darsi a lei completamente. Così, perché fugge?
Il motivo per cui fugge è molto più normale. La loro figlia non nata, congelata in azoto liquido, è una blastula di novantasei ore, non impiantata. Pam si è bevuta tutta la storia del meme parassitario dei Genitori per Bambini Tradizionali. I GBT sono refusenik delle linee germinali ricombinanti: rifiutano i controlli sui bambini alla ricerca di errori riparabili. Se c'è una cosa che Manfred proprio non riesce ad accettare, è l'idea che la natura sa tutto, anche se per lei non è la questione principale. Una litigata di troppo, lui reagisce e torna ai viaggi veloci e senza legami, a tessere nuove idee come una dinamo memetica, vivendo della munificenza del nuovo paradigma. La richiesta di divorzio, motivata da differenze ideologiche irreconciliabili. Basta col sesso fatto di fruste e cuoio.

Prima di prendere il TGV per Roma, Manfred si prende il tempo di una visita a uno show di aeromodellismo. È un bel posto per incontrare un precario della CIA - ha avuto la soffiata che ci sarebbe stato qualcuno - e poi, questo decennio, il modellismo è una delle cazzate di moda fra gli hacker. Aggiungere microtecnologia, telecamere e reti neurali ai modellini in balsa, ed ecco la prossima generazione di velivoli militari stealth. È una scena fertile per la caccia ai talenti, come una volta le convention di hacker. Lo spettacolo si svolge in un supermarket in rovina, fuori città, che affitta gli spazi per eventi del genere. Il suo abbandono è un segno dei tempi, come l'ubiquità della banda larga e l'alto prezzo della benzina. (Il magazzino robotizzato lì accanto, invece, è freneticamente affaccendato, imballando pacchi per le consegne a domicilio. Telependolari o ammucchiati in uffici reali, tutti devono comunque mangiare).
Oggi il reparto alimentari è pieno di gente. Sinistri simil-insetti ronzano minacciosi lungo gli splendenti banchi carne, senza paura di essere folgorati. Grossi monitor dispiegati sopra le vetrine della gastronomia mostrano il bizzarro, spasmodico panorama di un incubo tridimensionale, dipinto con tutti i colori sintetici del radar. Il reparto dell'igiene femminile è stato spostato indietro per far spazio a un gigantesco tampone, avvolto in plastica, lungo cinque metri e del diametro di sessanta centimetri (un lanciatore per microsatelliti, una presentazione da convegno sbattuta lì dagli sponsor dello show, in un tentativo trasparente di scoprire i geek rampanti dell'ingegneria).
Gli occhiali di Manfred fanno lo zoom cogliendo un triplano Fokker particolarmente seducente, che ronza nella folla, all'altezza del viso: in tempo reale, lui carica l'immagine in uno dei suoi siti. Il Fokker rallenta con una stretta virata Immelman, lungo il soffitto, sotto agli impolverati tubi pneumatici per il contante, poi prende la scia di un F-104G. La Luftwaffe della Guerra Fredda e la Luftwaffe della Grande Guerra si lanciano in cielo in un elaborato gioco di rincorsa reciproca. Manfred è così impegnato a seguire gli uccelli da guerra che quasi inciampa sul lanciatore-montatore del grosso tubo bianco.
«Ehi, Manfred! Sta' più attento, s'il vous plaît!».
Cancella gli aerei e si guarda in giro. «La conosco?» chiede cortese, anche se avverte lo shock del riconoscimento.
«Amsterdam, tre anni fa». La donna in doppio petto alza il sopracciglio, e la sua segretaria sociale gliela ricorda, sussurrandogli nell'orecchio.
«Annette del marketing della Arianespace?». Lei annuisce, e lui si concentra. Sempre vestita nello stile rétro dello scorso secolo, che lo aveva confuso al loro primo incontro, lei sembra una spia dell'era kennedyana: capelli a spazzola schiariti, come un istrice albino infuriato, lenti a contatto celesti, cravatta nera, risvolti stretti. Solo il colore della pelle ricorda l'ascendenza berbera. Gli orecchini sono telecamere, in perenne osservazione. Il sopracciglio alzato diventa un sorriso sghembo quando vede la sua reazione. «Mi ricordo. Quel caffè ad Amsterdam. Cosa ti porta qui?».
«Diavolo», fa un gesto per abbracciare l'intero show, «questo spettacolo di talenti, naturalmente». Un'elegante scrollata di spalle e un cenno verso il tampone con capacità orbitale. «È un buon talento. Lo assumiamo quest'anno. Se rientriamo nel mercato dei lanciatori, dobbiamo impiegare soltanto i migliori. Appassionati, non mercenari, ingegneri all'altezza del meglio che possa offrire Singapore».
Per la prima volta Manfred nota il discreto logo aziendale sulla fiancata del vettore. «Subappaltate la fabbricazione dei veicoli di lancio?».
Annette fa una smorfia mentre spiega, simulando disinvoltura: «Gli alberghi erano più redditizi, il decennio scorso. I pezzi grossi, non li si può disturbare coi razzi, no? Le cose che vanno veloci ed esplodono, sono passé, dicono. Diversificare, dicono. Finché...». In maniera molto gallica, si stringe nelle spalle. Manfred annuisce; i suoi orecchini stanno registrando tutto ciò che dice, per dovere di solerzia.
«Sono lieto di vedere che l'Europa rientra nel business dei lanciatori», dice serio. «Sarà molto importante quando partirà veramente il business della replicazione conformazionale dei nanosistemi. Un capitale strategico importante per ogni entità aziendale nel campo, anche una catena di alberghi». Specialmente ora che abbiamo liquidato la NASA, e la corsa alla Luna si riduce a Cina e India, pensa acido.
La sua risata sembra il tintinnio di campane di vetro. «E tu, mon chef? Cosa ti porta nella Confederación? Devi avere un affare in mente».
«Be'», tocca a Manfred scrollare le spalle, «speravo di trovare un agente CIA, ma oggi non sembrano essercene».
«Questo non sorprende», dice Annette, risentita. «La CIA pensa che l'industria spaziale sia morta. Che fessi!». Prosegue per un minuto, enumerando con vigore e brutalità tipicamente parigina i tanti limiti della Central Intelligence Agency. «Da quando sono usciti allo scoperto, si sono ridotti quasi come la AP e la Reuters», aggiunge. «Tutti quei lanci di notizie! E sono, ah, taccagni. La CIA non capisce che le buone notizie vanno pagate a tassi di mercato se i precari freelance vogliono sopravvivere. Fanno ridere. È così facile passargli delle disinformazioni, quasi come con l'Ufficio Progetti Speciali...». Fa il gesto di sfogliare banconote col pollice. Come sottolineatura, le volteggia intorno alla testa un ornitottero in miniatura dalla notevole manovrabilità, che fa un doppio salto mortale all'indietro e si tuffa in direzione del reparto liquori.
Una donna iraniana, con un miniabito in pelle dalla schiena scoperta e una sciarpa quasi trasparente, si intromette ed esige di sapere quanto costa comprare il microbooster. È insoddisfatta del tentativo di Annette affinché si rivolga al sito del fabbricante, e Annette sembra chiaramente turbata quando il ragazzo della donna - un pilota aeronautico giovane e focoso - compare e la scorta via. «Turisti», borbotta, prima di notare Manfred, che fissa nel vuoto contorcendo le dita. «Manfred?».
«Uh... cosa?».
«Sono stata qui in piedi per sei ore, e i piedi mi uccidono». Gli prende il braccio sinistro e, con molto calcolo, si sgancia gli orecchini, spegnendoli. «Se ti dico che posso scrivere per l'agenzia stampa della CIA, mi porti in un ristorante, mi offri la cena e mi dici cos'è che vuoi dire?».

* * *

Benvenuti nel secondo decennio del Ventunesimo secolo, il secondo decennio nella storia umana in cui l'intelligenza ambientale mostra segni di incremento, fino a raggiungere la richiesta umana.
Stasera, da tutto il mondo arrivano notizie deprimenti. Nel Maine, guerriglieri affiliati con i Genitori per Bambini Tradizionali annunciano di aver piantato bombe logiche negli scanner genetici delle cliniche prenatali, in modo che diano dei falsi positivi a caso nei controlli per disordini ereditari. Finora, il danno sono sei aborti illegali e quattordici cause.
Il Congresso Internazionale sui Diritti Artistici tiene un terzo giro di colloqui di crisi, nel tentativo di evitare il crollo finale del regime di licenze musicali della WIPO, l'Organizzazione Internazionale della Proprietà Intellettuale. Da un lato, gli estremisti rappresentanti la Copyright Control Association of America premono per restrizioni alle duplicazioni degli stati emotivi alterati, legati a particolari performance mediatiche: per dimostrare che fanno sul serio, in California due «ingegneri informatici» sono stati gambizzati, impeciati, impiumati e lasciati per morti sotto cartelli che li accusavano di aver invertito trame di film utilizzando avatar di attori morti e fuori diritti.
Sull'altro lato della barricata, l'Associazione dei Liberi Artisti esige il diritto di eseguire musica in pubblico senza contratto di registrazione, e denuncia la CCAA come strumento degli apparachik della Mafiya, che l'ha comprata dalla moribonda industria musicale nel tentativo di darsi una ripulita. Leonid Kuibyshev, direttore dell'FBI, risponde negando che la Mafiya sia una presenza significativa negli Stati Uniti. Ma la posizione dell'industria musicale non viene rafforzata dal crollo quasi completo dell'industria legale del divertimento in America, che è andato accelerando sin dai dannati anni zero.
Un virus delle segreterie telefoniche, marginalmente intelligente, che si presentava come agente del fisco, ha causato la devastazione in tutta l'America, sequestrando in un conto svizzero numerato ottanta miliardi di dollari di ritenute fiscali. Un diverso virus si sta dando da fare per depredare conti bancari, inviando il dieci per cento del capitale alla vittima precedente e trasmettendosi poi per posta a chiunque sia nella rubrica del bersaglio attuale: una truffa piramidale autoalimentata. Stranamente, nessuno si lamenta molto. Mentre si ripara il casino, gli uffici commerciali nel campo della tecnologia dell'informazione si sono fermati, rifiutandosi di trattare ogni transazione non pervenuta sotto forma di inchiostro su alberi morti.
Gli informatori avvisano di un prossimo riordinamento nell'inflazionato mercato delle reputazioni, a seguito delle rivelazioni che alcuni guru degli ubi-media hanno pompato oltre ogni realistico livello di credibilità. Il conseguente danno al mercato dei buoni-spazzatura dell'integrità è serio.
Nell'Unione Europea, il consiglio dei capi di stato indipendenti ha negato di progettare altri tentativi di eurofederalismo, almeno finché l'economia non si risolleverà dall'attuale pantano. Tre specie estinte sono state resuscitate nell'ultimo mese; sfortunatamente, quelle in pericolo si estinguono ormai al tasso di una al giorno. E un gruppo di militanti delle campagne anti OGM vengono perseguiti dall'Interpol dopo l'annuncio dello sviluppo genetico di un percorso metabolico per i glicosidi cianogenici in semi di granturco destinati a coltivazioni per il consumo umano. Non ci sono state ancora perdite, ma i controlli sui cereali della colazione, alla ricerca di cianuro, intaccheranno la fiducia del consumatore.
Più o meno gli unici a cavarsela bene al momento sono le Aragoste uploadate, e i crostacei non sono umani, nemmeno da lontano.

Manfred e Annette mangiano al piano superiore della carrozza buffet, chiacchierando mentre il TGV si infila nel tunnel sotto la Manica. Trapela che Annette fa quotidianamente la pendolare da Parigi, che era comunque la destinazione successiva di Manfred. Dallo show, ha inviato un messaggio ad Aineko perché facesse i bagagli e lo incontrasse alla Stazione di St. Paneras, in un terminal simile all'esoscheletro di un gigante tarlo d'acciaio. Annette ha lasciato per la notte il vettore spaziale nel supermarket: un articolo di prova, senza carburante, insignificante in termini di sicurezza.
La carrozza buffet è gestita da un fast-food nepalese. «A volte vorrei restare sul treno», dice Annette mentre aspetta il suo mismas bhat. «Oltre Parigi! Pensaci. Sistemarsi sulla cuccetta, per svegliarsi a Mosca e cambiare treno. Fino a Vladivostok in due giorni».
«Se ti lasciano passare la frontiera», borbotta Manfred. La Russia è uno di quei posti che richiede ancora il passaporto e chiede se sei o sei mai stato anticomunista: è ancora intrappolata dalla sua storia sanguinosa. (Riavvolgere il video fino alla festa di gala di Stolypin e ripartire). Inoltre, hanno nemici: oligarchi della Russia Bianca, il racket della protezione della proprietà intellettuale. Reliquie psicotiche dell'esperimento del marxismo-oggettivismo dello scorso decennio. «Sei davvero una precaria della CIA?».
Annette ghigna, le labbra rosse in modo sconcertante. «Archivio dispacci, di tanto in tanto. Niente che mi faccia licenziare».
Manfred annuisce. «Mia moglie ha accesso al flusso non filtrato».
«Tua...» Annette fa una pausa. «Era lei che ho incontrato? Da De Wildemann?» Vede la sua espressione. «Oh, poveretto!». Solleva il bicchiere. «Non è andata bene?».
Manfred sospira e brinda con Annette. «Ti accorgi che il tuo matrimonio è messo male quando mandi messaggi a tua moglie tramite la CIA, e lei comunica tramite il fisco».
«In soli cinque anni». Annette trasale. «Scusami se te lo dico, ma non sembrava il tuo tipo». C'era una domanda sottintesa, e lui nota ancora quanto sia brava a sovraccaricare di sottotesti le proprie affermazioni.
«Non sono certo quale sia il mio tipo», dice lui, sincero a metà. Non riesce a evitare la sensazione che fra lui e Pamela sia andato male qualcosa che nessuno di loro ha fatto, una sottile intrusione che li ha furtivamente allontanati. Forse ero io, pensa. A volte non è certo di essere ancora umano; troppi fili della propria coscienza sembrano vivere fuori dalla sua testa, riferendo quando scoprono qualcosa di interessante. A volte si sente una marionetta, e questo lo spaventa, perché è uno dei segni premonitori della schizofrenia. Ed è troppo presto per chiunque cerchi, là fuori, di controllare le esocortecce... vero? Adesso, i fili esterni della sua coscienza gli dicono che gradiscono Annette, quando è se stessa e non un ingranaggio nell'assemblaggio fisico del management della Arianespace. Ma la parte di lui che è ancora umana non è certa di quanto può fidarsi di sé. «Io voglio essere me stesso. Tu chi vuoi essere?».
Lei scrolla le spalle, mentre un cameriere le fa scivolare davanti un piatto. «Sono solo una, una bellona parigina, no? Una ingénue cresciuta nell'era di lillà della Confederación Europé, le rovine autodecostruite della dorata Unione Europea».
«Sì, come no». Un piatto compare davanti a Manfred. «E io sono un bravo microboomer del corridoio della MassPike, l'autostrada da New York a Boston». Toglie un angolo della guarnizione dell'omelette e ispeziona il cibo. «Nato al tramonto del secolo americano». Colpisce con la forchetta una delle inidentificabili polpette nel riso fritto, e la rimette a posto. C'è un limite a quanto i suoi agenti possano dirgli di lei - le leggi europee sulla privacy sono draconiane secondo gli standard americani - ma sa l'essenziale. Due genitori ancora insieme, il padre politicante di second'ordine in un consiglio comunale nelle vicinanze di Tolosa. Andata alla école giusta. L'anno obbligatorio passato a vagabondare per la Confederación a spese del governo, imparando come vivono gli altri (un nuovo tipo di costruzione dell'impero, al posto della coscrizione e delle marce con gli stivaloni del Ventesimo secolo). Niente blog o sito personale che i suoi agenti siano riusciti a trovare. È entrata nella Arianespace appena uscita dal Polytechnique e ha sempre fatto parte della dirigenza: Korou, Manhattan, Parigi. «Non ti sei mai sposata, suppongo».
Lei ridacchia. «C'è troppo poco tempo! Sono ancora giovane». Prende una forchettata e aggiunge con calma. «Inoltre, il governo insisterebbe a pagare».
«Ah». Assorto, Manfred si lancia sulla sua scodella. Col tasso delle nascite in declino in tutta Europa, la burocrazia della CE è preoccupata; un decennio fa la vecchia UE ha cominciato a finanziare i bambini, una nuova generazione di badanti, e ancora non ha neppure intaccato il problema. È riuscita solo ad alienare le migliori donne di età fertile. Presto dovranno cercare una soluzione a oriente, importando una nuova generazione di cittadini, a meno che le trovate anti invecchiamento, promesse da tempo, non si dimostrino efficaci, o non arrivi l'IA a basso costo.
«Hai un albergo?» chiede improvvisamente Annette.
«A Parigi?» Manfred sobbalza. «Non ancora».
«Devi venire a casa con me, allora». Lo guarda con aria interrogativa.
«Non sono certo che...». Lui coglie la sua espressione. «Cos'è?».
«Oh, niente. Il mio amico Henri dice che faccio entrare i barboni con troppa facilità. Ma tu non sei un barbone. Credo che tu sappia badare a te stesso. E poi, oggi è venerdì. Vieni con me, e invierò il comunicato stampa all'attenzione della Compagnia. Dimmi, tu balli? Sembra che tu abbia proprio bisogno di un weekend sfrenato, per dimenticare i problemi».
La seduzione di Annette è uno schiacciasassi per i piani di Manfred per il weekend. Intendeva trovare un albergo, inviare un comunicato, e poi passare il tempo investigando la struttura delle aziende finanziatrici dei Genitori per Bambini Tradizionali e la dimensionalità delle variazioni di fiducia nella borsa della reputazione per poi dirigersi a Roma. Annette lo trascina nel suo appartamento, un ampio studio nascosto dietro un vicolo del Marais. Lo fa sedere al tavolo della colazione mentre gli sistema le valigie, poi gli fa chiudere gli occhi e inghiottire due capsule dal sapore dubbio. Poi versa due alti bicchieri di Aqvavit ghiacciata, che sa esattamente di pan di segale polacco. Quando finiscono, gli strappa quasi i vestiti di dosso. Manfred sobbalza rendendosi conto di avere un'erezione simile a un piede di porco; dall'ultima tirata con Pamela aveva vagamente supposto di non avere più interesse per il sesso. Invece, finiscono nudi sul divano, circondati dai vestiti buttati via (Annette è molto tradizionale, preferendo la nuda scopata penetrativa del secolo scorso rispetto ai feticci del presente, più sofisticati).
Poi, è ancora più sorpreso scoprendo di essere ancora eccitato. «Le capsule?» chiede.
Gli distende addosso una coscia sottile ma muscolosa, poi si piega ad afferrargli il pene. Lo strizza. «Sì», ammette. «Ti serve molto aiuto speciale per lasciarti andare, penso». Un'altra strizzata. «Metile cristallino e un tradizionale inibitore della fosfodiesterasi». Lui le afferra il piccolo seno, sentendosi molto animalesco e primitivo. Nuda. Non è certo che Pamela gli abbia mai permesso di vederla completamente nuda: pensava che la pelle fosse più sexy quando era coperta. Annette lo strizza ancora, e lui si irrigidisce. «Ancora!».
Quando hanno finito, lui è dolorante, e lei gli mostra come usare il bidè. Tutto è chiaro, e il suo tocco è elettrizzante. Mentre lei fa la doccia, lui si siede sulla tazza e parla a ruota libera della completezza di Turing come attributo del diritto societario, degli automi cellulari e del Problema dello Zaino Cieco, del suo lavoro sulla risoluzione del problema della Pianificazione Centralizzata Comunista utilizzando una rete di società interconnesse e prive di personale. Dell'imminente riordinamento del mercato dell'integrità, della sinistra resurrezione dell'industria musicale, e del bisogno, tuttora pressante, di smantellare Marte.
Quando lei esce dalla doccia, le dice che la ama. Lei lo bacia, gli toglie occhiali e auricolari, così è davvero nudo, gli si mette seduta in grembo, se lo scopa ancora e gli sussurra nell'orecchio che lo ama e vuole fargli da manager. Poi lo conduce in camera da letto, gli dice esattamente cosa vuole che si metta, si veste a sua volta e gli dà uno specchio con della polvere bianca da sniffare. Dopo averlo agghindato, escono per un serio giro di locali, Annette in smoking e Manfred con parrucca bionda, abito in seta rossa a spalle scoperte e tacchi alti. È l'alba quando, esausto e con la testa poggiata sulla spalla di lei durante l'ultimo tango in un locale sadomaso di Rue Ste-Anne, si rende conto che davvero ci si può eccitare per una persona diversa da Pamela.

* * *

Aineko sveglia Manfred dandogli ripetute testate sopra l'occhio sinistro. Lui mugola e, mentre cerca di aprire gli occhi, scopre che ha un sapore di trota morta in bocca, la pelle ancora unta di trucco, e un martellante mal di testa. C'è qualcosa che sbatte. Aineko miagola con aria di urgenza. Si siede, avvertendo l'insolito tocco della biancheria di seta sulla pelle incredibilmente dolorante (è completamente vestito, steso sul divano). In camera da letto si sente russare; ì colpi provengono dalla porta d'ingresso. Qualcuno vuole entrare. Merda. Si strofina la testa, si alza e quasi cade faccia a terra: non si è neppure tolto quei ridicoli tacchi alti. Quanto ho bevuto la scorsa notte? si chiede. Gli occhiali sono sul bancone della colazione; se li mette e un'urgente pioggia di idee lo assedia, richiamando la sua attenzione. Raddrizza la parrucca, raccoglie le gonne e barcolla fino alla porta, col morale a terra. Per fortuna, la reputazione valutata pubblicamente è quella tecnica.
Apre la porta. «Chi è?» chiede in inglese. In risposta, qualcuno spalanca la porta, forte. Manfred sbatte contro il muro, senza fiato. Gli occhiali smettono di funzionare, gli schermi laterali pieni di scariche multicolori.
Si introducono due uomini, entrambi vestiti in jeans e giacca di pelle. Hanno i guanti e maschere per nascondere il viso, e uno di loro punta verso Manfred un documento di identificazione piccolo ma molto minaccioso. Una pistola autoalimentata fluttua sulla soglia, osservando tutto. «Dov'è?».
«Chi?» boccheggia Manfred, affannato e terrorizzato.
«Macx». L'altro intruso entra rapidamente in salotto, cerca in giro, infila la testa nella porta del bagno. Aineko cade a terra, inerte come un cencio, davanti al divano. L'intruso controlla la camera da letto: c'è un breve grido, che si interrompe subito.
«Non so... chi?» Manfred soffoca dalla paura.
L'altro mette la testa fuori dalla camera da letto e fa cenno di lasciar perdere.
«Ci dispiace di avervi disturbato», dice rigido l'uomo col documento. Lo ripone nella tasca della giacca. «Se dovesse vedere Manfred Macx, gli dica che la Copyright Control Association of America gli consiglia di cessare e desistere dal suo tentativo di assistere i ladri di musica e gli altri bastardi degenerati venditori di seconda mano, nemici dell'Oggettivismo. La reputazione serve solo a chi può usarla da vivo. Arrivederci».
I due gangster del copyright scompaiono dalla porta, e Manfred scuote la testa confuso, mentre gli occhiali si riavviano. Gli serve un momento per rendersi conto del grido in camera da letto. «Cazzo! Annette!».
Lei compare sulla soglia, tenendosi un lenzuolo intorno alla vita, con aria irritata e confusa. «Annette!» esclama. Lei si guarda intorno, lo vede e comincia a scuotersi dalle risate. «Annette!». Va da lei. «Stai bene», dice. «Stai bene».
«Anche tu». Lo abbraccia, tremante. Poi lo allontana col braccio. «Mamma mia, che bello spettacolo!».
«Volevano me», lui dice, con i denti che sbattono. «Perché?».
Lei lo guarda seria. «Devi fare il bagno. Poi prendiamo il caffè. Non siamo a casa, oui?».
«Ah, oui». Abbassa lo sguardo. Aineko è seduto, con aria imbambolata. «Doccia. Poi quel dispaccio per le notizie CIA».
«Il dispaccio?». Lei sembra confusa. «L'ho inviato stanotte. Quando ero nella doccia. Il microfono è impermeabile».

Dopo l'incursione dei subappaltatori della sicurezza alla Arianespace, Manfred si è tolto l'abito da sera di Annette e ha fatto la doccia; ora è in accappatoio, seduto in salotto, e beve espresso da un boccale da mezzo litro, imprecando a mezza bocca.
Mentre passava la notte ballando fra le braccia di Annette, il mercato globale della reputazione è diventato non lineare. La gente ripone la fiducia nella Coalizione Cristiana e nell'Alleanza Eurocomunista - sempre segno che le cose vanno male – mentre imprese commerciali perfettamente solide sono in caduta libera, come se fosse scoppiato un grosso scandalo di corruzione.
Manfred scambia idee con gloria, per mezzo della Fondazione per l'Intelletto Libero, figlia bastarda di George Soros e Richard Stallman. La sua reputazione viene cementata da donazioni non controproducenti ai servizi pubblici. Dunque è offeso e sorpreso quando scopre di essere sceso di venti punti nelle ultime due ore, e si spaventa vedendo che è tutt'altro che insolito. Si aspettava un calo di dieci punti, mediato da uno scambio di opzioni - il pagamento per l'uso del remixer anonimo del bagaglio, che instradava la sua vecchia valigia a Mombasa in cambio dell'invio di quella nuova, tramite l'ufficio oggetti smarriti di Luton - ma questo è più serio. L'intero mercato della reputazione sembra colpito dalla febbre della fiducia.
Annette si dà da fare, indicando angolazioni e tempistiche alla squadra di periti inviata dal suo ufficio in risposta alla sua richiesta di rinforzi. L'intrusione sembra averla irritata e scossa, più che preoccupata. È probabilmente un rischio professionale per i dirigenti rampanti della vecchia, avida rete che il futuro agalmico di Manfred punta a sostituire. I periti, un damerino e una damerina, una coppia di giovani libanesi, carini e abbronzati, puntano il muso giallo di uno spettroscopio di massa in vari angoli, e concordano che c'è nell'aria qualcosa di non dissimile dall'olio di pistola. Però, che peccato, gli intrusi portavano la maschera per intrappolare le particelle della pelle, lasciandosi alle spalle una spruzzata di polvere aspirata dai sedili di un autobus urbano, dunque non c'è modo di arrivare a un raffronto genotipico. Concordano subito di considerarla una sospetta intrusione commerciale (origine: non classificata; gravità: preoccupante) e di aumentare il livello di priorità nella telemetria della cucina. E ricordatevi di portare sempre gli orecchini, prego. Vanno via e Annette chiude la porta, ci si appoggia sopra, e impreca per un minuto intero.
«Mi hanno dato un messaggio dell'ente di controllo del copyright», dice Manfred con voce irregolare, quando si è calmata. «Qualche anno fa dei gangster russi di New York hanno comprato i cartelli della registrazione, lo sai? Quando le toppe sui diritti andarono in pezzi e tutti gli artisti andarono on line mentre si concentravano sulle tecnologie di prevenzione della copia, quelli della Mafiya furono gli unici a credere nel vecchio modello commerciale. Quelli danno tutto un senso nuovo alla protezione delle copie: secondo i loro standard, questo era solo un educato invito a smettere e desistere. Gestiscono i negozi di dischi, e cercano di bloccare qualunque canale di distribuzione della musica non di loro proprietà. Senza molto successo, però (molti gangster vivono nel passato, e sono più conservatori di quanto i normali uomini d'affari possano permettersi). Cos'è che hai trasmesso?».
Annette chiude gli occhi. «Non ricordo. No». Alza una mano. «Microfono aperto. Ti ho caricato in un file e ho fatto taglia taglia taglia sui pezzi che mi riguardavano». Apre gli occhi e scuote la testa. «Di che mi ero fatta?».
«Non lo sai nemmeno tu?».
Lui si alza, e lei va da lui e gli getta le braccia al collo. «Ero fatta di te», mormora.
«Cazzate». Lui si ritrae, poi vede quanto la sconvolga. Qualcosa nei suoi occhiali lampeggia ed esige la sua attenzione; è stato off line per quasi sei ore e si sente le farfalle dentro lo stomaco per il panico, per l'idea di non essere stato in contatto con tutto quanto è successo negli ultimi venti kilosecondi. «Devo saperne di più. Qualcosa in quel rapporto ha toccato le corde sbagliate. Oppure qualcuno ha spifferato dello scambio di valigie. Intendevo il dispaccio come un richiamo per chiunque abbia bisogno di un sistema di pianificazione statale funzionante, non come un invito a spararmi!».
«E allora...». Lo lascia andare. «Fa' il tuo lavoro». Freddamente: «Sarò in giro».
Si accorge di averla ferita, ma non trova il modo di spiegarle che non intendeva farlo, almeno, non senza coinvolgersi di più. Finisce il croissant e si tuffa in uno di quegli inevitabili accessi di interazione profonda, con le dita che si contraggono su tastiere invisibili, e le pupille che tremano come se gli occhiali gli incanalassero direttamente nel cranio i media profondi, attraverso i migliori canali a banda larga al momento disponibili.
Uno dei suoi indirizzi e-mail ha un elenco di messaggi automatici lungo quasi fino alla Luna, e società con nomi come Agalmic.Holdings.Root.8E.F0 gridano per richiamare l'attenzione del loro direttore transitivo. Ciascuna delle società - e al momento ce ne sono più di sedicimila, anche se il gregge aumenta di giorno in giorno - ha tre direttori e dirige altre tre società. Ciascuna esegue uno script in un linguaggio funzionale inventato da Manfred; i direttori dicono alla società cosa fare, e le istruzioni comprendono l'ordine di trasmettere le istruzioni alle loro filiali. In effetti, sono uno sciame di automi cellulari, come le cellule nel Gioco della Vita di Conway, solo molto più complesse e potenti.
Le società di Manfred formano una griglia programmabile. Alcune sono armate di capitali, sotto forma di brevetti richiesti da Manfred, e poi delegati, più che trasmessi, a una delle Libere Fondazioni. Alcune sono effettivamente non commerciali, ma occupano ruoli direttivi. Le loro funzioni aziendali (come la tenuta dei conti e l'elezione dei nuovi direttori) sono tutte gestite centralmente attraverso la sua struttura di operazioni societarie, e le loro attività sono portate avanti tramite molte delle più popolari aziende per gli scambi on line B2B. Internamente, le società svolgono altri compiti più oscuri, come contrappesi, trattando i problemi di allocazione di risorse come un classico sistema statale di pianificazione centralizzata. Nulla di ciò spiega perché una buona metà è stata colpita da cause legali nelle ultime ventidue ore.
Le cause sono... casuali. È l'unico schema che Manfred riesca a rilevare. Alcune adducono infrazioni a brevetti; queste le si potrebbero prendere sul serio, ma circa un terzo dei bersagli sono società direttive che in realtà non fanno nulla di visibile al pubblico. Alcune cause adducono malversazioni, ma poi ce n'è tutta una spuria quantità fatta di bizzarro nonsenso: cause per licenziamento ingiustificato o discriminazione in base all'età - contro società prive di dipendenti - reclami riguardanti incaute compravendite, e un'azione afferma che l'accusato (in associazione con il primo ministro del Giappone, il governo del Canada e l'Emiro del Kuwait) usa laser orbitali per il controllo della mente allo scopo di far abbaiare il chihuahua del denunciante a ogni ora del giorno e della notte.
Manfred geme e fa un rapido calcolo. Al tasso attuale, le cause colpiscono la sua griglia aziendale al ritmo di una ogni sedici secondi, da zero nei sei mesi precedenti. Fra un giorno, questo lo saturerà. Se prosegue per una settimana, saturerà ogni tribunale degli Stati Uniti. Qualcuno ha trovato il modo di fare con le denunce ciò che lui fa con le società, e lo ha scelto a bersaglio.
Dire che Manfred non si diverte è un eufemismo. Se non fosse già preoccupato per lo stato emotivo di Annette, e teso per l'intrusione, sarebbe livido, ma è ancora abbastanza umano da rispondere innanzitutto agli stimoli umani. Così decide di fare qualcosa, ma ha ancora in mente la pistola galleggiante in aria, e i disinvolti travestimenti di lei.
La trasgressione, il sesso e le reti, li ha tutti in mente quando Glashwiecz chiama di nuovo.
«Pronto?». Manfred risponde distrattamente; è impegnato a meditare sul robot legale che aggredisce i suoi sistemi.
«Macx! L'elusivo Mr. Macx!». Glashwiecz sembra decisamente esultante per aver rintracciato il suo bersaglio.
Manfred trasale. «Chi è?».
«L'ho chiamata ieri», dice l'avvocato. «Avrebbe dovuto ascoltare». Fa un'orrenda risatina. «Adesso l'ho trovata!».
Manfred allontana il telefono dal viso, come se fosse velenoso. «Sto registrando», lo avvisa. «Chi diavolo è lei e cosa vuole?».
«Sua moglie ha richiesto i servizi del mio ufficio nel perseguimento dei suoi interessi nel vostro caso di divorzio. Quando l'ho chiamata ieri era per indicare, senza pregiudizio, che le sue scelte si stanno esaurendo. Ho un'ordinanza, firmata dal tribunale tre giorni fa, di congelare ogni sua proprietà. Nonostante queste ridicole società paravento, le porterà via esattamente quanto le deve. Dedotte le tasse, naturalmente. Su questo punto insiste molto».
Manfred si guarda intorno, mette il telefono in attesa per un momento. «Dov'è la mia valigia?» chiede ad Aineko. Il gatto si allontana furtivo, ignorandolo. «Merda». Non riesce a vedere la valigia. Forse è diretta a Mosca, con tutto il suo prezioso carico di rumore ad alta densità. Rivolge nuovamente l'attenzione al telefono. Monotono, Glashwiecz continua a parlare di accordo equo, richieste fiscali cumulative - che sembrano materializzarsi dal nulla con l'imprimatur di Pamela - e del bisogno di ripulirsi la coscienza in tribunale, confessando i suoi peccati. «Dov'è quella cazzo di valigia?». Rimette in funzione il telefono. «Cazzo, stia zitto, per favore. Sto cercando di pensare».
«Non starò zitto! La causa è già nel ruolo del tribunale, Macx. Non può sfuggire per sempre alle responsabilità. Ha una moglie e una figlia indifesa di cui curarsi...».
«Una figlia?». Questo si insinua nelle preoccupazioni di Manfred riguardanti la valigia.
«Non lo sapeva?» Glashwiecz sembra piacevolmente sorpreso. «È stata decantata giovedì scorso. In perfetta salute, mi si dice. Pensavo che lo sapesse; ha diritto di vederla tramite la webcam della clinica. Comunque, la lascio con questo pensiero: prima arriviamo a un accordo, prima posso scongelare le sue società. Arrivederci».
La valigia rotola a portata di vista, facendo timorosamente capolino da dietro il tavolinetto di Annette. Manfred sospira sollevato e fa un cenno; al momento, affrontare il piano B è più facile delle incursioni mattutine dei gangster oggettivisti, del malumore di Annette, dell'incessante spamming legale di sua moglie e della notizia di essere diventato padre contro la propria volontà. «Vieni qua, bagaglio randagio. Vediamo cosa ho ottenuto in cambio dei derivativi della mia reputazione...».

Anticlimax.
Il comunicato di Annette è anodino; una ridacchiante confessione fuori campo (tendina della doccia sullo sfondo) che il famoso Manfred Macx è a Parigi per un weekend all'insegna di locali, droghe, e casino generalizzato. Oh, e ha promesso di inventare tre nuovi salti di paradigma al giorno, prima di colazione, cominciando con un modo per ottenere la creazione del Comunismo Reale costruendo un apparato statale di pianificazione centralizzata in grado di interfacciarsi perfettamente con i sistemi esterni di mercato e, in qualche modo, di dare risultati migliori della Montecarlo sregolata dell'economia di mercato, risolvendo il problema di calcolo. Solo perché riesce a farlo, perché hackerare l'economia è divertente, e vuole sentire le grida della Scuola di Chicago.
Per quanto ci provi, Manfred non vede niente di insolito nel comunicato stampa. È solo il tipo di cose che fa lui, e metterlo sulla rete era il motivo per cui cercava in primo luogo un precario della CIA.
Cerca di spiegarglielo in bagno, mentre le insapona la schiena. «Non capisco cosa cerchino», si lamenta. «Non c'è niente che possa averli allertati, tranne che ero a Parigi, e tu hai inviato la notizia. Non hai fatto niente di male».
«Mais oui». Lei si volta, scivolosa come un'anguilla, e scivola in acqua, di schiena. «Io cerco di dirtelo, ma tu non ascolti».
«Adesso ascolto». Goccioline d'acqua aderiscono all'esterno dei suoi occhiali, screziando il panorama della stanza di riflessi laser. «Mi dispiace, Annette. Mi sono portato dietro questo casino, posso portarlo via dalla tua vita».
«No!». Si alza davanti a lui e si piega in avanti, col volto serio. «L'ho detto ieri. Voglio farti da manager. Prendimi».
«Non mi serve un manager; si basa tutto sull'essere veloce e senza controllo!».
«Tu pensi che non ti serve un manager, ma le tue società sì», osserva lei. «Quante cause hai in corso? Non hai il tempo di seguirle tutte. I sovietici hanno abolito i capitalisti, ma anche loro avevano bisogno di manager. Per favore, fammi lavorare per te!».
Annette è talmente intensa da eccitarsi visibilmente. Si piega verso di lei, ponendole la mano su un capezzolo. «La matrice societaria non è stata ancora venduta», ammette.
«No?» sembra compiaciuta. «Eccellente! A chi la si può vendere, a Mosca? Al governo militare della Birmania? A...».
«Pensavo al Partito Comunista Italiano», dice. «È un progetto pilota. Stavo operando per venderla - mi servono i soldi per il divorzio, e per chiudere l'accordo per il bagaglio - ma non è tanto semplice. Qualcuno deve gestire la cosa, qualcuno che comprenda chiaramente come interfacciare un sistema di pianificazione centralizzata con un'economia capitalista. Sarebbe perfetto un amministratore di sistema che abbia fatto esperienze di lavoro con una multinazionale, idealmente con l'interesse per scoprire nuovi modi e mezzi per interfacciare un'impresa centralmente pianificata col mondo esterno». La guarda con un nascente sospetto. «Uhm, a te interessa?».

* * *

Roma è più calda del centro di Columbia, South Carolina, nel weekend del Ringraziamento; puzza di Skoda a metano con lieve tocco di merda di cane cotta. Le automobili sono missili subcompatti a colori vivaci, che strepitano entrando e uscendo dai vicoli come vespe infuriate. Falsificarne la guida a distanza sembra essere lo sport nazionale, anche se, notoriamente, la gente dei sistemi integrati Fiat ha sempre scritto software zoppicanti.
Dalla Stazione Termini, Manfred emerge in una luce polverosa, sbattendo gli occhi come un gufo. Gli occhiali proseguono un inarrestabile monologo su chi viveva dove nei giorni della Repubblica. Si sono bloccati su un canale turistico e da tutta quella storia non si scolleranno senza lotta. E adesso Manfred non si sente di lottare. Si sente come se lo avessero prosciugato, nel weekend: un guscio leggero e vuoto che un vento forte potrebbe spazzar via. In tutta la giornata non ha avuto una sola idea brevettabile. Non è la migliore condizione in cui trovarsi lunedì mattina, quando deve incontrare l'ex Ministro dell'Economia, per fargli un regalo che al ministro probabilmente darà la possibilità di raggiungere cariche superiori e a lui toglierà di dosso l'avvocato di Pam. Ma per qualche motivo non riesce a preoccuparsi troppo: Annette gli ha fatto bene.
La personalità privata dell'ex ministro non è quella che Manfred si aspettava. Tutto ciò che Manfred aveva visto finora era un raffinato avatar pubblico, con un completo di taglio tradizionale, che si rivolge alla Camera dei Deputati nel cyberspazio, e per questo, quando suona il campanello nell'infisso imbiancato della porta d'ingresso di Gianni, non si aspetta che risponda un culturista da saune, con tanto di perizoma e berretto di pelle.
«Salve, sono qui per vedere il ministro», dice cauto Manfred. Aineko, appollaiata sulla spalla sinistra, tenta di tradurre: fa un trillo dall'aria di estrema urgenza. Tutto sembra urgente in italiano.
«Tutto a posto. Sono dello Iowa», dice il tipo sulla soglia. Infila un pollice sotto una bretella di pelle e ghigna sotto i baffi. «Di che si tratta?». Dietro le spalle: «Gianni! Un visitatore!».
«Si tratta dell'economia», dice attentamente Manfred. «Sono qui per renderla obsoleta».
Cauto, il culturista si toglie dalla porta, poi dietro di lui appare il ministro. «Ah, signor Macx! Tutto a posto, Johnny, lo aspettavo». Gianni offre un rapido benvenuto, come uno gnomo iperattivo sepolto in un accappatoio bianco. «Prego entra, amico mio! Sono certo che sei stanco per il viaggio. Uno spuntino per l'ospite, prego, Johnny. Preferisce caffè o qualcosa di più forte?».
Cinque minuti dopo, Manfred è sprofondato fino alle orecchie in un divano rivestito di pelle bianco burro, con una tazza di caffè virulentemente forte in precario equilibrio sul ginocchio, mentre Gianni Vittoria pontifica sul problema di come operare un ecosistema postindustriale insieme a un sistema burocratico che affonda le radici nella cocciuta era modernista degli anni Venti. Gianni è un visionario di sinistra, uno strano attrattore nel caotico spazio di fase della politica italiana. Da ex professore di economia marxista, le sue idee sono informate da un umanesimo dolorosamente onesto, e tutti, perfino i nemici, concordano che sia uno dei massimi teorici dell'era post UE. Ma l'integrità intellettuale gli impedisce di salire fino in cima, e i suoi compagni di viaggio sono più brutali dei nemici ideologici, e lo accusano del peggiore fra i delitti politici: dare più valore alla verità che al potere.
Manfred ha incontrato Gianni un paio d'anni prima, tramite l'ospite di una chat room politica; all'inizio della settimana scorsa, gli ha mandato un articolo con la descrizione dettagliata della sua economia pianificata integrabile, e con una proposta per utilizzarla per dare il turbo all'infinito tentativo, da parte dell'Italia, di rimettere in movimento i sistemi governativi. Questo è il primo passo: se Manfred ha ragione, potrebbe catalizzare tutta un'ondata di espansione comunista, spinta da ideali umanitari e risultati dimostrabilmente superiori, piuttosto che dal desiderio e dall'ideologia.
«Temo sia impossibile. Questa è l'Italia, amico mio. Tutti devono dire la loro. Molti nemmeno capiscono di cosa parliamo, ma questo non impedisce loro di parlarne. Dal 1945, il nostro governo esige il consenso, in reazione a quanto c'era stato prima. Sai che abbiamo cinque diversi iter per proporre una nuova legge, due dei quali aggiunte come misure d'emergenza per rompere lo stallo? E nessuna funziona da sola, a meno di non mettere tutti d'accordo. Il tuo progetto è audace e radicale, ma se funziona, dobbiamo capire perché funzioniamo noi, e questo scava dentro il nostro essere umani, fino alla radice, e non tutti saranno d'accordo».
A questo punto Manfred comprende di essersi perso. «Non capisco», dice, genuinamente confuso. «Cosa ha a che fare la condizione umana con l'economia?».
Bruscamente, il ministro sospira. «Sei molto originale. Non guadagni soldi, vero? Ma sei ricco, perché le persone grate per aver beneficiato del tuo lavoro ti danno tutto quello che ti serve. Sei come un trovatore medievale che ha incontrato i favori dell'aristocrazia. Il tuo lavoro non è alienato, viene dato liberamente, e i tuoi mezzi di produzione sono sempre con te, dentro la tua testa». Manfred sbatte gli occhi; il gergo sembra bizzarramente tecnico ma ortogonale alla sua esperienza, offrendogli un'inquietante visione del mondo dei malati terminali di shock del futuro. È sorpreso di scoprire che l'incomprensione gli dà il solletico.
Gianni si tocca la tempia calva con una nocca simile a una noce. «Quasi tutti passano poco tempo dentro la propria testa. Non capiscono come fai a vivere. Sono come contadini medievali che guardano confusi il trovatore. Questo sistema che hai inventato per gestire un'economia pianificata è piacevole ed elegante: gli eredi di Lenin sarebbero sgomenti. Ma non è un sistema per il nuovo secolo. Non è umano».
Manfred si gratta la testa. «A me sembra che non ci sia niente di umano nell'economia della scarsità», dice. «Comunque, gli esseri umani, come unità economiche, saranno obsoleti in un paio di decenni. Voglio solo rendere tutti ricchi, al di là dei loro sogni più sfrenati, prima che succeda». Una pausa per un sorso di caffè, e per pensare: «Un'affermazione onesta ne merita un'altra. È per pagarmi un accordo di divorzio».
«Sì-ì? Be', permettimi di mostrarti la mia biblioteca, amico mio», dice alzandosi. «Di qua».
Gianni esce lentamente dal soggiorno bianco, con i suoi carnivori divani in pelle, e sale su una scala a chiocciola in ferro battuto che raggiunge una sorta di sottotetto. «Gli esseri umani non sono razionali», dice, guardandosi alle spalle. «Quello è stato il grande errore degli economisti della Scuola di Chicago, neoliberisti fino all'ultimo uomo, e anche dei miei predecessori. Se il comportamento umano fosse logico, non esisterebbe il gioco d'azzardo, hmm? Il banco vince sempre, dopo tutto». La scala sfocia in un'altra stanza ariosamente imbiancata, dove una parete è occupata da una panca in legno che sostiene una quantità di antichi server, promiscuamente cablati, e un nuovissimo olo-emettitore di volumi solidi, tanto costoso da far piangere. Di fronte alla panca c'è una parete occupata, dal pavimento fino al soffitto, da scaffali: Manfred guarda l'antico medium a bassa densità e starnutisce, temporaneamente stupefatto dall'immagine di una densità di dati misurata in chilogrammi per megabyte e non viceversa.
«Che cosa sta costruendo?» chiede Manfred, indicando l'emettitore che, uggiolando, sintetizza lentamente qualcosa di simile a un hard disk drive a molle, come nel delirio di un orologiaio ambulante.
«Oh, uno dei giocattoli di Johnny, un fonografo digitale micromeccanico», dice Gianni noncurante. «Progettava macchine di Babbage per il Pentagono, computer non individuabili (niente radiazione di Van Eck, capisci). Guarda». Con attenzione tira fuori un documento rilegato in tessuto dalla parete di dati obsolescenti e mostra la costa a Manfred: On the Theory of Games, di John von Neumann. Prima edizione firmata».
Aineko miagola e rovescia nell'occhio sinistro di Manfred una quantità frastornante di automi di stato finito. Sotto i polpastrelli, la copertina rigida è polverosa e secca, e lui ricorda di girare gentilmente le pagine. «Questa copia apparteneva alla biblioteca personale di Oleg Kordiovsky. Un uomo fortunato, Oleg: l'ha comprata nel 1952, mentre era in visita a New York, e il MVD glielo lasciò tenere».
«Deve essere...» Manfred si ferma. Altri dati, linee temporali storiche. «Parte del GosPlan?».
«Esatto», Gianni fa un leggero sorriso. «Due anni prima che il comitato centrale denunciasse i computer come pseudoscienza deviazionista borghese intesa a disumanizzare i proletari. Perfino allora riconoscevano il potere dei robot. Peccato che non anticiparono il compilatore o la rete».
«Non capisco il significato. A quei tempi, sicuramente nessuno si aspettava che l'ostacolo principale all'eliminazione del capitalismo di mercato sarebbe stato superato entro mezzo secolo».
«Certo che no. Ma è vero: dagli anni Ottanta, è stato possibile, in linea di principio, risolvere algorítmicamente i problemi di allocazione delle risorse, per mezzo del computer, senza bisogno di un mercato. I mercati sono diseconomici: permettono la competizione, gran parte della quale finisce nella discarica dei rifiuti. E allora perché insistere?».
Manfred scrolla le spalle. «Dimmelo tu. Conservatorismo?».
Manfred chiude il libro e lo ripone sullo scaffale. «I mercati consentono ai partecipanti l'illusione del libero arbitrio, amico mio. Scoprirai che agli esseri umani non piace essere costretti a fare qualcosa, anche se è nel loro interesse. Necessariamente, un'economia dirigista deve essere coercitiva, deve, in fondo, dirigere».
«Ma il mio sistema non lo fa! Media dove vanno le scorte, non chi deve produrre che cosa...».
Gianni scuote la testa. «Concatenamento retrogrado o concatenamento anterogrado, è sempre un sistema esperto, amico mio. Le tue società non hanno bisogno di esseri umani, ed è buona cosa, ma neppure devono dirigere le attività di esseri umani. Se lo fanno, hai appena ridotto la gente in schiavitù sotto una macchina astratta, come hanno sempre fatto, nella storia, i dittatori».
Gli occhi di Manfred scrutano gli scaffali. «Ma il mercato stesso è una macchina astratta! E anche miserabile. Per lo più, ne sono libero. Ma per quanto tempo continuerà a opprimere la gente?».
«Forse non tanto come temi». Gianni si mette seduto accanto all'emettitore, che sta espellendo il motore di inferenza della macchina analitica. «Il valore marginale del denaro decresce, dopo tutto: più ne hai, meno importanza ha per te. Siamo sull'orlo di un periodo di crescita economica prolungata, con medie annue superiori al venti per cento, se sono affidabili i parametri di previsione del Consiglio d'Europa. Le ultime vestigia della flaccida economia di mercato sono avvizzite, e il settore ad alta tecnologia, che in passato era il nerbo della crescita economica di quest'epoca, adesso è tutto. Possiamo permetterci un po' di spreco, amico mio, se è il prezzo per dare la felicità alla gente finché il valore marginale del denaro non avvizzisce completamente».
Nasce la comprensione. «Vuoi abolire la scarsità, non solo il denaro!».
«Infatti». Gianni ghigna. «C'è altro che i semplici risultati economici; devi considerare l'abbondanza come un fattore. Non pianificare l'economia; fa' uscire le cose dall'economia. Paghi l'aria che respiri? Le menti Upload - che presto saranno la spina dorsale della nostra economia - dovrebbero pagare i cicli di elaborazione? No e poi no. Ora, vuoi sapere come puoi pagarti l'accordo di divorzio? E posso interessare te e la tua nuova manager, con le sue interessanti referenze, a un mio piccolo progetto?».

Le persiane sono aperte, le tende legate, e le finestre dell'enorme soggiorno di Annette sono spalancate nella brezza mattutina.
Manfred è seduto su uno sgabello da pianoforte, rivestito in pelle, la valigia aperta ai suoi piedi. Sta disponendo un collegamento dalla valigia allo stereo di Annette, un'unità autonoma d'antiquariato con un collegamento satellitare a Internet. Qualcuno l'ha intaccato, revocando grossolanamente il suo algoritmo di protezione dalle copie: il retro della custodia ha le cicatrici di un saldatore. Annette è rannicchiata sull'enorme divano, avvolta in un caffetano, con un paio di occhiali a banda alta, sviscerando, insieme ad alcuni colleghi in Iran e in Guyana, un problema di programmazione interna della Arianespace.
La valigia è piena di rumore, ma quello che esce dallo stereo è un ragtime. Sottrai l'entropia da un flusso di dati, decomprimendolo incidentalmente, e quanto rimane è l'informazione. Con una capacità intorno al trilione di terabyte, la riserva di immagazzinamento olografico della valigia ha capacità sufficiente a contenere ogni produzione musicale, cinematografica e video del Ventesimo secolo, lasciando ancora spazio libero. Tutta roba fuori dal controllo del copyright, lavoro a tempo determinato posseduto da aziende fallite, prodotto prima che la CCAA operasse la sua stretta sui media. Manfred incanala la musica attraverso lo stereo di Annette, ma mantenendo il rumore in cui era avvolto. Anche l'entropia di alto grado è preziosa.
Manfred sospira subito e si mette gli occhiali sulla fronte, eliminando i display. Ha escogitato un modo di evitare ogni permutazione degli eventi, e sembra che Gianni abbia ragione: non è rimasto niente da fare se non attendere che tutti si facciano vedere.
Per un attimo, si sente vecchio e disperato, lento come una mente umana non assistita. Per tutta la scorsa giornata, dal suo ritorno da Roma, le agenzie hanno operato scambi dentro la sua testa, in entrata e in uscita. Ha sviluppato un tempo di attenzione degno di una farfalla, ed è irritabile e incapace di concentrarsi su qualcosa, mentre i flussi di informazione lottano per il controllo della sua corteccia, discutendo le soluzioni al suo dilemma. Annette accetta i suoi sbalzi d'umore con calma sorprendente. Non è certo del perché, ma la guarda con affetto. Le sue ossessioni sono sorprendentemente profonde, e chiaramente lei lo usa per scopi personali. Allora perché si sente più a suo agio con lei di quanto non si sentisse con Pam?
Lei si stiracchia e si solleva gli occhiali. «Oui?».
«Stavo solo pensando». Sorride. «Tre giorni e non mi hai ancora detto cosa dovrei fare di me stesso».
Gli rivolge una smorfia. «Perché dovrei farlo?».
«Oh, senza motivo. È solo che non mi è passata...». Scrolla le spalle, a disagio. Eccola, un'inesplicabile assenza nella sua vita, ma non sente l'urgente bisogno di riempirla. È fatto così un rapporto fra uguali? Non è sicuro. Partendo con la bambagia protettiva della sua educazione e proseguendo in tutte le sue relazioni adulte, è stato efficacemente, e volontariamente, dominato dalle sue partner. Forse il condizionamento anti sottomissione sta funzionando, dopo tutto. Ma se è così, perché il malessere creativo? Perché questa settimana non trova idee nuove e originali? Potrebbe essere che il suo particolare tipo di creatività sia uno sfogo, che gli serve la pressione della schiavitù d'amore per far erompere la grande fioritura del suo splendore immaginativo? O potrebbe essere che Pam veramente gli manca?
Annette si alza e cammina verso di lui, lentamente. La guarda e prova desiderio e affetto, e non è certo se questo sia amore. «Quando è la scadenza?» chiede, chinandosi su di lui.
«Ogni...». Squilla il campanello.
«Ah. Ci penso io». Si allontana a grandi passi, apre la porta.
«Tu!».
Manfred fa uno scatto con la testa, come se fosse al guinzaglio. Il suo guinzaglio: ma non si aspettava che lei venisse di persona.
«Sì, io», dice Annette disinvolta. «Entra. Accomodati».
Pam entra nel soggiorno dell'appartamento con gli occhi lampeggianti, seguita dal mansueto avvocato. «Bene, guarda cosa ha tirato in ballo il gattino robot», dice con lentezza, fissando Manfred con un'espressione più di rabbia che di umorismo. Non è da lei, questa ostilità diretta, e si chiede da dove provenga.
Manfred si alza. Per un attimo è trafitto dall'immagine della moglie dominatrice - e della sua padrona? cospiratrice? amante? - fianco a fianco. Il contrasto è netto: l'espressione divertita e ironica di Annette fa da sfondo alla franchezza rabbiosa di Pamela. Dietro di loro c'è un uomo calvo e di mezz'età, vestito di tutto punto e con un foglio protocollo in mano: proprio il tipo di servitore diligente in cui Pam lo avrebbe potuto trasformare, se ne avesse avuto il tempo. Manfred tira fuori un sorriso. «Posso offrirvi un caffè?» chiede. «Il gruppo della terza parte sembra in ritardo».
«Un caffè sarebbe perfetto, nero per me, senza zucchero», pigola l'avvocato. Appoggia la valigetta su un tavolino e armeggia col suo apparato indossabile finché dalla montatura degli occhiali non comincia a lampeggiare una luce. «Sto registrando, sono certo che mi capite».
Annette tira su col naso e si dirige verso la cucina, che è piacevolmente manuale ma non molto efficiente; Pam fa finta che lei non esista. «Bene, bene, bene». Scuote la testa. «Mi sarei aspettata di meglio da te, del boudoir di una puttanella francese, Manny. E prima che si sia asciugato l'inchiostro del divorzio. Di questi tempi, ti costerà, non ci hai pensato?».
«Mi sorprende che tu non sia in ospedale», dice lui, cambiando argomento. «Di questi tempi appaltano all'esterno la convalescenza postnatale?».
«I datori di lavoro». Si fa scivolare la giacca sulle spalle e la appende dietro la grande porta in legno. «Loro finanziano tutto quando raggiungono il mio livello». Pamela indossa un vestito cortissimo e carissimo, il tipo di arma, nella guerra fra i sessi, che dovrebbe avere un certificato di utente finale: ma sorprendentemente non ha effetti su di lui. Si rende conto di essere completamente incapace di valutare il suo genere sessuale, come se fosse diventata membro di un'altra specie. «Come sapresti se avessi fatto attenzione».
«Faccio sempre attenzione, Pam. È l'unica valuta che mi porto dietro».
«Molto buffo, ha-ha», interrompe Glashwiecz. «Lei si rende conto che mi paga mentre sono qui e ascolto questi interessanti giochini?».
Manfred lo fìssa. «Lei sa che non ho soldi».
«Ah». Glashwiecz sorride. «Ma lei deve sbagliarsi. Certo il giudice concorderà con me che deve sbagliarsi (tutto ciò che significa la mancanza di documentazione cartacea è che lei ha nascosto le tracce). C'è la piccola questione delle parecchie migliaia di società che possiede indirettamente. In fondo alla pila deve esserci qualcosa, vero?».
Dalla cucina giunge un sibilo gorgogliante, come un sacco di lucertoloni immerso nel fango, e suggerisce che la caffettiera è quasi pronta. Manfred contorce la mano sinistra, suonando accordi su una tastiera aerea. Senza farsi vedere, rilascia un bollettino sulle sue attività presenti, che presto dovrebbe produrre un effetto sul mercato della reputazione. «Il suo attacco è stato piuttosto elegante», commenta, sedendosi sul divano mentre Pam scompare in cucina.
Glashwiecz annuisce. «L'idea è stata di uno dei miei interni», dice. «Non capisco cosa sia questa negazione distribuita del servizio, ma Lisa ci è cresciuta. È una parodia legale, ma comunque fattibile».
«Uh-huh». L'opinione di Manfred sull'avvocato scende di una tacca. Nota che Pam ricompare dalla cucina, con un'espressione gelida. Un momento dopo, Annette emerge portando una brocca e un po' di tazze, raggiante e con aria innocente. Sta succedendo qualcosa, ma a quel punto uno dei suoi agenti, nel suo orecchio sinistro, richiama urgentemente la sua attenzione, la sua valigia emette un lamento luttuoso, irradiando un senso di completa disperazione, e il campanello squilla nuovamente.
«Allora qual è l'imbroglio?». A disagio, Glashwiecz si siede accanto a Manfred e mormora, all'angolo della bocca: «Dove sono i soldi?».
Manfred lo guarda irritato. «Non ci sono soldi», dice. «L'idea è rendere obsoleti i soldi. Non l'ha spiegato lei?». I suoi occhi vagano, abbracciando l'orologio Patek Philippe dell'avvocato, il suo anello con sigillo abilitato per Java.
«Forza. Non mi dica così. Guardi, ci vogliono solo un paio di milioni, e lei può comprarsi la libertà, per quanto mi importa. Sono qui solo per assicurarmi che sua moglie e sua figlia non rimangano alla fame e senza un soldo. Io e lei sappiamo che ne ha nascosto un mucchio, basta guardare la sua reputazione! Non ci è arrivato rimanendo sul ciglio della strada col cappello da mendicante, giusto?».
Manfred sbuffa. «Stiamo parlando di un revisore fiscale d'élite. Lei non è senza soldi; ottiene una commissione su ogni povero bastardo che fa ripulire, ed è nata con un fondo fiduciario. Quanto a me, io...». Lo stereo emette un bip. Manfred inforca gli occhiali. I fantasmi sussurranti degli artisti morti gli ronzano attraverso i lobi auricolari, esigendo libertà con urgenza. Qualcuno bussa di nuovo alla porta, lui si guarda intorno e vede Annette che vi si dirige.
«Sta solo rendendo tutto più difficile», lo ammonisce Glashwiecz.
«Aspetti compagnia?» chiede Pam, alzando un sopracciglio in direzione di Manfred.
«Non esattamente...».
Annette apre la porta e un paio di guardie in tenuta SWAT entrano a passo di marcia. Stringono in mano arnesi che sembrano un incrocio fra macchine da cucire digitali e lanciagranate, e hanno il casco incastonato con tanti sensori da farli somigliare a sonde spaziali degli anni Cinquanta. «Sono loro», dice distintamente Annette.
«Mais oui». La porta si chiude, e le guardie si mettono ai lati. Annette avanza verso Pam.
«Pensi di entrare qui, nel mio pied-à-terre, e derubare Manfred?». Tira su col naso.
«Sta facendo un grosso sbaglio, signora», dice Pam, con una voce abbastanza ferma e fredda da liquefare l'elio.
Uno scoppio di scariche da uno dei fanti. «No», dice Annette con tono distante. «Nessuno sbaglio».
Indica Glashwiecz. «È al corrente della scalata?».
«Scalata?». L'avvocato sembra confuso, ma non allarmato dalla presenza delle guardie.
«Tre ore fa», dice Manfred, calmo, «ho venduto un interesse di controllo nella Agalmic.Holdings.Root.1.1.1 alla Athene Accelerants BV, una società di capitali di rischio con sede a Maastricht. La uno punto uno punto uno è il nodo centrale della radice dell'albero di progettazione. La Athene non è la solita società di capitali di ventura, loro sono acceleranti, ovvero prendono progetti finanziari esplosivi e li fanno detonare». Glashwiecz è pallido, per la rabbia o la paura di aver perso una commissione, impossibile dirlo. «In realtà, la Athene Accelerants è di proprietà di una società schermo posseduta dal fondo pensione del Partito Comunista Italiano. Il punto è che lei è alla presenza del direttore esecutivo della uno punto uno punto uno».
Pam sembra irritata. «Puerili tentativi di eludere la responsabilità...».
Annette si schiarisce la gola. «Esattamente a chi pensa di star facendo causa?» chiede dolcemente a Glashwiecz. «Qui abbiamo leggi contro le ingiuste limitazioni della concorrenza. E anche sulle interferenze politiche estere, soprattutto negli affari finanziari di un partito italiano di governo».
«Non lo farebbe...».
«Lo farei». Manfred si strofina le mani sulle ginocchia e si alza. «Non hai ancora finito?» chiede alla valigia.
Dei bip soffocati, poi parla una rauca voce sintetizzata. «Caricamento completato».
«Ah, bene». Ghigna verso Annette. «È ora dei nostri prossimi ospiti?».
Al momento giusto, il campanello squilla ancora. Le guardie si allontanano dai lati della porta. Annette schiocca le dita, e si apre per far entrare una coppia di sgherri elegantemente vestiti. Il salotto comincia a farsi affollato.
«Quale di voi è Macx?» dice bruscamente il più vecchio degli sgherri, fissando Glashwiecz senza ragione apparente. Solleva una valigetta in alluminio. «Abbiamo un mandato da eseguire».
«Voi sareste la CCAA?» chiede Manfred.
«Ci può scommettere. Se lei è Macx, ho un'ordinanza restrittiva...».
Manfred alza la mano. «Non è me che volete», dice. «È questa signora». Indica Pam, che apre la bocca in una protesta silenziosa. «Vedete, la proprietà intellettuale a cui date la caccia vuole essere libera. È talmente libera che ora è amministrata da una complessa serie di società strumentali con sede in Olanda, e il principale azionista, da circa quattro minuti, è la mia futura ex moglie Pamela, qui presente». Strizza l'occhio a Glashwiecz. «A parte il fatto che non controlla niente».
«A che gioco pensi di stare giocando, Manfred?» ringhia Pamela, ormai incapace di contenersi. Le guardie strascicano i piedi: il più grosso e giovane degli agenti della CCAA strattona nervosamente la giacca del capo.
«Bene». Manfred prende un sorso di caffè. Ghigna. «Pam voleva un accordo di divorzio, vero? I capitali di maggior valore che possiedo sono i diritti di tutta una quantità di lavoro a tempo determinato ricategorizzato che, un po' di anni fa, è scivolato fra le dita della CCAA. Parte del patrimonio musicale del Ventesimo secolo, messa sotto chiave dall'industria musicale nell'ultimo decennio (Janis Joplin, i Doors, cose del genere). Artisti che non potevano più difendersi. Quando i cartelli musicali sono falliti, i diritti sono andati a fare un giro. Originariamente, li ho presi con l'idea di liberare la musica. Di restituirli al pubblico dominio, per così dire».
Annette annuisce verso le guardie, una delle quali ricambia il cenno e comincia a borbottare e a ronzare in un microfono nella gola. Manfred continua: «Stavo lavorando su una soluzione al paradosso dell'economia pianificata... come interfacciare una nicchia pianificata centralmente con un'economia di mercato. Il mio buon amico Gianni Vittoria ha suggerito che un simile gioco delle tre carte potrebbe avere usi alternativi. Dunque non ho liberato la musica. Invece, ho ceduto i diritti a vari agenti e filiere al di fuori della rete delle finanziarie agalmiche; al momento, un milione quarantottomila e cinquecentosettantacinque società. Si scambiano rapidamente i diritti (i diritti di ogni canzone risiedono in una stessa società per, uh, una cinquantina di millisecondi alla volta. Ora mi capisca, io non possiedo queste società). Non ho neppure più degli interessi finanziari. Ho ceduto la mia quota dei profitti a Pam, qui presente. Sto uscendo dagli affari. Gianni mi ha suggerito, al loro posto, qualcosa di molto più stimolante».
Beve un altro sorso di caffè. Il mazziere della Mafiya della registrazione gli rivolge uno sguardo vitreo. Pam lo ricambia. Annette è appoggiata a una parete, con aria divertita. «Forse desiderate chiarirvi fra voi?» chiede. A parte, a Glashwiecz: «Confido che farà cadere il suo attacco di negazione del servizio prima che scateni il Parlamento italiano contro di lei. Fra l'altro, scoprirà che il valore contabile dei capitali di proprietà intellettuale ceduti a Pamela - secondo il valore riposto da questi signori - supera il miliardo di dollari. Trattandosi di oltre il novantanove virgola nove per cento delle mie proprietà, probabilmente preferirà rivolgersi altrove per il suo onorario».
Glashwiecz si alza con cautela. Il mazziere capo fìssa Pamela. «È vero?» domanda. «Questo sapientone le ha dato i capitali della proprietà intellettuale della Sony Bertelsmann Microsoft Music? Rivendichiamo dei diritti! Per la distribuzione viene da noi o è in grossi guai».
Il secondo mazziere ringhia il suo accordo. «Ricordati, quegli MP3 fanno male alla salute!».
Annette batte le mani. «Se volete lasciare il mio appartamento, per favore?». La porta, attenta come sempre, si spalanca. «Non siete più i benvenuti qui!».
«Parla di te», servizievole, Manfred avvisa Pam.
«Bastardo!» soffia.
Manfred fa un sorriso forzato, stupefatto per non essere in grado di reagire con Pam come lei vorrebbe. C'è qualcosa di sbagliato, di mancante, fra loro. «Pensavo che volessi le mie proprietà. Sono troppo ingombranti per te?».
«Tu sai cosa voglio dire! Tu e quella euro-puttana da due soldi! Ti inchioderò per abbandono della prole!».
Il suo sorriso si blocca. «Provaci, e ti farò causa per infrazione ai diritti di brevetto. Il mio genoma, capisci».
Pam è presa di sorpresa. «Hai brevettato il tuo genoma? Cosa è successo al coraggioso neocomunista, che condivide liberamente l'informazione?».
Manfred smette di sorridere. «È successo un divorzio. Ed è successo il Partito Comunista Italiano».
Lei fa dietrofront ed esce a grandi passi dall'appartamento, coraggiosa, col mansueto avvocato al seguito, che borbotta di azioni collettive e violazioni al Digital Millennium Copyright Act. Il mansueto gorilla dei legali della CCAA fa per afferrare per le spalle Glashwiecz, e le guardie si intromettono, spingendo sul pianerottolo tutta la banda itinerante. La porta si chiude sbattendosi su un caos di imminenti cause ricorsive, e Manfred emette un enorme sospiro di sollievo.
Annette va da lui e gli poggia il mento sulla testa. «Pensi che funzionerà?» chiede.
«Be', per un po' la CCAA farà una causa della madonna alla rete societaria, se cercherà di distribuire tramite canali non controllati dalla Mafiya. Come accordo, Pam ottiene i diritti di tutta la musica, ma non può vendere senza passare per la mafia. E io dovevo dare il benservito a quello squalo di un legale: se cerca di inchiodarmi deve essere politicamente al sicuro. Hmm. Forse non dovrei far progetti per tornare negli USA, prima per la singolarità».
«Profitti». Annette sospira. «Non capisco facilmente questo tuo modo di fare. O questa ossessione apocalittica con la singolarità».
«Ricordi il vecchio aforisma, se ami qualcuno lascialo libero? Io ho liberato la musica».
«Ma non l'hai fatto! Hai ceduto i diritti a...».
«Ma prima, nelle scorse ore, ho caricato in rete l'intera pila in diversi sistemi di file, pubblici e crittograficamente anonimizzati, dunque ci sarà una pirateria diffusa. E le società robot sono tutte pronte ad accettare automagicamente ogni richiesta di diritti ricevuta, fino all'ultima, senza esigere pagamenti, finché i mazzieri non troveranno il modo di hackerarle. Ma il punto non è quello. Il punto è l'abbondanza. La Mafiya non può impedirne la distribuzione. Pam è benvenuta a darsi da fare se riesce a trovare un angolo, ma scommetto che non ci riuscirà. Crede ancora nell'economia classica, l'allocazione delle risorse in condizioni di scarsità. L'informazione non funziona così. L'importante è che la gente sarà in grado di ascoltare la musica invece di un sistema sovietico di pianificazione centralizzata. Ho trasformato la rete in un firewall che protegge la proprietà intellettuale liberata».
«Oh, Manfred, sei un idealista senza speranza». Gli colpisce la spalla. «E per cosa?».
«Non è solo la musica. Quando sviluppiamo una IA funzionante o uploadiamo la mente, ci serve un modo per difenderla contro le minacce legali. È questo che Manfred mi ha fatto presente...».
Le spiega ancora come fa a porre le fondamenta dell'esplosione transumana, imminente all'inizio del prossimo decennio, quando lei lo cinge fra le braccia, lo porta in camera da letto, e commette oltraggiosi atti di tenera intimità con lui. Ma è tutto a posto. È ancora umano, questo decennio.
Anche questo passerà, pensa gran parte della sua metacorteccia. E scivola nella rete per fare pensieri profondi altrove, lasciando il corpo fisico a provare gli antichi piaceri della carne liberata.



3. Turista

Jack Tacchi a Molla scappa alla cieca, facendo crepitare fumo blu dai tacchi. Nella mano destra, distesa per bilanciarsi, stringe le memorie rubate di una preda. La vittima è seduta sulle dure pietre del manto stradale, dietro di lui. Forse si chiede cosa sia successo; forse segue con lo sguardo il giovane in fuga. Ma la folla di turisti in pratica blocca la visuale, e in ogni caso non ha speranza di prendere il borseggiatore. La polizia la chiama amnesia mordi-e-fuggi, ma per Jack Tacchi a Molla è solo un nuovo bottino per acquistare carburante per i suoi stivali da combattimento motorizzati, avanzi dell'esercito russo.

La vittima siede sui ciottoli tenendosi le tempie doloranti. Cos'è successo? si chiede. L'universo è una macchia indistinta a colori luminosi con forme in rapido movimento, intensificata da rumori assordanti. Le telecamere montate sulle orecchie fanno il reboot in continuazione: entrano nel panico ogni ottocento millisecondi, ogni volta che si accorgono di essere da sole sulla sua rete personale senza il confortante supporto di un nodo che dica dove inviare gli stimoli sensoriali in ingresso. Due dei suoi cellulari battibeccano come cretini, disputandosi la proprietà della larghezza di banda della sua griglia, e la sua memoria... non c'è.
Una bionda alta, che tiene una motosega elettrica avvolta in carta a bolle rosa, si china curiosa su di lui: «Sta bene?» gli chiede.
«Io...». Scuote la testa, che gli fa male. «Chi sono?». Il suo monitor medico è in allarme perché gli è scesa la pressione del sangue: il polso va di corsa, la concentrazione di cortisolo nel siero è salita, e una marea di altre biometrie indicano che sta per entrare in stato di shock.
«Credo che le serva un'ambulanza», dice la donna. Mormora al suo bavero: «Telefono, chiama un'ambulanza». Agita un dito più o meno verso di lui, come per reificare un geolink, poi se ne va tenendo la motosega sotto il braccio. Tipico comportamento da esule meridionale nell'Atene del Nord, troppo imbarazzata per farsi coinvolgere. L'uomo scuote di nuovo la testa, a occhi chiusi, mentre un gruppo di ragazze su rollerblade a motore gli corre intorno, disegnando cerchi elaborati. Una sirena comincia a urlare sul ponte a nord.
Chi sono? si chiede. «Sono Manfred», dice con uno stordito senso di meraviglia. Alza lo sguardo verso la statua di bronzo di un uomo a cavallo, che sovrasta la folla in quell'affollato angolo di strada. Qualcuno ha attaccato un ologramma Ciao Cthulhu! sulla placca col nome del cavaliere: languidi e soffici tentacoli rosa ondeggiano verso di lui in un attacco di kawaii. «Io sono Manfred... Manfred. La mia memoria. Cos'è successo alla mia memoria?». Anziani turisti malesi lo indicano dal piano superiore aperto di un bus di passaggio. Si sente bruciare da una sensazione di urgenza e spavento. Stavo andando da qualche parte, ricorda. Cosa stavo facendo? Era incredibilmente importante, pensa, ma non ricorda esattamente cosa fosse. Stava per incontrarsi con qualcuno riguardo a... ce l'ha sulla punta della lingua...

Benvenuti alla vigilia del terzo decennio: un'era di caos caratterizzata da una depressione globale dell'industria spaziale.
La maggior parte della potenza di pensiero del pianeta viene ora fabbricata, invece che fatta nascere: ci sono dieci microprocessori per ogni essere umano, e il numero raddoppia ogni quattordici mesi. La crescita della popolazione nel mondo in via di sviluppo si è arrestata, il tasso di nascita in calo al di sotto del livello di rimpiazzo. Nelle nazioni cablate, i politici più lungimiranti sono alla ricerca di modi per dare il diritto di voto alla nascente base delle IA.
L'esplorazione dello spazio è ancora bloccata al culmine della seconda recessione del secolo. Il governo malese ha annunciato l'intenzione di piazzare un imam su Marte entro dieci anni, ma nessun altro è abbastanza interessato da provare.
La Space Settlers' Society sta tuttora provando a interessare la Disney Corp. ai diritti per i media sul loro ultimo progetto di colonia L5, senza sapere che c'è già una colonia lì fuori e non è umana: Upload di prima generazione, aragoste californiane in intermittente simbiosi con anziani sistemi esperti, prosperano in un progetto di estrazione mineraria dagli asteroidi, costituito dal Cartello Franklin. Nel frattempo, i tagli all'agenzia spaziale cinese minacciano il prosieguo dell'esistenza della Base Lunare Mao.
Sembrerebbe che nessuno abbia trovato il modo di trarre profitti oltre l'orbita geosincrona.
Due anni fa, il JPL, l'ESA e la colonia di aragoste in upload sulla cometa Khrunichev-7 hanno rilevato un segnale apparentemente artificiale, proveniente da oltre il sistema solare; la maggior parte delle persone non lo sa e, fra chi lo sa, importa ad ancor meno persone. Dopo tutto, se gli umani non riescono ad arrivare nemmeno su Marte, a chi importa quello che succede a centomila miliardi di chilometri più in là?

Ritratto di una gioventù sprecata:
Jack ha diciassette anni e undici mesi. Non ha mai conosciuto suo padre; non era stato pianificato, e papà riuscì ad ammazzarsi in un incidente di cantiere prima che l'Ufficio per l'Infanzia potesse infiocchettargli entrate per la crescita del bambino. Sua madre l'ha allevato in un alloggio popolare da due stanze a Hawick. Quando era giovane, la donna lavorava in un call center, ma gli affari ristagnarono: gli umani non sono più necessari all'altro capo di un telefono. Ora lavora in un negozio dove si acquistano aziende chiavi in mano, sistemando gli scaffali per società virtuali mordi-e-fuggi, che vanno e vengono come turisti nella stagione del Festival (ma di questi tempi gli umani non sono molto richiesti neanche come magazzinieri).
Sua madre mandò Jack a una scuola religiosa locale, dove veniva regolarmente sospeso, e in pratica fu lasciato a se stesso sin dall'età di dodici anni. A tredici era in libertà sulla parola per furti nei negozi; a quattordici si era fratturato la clavicola in un incidente mentre scorrazzava su un'auto rubata, e il severo sceriffo presbiteriano lo mandò dai Wee Free, che completarono la distruzione delle sue prospettive educative con alti principi e un frustino illegale.
Oggi è diplomato alla dura scuola della fuga dalle telecamere pubbliche di sorveglianza, con una specializzazione in costruzione steganografica di alibi. Solitamente, questo implica un crimine ad alta densità - se stai per borseggiare qualcuno, fallo in un luogo con talmente tanti passanti che non possono dare con certezza la colpa a te. Ma i sistemi esperti della polizia gli sono addosso. Se continua a questo ritmo, fra altri quattro mesi avranno una correlazione statistica positiva che convincerà della sua colpevolezza persino una giuria di suoi pari - e poi finirà a Saughton per quattro anni.
Ma Jack non afferra il significato di una distribuzione gaussiana o l'importanza di un test del chi-quadro, e il futuro gli sembra ancora luminoso mentre si infila gli occhialoni strappati al turista che osservava a bocca aperta la statua sul North Bridge. E dopo un momento, quando iniziano a sussurrargli in stereo nelle orecchie e a mostrargli immagini della visione del turista, gli sembra anche più luminoso.
«Devi fare un affare, devi chiudere un affare», gli sussurrano gli occhiali. «Vai dal borg, fai un accordo». Strani grafici dai colori stravaganti riempiono la sua visione periferica, come le allucinazioni di un droide commerciale drogato.
«Ma chi cazzo sei?» chiede Jack, incuriosito dalle luci brillanti e dalle icone.
«Io sono il tuo teatro cartesiano e tu sei il nostro punto focale», mormorano gli occhiali. «Dow Jones sceso di quindici punti, Federated Confidence salito di tre, in arrivo un briefing su: disaccoppiamento causale del controllo sociale sulla lunghezza delle gonne, forme di rasatura della barba e sviluppo di resistenza agli antibiotici multidroga nei bacilli gram-negativi; accetti?».
«Ce la posso fare», borbotta Jack, mentre un torrente di immagini si schianta sui suoi bulbi oculari e si apre la strada a martellate nelle sue orecchie, come il Super-io di un gigante incorporeo. Che poi è esattamente ciò che ha rubato: gli occhiali e il marsupio strappati al turista sono riempiti di hardware sufficiente a far girare l'intera Internet di fine millennio e inizio del successivo. Hanno tanta di quella banda passante che gli esce dalle chiappe, motori distribuiti su cui gira un fantastiliardo di imperscrutabili task di ricerca, e un intero gruppo di agenti di alto livello che formano collettivamente una grossa fetta della società della mente che costituisce la personalità del possessore. Il possessore è un genius loci postumano della rete, un imprenditore agalmico diventato esperto di politica, specializzato nell'emancipazione delle IA. Quando era negli affari, era il tipo d'uomo che catalizzava valore ovunque andasse, lasciandosi dietro alberi di denaro che crescevano nelle sue orme. Adesso è il tipo di politicante nell'ombra che forma coalizioni dove nessun altro vede un terreno comune. E Jack ne ha rubato le memorie. Ci sono microtelecamere incorporate nella montatura degli occhiali, capsule microfoniche nelle stanghette; viene tutto accodato nella memoria olografica nel pacco della cintura, prima di venire distribuito per l'immagazzinamento remoto.
A quattro mesi al terabyte, l'immagazzinamento in memoria è a buon mercato. Ciò che rende così insolito questo insieme è che il loro possessore, Manfred, li ha cross-indicizzati con i suoi agenti. L'upload della mente può non essere ancora una tecnologia effettiva, ma Manfred ci è già arrivato a suo modo.
In un senso molto reale, gli occhiali sono Manfred, indipendentemente dall'identità della macchina morbida che ha i bulbi oculari dietro le lenti. Ed è un Manfred molto perplesso che si tira su e, con un curioso vuoto nella testa - eccetto che per un'esitante richiesta di informazioni sugli accessori per stivali dell'esercito russo - si toglie di dosso la polvere e si dirige alla riunione dall'altra parte della città.

Nel frattempo, in un'altra riunione, l'assenza di Manfred viene già notata. «C'è qualcosa, c'è qualcosa che non va», dice Annette. Solleva gli occhiali a specchio e si strofina l'occhio sinistro, visibilmente preoccupata. «Perché non risponde alla chat? Lo sa che dobbiamo fargli questa chiamata. Non lo trovate strano?».
Gianni annuisce e si appoggia all'indietro, guardandola da dietro la scrivania. Dà un colpetto al lucidissimo piano di palissandro del mobile. La grana del legno scivola, slittando in una conformazione stranamente differente, generando stereoisogrammi a punti casuali, messaggi solo per i suoi occhi. «Stava visitando la Scozia per me», dice un attimo dopo. «Non conosco la sua posizione precisa - le protezioni della privacy - ma se tu, in quanto parente designata, viaggi di persona, sono sicuro che la troverai più facilmente. Stava andando a parlare al Collettivo Franklin, faccia a faccia, da uno a molti...».
Il traduttore dell'ufficio è buono, ma non riesce a fornire, in tempo reale tra francese e italiano, un morphing sincronizzato al labiale. Annette deve sforzarsi per capire le parole dell'uomo, perché la forma della sua bocca è tutta sbagliata, come un video doppiato male. Gli impianti costosi e recenti non sono ancora connessi all'area di Broca della donna, che quindi non può semplicemente caricare in background un modulo di grammatica avanzata per l'italiano. Le loro comunicazioni sono le migliori sul mercato, il loro ambiente in Realtà Virtuale accuratamente scolpito, ma ancora non abbattono completamente la barriera del linguaggio. Inoltre, ci sono distrazioni: il modo in cui il piano della scrivania cambia da frassino nero a palissandro a metà della sua superficie, le strane correnti d'aria tutte sbagliate per una sala di questa grandezza. «E allora cosa può essergli successo? La sua casella vocale tenta di coprirlo. È brava, ma non mente in maniera convincente».
Gianni ha l'aria preoccupata. «Manfred è incline ogni tanto ad andare a farsi gli affari suoi senza avvertire nessuno. Però questa situazione non mi piace. Prima avrebbe dovuto dirlo a uno di noi». Fin da quel primo incontro a Roma, quando Gianni gli aveva offerto un lavoro, Manfred era stato un membro vitale della squadra, l'aggiustatutto che va a incontrare le persone e risolve i loro problemi. Perderlo a questo punto potrebbe essere più che imbarazzante. Inoltre, è un amico».
«Non piace neanche a me». La donna si alza in piedi. «Se non richiama presto...».
«Tu andrai a prenderlo».
«Oui». Un sorriso le passa fulmineo sul volto, per essere rapidamente sostituito dai segni della preoccupazione. «Cosa può essere successo?».
«Tutto. Niente». Gianni scrolla le spalle. «Ma non possiamo fare a meno di lui». Lancia uno sguardo d'avvertimento. «O di te. Non fatevi beccare dal borg. Né tu né lui».
«Non ti preoccupare, lo riporterò indietro, qualunque cosa sia accaduta». La donna si drizza, sorprendendo un aspirapolvere che si muove nascosto sotto la sua scrivania. «Au revoir!».
«Ciao».
Mentre la donna abbandona l'ufficio, il ministro svanisce con un bagliore dietro di lei, e il muro più lontano riprende il grigio opaco di un freddo pannello da display. Gianni è a Roma, lei è a Parigi, Markus è a Düsseldorf ed Eva è a Breslavia. Ce ne sono altri, intrappolati in celle digitali sparse per mezzo vecchio continente, ma finché non cercano di stringersi la mano, sono liberi di urlarsi l'un l'altro attraverso l'ufficio. La loro confidenza e le barzellette sporche passano attraverso tunnel costituiti da multipli strati di comunicazione anonimizzata.
Gianni sta cercando di liberarsi della politica regionale per infilarsi negli affari nazionali europei: il loro lavoro - la sua squadra elettorale - è di procurargli una poltrona nella Commissione della Confederazione, come Rappresentante nella Supervisione Informativa, e spingere i confini dell'azione postumanistica verso l'esterno, nello spazio profondo e nel tempo ancora più profondo. Il che rende la perdita di un giocatore chiave, il futurologo e aggiustatutto del gruppo, profondamente interessante per certe persone: i muri hanno orecchie, non tutte collegate a cervelli umani.
Annette è più preoccupata di quanto lasci intendere a Gianni. Non è da Manfred rimanere a lungo fuori contatto, ed è ancora più strano che il suo segretario le metta un muro davanti, dal momento che il suo appartamento è la cosa più vicina a una casa che lui abbia avuto negli ultimi due anni. Ma qui qualcosa le puzza. Lui era sgattaiolato via l'altra sera, dicendo che sarebbe stata un'uscita solo per la notte, e adesso non risponde. Potrebbe trattarsi della sua ex moglie? si chiede, nonostante gli accenni di Gianni a una missione speciale. Ma non c'erano state notizie da Pamela, tranne le cartoline sarcastiche inviate immancabilmente ogni anno, calcolate per arrivare in coincidenza con il compleanno della figlia che Manfred non ha mai incontrato. La Mafiya musicale? Una lettera-bomba dall'Associazione Americana per il Controllo del Copyright? Ma no, il monitor medico avrebbe strillato come un pazzo se fosse successo qualcosa del genere.
Annette ha organizzato le cose in modo da metterlo al sicuro dai ladri di proprietà intellettuale. Gli ha dato il sostegno di cui aveva bisogno, e lui l'ha aiutata a trovare la sua strada. Prova un caldo senso di felicità ogni volta che pensa a quanto hanno ottenuto insieme. Ma è proprio questo il motivo per cui è preoccupata. Il cane da guardia non ha abbaiato...
Annette chiama un taxi per andare allo Charles de Gaulle. Quando arriva ha già utilizzato la sua carte parlamentare per accaparrarsi un posto in executive già prenotato sul prossimo A320 per Turnhouse, l'aeroporto di Edinburgo, e prenotare l'alloggio e il trasporto all'arrivo. L'aereo sta salendo sopra la Manica prima che capisca l'importanza dell'ultimo commento di Gianni. Pensava forse che il Collettivo Franklin potrebbe essere pericoloso per Manfred?

Il pronto soccorso dell'ospedale ha una sala d'aspetto con sedili pieghevoli di plastica verde e rendering sottrattivi bidimensionali, fatti da preadolescenti attaccati alle pareti come surreali sculture Lego. C'è un grande silenzio, la larghezza di banda disponibile tutta sequestrata per i monitor medici; ci sono bambini che piangono, sirene che periodicamente ululano mentre arrivano le ambulanze, e gente che chiacchiera tutt'intorno, ma per Manfred è come stare sul fondo di una profonda piscina di silenzio. Si sente fatto, solo che quella particolare droga non porta alcuna euforia né senso di benessere. I venditori da corridoio urlano, accanto al botteghino arrugginito del servizio volontario, per reclamizzare kebab di piccione; telecamere di servizio osservano le sacche da bivacco dei casi cronici allineati vicino alla postazione dell'infermeria. Da solo nella sua testa, Manfred è spaventato e confuso.
«Non la posso ammettere se non mi firma il modulo di riservatezza», dice l'infermiere addetto allo smistamento, muovendo un antico palmare verso il viso di Manfred. L'assistenza del Servizio Sanitario Nazionale, il NHS, è ancora gratuita, ma sono stati presi provvedimenti per ridurre l'incidenza degli scandali: «Firmi la clausola di non divulgazione qui e qui, o l'internista non la visiterà».
Manfred alza lo sguardo velato verso il naso dell'infermiere, che è rosso e leggermente infiammato da un'infezione nosocomiale. I suoi telefoni stanno di nuovo litigando e non riesce a ricordare perché; di solito non fanno così. Ci dev'essere qualcosa che manca, ma è difficile pensarci. «Perché sono qui?» chiede per la terza volta.
«Firmi». Gli viene infilata una penna in mano. Mette a fuoco la pagina e si drizza quando scattano riflessi profondamente canalizzati.
«Questo è furto di diritti umani! Qui dice che al contraente della seconda parte viene proibito di rivelare informazioni relative alla gestione delle operazioni, le procedure di smistamento e i processi della suddetta istituzione sanitaria, cioè voi, a terzi, cioè i media pubblici, pena la confisca dei benefici sanitari in conformità alla sezione due dell'Atto di Riforma del Servizio Sanitario. Non posso firmarlo! Potreste riprendervi il mio rene sinistro se postassi in rete dicendo quanto tempo sono rimasto in ospedale!».
«E allora non firmi». L'infermiere eunuco scrolla le spalle, si tira un po' su il sari e se ne va. «Si goda l'attesa!».
Manfred tira fuori il suo telefono di riserva e osserva il display. «Qui c'è qualcosa che non va». La tastiera emette vari bip mentre vi inserisce laboriosamente alcuni codici operativi. Quest'azione lo porta dentro un antico PAD X.25 ormai fuori moda, dandogli un vago e inquietante ricordo che fornisce indizi su dove può arrivare partendo da qui - fondamentalmente nelle interiora da lungo tempo decommissionate dell'NHSNet - ma i ricordi causano un errore di pagina e muoiono da qualche parte fra le punte delle dita e il momento della comprensione. È una sensazione frustrante: il suo cervello è come il motore di un'antica automobile con le candele bagnate, che gira e gira senza accendersi.
Il venditore di kebab vicino alla fila unita di sedili dove si trova Manfred butta un cubetto standard sulla griglia; la carne comincia a fare fumo blu, aromatico e con sentore di erbe, cannabinoidi per indurre tranquillità e appetito. Manfred annusa due volte, poi si alza in piedi barcollando e si avvia alla ricerca della toilette, con la testa che gli gira. Borbotta al suo orologio da polso: «Pronto, Guatemala? Passatemi la posologia, per favore. Cliccate lungo il mio albero memetico, sono confuso. Oh, merda. Chi ero? Cos'è successo? Perché è tutto sfuocato? Non trovo gli occhiali...·».
Un gruppo di turisti giornalieri sta lasciando il reparto lebbrosi, uomini e donne vestiti con abbigliamento anacronistico: uomini in scuro, donne in lungo. Indossano tutti guanti usa e getta e mascherine di colore blu elettrico. Da loro emanano ronzii e crepitìi di banda passante criptata, e Manfred si volta istintivamente per seguirli. Escono dal pronto soccorso passando per l'uscita per le sedie a rotelle, due signore scortate da tre gentiluomini, con un profugo demente e afflitto del Ventunesimo secolo che si trascina dietro di loro in preda alle vertigini. Sono tutti giovani, nota vagamente Manfred. Dov'è la mia gatta? Aineko potrebbe riuscire a dare un senso a tutto questo, se fosse interessata.
«Direi piuttosto che dovremmo ritirarci presso la sede del circolo sportivo», dice un giovane corteggiatore. «Oh, si! Per favore!» cinguetta la sua bassa compagna bionda battendo le mani; poi si toglie irritata gli anacronistici guanti di plastica per rivelare guanti senza dita di merletto cablato con sensori posizionali. «Questa escursione è stata evidentemente improduttiva. Se il nostro contatto è qui, non vedo alcun modo semplice per localizzarlo senza infrangere il segreto professionale o dare una mancia sostanziosa».
«Quei poverini», mormora l'altra donna, guardando di nuovo verso il lebbrosario. «Che modo umiliante di morire».
«È colpa loro: se non avessero preso parte all'abuso di antibiotici non si troverebbero nel reparto di isolamento», dice con tono di disapprovazione un ragazzo sui vent'anni con i basettoni e le maniere di un pater familias precoce. Batte il bastone da passeggio sul pavimento per sottolineare il discorso, poi si fermano tutti per far passare un gruppo di ciclisti e un risciò, prima di attraversare la strada in direzione del parco dei Meadows. «Se degenera l'osservanza delle medicazioni, degenera il sistema immunitario».
Manfred si ferma a esaminare l'erba, con il cervello che va a mille mentre analizza la dimensionalità frattale delle foglie. Poi scatta dietro di loro, facendosi quasi travolgere da un bus turistico a volano. Club. I suoi piedi colpiscono il suolo, lo attraversano, si abbattono su tre miliardi di anni di evoluzione vegetativa. C'è qualcosa in quelle persone. Sente una strana bramosia, un tropismo per le informazioni. In pratica, di lui è rimasto quasi solo questo, la vorace sete di sapere. La donna alta dai capelli scuri si tira un po' su la gonna lunga per tenerla fuori dal fango. Lui vede un lampo di sottovesti iridescenti che oscillano come olio sull'acqua, indossate su stivali da combattimento vecchio stile. Non vittoriani, dunque: qualcos'altro. Sono venuto qui per vedere. Ha il nome sulla punta della lingua. Quasi. Sente che ha qualcosa a che fare con quelle persone.
La squadra attraversa i Meadows lungo un percorso alberato, e arriva alla facciata di un edifìcio del Diciannovesimo secolo, con larghi scalini e un campanello di ottone lucidato. Entrano, e l'uomo con i basettoni si ferma sulla soglia e si volta verso Manfred. «Ci ha seguito sin qui», dice. «Desidera entrare? Potrebbe trovare ciò che cerca».
Manfred lo segue con le ginocchia tremanti, e con una paura disperata di ciò che ha dimenticato.

Nel frattempo, Annette è impegnata a interrogare la gatta di Manfred.
«Quand'è stata l'ultima volta che hai visto tuo padre?».
Aineko gira la testa dall'altra parte e si concentra a lavarsi l'interno della zampa sinistra. Ha il pelo vivido e fitto, piacevolmente disegnato eccetto per il vistoso URL del produttore che le spicca sui fianchi, ma la bocca non produce saliva, la gola non si apre su uno stomaco, né su dei polmoni. «Vai via», dice. «Ho da fare».
«Quando è stata l'ultima volta che hai visto Manfred?» ripete la donna insistendo. «Non ho tempo per queste cose. La polizia non lo sa. I servizi medici non lo sanno. È fuori rete e non risponde. Quindi, che mi puoi dire tu?».
Aveva impiegato esattamente diciotto minuti per localizzare l'albergo di Manfred, una volta giunta nell'area arrivi dell'aeroporto e controllato il banco per le prenotazioni alberghiere del terminal: conosce le sue preferenze. Le ci era voluto leggermente di più a convincere il concierge a lasciarla entrare in camera. Ma Aineko si stava dimostrando più recalcitrante del previsto.
«Artificial Intelligence Neko modello due alfa richiede regolarmente fermo macchina per manutenzione», dice pomposamente la gatta. «Tu lo sapevi quando mi hai comprato questo corpo. Che ti aspettavi, che un pezzo di carne fosse attivo e affidabile il 99,999 per cento del tempo? Vai via, sto pensando». La lingua raspa, poi si ferma mentre delle microsonde nella parte inferiore rimpiazzano i peli caduti durante la giornata.
Annette sospira. Manfred ha continuato ad aggiornare quella gatta robotica per anni, e anche la sua ex moglie Pamela pasticciava con la sua configurazione neurale: questo è il suo terzo corpo, e sta diventando sempre più realisticamente non-cooperativo a ogni aggiornamento dell'hardware. Prima o poi esigerà una lettiera e inizierà a vomitare sul tappeto. «Annullamento comando», dice la donna. «Scarica il log degli eventi sul mio teatro cartesiano, da meno otto ore al presente».
La gatta ha un fremito e si volta a guardarla. «Troia umana!» sibila. Poi si blocca sul posto mentre l'aria si riempie di un lucente, silenzioso tsunami di dati. Sia Annette che Aineko sono cablate per una connessione ottica ad ampio spettro e ad alta banda passante; un osservatore vedrebbe gli occhi della gatta e un anello sulla mano sinistra della donna che si lanciano bagliori blu-bianchi. Dopo pochi secondi, Annette annuisce tra sé e agita in aria le dita, navigando in una sequenza di tempo che può vedere solo lei. Aineko le soffia contro risentita, poi si alza e se ne va impettita, con la coda ritta in alto.
«Curioso, sempre più curioso», canticchia fra sé Annette. Intreccia le dita, premendo oscuri punti di pressione su nocche e polsi, poi sospira e si strofina gli occhi. «È uscito di sua volontà, sembrava normale», dice alla gatta. «Chi hai detto che andava a incontrare?». La gatta si siede nel fascio di luce che entra dall'alta finestra di vetro, dandole apposta la schiena. «Merde. Se non vuoi aiutarlo...».
«Prova al Grassmarket», dice imbronciata la gatta. «Ha parlato di un incontro con il Collettivo Franklin lì vicino. Sai quanto gli gioveranno...».

Un uomo con indosso pantaloni da combattimento cinesi di seconda mano e un paio di occhiali tremendamente costosi rimbalza su per una rampa di umidi gradini in pietra, sotto una chiave di volta che informa che l'edifìcio è un ostello dell'Esercito della Salvezza. Bussa alla porta, la voce quasi azzerata dalla coppia di MiG della Società per la Rievocazione della Guerra Fredda che ronzano sul castello più avanti sulla strada: «Aprite, idioti! Ho un affare per voi!».
Uno spioncino, inserito nella porta a livello degli occhi, scorre di lato e un paio di sferiche telecamere con gli occhi neri lo guardano. «Chi sei e cosa vuoi?» gracchia l'altoparlante. Non fanno parte dell'Esercito della Salvezza; in Scozia il Cristianesimo è profondamente fuori moda da qualche decennio, e la chiesa che occupa attualmente l'edifìcio si è di certo tenuta al passo con i tempi, nello sforzo di rimanere attuale.
«Sono Macx», dice. «Avete avuto notizie dai miei sistemi. Sono qui per offrirvi un affare che non potete rifiutare». O almeno è questo che i suoi occhiali gli dicono di dire: ciò che gli esce dalla bocca suona con un accento più prettamente scozzese. Gli occhiali non hanno avuto tempo sufficiente per lavorare sul suo accento. Nel frattempo, è talmente pieno di sé che schiocca le dita e fa una piccola danza d'impazienza sull'ultimo scalino.
«Sì, be', aspetta un minuto». La persona dall'altra parte dell'interfono ha quell'accento da vetro molato del Momingside che fa sembrare più inglesi del re, pur rimanendo dialetto scozzese. La porta si apre e Macx si trova di fronte a un uomo alto e leggermente cadaverico, con indosso un abito di tweed che ha visto giorni migliori e un collare clericale tagliato da una traslucida scheda di circuiti. Il volto è quasi nascosto dietro un paio di occhialoni da registrazione. «Chi hai detto di essere?».
«Sono Macx! Manfred Macx! Sono qui con un'opportunità da non credere. Ho la risposta alla situazione finanziaria della vostra chiesa. Vi renderò ricchi!». Gli occhiali suggeriscono e Macx parla.
L'uomo sull'uscio inclina leggermente la testa, con gli occhiali che esaminano Macx dalla testa ai piedi. Macx salta entusiasta su e giù, spruzzando getti di prodotti di combustione fuori dai tacchi. «Sei sicuro che questo sia l'indirizzo giusto?» chiede preoccupato.
«Sì. Sono sicuro».
Il ministro arretra e rientra nell'ostello: «Be', allora vieni, mettiti seduto e dimmi tutto».
Macx piomba nella sala con il cervello spalancato a una tempesta di grafici a torta e curve di crescita, documenti che si generano nel bizzarro spazio delle fasi del suo software di gestione aziendale. «Ho un affare a cui non riuscirete a credere», legge, scivolando davanti a bacheche sulle quali sono state affisse circolari della Chiesa a morire come farfalle esotiche, passando sopra tappeti arrotolati e pile di laptop avanzati da una vendita di beneficenza, oltre il radiotelescopio devozionale che funge anche da vaschetta per gli uccellini del giardino della signora Muirhouse. «Siete stati qui per cinque anni e i vostri conti pubblici mostrano che non state facendo molti soldi, a malapena riuscite a pagare l'affitto. Ma siete azionisti della Scottish Nuclear Electric, giusto? La maggior parte dei fondi della chiesa è sotto forma di un fondo fiduciario lasciato da una delle vostre congreghe quando è andata a unirsi al punto omega, giusto?».
«Ehm...». Il ministro lo guarda in uno strano modo. «Non posso fare commenti sui fondi fiduciari d'investimento escatologici della chiesa. Come ti è venuto in mente?».
In qualche modo arrivano all'ufficio del ministro. Un enorme rendering incorniciato è appeso sopra lo schienale della sua logora poltrona: il cosmo collassante della Fine dei Tempi, ammassi galattici che marciscono con le sfere di Dyson dell'eschaton che precipita verso il Big Crunch. Tipler, il Santo Astrofisico, si teletrasporta giù dall'alto con approvazione paterna, con un anello di quasar a formargli un alone intorno alla testa. Dei poster proclamano il nuovo vangelo: LA COSMOLOGIA È MEGLIO CHE TIRARE A INDOVINARE, e VIVETE IN ETERNO ENTRO IL MIO CONO DI LUCE. «Ti posso offrire qualcosa? Una tazza di tè? Un punto di carica per le cellule a carburante?» chiede il ministro.
«Metacristalli?» chiede speranzoso Macx. Ha un'espressione delusa quando il ministro scuote la testa per giustificarsi. «Ah, non ti preoccupare, stavo solo scherzando». Si china in avanti: «So tutto delle speculazioni che fate sui future del plutonio», sibila. Con un dito tocca i suoi occhiali rubati, in un gesto minaccioso. «Questi non registrano e basta, questi pensano. E io so dove vanno i soldi».
«Che cos'hai?» chiede gelido il ministro, senza più mostrare la minima traccia di buonumore. «Dovrò eliminare queste memorie, bastardo. Pensavo di aver dimenticato tutto questo. Adesso pezzi di me non si potranno riunire con il dio alla fine del tempo, grazie a te».
«Non agitarti. Che senso ha salvare tutto se non hai una vita che valga la pena di essere vissuta? Ti rendi conto che il superpotente non capirà che c'è una festa?».
«Che cosa vuoi?».
«Be'...». Afflitto, Macx si appoggia di nuovo all'indietro. «Ho...». Si interrompe. Un'espressione di estrema confusione gli guizza sul viso. «Ho delle aragoste», annuncia alla fine. «Aragoste geneticamente modificate uploadate per far funzionare i vostri impianti di riciclaggio dell'uranio». Mentre si fa sempre più confuso, il controllo del suo accento da parte degli occhiali comincia a diminuire. «Volevo aiutarvi facendovi vedere come riprendervi i soldi...». Una pausa strategica. «Così da farvi pagare in tempo la tassa municipale sugli immobili. Vede, le aragoste sono resistenti ai neutroni. No, non può essere. Ti stavo vendendo una cosa che potevi usare», il suo viso ricade in una smorfia di disgusto, «gratis?».
Circa trenta secondi dopo, mentre si tira su dai gradini davanti alla Prima Chiesa Riformata di Tipler, Astrofisico, l'uomo che volle farsi Macx si ritrova a pensare che forse queste stronzate finanziarie non sono così facili come si dice in giro. Nei suoi occhiali, alcuni agenti si chiedono se delle lezioni di eloquenza possano essere la risposta, altri non sono cosi ottimisti.

Tornando alla lezione di storia, le prospettive per il decennio appaiono per lo più mediche.
Alcune migliaia di anziani nati durante il boom demografico stanno convergendo su Teheran per Woodstock Quattro. L'Europa cerca disperatamente di importare infermieri e collaboratori domestici est-europei; in Giappone, interi villaggi agricoli rimangono vuoti e avviati alla rovina, comunità fantasma completamente prosciugate mentre le città succhiano via le persone come buchi neri residenziali.
Nel Midwest americano, una voce si sta spargendo in tutte le comunità chiuse per anziani, lasciandosi dietro caos e rivolte: la senescenza è causata da un lento virus codificato nel genoma dei mammiferi, non sradicato dall'evoluzione, e dei ricchi miliardari sono seduti sui diritti per un vaccino. Come al solito, Charles Darwin si prende più colpe di quanto gli spetterebbe. (Alcuni trattamenti per la vecchiaia meno spettacolari ma più realistici - ricostruzione dei telomeri e riduzione delle proteine denaturate da zuccheri esosi - sono disponibili in cliniche private per chi è disposto a rinunciare alla pensione). Si prevede a breve un'accelerazione del processo, man mano che i brevetti fondamentali nella manipolazione del genoma cominceranno a scadere; la Free Chromosome Foundation ha già pubblicato un manifesto auspicante la creazione di un genoma libero da proprietà intellettuale con sostituzioni avanzate per tutti gli esoni solitamente difettosi.
Gli esperimenti per digitalizzare e far girare wetware neurale sotto emulazione sono ben radicati; alcuni libertari radicali affermano che, con il maturare della tecnologia, la morte - con la sua limitazione draconiana dei diritti di proprietà e di voto - diverrà il problema più grande nel campo dei diritti civili.
Per un piccolo compenso extra, la maggior parte delle polizze assicurative veterinarie copre ora la clonazione degli animali domestici nel caso di dolorosa morte accidentale. La clonazione umana, per ragioni su cui nessuno ha più le idee chiare, è ancora illegale nella maggior parte delle nazioni sviluppate, ma pochissimi sistemi giudiziari spingono per l'aborto obbligatorio dei gemelli identici.
Alcune merci sono costose: il prezzo del petrolio greggio ha sfondato gli ottanta euro al barile e sta salendo inesorabilmente. Altre merci sono a buon mercato: i computer, per esempio. Gli hobbisti stampano bizzarre nuove architetture sulle stampanti a getto d'inchiostro di casa; le persone di mezza età si puliscono il didietro con una carta diagnostica che può svelare quale tendenza abbia il loro colesterolo.
Le vittime più recenti della marcia del progresso tecnologico sono: il negozio di vestiti di alto bordo, il WC con lo sciacquone, il carro armato d'assalto e la prima generazione di computer quantici. Con la nuova decade sono arrivati economici sistemi immunitari potenziati, impianti cerebrali che si agganciano direttamente all'organo di Chomsky e parlano con i proprietari tramite i loro stessi centri della parola, e diffusa paranoia pubblica riguardo lo spam limbico. La nanotecnologia si è frantumata in una dozzina di discipline separate, e gli scettici predicono che si esaurirà entro breve. I filosofi hanno ceduto qualia (unità minime di coscienza) agli ingegneri, e l'attuale, difficile problema nell'IA è far provare imbarazzo al software.
Naturalmente l'energia da fusione è ancora lontana cinquant'anni.

I Vittoriani mutano forma e diventano gotici di fronte agli occhi, in preda a shock culturale, di Manfred. «Sembravi perso», spiega Monica, chinandosi curiosa su di lui. Cosa ti è successo agli occhi?».
«Non vedo molto bene», tenta di spiegare Manfred. È tutto sfocato, e le voci che solitamente gli chiacchierano incessantemente nella testa si sono lasciate dietro soltanto un silenzio assordante. «Cioè, qualcuno mi ha scippato. Mi hanno preso...». La sua mano si chiude in aria: gli manca qualcosa dalla cintura.
Monica, la donna alta che aveva visto la prima volta in ospedale, entra in camera. Quello che indossa dentro casa è aderentissimo e iridescente e, inquietantemente, lei afferma che si tratta di un'estensione distribuita del suo neuroectoderma. Spogliata dell'equipaggiamento da recita in costume, è un'adulta del Ventunesimo secolo, nata o decantata dopo il boom demografico. Agita le dita in faccia a Manfred: «Quante?».
«Due». Manfred tenta di concentrarsi. «Cosa...».
«Niente commozione cerebrale», dice lei bruscamente. «Scusami, chiamo un cercapersone». La donna ha gli occhi marroni, con linee di scansione ambra che le sfarfallano nelle pupille. Lenti a contatto? si chiede Manfred, con la testa che gli scoppia, innaturalmente lenta. È come essere ubriachi, solo che è molto meno piacevole: sembra non riuscire più ad avvolgere la sua testa intorno a un'idea da tutti gli angoli contemporaneamente. È così che una volta era la coscienza! È una sensazione brutta e lenta. Lei gli volta le spalle: «La Medline dice che tra un po' starai bene. Il problema principale è la perdita d'identità. C'è un tuo backup da qualche parte?».
«Tenga». Alan, ancora con cilindro e basettoni, porge un paio di occhiali a Manfred. «Prenda questi, le potrebbero essere di qualche giovamento». Il suo cappello di seta si agita, come se avesse uno strano esperimento di vita artificiale annidato sotto la tesa.
«Oh. Grazie». Manfred allunga la mano e li prende con un patetico senso di gratitudine. Appena li indossa, eseguono una serie di test, sussurrando domande e osservando come i suoi occhi mettono a fuoco. Un minuto dopo, la stanza attorno a lui si ripulisce, mentre le lenti costruiscono un'immagine sintetica per compensare la sua miopia. Nota che c'è anche un limitato accesso alla rete, un tiepido senso di sollievo che lo avvolge. «Vi dispiace se chiamo qualcuno?» chiede. «Voglio dare una controllata ai miei backup».
«Si accomodi pure». Alan infila la porta e scivola via; Monica si siede di fronte a lui e fissa qualche spazio interno. La stanza ha un soffitto alto, con le pareti imbiancate e scuri di legno a coprire i bovindi di aerogel. Il mobilio è modulare moderno e cozza terribilmente con l'architettura originale del Diciannovesimo secolo. «Ti stavamo aspettando».
«Mi stavate...» sposta il discorso con difficoltà: «Ero qui per vedere qualcuno. Qui in Scozia, intendo».
«Noi». Lei cattura deliberatamente lo sguardo dell'uomo. «Per discutere scambi futuri di sapienza con il nostro mecenate».
«Con il vostro...». Strizza gli occhi fino a chiuderli. «Maledizione!. Non mi ricordo. Devo riavere i miei occhiali. Vi prego».
«E i tuoi backup?» chiede lei curiosa.
«Un momento». Manfred cerca di ricordare quale indirizzo pingare. È inutile e dolorosamente frustrante. «Mi sarebbe d'aiuto se riuscissi a ricordare dove tengo il resto della mia mente», si lamenta. «Stava in.... oh, lì».
Un elefantiaco network semantico si siede sui suoi occhiali non appena richiede il sito, schiacciando l'ambiente circostante fino a ridurlo in monocromatico a blocchettoni dal movimento a scatti, una visione che sobbalza mentre si guarda attorno. «Ci vorrà un po'», avverte i suoi ospiti mentre una porzione considerevole della sua metacorteccia tenta di stringere la mano al suo cervello attraverso una connessione di rete senza fili che in realtà era stata progettata solo per navigare sul web. Il download consiste in parti della sua coscienza che non sono critiche per la sicurezza - attori ad accesso pubblico e vaghe farneticazioni di parte - ma chiarisce un enorme castello di memorie, tracciando il profilo di una mappa di miracoli e meraviglie sulle pareti imbiancate della stanza.
Quando Manfred riesce a vedere di nuovo il mondo esterno, si sente un po' più se stesso. Almeno riesce a far partire un thread di ricerca che lo risincronizzerà e aggiornerà su ciò che ha trovato. Ancora non riesce ad accedere ai misteri interiori della sua anima (incluse le memorie personali); sono bloccate e sbarrate in attesa della verifica biometrica della sua identità e di uno scambio di chiavi quantiche. Ma ha di nuovo le sue rotelle... e alcune stanno persino funzionando. È come smaltire una strana droga nuova, la sensazione infinitamente rassicurante di essere di nuovo al controllo della propria testa. «Penso di dover denunciare un crimine», dice a Monica - o a chiunque sia attualmente infilato nella testa di Monica, perché ora sa dove si trova e chi doveva incontrare (ma non il perché) - e comprende che, per il Collettivo Franklin, l'identità è un problema dotato di peso politico.
«La denuncia di un crimine». L'espressione della donna è sottilmente derisoria. «Furto d'identità, per caso?».
«Sì, sì lo so: l'identità è furto, non fidarti di qualcuno il cui vettore di stato non abbia biforcato per più di un gigasecondo, il cambiamento è l'unica costante, eccetera del cazzo. Con chi sto parlando, tra parentesi? E se stiamo parlando, questo non denota che voi pensate che stiamo dalla stessa parte, più o meno?». Si sforza di tirarsi su nella poltrona reclinabile: motori passo-passo ronzano piano mentre la poltrona cerca di accontentarlo.
«La divisione in parti è opzionale». La donna che è Monica per parte del tempo lo guarda in modo bizzarro. «Tende ad alterarsi drasticamente se vari il numero di dimensioni. Diciamo solo che in questo momento preciso sono Monica, più il nostro sponsor. Ti basta?».
«Il nostro sponsor, che sta nel ciberspazio...».
La donna si appoggia all'indietro sul divano, che ronza ed estrude per l'occasione un tavolo con un piccolo bar. «Un drink? Posso offrirti un caffè? Guaranà? O magari una Berlinerweisse, come ai vecchi tempi?».
«Il guaranà andrà bene. Ciao, Bob. Da quanto sei morto?».
Lei ride. «Non sono morto, Manny. Magari non sarò un Upload completo, ma mi sento me stesso». Rotea gli occhi, con coscienza di sé. «Sta facendo commenti volgari su tua moglie. Non te li passerò», aggiunge.
«La mia ex moglie». Manfred la corregge automaticamente. «La, ehm, vamp delle tasse. Allora. Mi sembra di capire che tu faccia da interprete per Bob...».
«Affermativo». Guarda molto seria verso Manfred: «Gli dobbiamo molto, sai. Ha lasciato i suoi beni in amministrazione fiduciaria al movimento assieme ai suoi Parziali. Ci sentiamo in dovere di istanziare la sua personalità ogni volta che sia possibile, anche se si può arrivare solo a un certo punto con un paio di petabyte di registrazioni. Ma abbiamo chi ci aiuta».
«Le Aragoste». Manfred annuisce a se stesso e accetta il bicchiere che lei gli offre. Le sue curve placcate di diamante luccicano brillanti alla luce del sole del tardo pomeriggio. «Lo sapevo che questa cosa aveva a che fare con loro». Si china in avanti, tenendo il bicchiere e si acciglia. «Se solo riuscissi a ricordare perché sono venuto qui! Era un qualcosa di emergente, un qualcosa nella memoria profonda... un qualcosa che non mi fidavo a tenermi nel cranio. Qualcosa che aveva a che fare con Bob».
Si apre la porta dietro il divano ed entra Alan. «Perdonatemi», dice piano, poi si dirige verso l'altro lato della camera. Una postazione di lavoro si spiega dal muro, e una poltrona rolla in posizione da una nicchia di servizio. L'uomo si siede con il mento appoggiato sulle mani, a guardare il pianale bianco della scrivania. Ogni tanto borbotta piano tra sé: «Sì, capisco... il quartier generale della campagna... le donazioni devono essere sottoposte a verifica contabile...».
«La campagna elettorale di Gianni», lo informa Monica.
Manfred ha un sobbalzo. «Gianni...». Un fascio di memorie si sblocca dentro la sua testa, mentre ricorda il messaggio del suo uomo politico di punta. «Sì! Ecco di cosa si tratta. Dev'essere questo!». La guarda agitato. «Sono qui per portare un messaggio per voi da Gianni Vittoria. Riguarda...». Sembra avvilito. «Non ne sono sicuro», divaga incerto, «ma era importante. Qualcosa di critico a lungo termine, a proposito delle menti di gruppo e del voto. Ma il messaggio ce l'ha chiunque mi abbia scippato».

Il Grassmarket è una piazza molto rustica, acciottolata e annidata sotto le merlature di Castle Rock. Annette si trova nel punto in cui erano le forche dove si portavano le streghe per l'esecuzione; invia i suoi agenti invisibili in cerca di tracce di Manfred. Aineko, con eccessiva familiarità, si avvolge sulla sua spalla sinistra come una stola satanica e le manda nell'orecchio un torrente continuo di chiacchiericcio di telefono cellulare e interferenze.
«Non so da dove cominciare», sospira lei, annoiata. Questo posto è una trappola per turisti da cima a fondo, una pianta carnivora dalle molte foglie che digerisce crediti facili e sputa fuori le carcasse rinsecchite dei forestieri. La strada è stata pedonalizzata e ripavimentata con sanpietrini medievali squallidamente autentici; nel mezzo di quello che una volta era il parcheggio, c'è un mercato antiquario galleggiante e permanente, dove si può comprare di tutto, da un braciere di ottone a un antico lettore CD. Molta della mercanzia nei negozi è spazzatura generica, prodotta da aziende on line in lotta per il titolo di souvenir nippo-scozzese più terribile: tartan di Puroland, Nessie animatronici che sibilano scorbuticamente all'altezza delle ginocchia, computer portatili di seconda mano. La gente sciama da tutte le parti, dai pub a tema (pare che da queste parti le impiccagioni siano la barzelletta di moda) ai costosi negozi di abiti con i loro renderer di tessuti e specchi digitali. Gli artisti di strada, che fanno parte del Fringe galleggiante, affollano i marciapiedi: un mimo robotico, molto tradizionale, con la vernice argentata in volto, imita i gesti dei passanti con movimenti ironicamente stilizzati.
«Prova la bandiera», suggerisce Aineko dal riparo della sua borsa da spalla.
«La...». Annette ci mette un po' a capire, mentre il suo dizionario dei sinonimi e contrari cospira con il suo open firmware governativo e gli scarica un database geografico di servizi sociali cittadini nel sensorium. «Oh, capisco». Il Grassmarket vero e proprio è da turisti, ma le parti al margine di uno dei lati - lungo un trasandato canyon di repellenti edifici di pietra alti sei piani - sono decisamente a buon mercato. «D'accordo».
Annette si insinua e oltrepassa un banco che vende telefoni cellulari usa e getta ed esploratori di genoma anche più economici, gira intorno a un gruppo di ragazze adolescenti nelle grinfie di un qualche tipo di feticismo kawaii d'importazione, che la guardano allarmate sugli zatteroni rosa - probabilmente scambiandola per un'ispettrice disciplinare della scuola - e oltrepassa un chiosco di biciclette incatenate e parcheggiate. L'attendente umana ha l'aria annoiata al massimo. Annette le infila in tasca una banconota blandamente anonima da dieci euro quasi prima che se ne accorga: «Se volesse andare a comprarsi una bici di quelle forti», domanda, «dove si recherebbe?». L'attendente al parcheggio ha lo sguardo fisso, e per un attimo Annette pensa di averla sopravvalutata. Poi lei mormora qualcosa. «Come?».
«Da McMurphy. Si chiamava Bannerman. Giù per il Cowgate, da quella parte». La ragazza del tachimetro guarda con ansia la rastrelliera che ha in carico. «Non ha...».
«Uh-huh». Annette segue il suo sguardo: proprio lungo il canyon di pietra scura. Be', d'accordo. «Sarà meglio che ne valga la pena, Manny mon cher», borbotta sussurrando.
McMurphy è un finto pub irlandese, una grotta di pietra costruita sotto un mucchio di uffici monotoni. Una volta era un vero pub irlandese, prima che gli sviluppatori ci mettessero le mani sopra e lo mutassero in rapida successione in un locale punk, un wine bar e una finta caffetteria olandese; dopodiché, esausto come qualsiasi stella, abbandonò la sequenza principale. Adesso occupa un'esistenza innaturalmente prolungata, fredda, sotto forma di imitazione riciclata di pub irlandese, con quadrifogli al neon pendenti dalle travi di pino artificialmente annerite sopra tavoli di tronchi... in altre parole, la seconda vita da nana nera esausta di quello che una volta era un locale serio per bere. A un certo punto, la cantina delle birre è stata rimpiazzata da un bagno (lasciando più spazio per i clienti paganti al piano di sopra), e ora le spine distribuiscono succo concentrato gassato diluito con l'acqua delle tubature cittadine.
«Di', l'hai sentita quella dell'eurocrate con la miciotta robot che va in un pub equivoco sul Cowgate e ordina una Coca? E quando arriva, lei dice: "Ehi, dov'è lo specchio?"».
«Zitta», sibila Annette alla sua tracolla. «Non fa ridere». La sua telemetria personale anti intrusione ha appena comunicato via e-mail con il suo telefono da polso, e mostra un punto esclamativo giallo rotante, intendendo che secondo le statistiche sul crimine pubblicate dalla polizia, è probabile che questo posto nuoccia gravemente ai suoi premi assicurativi.
Aineko guarda in su dalla sua cuccia nella borsa e sbadiglia cavernosamente, scoprendo una rosea bocca a coste e una lingua simile a un tessuto scamosciato rosa. «Mi vuoi far stare zitta? Ho appena pingato la testa di Manny. La latenza sul network era insignificante».
La barista le scivola davanti e fa di tutto per non guardare Annette negli occhi. «Prendo una Diet Coke», ordina. Poi dice verso la borsa, con voce più profonda: «L'hai sentita quella dell'eurocrate che va in un pub equivoco, ordina mezzo litro di Diet Coke e quando la versa nella borsa da spalla dice: "Oops, ho la miciotta bagnata"?».
Arriva la Diet Coke. Annette paga. Ci saranno un paio di dozzine di persone nel pub; è difficile a dirsi perché ha l'aspetto di un'antica cantina, con tante arcate di pietra che portano a nicchie piene di panche da chiesa di seconda mano e tavoli graffiati da coltelli. Piegati su un tavolo ci sono dei ragazzi che potrebbero essere motociclisti, studenti o alcolizzati ben vestiti: hanno i capelli lunghi e indossano giubbotti con troppe tasche, in una bohème furbetta che fa strabuzzare gli occhi ad Annette, finché uno dei suoi programmi letterari non la informa che uno di loro è uno scrittore locale moderatamente famoso, un po' un guru per il partito dello spazio e della libertà. In un angolo c'è una coppia di donne con stivali e cappelli di pelliccia, concentrate sul menù, mentre in un séparé alcuni artisti di strada sono chinati sulle loro birre. Nessun altro indossa un capo vagamente simile all'abbigliamento da ufficio, ma il coefficiente di bizzarria è al di sopra della media, così Annette imposta gli occhiali su extra-scuro, si raddrizza la cravatta e si guarda intorno.
La porta si apre e un giovanotto dall'aria insignificante sgattaiola dentro. Indossa un'ampia uniforme da guerra, un cappello di lana e un paio di stivali che hanno il tipico aspetto essence de panzer division, tutti ammortizzatori e pannelli di kevlar grigio-verde. Indossa...
«Spio con il mio piccolo kit di rilevamento di intrusioni nel network», comincia la gatta, mentre Annette posa il drink e si muove verso il giovanotto, «qualcosa che inizia con...».
«Quanto vuoi per gli occhiali, ragazzo?» chiede lei con voce calma.
Lui si agita e quasi sobbalza (pessima idea con indosso gli stivali da combattimento su specifica militare: il soffitto è di pietra spessa mezzo metro del Diciottesimo secolo). «Cazzo, non fare così», si lamenta in modo misteriosamente familiare, «Ah...». Inghiotte. «Annie! Chi...».
«Stai calmo. Togliteli, non ti procureranno che dolore se continui a portarli», dice lei, facendo attenzione a non muoversi troppo velocemente perché ora ha una seconda paura, panico, e sa senza dover guardare l'orologio che il punto esclamativo è diventato rosso e ha cominciato a lampeggiare. «Ascolta, ti darò duecento euro in contanti per gli occhiali e il marsupio, non ti chiederò come li hai ottenuti e non lo dirò a nessuno». Lui è impietrito di fronte a lei, ipnotizzato, e la donna riesce a vedere la luce che dall'interno delle lenti gli si riversa sulle guance da adolescente mezzo morto di fame, lampeggiando come fulmini freddi, come se avesse collegato il cervello a una griglia; deglutendo con la bocca improvvisamente secca, la donna si avvicina lentamente, gli strappa via gli occhiali dal viso con una mano e agguanta il marsupio con l'altra. Il ragazzo ha un tremito e la guarda battendo le palpebre, e lei gli piazza un paio di biglietti da cento euro davanti al naso. «Fila», gli dice in tono abbastanza cortese.
Lui alza la mano lentamente, poi afferra il denaro e scappa. Si precipita fuori dalla porta con uno schianto che ottura le orecchie, gira a sinistra sulla pista ciclabile e sparisce giù per la collina, verso gli edifici del parlamento e il complesso universitario.
Annette guarda con apprensione la porta. «Dov'è lui?» sibila preoccupata. «Qualche idea, gatta?».
«No. È il tuo lavoro trovarlo», opina Aineko con compiacenza. Ma Annette si sente gelare la spina dorsale come un ghiacciolo a causa dell'ansia. Manfred è rimasto separato dalla sua cache di memoria? Dove può essere? E peggio, chi può essere?
«Vaffanculo anche a te», brontola la donna. «C'è solo una cosa da fare, credo». Si toglie gli occhiali - molto meno funzionali del dispositivo personalizzato di Manfred, enormemente ramificato - e si solleva nervosamente al volto le lenti ritrovate. In ciò che sta per fare, c'è qualcosa che la fa sentire sporca, come ficcare il naso nelle cartelle di posta elettronica di un amante. Ma in quale altro modo scoprire dove potrebbe essere andato?
Si infila gli occhiali e cerca di ricordarsi cosa stava facendo ieri a Edinburgo.

«Gianni?».
«Oui, ma chérie?».
Pausa. «L'ho perso. Ma ho ritrovato i suoi aide-mémoire. Un adolescente scroccone ci stava giocando a fare il cyberpunk. Nessuna traccia sulla sua posizione, così me li sono messi».
Pausa. «Oh, cielo».
«Gianni, perché esattamente lo hai mandato dal Collettivo Franklin?».
Pausa. (Durante la quale, il freddo del muro grezzo di pietra al quale si è appoggiata inizia a penetrare il tessuto della giacca). «Non vorrei annoiarti con dettagli insignificanti».
«Merde. Non sono dettagli, Gianni, quelli sono Accelerazionisti. Hai idea di cosa faranno alla sua testa?».
Pausa. Poi un grugnito, quasi di dolore. «Sì».
«E allora perché l'hai fatto?» chiede lei con veemenza. Si piega in avanti, sputando parole nel telefono, così che gli altri passanti la evitino, non sapendo se stia utilizzando il vivavoce o se sia in preda alle allucinazioni. «Cazzo, Gianni, tocca a me raccogliere i pezzi ogni volta che fai così! Manfred non è un uomo in buona salute, è sempre sull'orlo di uno shock acuto da futuro e non scherzavo quando ti ho detto a febbraio scorso che gli sarebbe servito un mese in clinica se tu avessi provato un'altra volta a spingerlo al massimo! Se non stai attento, potrebbe finire col mollare completamente e unirsi al borganismo...».
«Annette». Un sospiro profondo. «Lui è la speranza migliore che abbiamo. Lo so che la semivita di un catalizzatore agalmico adesso è scesa a sei mesi ed è in calo; Manny ha superato la sua aspettativa di carriera, quattro deviazioni al di fuori della norma, sì, questo lo sappiamo. Ma io devo spezzare l'impasse dei diritti civili adesso, a queste elezioni. Dobbiamo ottenere consensi, e Manfred è l'unico che abbiamo nello staff che abbia speranza di parlare al Collettivo sul loro terreno. È un messaggero per stringere affari, non per forzarlo a bruciarsi, giusto? Ci serve una riserva nella coalizione prima del blocco per la scadenza del mandato seguito da un ingorgo a Bruxelles, all'americana. È più che vitale... è essenziale».
«Non è una scusa...».
«Annette, loro hanno un upload parziale di Bob Franklin. L'hanno ottenuto prima della sua morte, c'è abbastanza della sua personalità per reistanziarla, in time-sharing, nei loro cervelli. Dobbiamo portare il Collettivo Franklin, con le sue enormi risorse, a fare lobbying per l'Emendamento per i Diritti Uguali: se l'EDU passa, tutti i senzienti avranno diritto di voto, di proprietà, di upload, download e sideload. Sono più importanti dei pederasti grigi con lo speculum freddo: l'intero futuro dipende da questo. Manny ha iniziato la questione con i diritti dei crostacei. Lascia gli Upload sotto la copertura del copyright e non dei diritti civili, e dove andremo a finire nel giro di cinquant'anni? Credi che debba ignorare tutto questo? Era importante già allora, ma adesso, con le trasmissioni che hanno ricevuto le aragoste...».
«Cazzo». La donna si volta e poggia la fronte sulla fredda pietra. «Avrò bisogno di una medicina. Ritalin o qualcosa del genere. E la sua posizione. Lascia fare a me il resto». Non aggiunge che il resto include raschiarlo via dal soffitto dopo: già si sa. Né dice: La pagherai. Anche questo è sottinteso. Gianni sarà pure un testardo aggiustatutto politico, ma si prende cura dei suoi.
«Per la posizione siamo a posto se ha trovato l'aggancio. Ecco le coordinate GPS...».
«Non c'è bisogno. Ho i suoi occhiali».
«Merde, come dici tu. Portaglieli, ma chérie. Portami la classifica di fiducia distribuita dell'upload di Bob Franklin, e io porterò la felicità a Bob, il diritto a dirigere ancora il suo io collettivo come se fosse ancora vivo. E toglieremo le castagne diplomatiche dal fuoco prima che si carbonizzino. D'accordo?».
«Oui».
La donna tronca la comunicazione e comincia a camminare su per la collina, lungo il Cowgate (attraverso il quale i contadini una volta portavano le mandrie al mercato), verso il Fringe galleggiante permanente, poi passeggia verso i Meadows. Quando si ferma dall'altra parte rispetto al sito delle forche, scoppia una gazzarra: uno sbronzo paleolitico si ritiene offeso dal mimo robotico che scimmiotta i suoi movimenti, e gli strappa rapidamente un braccio. Il mimo rimane lì, con scintille lampeggianti nella spalla, e sembra confuso. Due studenti dallo sguardo seccato si fanno avanti e prendono a pugni il vandalo dai capelli corti. Si urla molto, nell'accento reciprocamente incomprensibile di Oxgangs e del Laboratorio Robotico Herriott-Watt. Annette osserva la gazzarra e ha un sussulto; è come se le si infiammasse davanti una visione proveniente da un universo in cui l'Emendamento per i Diritti Uguali, con la sua ridefinizione di persona, viene respinto dalla camera dei deputati: un universo dove morire significa diventare proprietà, ed essere creati con un dono di DNA dai genitori significa essere condannati alla schiavitù.
Forse Gianni aveva ragione, pondera lei. Ma vorrei che il prezzo non fosse così personale...

Manfred sente arrivare uno dei suoi attacchi. Sono presenti tutti i soliti sintomi - l'universo, con la sua vasta preponderanza di materia non pensante, diventa un affronto; strane idee balenano come lampi in lontananza, attraverso i vasti altopiani della sua immaginazione - ma, con la sua metacorteccìa che gira precariamente in modalità insicura, si sente stupido. E lento. Persino obsoleto. Quest'ultima è una sensazione benvenuta quanto quella di astinenza da eroina. Non può creare processi perché esplorino i suoi modelli di fattibilità e gli facciano rapporto. È come se qualcuno gli avesse strappato via cinquanta punti dal suo quoziente d'intelligenza; si sente il cervello come un bisturi che è stato usato per abbattere degli alberi. È davvero terribile sentirsi intrappolati all'interno di una mente in decadimento. Manfred vuole uscirne, e lo vuole terribilmente, ma ha troppa paura per dirlo.
«Gianni è un eurosocialista moderato, un politico pragmatico che crede nel mercato misto». Il fantasma di Bob accusa Manfred tramite le labbra tinte di rosso di Monica. «Di certo non è il tipo per cui ci si aspetta che voti, no? Quindi cosa pensa che possa fare per lui?».
«Questo è... ah...». Manfred dondola avanti e indietro nella poltrona, con le braccia incrociate e le mani infilate sotto le ascelle per sentirsi protetto. «Smantellare la luna! Digitalizzare la biosfera, farne una noosfera. Cazzo, scusa, questo è un piano a lungo termine. Costruire sfere di Dyson, tantissime, ehm. Gianni è un ex marxista, del clade dell'alta chiesa riformata trotzkista. Crede nel raggiungimento del Vero Comunismo, che è uno stato di grazia filosofico che richiede alcuni prerequisiti come... mmm... non fare lo stronzo con le Molotov e con la Polizia del Pensiero. Vuole far diventare tutti tanto ricchi che il battibeccare sulla proprietà dei mezzi di produzione abbia senso quanto discutere su chi dormirà nel punto più umido in fondo alla caverna. Lui non è il tuo nemico, voglio dire. È il nemico di quei cani sciolti deviazionisti e stalinisti dell'Ufficio Centrale del Partito Conservatore che vogliono riempire di microspie la tua stanza da letto e dare tutto su un piatto d'argento alle grandi società proprietarie dei fondi pensionistici, che a loro volta hanno ragion d'essere nel contare sul fatto che le persone, prevedibilmente, moriranno. E mmm... cosa più importante, moriranno e non cercheranno di restare aggrappate alle proprietà e ai beni mobili. Drizzandosi seduti nella bara a cantare canzoni estropiche da campeggio, cose del genere. Sono da rimproverare gli attuari, perché predicono l'aspettativa di vita con l'intento di spingere le persone a comperare polizze assicurative con denaro investito nel controllo dei mezzi di produzione (dobbiamo dare la colpa al teorema di Bayes...)».
Alan guarda Manfred da dietro la spalla. «Penso che dargli il guaranà non sia stata una buona idea», dice con un tono di profonda premonizione.
Ormai la modalità vibrazione di Manfred è diventata non-lineare. Sta dondolando avanti e indietro e muovendosi su e giù a piccoli salti, come un tecnofilo pilota yogico che cerca di farsi strada rimbalzando fino alla singolarità. Monica si sporge verso di lui e spalanca gli occhi: «Manfred», sibila, «chiudi il becco!».
Lui smette improvvisamente di borbottare, con un'espressione di grande perplessità. «Chi sono?» chiede, e si lascia cadere all'indietro. «Perché sono io, qui e adesso, a occupare questo corpo...».
«Attacco antropico d'ansia», commenta Monica. «Penso che abbia fatto così ad Amsterdam otto anni fa, quando Bob l'ha incontrato la prima volta». La donna sembra allarmata, con un'identità diversa che affiora. «Cosa dobbiamo fare?».
«Dobbiamo metterlo a suo agio». Alan alza la voce. «Letto, preparati subito». Lo schienale del divano su cui Manfred è disteso si muove verso il basso, la base si allunga e un piumone stranamente animato gli striscia sui piedi. «Ascolta Manny, starai bene».
«Chi sono e qual è il mio significato?» mormora incoerentemente lui. «Una massa di alberi decisionali propagativi, compressione frattale, tante giunzioni sinaptiche lubrificate con endorfine amichevoli...». Dall'altra parte della stanza, la farmacopea clandestina sta aumentando per fabbricare dei forti tranquillanti. Monica si dirige verso la cucina per prendergli qualcosa da bere con cui buttarli giù. «Perché fate questo?» chiede Manfred stordito.
«È tutto a posto. Stenditi e rilassati». Alan si china su di lui. «Parleremo di tutto domattina, quando saprai chi sei». (Da parte, a Monica, che sta entrando nella stanza con una bottiglia di tè ghiacciato: «Meglio far sapere a Gianni che non sta bene. Uno di noi dovrà andare a fare visita al ministro. Sai se Macx è stato ascoltato?»). «Riposa, Manfred. Pensiamo noi a tutto».
Circa quindici minuti dopo, Manfred - che nella morsa di un'emicrania esistenziale obbedisce docilmente all'istruzione di Monica di bere il tè aromatizzato - giace supino sul letto e si rilassa. Il respiro rallenta; il borbottio subliminale cessa. Monica, seduta accanto a lui, allunga una mano e gli prende la destra, che giace sopra le coperte.
«Vuoi vivere per sempre?» intona con la voce di Bob Franklin. «Puoi vivere per sempre in me...».

La Chiesa dei Santi dei Nostri Giorni crede che non si possa entrare nella Terra Promessa a meno che non ti abbia battezzato, ma può farlo, se conosce il tuo nome e la tua stirpe, anche dopo che sei morto. I suoi database genealogici sono tra i reperti più notevoli mai preparati della ricerca storica. E le piace convertire.
Il Collettivo Franklin crede che non si possa arrivare nel futuro a meno che non si sia digitalizzato il proprio vettore di stato neurale, o almeno acquisito la più completa istantanea degli input sensoriali e dei genomi resa possibile dalla tecnologia attuale. Non occorre essere vivi perché lo faccia. La sua società della mente è tra i reperti più notevoli della scienza informatica. E le piace convertire.

Notturno sulla città. Annette è in piedi impaziente sulla porta di casa. «Fammi entrare, cazzo», dice con impazienza al telefono-altoparlante. «Merde!».
Qualcuno apre la porta. «Chi...».
Annette lo spinge all'interno, chiude la porta con un calcio e vi si appoggia. «Portami dal tuo bodhisattva», ordina la donna. «Subito».
«Io...». Lui si volta e si dirige all'interno, lungo il corridoio buio che si snoda superando una rampa di scale. Annette lo segue aggressiva, facendo lunghi passi. L'uomo apre una porta e si infila dentro, e lei lo segue prima che possa chiuderla.
All'interno, la stanza è illuminata da numerose fonti indirette di diodi, calibrate per dare il caldo bagliore della luce del sole di un pomeriggio d'estate. In mezzo c'è un letto, e una figura vi giace addormentata al centro di un insieme di strumenti diagnostici. Una coppia di inservienti siede a ciascun lato dell'uomo addormentato.
«Che cosa gli avete fatto?» chiede subito Annette, correndo in avanti. Manfred batte le palpebre in direzione della donna, con gli occhi arrossati e confusi mentre lei si china su di lui. «Ehi? Manny?». Voltando la testa: «Se gli avete fatto qualcosa...».
«Annie?» Manfred sembra confuso. Sulla fronte ha un paio di occhiali arancione chiaro - non i suoi - che sembrano un paio di meduse spiaggiate. «Non mi sento bene. Se metto le mani sul bastardo che ha fatto questo...».
«Possiamo sistemare la cosa», dice lei rapidamente, evitando di menzionare l'accordo che ha concluso per riavere i ricordi dell'uomo. Si toglie gli occhiali e glieli fa scivolare con cautela sul viso, sostituendo quelli temporanei. Poi gli appoggia accanto alla spalla la sacca cerebrale, in modo che possa raggiungerla con facilità. I peli sulla nuca della donna si sollevano mentre un lieve chiacchierio riempie l'etere intorno a loro: gli occhi di Manfred scintillano di un blu luminoso dietro gli occhiali, come se una scintilla di alta tensione volasse tra le sue orecchie.
«Oh. Uau». Si drizza a sedere, le coperte cadono dalle sue spalle nude e la donna trattiene il respiro.
Annette lancia uno sguardo alla figura immobile seduta alla sinistra di Manfred. L'uomo sulla sedia fa un ironico cenno di assenso con il capo. «Cosa gli avete fatto?».
«Ci siamo presi cura di lui, niente di più, niente di meno. È arrivato in stato di considerevole confusione, e le sue condizioni fisiche sono peggiorate nel pomeriggio».
Lei non ha mai incontrato quell'uomo prima, ma ha la sensazione di conoscerlo. «Tu saresti Robert... Franklin?».
Luomo annuisce di nuovo. «L'avatar è dentro». Si sente un tonfo mentre gli occhi di Manfred ruotano verso l'alto e lui crolla di nuovo sulle lenzuola. «Scusami. Monica?».
La giovane donna dall'altra parte del letto scuote la testa. «No, anch'io sto eseguendo Bob».
«Oh. Be', dillo tu a lei... devo portargli del succo».
La donna, anche lei Bob Franklin - o qualunque parte di lui sia sopravvissuta otto anni prima alla battaglia con un esotico tumore al cervello - nota lo sguardo di Annette e scuote la testa, con un debole sorriso sulle labbra. «Non si è mai da soli quando si è un sincizio».
Annette aggrotta la fronte: deve accedere a un dizionario per fare l'analisi grammaticale della frase. «Un'unica grande cellula, molti nuclei? Oh, capisco. Voi avete il nuovo impianto. Il migliore per registrare tutto».
La giovane scrolla le spalle. «Vuoi morire e venire resuscitata come attore di una terza persona in una ricostruzione a bassa larghezza di banda? Oppure un'ombra di ricordi smaniosi nel cranio di un estraneo?». Sbuffa, un gesto che stona con il resto del suo linguaggio del corpo.
«Bob dev'essere stato uno dei primi borganismi. Umani, intendo. Dopo Jim Bezier». Annette lancia uno sguardo verso Manfred, che ha cominciato a russare leggermente. «Dev'esserci voluto molto lavoro».
«Allora le attrezzature di monitoraggio costavano milioni», dice la donna - Monica? - «e non hanno fatto un ottimo lavoro. Una delle nostre condizioni per mantenere l'accesso ai suoi fondi di ricerca è che eseguiamo regolarmente i suoi Parziali. Voleva costruire una specie di vettore aggregato di stato - messo insieme da pezzetti di altre persone per integrare i Parziali che erano tutto ciò che io - lui - poteva registrare con la tecnologia dell'epoca».
«Eh, giusto». Annette allunga una mano e con fare assente scosta un capello dalla fronte di Manfred. «Com'è fare parte di una mente di gruppo?».
Monica tira su con il naso, evidentemente divertita. «Com'è vedere rosso? Com'è essere un pipistrello? Non posso dirtelo... posso solo mostrartelo. Siamo tutti liberi di andarcene quando vogliamo, sai».
«Ma per qualche motivo non lo fate». Annette si strofina la testa, sentendo i capelli corti sulle cicatrici quasi impercettibili che nascondono una rete di impianti, strumenti che Manfred ha abbandonato quando sono diventati disponibili un paio di anni prima. («La nanotecnologia darwinistica in fase collosa non è progettata per interfacce pulite», aveva detto, «rimarrò con i kit usa e getta, grazie»). «No, grazie. Non credo nemmeno che accetterà la vostra offerta quando si sveglierà». (Sottotitolo: Ve lo lascerò avere dopo che sarete passati sul mio cadavere).
Monica scrolla le spalle. «È lui che ci perde. Non vivrà per sempre nella singolarità, insieme ad altri seguaci del nostro insegnante gentile. In ogni caso, abbiamo più convertiti di quanti ne possiamo gestire».
Ad Annette viene in mente un pensiero. «Ah. Fate tutti parte di un'unica mente? Parzialmente? Una domanda a te è una domanda a tutti?».
«Può essere». Le parole escono temporaneamente da Monica e dall'altro corpo, Alan, che è in piedi sulla porta con una specie di scatola che sembra una diagnostica improvvisata. «Cos'hai in mente?» aggiunge il corpo Alan.
Manfred geme disteso sul letto. Si sente chiaramente un sibilo di rumore rosa mentre gli occhiali gli sussurrano all'orecchio, mentre la conduzione ossea fornisce un'autostrada seriale fino al suo wetware.
«Manfred è stato mandato a scoprire perché vi opponete all'EDU», spiega Annette. «Alcune parti della nostra squadra agiscono all'insaputa di altre».
«Ma davvero». Alan si accomoda sulla sedia accanto al letto e si schiarisce la gola, gonfiando il petto. «Una questione teologica molto importante. Io penso...».
«Io o noi?» lo interrompe Annette.
«Noi pensiamo», ribatte Monica. Poi lancia uno sguardo ad Alan. «Scuuuusa».
L'evidenza dell'individualità all'interno della mente di gruppo disturba Annette. Troppe visioni della fantasia borg hanno condizionato i suoi preconcetti, e il loro credere quasi religioso nella singolarità la lascia fredda. «Prego, continua».
«Una persona, un voto, è obsoleto», dice Alan. «È necessario riesaminare la questione più ampia di come consideriamo l'identità, e dobbiamo riconsiderare il diritto di voto. Si ottiene un voto per ogni corpo caldo? Oppure un voto per ogni individuo senziente? E le intelligenze distribuite? Le proposte nella Legge dei Diritti Uguali contengono molti difetti, basati su un culto dell'individualità che non tiene in considerazione la vera complessità del postumanesimo».
«Come le proposte per il voto alle donne nel Diciannovesimo secolo, che avrebbero garantito il voto alle mogli dei possidenti terrieri», aggiunge Monica ironica, «non tiene conto del punto principale».
«Ah, oui», Annette incrocia le braccia, improvvisamente sulla difensiva. Non era quello che si aspettava di sentire. Questo è il lato elitario del tormentone postumanista, potenzialmente pericoloso per le sue idee post illuministe quanto il diritto divino dei re.
«Non tiene conto di ben più di questo». Le teste si voltano verso una direzione inaspettata: Manfred ha di nuovo gli occhi aperti, e mentre si guarda intorno nella stanza, Annette riesce a vedere una scintilla d'interesse che prima non c'era. «Nel secolo scorso le persone pagavano per farsi congelare la testa dopo la morte, nella speranza di una successiva ricostruzione. Non avevano diritti civili. La legge non riconosceva la morte come un processo reversibile. Adesso come spieghiamo quando voi smettete di eseguire Bob? Vi dissociate dal borganismo collettivo? O magari decidete di prendervi di nuovo parte in seguito?». Allunga una mano e si strofina stancamente la fronte. «Scusate, ultimamente non sono me stesso». Sul suo volto guizza un sorriso sghembo e leggermente maniacale. «Vedete, lo dico a Gianni da un bel po', abbiamo bisogno di un nuovo concetto legale di ciò che significa essere una persona. Un concetto che possa spiegare le società senzienti, le stupidità artificiali, i secessionisti dalle menti di gruppo e gli Upload reincarnati. Chi ha un'inclinazione religiosa si sta divertendo molto al momento con le questioni d'identità (perché noi postumanisti non stiamo pensando a queste cose?)».
La borsa di Annette si gonfia. Aineko tira fuori la testa, annusa l'aria, si fa strada fino alla moquette e comincia a pulirsi il pelo non tenendo minimamente in considerazione gli umani presenti. «Per non parlare degli esperimenti di vita artificiale che pensano di essere veri», aggiunge Manfred. «E gli alieni».
Annette si blocca a fissarlo. «Manfred! Non dovresti...».
Manfred sta guardando Alan, che sembra essere l'esecutore più profondamente integrato del miliardario morto che forniva capitali di rischio: persino la sua espressione ricorda ad Annette l'incontro con Bob Franklin ad Amsterdam, all'inizio di quel decennio, quando apparteneva ancora al drago personale di Manfred. «Alieni», riecheggia Alan. Un sopracciglio trema. «È questo il segnale che la SETI aveva annunciato, oppure l'altro? E da quanto ne siete a conoscenza?».
«Gianni ha le mani in pasta in molte cose», commenta Manfred in tono moderato. «E ogni tanto parliamo ancora con le Aragoste; sapete, si trovano solo a un paio di ore luce di distanza, giusto? Ci hanno detto dei segnali».
«Ehm...». Gli occhi di Alan si velano per un attimo; le protesi di Annette le dipingono un'immagine di falsa luce dalla sua nuca, la sua intera larghezza di banda sensoriale immersa in un enorme download peer-to-peer proveniente dalla polvere di server che tappezza ogni stanza dell'edifìcio. Monica sembra irritata e picchietta con la punta delle unghie il dorso della sedia. «I segnali. Giusto. Perché non è stato pubblicizzato?».
«Il primo lo è stato». Annette corruga le sopracciglia. «Non siamo riusciti a coprirlo. Chiunque avesse in cortile una parabola puntata nella giusta direzione l'ha rilevato. Ma la maggior parte delle persone interessate a sentir parlare di contatti alieni pensa già che facciano un salto alternativamente i martedì e i giovedì per somministrare esami rettali. Quasi tutti gli altri credono che si tratti di una montatura. Dei restanti, molti si grattano la testa chiedendosi se non si tratti solo di un nuovo tipo di fenomeno cosmologico che trasmette un segnale di entropia molto basso. Dei sei rimasti, cinque stanno cercando di capire il contenuto dei messaggi, e l'ultimo è convinto che si tratti di uno scherzo. E l'altro segnale era così debole che soltanto una rete di tracciamento dello spazio profondo l'ha rilevato».
Manfred armeggia con il sistema di controllo del letto. «Non è uno scherzo», aggiunge. «Ma hanno catturato soltanto sedici megabit di dati sul primo, forse il doppio nel secondo. C'è parecchio rumore, i segnali non si ripetono, la lunghezza non sembra essere tipica, non esiste un'evidente metainformazione che descriva il format interno, quindi non esiste un modo facile di capirli. A peggiorare le cose, il management con le orecchie a punta della Arianespace», lancia uno sguardo ad Annette, come a cercare una risposta nel nominare i suoi ex datori di lavoro, «ha deciso che la cosa migliore da fare era coprire il secondo segnale e lavorarci sopra in segreto - per un vantaggio competitivo, dicono - e per quanto riguarda il primo, fingere che non avesse mai avuto luogo. Così nessuno sa davvero quanto ci vorrà per capire se si tratta di un ping proveniente dai root domain server galattici, o di una pulsar che ha cominciato a sfornare i diciotto milioni di miliardi di cifre del pi greco, o cos'altro».
«Ma», Monica si guarda intorno, «non si può essere sicuri».
«Penso che possa essere senziente», dice Manfred. Finalmente trova il pulsante giusto e il letto comincia a ripiegarsi in una poltrona. Poi trova il pulsante sbagliato; il piumone si scioglie in una massa viscosa turchese che rumoreggia e gorgoglia attraverso una moltitudine di piccoli ugelli nella testiera del letto. «Quel cazzo di aerogel. Mmm... dov'ero?». Si drizza a sedere.
«I pacchetti di reti senzienti?» chiede Alan.
«No». Manfred scuote la testa e sorride. «Se avessi saputo che avevi letto Vinge... o era il film? No, quello che penso io è che c'è solo una cosa logica per trasportarsi avanti e indietro là fuori, e forse ti ricorderai che ti ho chiesto di trasportarla fuori circa... oh, nove anni fa?».
«Le Aragoste». Lo sguardo di Alan diventa vuoto. «Nove anni. Il tempo per arrivare a Próxima Centauri e tornare?».
«Sì, circa quella distanza», risponde Manfred. «E ricorda, è un limite superiore - potrebbe essere giunto da un luogo più vicino. In ogni caso, il primo segnale SETI è arrivato da un paio di gradi e da un centinaio di anni luce di distanza, ma il secondo segnale è giunto da meno di tre anni luce di distanza. Potete capire perché non l'hanno pubblicizzato... non volevano creare il panico. E no, il segnale non è una semplice eco della trasmissione preregistrata dei crostacei - penso che si tratti di un'ambasciata di scambio, ma non siamo ancora riusciti a decifrarlo. Adesso capite perché dobbiamo assolutamente riaprire di nuovo la questione dei diritti civili? Abbiamo bisogno di una cornice per i diritti che possa comprendere i non umani, e ci serve il prima possibile. Altrimenti se i vicini verranno a farci visita...».
«D'accordo», dice Alan, «dovrò parlare con gli altri me stesso. Forse riusciamo a metterci d'accordo, purché sia chiaro che si tratta di una decisione provvisoria e non di una soluzione permanente».
Annette sbuffa. «Nessuna soluzione è finale!». Monica richiama la sua attenzione e le strizza l'occhio. Annette è sorpresa dalla palese manifestazione di dissenso all'interno del sincizio.
«Be'», dice Manfred, «immagino che non possiamo chiedere altro!». Sembra speranzoso. «Grazie per l'ospitalità, ma sento il bisogno di stendermi un po' nel mio letto. Ho dovuto impegnare molta memoria mentre ero off line, e voglio registrare tutto prima di dimenticare chi sono», aggiunge salacemente, e Annette fa un silenzioso sospiro di sollievo.

Più tardi quella sera, suona il campanello della porta.
«Chi è?» chiede il citofono.
«Ah, sono io», dice l'uomo sui gradini. Sembra un po' confuso. «Sono Macx. Sono qui per vedere», ha il nome sulla punta della lingua, «qualcuno».
«Avanti». Un solenoide ronza; l'uomo apre la porta, che si chiude dietro di lui. Gli stivali rivestiti di metallo risuonano sul pavimento di pietra dura, e l'aria fresca odora debolmente di carburante per jet non ancora bruciato.
«Sono Macx», ripete con voce incerta, «o lo sono stato per un po', e questo mi ha fatto venire mal di testa. Ma adesso sto invecchiando e voglio essere qualcun altro... puoi aiutarmi?».

Ancora più tardi, una gatta è seduta su un davanzale e osserva l'interno di una stanza in ombra, nascosto dietro le tende. La stanza è buia per gli occhi umani, ma luminosa per l'animale. La luce della luna si riversa silenziosamente sulle pareti e sui mobili, sulle lenzuola e coperte attorcigliate, sui due umani nudi distesi, raggomitolati al centro del letto.
Sono entrambi nei trenta: i capelli della donna, tagliati corti, cominciano a diventare grigi, striati da fili distinti color grigioaz-zurro, mentre la zazzera castana di lui non mostra ancora i segni dell'età. Per la gatta, che osserva con un insieme di sensi innaturali, la testa della donna brilla nello spettro delle microonde con un alone gentile di emissioni polarizzate. L'uomo non mostra un'aura del genere: è innaturalmente naturale per il periodo e l'età, anche se stranamente indossa gli occhiali, la cui montatura brilla in modo molto simile. Una nebbia invisibile di radiazioni collega entrambi gli umani ai vestiti sparsi per la stanza, tessuti che ribollono del loro essere senzienti, e che si muovono verso le valigie e il bagaglio a mano e (anche se all'animale non piace notarlo) verso la coda della gatta, che è un'antenna piuttosto sensibile.
I due umani hanno appena finito di fare l'amore. Lo fanno meno spesso dei primi anni, ma con più tenerezza e perizia. Nastri lunghi da bondage Hello Kitty di colore rosa shocking pendono ancora dalle colonne del letto, e un mucchio di plastica programmabile di memoria giace a raffreddarsi su un comodino. Il maschio è allungato con la testa e la parte superiore del busto poggiate nell'ansa del braccio sinistro e della spalla della femmina. Cambiando la visualizzazione a infrarossi, la gatta vede che la donna risplende, con i capillari che si dilatano per aumentare il flusso di sangue intorno alla gola e al petto.
«Sto diventando vecchio», mormora il maschio. «Sto rallentando».
«Non quando conta», risponde la femmina, stringendogli gentilmente la natica destra.
«No, ne sono sicuro», dice l'uomo. «I pezzetti di me che ancora esistono in questa vecchia testa (quanti tipi di processori puoi nominare che sono ancora in uso più di trent'anni dopo la loro nascita?)».
«Stai pensando di nuovo agli impianti», dice la donna con cautela. La gatta ricorda che questo è un punto dolente; dall'essere una procedura medica per aiutare i ciechi a vedere e gli autistici a parlare, gli impianti intratecali sono fioriti diventando un accessorio necessario per il clade del momento. Ma il maschio è riluttante. «Non è rischioso come un tempo. Se sbagliano, esistono cofattori di crescita neurale e cellule staminali di sostituzione a basso costo. Sono sicuro che uno dei tuoi sponsor può occuparsi della copertura extra».
«Zitta. Ci sto ancora pensando». L'uomo resta in silenzio per un po'. «Ieri non ero me stesso. Ero qualcun altro. Qualcuno troppo lento per stare al passo. Dà una nuova prospettiva su tutto - ho avuto paura di perdere la mia plasticità biologica, di essere intrappolato in un pezzo obsoleto di skullware mentre tutto va avanti - ma a ogni modo, quanta parte di me vive fuori dalla mia testa in questo periodo?». Uno dei suoi thread esterni genera un glifo animato e lo dà in pasto all'immaginazione di lei; la donna fa un ampio sorriso di fronte al suo oscuro umorismo. «Però l'addestramento incrociato da una nuova interfaccia sarà duro».
«Ce la farai», predice lei. «Puoi sempre ottenere con discrezione una ricetta per la novotrofina-B». Un recettore agonista confezionato per i reparti gerontologici, stimola interesse nel nuovo. Combinato con il MDMA, è un componente del cocktail da strada chiamato sensawunda. «Questo dovrebbe tenerti concentrato abbastanza a lungo da trovarti a tuo agio».
«A cosa si riduce la vita se io non riesco a tenere il passo dei cambiamenti?» chiede lamentoso Manfred rivolto al soffitto.
La gatta agita la coda, irritata dal suo antropocentrismo.
«Tu sei il mio scudo temporalesco futurologico», dice la donna scherzando, poi muove la mano per reggervi a coppa i genitali dell'uomo. La gatta nota che la maggior parte delle attività correnti di lei è puramente biologica. Dai sideload irregolari, lei sta usando la maggior parte del suo skullware per eseguire ETItalk@home, uno dei motori di craccaggio distribuiti che sta cercando di decodificare la grammatica aliena del messaggio che Manfred sospetta sia ammissibile per la cittadinanza.
Obbedendo a un impulso che non riesce a esprimere, la gatta invia un segnale-sonda al router più vicino. La cyberbestia ha le chiavi di Manfred; Manfred si fida implicitamente di Aineko, il che non è molto saggio (dopo tutto la sua ex moglie ha interferito nella sua programmazione, e non importano tutti i gattini che ha assorbito nella sua gioventù). Scavando un tunnel nell'oscurità, la gatta si muove con passo felpato da sola verso la rete...
«Pensa solo alle persone che non possono adattarsi», dice l'uomo. La sua voce sembra oscuramente preoccupata.
«Cerco di non farlo». La donna trema. «Hai trent'anni, stai rallentando. E i giovani? Loro riescono a mantenere il passo?».
«Ho una figlia. Ha circa centosessanta milioni di secondi. Se Pamela mi permettesse di scambiare messaggi con lei, potrei saperlo...». La sua voce mostra echi di un vecchio dolore.
«Non pensare a questo, Manfred. Ti prego». Nonostante tutto, lui non ha mollato. Amber è un laccio che lo lega permanentemente all'orbita distante di Pamela.
In lontananza, la gatta sente il rumore delle menti delle Aragoste che cantano nel vuoto, un feed lontano, che arriva in streaming dalla loro dimora cometaria mentre fluttua silenziosamente attraverso la cintura di asteroidi, diretto verso un incontro gelido oltre Nettuno. Le Aragoste cantano l'alienazione e l'obsolescenza, un'intelligenza troppo lenta e tenue per sostenere il violento ritmo di cambiamento che corrode il mondo umano, finché tutti i margini a cui le persone si aggrappano non saranno spezzati e fragili.
Al di là delle lontane Aragoste, la gatta pinga un anonimo server distribuito di rete - un magazzino di file peer-to-peer che si distende olograficamente attraverso un milione di host, incancellabile, pieno di segreti e bugie che nessuno può permettersi di sopprimere. Sproloqui, musica, imitazioni degli ultimi hit di Bollywood. La gatta li supera tutti rapidamente, cercando la campionatura finale. Afferrandola - una momentanea interruzione negli occhiali di Manfred è l'unico sintomo notato dai due umani - la gatta trascina la sua preda a casa, la risucchia e la confronta con il campione di dati che l'esocorteccia di Annette sta analizzando.
«Mi dispiace, amore mio. È solo che a volte sento...». Sospira. «L'invecchiamento è un processo di chiusura delle opportunità dietro di te. Non sono più abbastanza giovane, ho perso l'ottimismo dinamico».
Il campione di dati sul server pirata differisce da quello che l'impianto di Annette sta elaborando.
«Lo ritroverai», lo rassicura lei con calma, carezzandogli un fianco. «Sei ancora triste perché sei stato rapinato. Passerà anche questo. Vedrai».
«Già». Alla fine si rilassa, lasciandosi di nuovo cadere di sua volontà nell'assicurazione riflessiva. «Lo supererò, in un modo o nell'altro. O lo farà qualcuno che ricorda di essere me...».
Nell'oscurità, Aineko mostra i denti in un sogghigno silenzioso. Obbedendo a un impulso di intromettersi innestato in profondità, sposta un file, facendo una copia del pacchetto alieno di download su cui ha lavorato Annette. Ha una copia del numero due, la sequenza che la rete tracciante dello spazio profondo ha ricevuto da vicino a casa, che l'ESA e gli altri grossi cartelli hanno tenuto per loro. Un altro thread sepolto in profondità si avvia, e Aineko analizza il pacchetto da una prospettiva che nessun essere umano ha ancora stabilito. Subito dopo una treccia di processi in esecuzione su una macchina virtuale astratta gli fa una domanda impossibile da codificare in una grammatica umana. Osserva e aspetta, risponde al suo passeggero. Prima o poi capiranno cosa siamo.



PARTE 2
Punto di flessione


La vita è un processo che può essere astratto da ogni altro mezzo.

John von Neumann



4. Alone

Lo scafo orbitante visualizza Barney, canta l'amore nella frontiera spaziale, la passione della materia per i replicatori, e la sua amicizia verso i miliardi di bisognosi sulla Costa del Pacifico. «Ti amo», gorgheggia nelle orecchie di Amber, mentre lei cerca di inquadrarlo con precisione. «Fatti dare un grosso abbraccio...».
A una frazione di secondo-luce di distanza, Amber aggancia il segnale con un grappolo di sensori, che istruisce per rintracciarne lo spostamento doppler, e legge gli elementi orbitali. «Puntato e caricato», mormora. Il dinosauro animato color viola fa piroette e salti mortali al centro del portello, lanciando in alto un bastoncino da cocktail dalla punta di diamante. Sarcasticamente: «Tempo di coccole! Ho preso l'asteroide!». Dietro di lei, i propulsori di gas freddo producono uno scoppio negli anelli di attracco fra gli stadi, facendo ruotare l'ingombrante nave-fattoria per orientarsi sulla roccia Barney. Volontariamente, Amber smorza l'entusiasmo mentre gli impianti, affamati, sequestrano l'eccesso di molecole neuro-trasmettitrici che le galleggiano intorno alle sinapsi prima che scatti la ricaptazione. Non è il caso di eccitarsi troppo in caduta libera. Ma l'impulso di fare la verticale, saltare e cantare c'è ancora. È la sua roccia, che la ama, e lei le darà la vita.
Lo spazio di lavoro nella cabina di Amber è un ammasso di roba che probabilmente non dovrebbe trovar posto su una nave spaziale. Nei poster, l'ultima boy band libanese si dimena in tutto il suo glamour: cinghie tentacolari ondeggiano dagli angoli del sacco a pelo, raccogliendo dall'aria l'accumulo di una crosta di vestiti sporchi, come un'inanimata idra gigante. (I robot delle pulizie raramente osano avventurarsi nella camera da letto dell'adolescente). Una parete ripete i cicli di una simulazione del progettato ciclo di costruzione di Habitat Uno, una grossa sfera sfocata dal nucleo sfavillante (Amber fa la sua parte per contribuire a crearlo). Tre o quattro bamboline hawaiane dai colori pastello si inseguono lungo la circonferenza, con passi lunghi milioni di chilometri. E il gatto di suo padre, raggomitolato fra il condotto dell'aria e l'armadietto dei vestiti, russa con tono acuto.
Amber spalanca la tenda di velluto sbiadito, che separa la stanza dal resto dell'alveare. «Preso!» grida. «È tutto mio! Sono il capo!». È la sedicesima roccia finora catalogata dall'orfanotrofio, ma è la prima che ha catalogato tutto da sola, e questo la rende speciale. Lei rimbalza sull'altro lato della sala comune, sorprendendo uno dei rospi delle canne - che Oscar dovrebbe tener chiuso nella fattoria, non è chiaro come ci sia arrivato - e i ripetitori audio copiano il segnale in arrivo, echi fossilizzati di mille video per bambini, sfocati di rumore.
«Sei così precisa, Amber», si lamenta Pierre quando lei lo mette con le spalle al muro, nella mensa.
«Be', sì!». Scuote la testa, malcelando un sogghigno di compiacimento per la propria bravura. Sa che non è bello, però mamma è tanto lontana, e a papà e alla matrigna non importano queste cose. «Sono brava, io», annuncia. «Adesso che facciamo con la nostra scommessa?».
«Ohh». Pierre si infila le mani in fondo alle tasche. «Ma adesso non ho con me due milioni liquidi. Il prossimo ciclo?».
«Uh?». Lei è offesa. «Ma avevamo fatto una scommessa!».
«Ehm, il dr. Bayes ha detto che non ce l'avresti fatta nemmeno stavolta, così ho vincolato i soldi a rischio sicuro nel mercato delle option. Se disinvesto adesso, prenderò una bella batosta. Puoi darmi fino alla fine del ciclo?».
«Dovresti saperlo che non ci si fida di un sim, Pee» Il suo avatar fiammeggia di sdegno preadolescenziale. Sotto il suo sguardo, Pierre ingobbisce le spalle. Ha solo dodici anni e le lentiggini, e non ha ancora imparato che non ci si rimangia un accordo. «Questa volta, passi», annuncia, «ma dovrai pagare. Voglio gli interessi».
Lui sospira. «A quale tasso...».
«No, i tuoi interessi! Schiavo per un ciclo!». Ghigna malevola.
E il volto di Pierre si fa improvvisamente apprensivo. «Basta che non mi fai più pulire la lettiera. Non hai in mente quello, vero?».

Benvenuti nel quarto decennio. La massa pensante del sistema solare supera ormai un MIPS per grammo; il sistema è ancora abbastanza stupido, ma non del tutto. La popolazione umana sta raggiungendo il limite massimo, spingendosi verso i nove miliardi, ma il tasso di crescita sta calando in direzione dei numeri negativi, e parti dell'ex Primo Mondo sono, in media, di mezz'età. L'attività mentale umana fornisce circa 1028 MIPS della capacità cerebrale del sistema solare. In gran parte, il vero pensiero viene svolto dall'alone composto dal milione di miliardi di processori che circonda le macchine di carne con una nebbia di calcoli, individualmente potenti la decima parte di un cervello umano, collettivamente diecimila volte più potenti, e il numero raddoppia ogni venti milioni di secondi. Hanno raggiunto i 1033 MIPS e continuano ad aumentare, anche se manca molto prima che il sistema solare si svegli del tutto.
Le tecnologie vanno e vengono, ma nessuno, neppure cinque anni fa, aveva previsto che adesso ci sarebbero stati primati in scatola nell'orbita di Giove: una sinergia fra industrie emergenti e strani modelli commerciali ha rimesso in moto l'era spaziale, con la complicità della scoperta di segnali (finora non decriptati) da parte di ET. Inattesi pionieri sviluppano nuove nicchie ecologiche al margine dello spazio dell'informazione umana, a minuti e ore luce dal nucleo, mentre si avvia un'espansione trattenuta sin dagli anni Settanta.
Amber, come gran parte dei postindustriali a bordo della nave-orfanotrofio Ernst Sanger, è nella prima adolescenza. Mentre le loro abilità naturali sono in molti casi amplificate dalla ricombinazione genetica delle linee germinali, grazie ai vecchi ideali della madre, lei deve affidarsi a grossolane amplificazioni computazionali. Non ha la corteccia parietale posteriore modificata per un supplemento di memoria a breve termine, o il giro temporale superiore anteriore esteso per una maggiore capacità verbale, ma è cresciuta con impianti neurali che per lei sono naturali come i polmoni o le dita. Metà del suo wetware è installato fuori dal cranio, in una schiera di nodi di processamento inseriti nel cervello mediante canali di comunicazione a correlazione quantistica: la sua metacorteccia personale. Questi ragazzi sono giovani mutanti, che bruciano luminosi. Per i loro genitori, non del tutto incomprensibili ma profondamente alieni, il gap generazionale è ampio come negli anni Sessanta, e profondo come il sistema solare. I genitori, nati negli anni del declino del Ventesimo secolo, sono cresciuti con elefantiaci shuttle bianchi, una stazione spaziale che si limitava a girare in tondo, e computer che facevano bip quando si premeva un bottone. Per un baby boomer, l'idea che l'orbita di Giove fosse un posto raggiungibile era controintuitiva come Internet.
Gran parte dei passeggeri della lattina è scappata da genitori convinti che il posto degli adolescenti è la scuola, incapaci di venire a patti con una generazione talmente amplificata da essere fondamentalmente più intelligente degli adulti che la circondano. All'età di sei anni, Amber parlava nove lingue, solo due delle quali umane, e sei seriali; a sette anni, la madre la portò dallo psichiatra scolastico perché aveva parlato in lingue sintetiche. Per Amber, questa fu la goccia che fece traboccare il vaso: usando un telefono anonimo illegale, chiamò il padre. Sua madre lo aveva sottoposto a un'ordinanza restrittiva, ma non le era venuto in mente di richiedere la stessa ordinanza per la sua partner...


Immensi turbini di nuvole si increspano sotto il propulsore della nave. Strisce arancioni, marroni e grigio fango strisciano lentamente attraverso il gonfio orizzonte di Giove. La Sanger sta raggiungendo il perigiove, in profondità nel letale campo magnetico del gigante gassoso; scariche statiche lampeggiano lungo il tubo, accendendosi vicino alla nube viola dello scarico, che emerge dagli specchi magnetici del motore VASIMR della nave. Il propulsore al plasma è avviato al massimo flusso di massa, l'impulso specifico è basso quasi come un razzo a fusione; però si produce la massima spinta mentre l'insieme cigola e scricchiola per tutta la manovra dell'effetto fionda gravitazionale. Fra un'altra ora, la spinta si affievolirà e l'orfanotrofio rimbalzerà verso Ganimede, la quarta luna di Giove (e fonte di molto materiale dell'anello Gossamer). Non sono le prime scimmie in lattina a raggiungere il sottosistema di Giove, ma sono uno dei primi tentativi completamente privati. Qui la banda è talmente stretta che inviare un messaggio è come aspirare lumache morte con una cannuccia, con milioni di chilometri a separarli da poche centinaia di microsonde dal cervello di un topo, e da qualche dinosauro abbandonato dalla NASA o dall'ESA. Sono così lontani dal sistema interno che una grossa porzione dell'apparato comunicativo della nave è destinato alla memoria. Quando arrivano, le notizie sono vecchie di svariati kilosecondi.
Amber, insieme a metà dei passeggeri svegli, osserva affascinata dalla sala comune. La sala è un lungo cilindro assiale gonfiabile, dal rivestimento doppio, che immagazzina nei tubi delle pareti gran parte delle scorte di acqua liquida. L'altro estremo è videoabilitato, e mostra in tempo reale un'immagine 3D del pianeta che ruota sotto di loro: in realtà c'è la massima massa possibile fra loro e le particelle intrappolate nell'involucro magnetico gioviano. «Ci potrei nuotare», sospira Lilly. «Immagina tuffarsi in quel mare...». Il suo avatar appare nel video, discendendo i chilometri di vuoto su un surf d'argento.
«Abbiamo un bel caso di ustione da attrito, qui», la schernisce qualcuno, Kas. Improvvisamente l'avatar di Lilly, finora rivestito di un fiammeggiante costume da bagno metallizzato, assume la consistenza della carne cotta, e muove dita simili a salsicce per avvertirli.
«Lo stesso a te e al video dove sei entrata!». Improvvisamente il vuoto virtuale fuori dallo schermo è pieno di corpi, per lo più umani, che si contorcono, si dimenano e mutano forma in una finta lotta, mentre metà dei bambini si lancia nell'incontro di morte virtuale. È un gesto di reazione davanti all'acuta paura che fuori dalle sottili pareti dell'orfanotrofio si trovi un ambiente veramente ostile, come indicherebbe l'avatar arrostito di Lilly.
Amber torna alla sua lavagna. Sta operando per risolvere un complesso intreccio di forme, necessario prima che la spedizione possa iniziare a operare. Intorno a lei si affollano, intimidatori, fatti e cifre che non si allontanano mai. Giove ha un peso di 1,9x1027 kg. Ci sono ventinove lune gioviane e si stimano duecentomila corpi minori, mucchi di roccia e frammenti di detriti che vi si raccolgono intorno, detriti dalle dimensioni maggiori di frammenti d'anello, perché Giove (come Saturno) ha gli anelli, anche se non altrettanto evidenti. È stato raggiunto da un totale di sei grandi piattaforme nazionali orbitali e da altre duecentodiciassette microsonde, tutte piattaforme private di intrattenimento tranne sei. La prima spedizione umana fu messa insieme dagli ESA Studios sei anni fa, seguita da un paio di cercatori minerari indipendenti e da un vettore micro-commerce che ha disseminato mezzo milione di picosonde in tutto il sottosistema di Giove. Adesso è arrivata la Sanger, insieme ad altre tre lattine per scimmie (provenienti una da Marte, altre due dall'orbita terrestre) e la colonizzazione sembra sul punto di esplodere, tranne che ci sono almeno quattro Grandi Progetti, che si escludono a vicenda, per decidere cosa fare della massa del vecchio Giove.
Qualcuno la stuzzica: «Ehi, Amber, che fai?».
Lei apre gli occhi. «Faccio i compiti». È Su Ang. «Guarda, stiamo andando su Amaltea, vero? Ma i nostri conti sono depositati a Reno, così dobbiamo riempire tutte queste scartoffie. Monica mi ha chiesto di darle una mano. È da pazzi».
Ang si china a leggere, al contrario: «Ente di Protezione Ambientale?».
«Già. Analisi Previsionale dell'Impatto Ambientale Stimato 204.6b, pagina due. Vogliono che io elenchi ogni bacino d'acqua stagnante entro cinque chilometri dalla zona mineraria designata. "Se si scava sotto la falda, elencare ogni pozzo, riserva e corso d'acqua entro la profondità dello scavo, espressa in metri, più cinquecento metri fino alla massima distanza di dieci chilometri a valle, nella direzione di scorrimento del piano di stratificazione. Per ciascun bacino d'acqua, indicare ogni specie a rischio o comunque catalogata di uccelli, pesci, mammiferi, rettili, invertebrati o piante viventi entro dieci chilometri..."».
«... da una miniera su Amaltea che orbita a una distanza di centottanta chilometri da Giove, è priva di atmosfera, e dove dopo mezz'ora sulla superfìcie puoi prenderti una dose di radiazioni da dieci Gray in tutto il corpo». Ang scuote la testa, poi sciupa tutto con una risatina. Amber alza gli occhi.
Sulla parete davanti a lei, qualcuno - probabilmente Nicky o Boris - ha incollato una caricatura del suo avatar impegnato nella lotta virtuale. Da dietro, la abbraccia il cartone animato di un cane gigante con le orecchie flosce e un'erezione di dimensioni improbabili, che canta allusioni anatomicamente assurde mentre si tocca. «Vaffanculo!». Sconvolta e arrabbiata per la distrazione, Amber fa cadere la pila di carte e lancia verso lo schermo un nuovo avatar, sognato la notte prima da uno dei suoi agenti. Si chiama Spike, e non è amichevole. Spike stacca la testa al cane e gli piscia nella trachea, cosa anatomicamente corretta per un essere umano. Nel frattempo si guarda intorno, cercando di distinguere chi fra quegli idioti ragazzini dalla risata facile, fra i geek fuori di testa che la circondano, possa aver inviato un messaggio tanto sgradevole.
«Bambini! Calmatevi». Si guarda intorno. Uno dei Franklin (cioè la femmina sulla ventina dalla pelle scura) li guarda accigliata. «Non possiamo lasciarvi soli per mezzo kilosecondo senza mettervi a litigare?».
Amber è imbronciata: «Non è una lite, è un franco scambio di opinioni».
«Ah». A mezz'aria, la Franklin si piega all'indietro, a braccia incrociate, un'espressione sdegnosa e compiaciuta sul suo/loro viso. «L'ho già sentita. Comunque...». Fa/fanno un gesto, e lo schermo si spegne. «Ho notizie per voi bambini petulanti. Abbiamo una concessione verificata! La fabbrica comincerà a operare non appena spegneremo il propulsore e completeremo il deposito di tutti i documenti tramite gli avvocati. Adesso abbiamo la possibilità di guadagnarci la manutenzione...».

Amber ha un lampo di memoria, storia antica, cinque anni indietro lungo la linea temporale. Nel ricordo ripetuto, si trova in una specie di casa colonica a due piani, nell'Ovest. È una sistemazione temporanea mentre sua madre rivede i conti di un'obsolescente impresa industriale che macina chip al silicio VLSI morti, passati di moda. La mamma si china su di lei, minacciosamente adulta con il suo completo scuro e con gli orecchini webcam. «Andrai a scuola, e senza discutere».
Sua madre è una vergine di ghiaccio, una madonna bionda, una delle più produttive fra i cacciatori di taglie del fisco, che mette paura, solo sbattendo le ciglia, a presidenti di consiglio d'amministrazione grandi e grossi. Amber è un'impetuosa bambina di otto anni, dai capelli color stoppa, disorientata dal mescolarsi delle sue identità; mentre l'inesperienza rende indistinti i confini fra l'io e la griglia, non sa ancora reagire con efficacia. Dopo un paio di secondi, verbalizza una protesta piuttosto fiacca: «Non voglio!». Uno dei suoi demoni del comportamento le sussurra che si tratta dell'approccio sbagliato, così lo modifica: «Mi riempiranno di botte, mamma. Sono troppo diversa. E poi, so che vuoi vedermi socializzare secondo i parametri della mia età, ma non è a quello che serve la banda collaterale? Posso socializzare alla grande da casa».
Mamma fa qualcosa di inatteso: si inginocchia, per guardare Amber dritto negli occhi. Sono sul tappeto del soggiorno, tutto rétro, in stile anni Settanta, velluto marrone a coste e carta a quadrettoni arancio, da acido, e una volta tanto sono sole. I robot domestici si tengono nascosti mentre gli umani sono in riunione. «Ascoltami, carina». Mamma ha la voce ansimante e carica, con uno sfondo emotivo forte e soffocante come l'acqua di colonia che si mette in ufficio per coprire l'odore della paura dei suoi clienti. «So che è quel che ti scrive tuo padre, ma non è vero. Ti serve la compagnia - la compagnia fìsica - dei bambini della tua età. Tu sei naturale, non uno scherzo della bioingegneria, anche con l'apparato craniale. Ai bambini naturali come te serve la compagnia, altrimenti crescono strani. La socializzazione non è solo collegarsi con gli altri, Amber. Devi anche sapere come affrontare gente diversa. Voglio vederti crescere felice, e non succederà se non impari a stare coi bambini della tua età. Non diventerai una specie di otaku o di fenomeno cyborg. Ma per restare sana, devi andare a scuola, farti un sistema immunitario mentale. E poi, quel che non ci distrugge ci rende più forti, giusto?».
È un grossolano ricatto morale, una manipolazione trasparente come il vetro, ma il corpus logico di Amber lo identifica con un pesante sprite emotivo che mima una probabile punizione fisica se abboccherà all'amo. Mamma è agitata, in iperventilazione, con le narici lievemente aperte e una certa vasodilatazione visibile nelle guance. A otto anni, Amber - in combinazione con l'apparato craniale che sostiene la metacorteccia di agenti distribuiti - è abbastanza matura da immaginare, anticipare ed evitare le punizioni corporali. Ma la statura e il carente sviluppo fisico cospirano per metterla in svantaggio quando tratta con adulti maturati in un'epoca più semplice. Sospira e mette il broncio, per far capire a mamma che è obbediente, ma ancora riluttante: «Okay, se lo dici tu».
Mamma si alza, con gli occhi lontani (probabilmente dice a Saturno di riscaldare il motore e aprire le porte del garage). «Lo dico io, zuccona. Adesso vatti a mettere le scarpe. Vengo a prenderti quando torno dal lavoro, e ho una bella cosa per te. Stasera andremo insieme a vedere una nuova chiesa». Mamma sorride, ma non con gli occhi. Amber ha già capito che si sta dando da fare per darle la simulata educazione americana che crede sia necessaria prima che si lanci a capofitto nel futuro. A lei le chiese non piacciono più che alla figlia, ma discutere non servirà a niente. «Adesso fai la brava bambina, d'accordo?».

L'imam è in preghiera nella moschea girostabilizzata.
La moschea non è molto grande, e la congregazione è fatta di una persona. Prega da solo ogni 17280 secondi. Fa anche il webcast dell'invito alla preghiera, ma nello spazio transgioviano non ci sono altri credenti che rispondano al richiamo. Fra una preghiera e l'altra, divide l'attenzione fra lo studio e le esigenze del supporto vitale. Studioso della Hadith e del sapere, Sadeq collabora, con altri studiosi che stanno componendo una revisione delle concordanze di tutte le isnad conosciute, a un progetto per fornire una base per un'esplorazione, sotto una nuova prospettiva, del corpo della giurisprudenza islamica, di cui avranno un gran bisogno se emergerà il desiderato passo avanti nella comunicazione con gli alieni. L'obiettivo è rispondere alle tormentose domande che assediano l'Islam nell'epoca della consapevolezza accelerata; e in quanto suo rappresentante nell'orbita di Giove, queste domande gravano pesantemente sulle spalle di Sadeq.
Sadeq è un uomo di corporatura esile, con corti capelli neri e un'espressione eternamente stanca. A differenza dell'equipaggio dell'orfanotrofio, ha una nave tutta per sé. La nave era nata come copia iraniana di una capsula Shenzou-B, con un modulo cinese di stazione spaziale tipo 921 agganciato alla coda, ma è una raffazzonata imitazione anni Sessanta - una libellula di alluminio scintillante accoppiata con una lattina di Coca Cola - ha un modulo M2P2 attaccato al muso. Il modulo M2P2 è una vela al plasma, costruita in orbita da una delle strutture sussidiarie della Daewoo. Ha trascinato Sadeq e la sua striminzita stazione spaziale fino a Giove in soli quattro mesi, facendo il surf sulla brezza solare. Può darsi che la sua presenza sia un trionfo per la umma, ma lassù si sente disperatamente solo. Quando rivolge in direzione della Sanger gli specchi del suo osservatorio in miniatura, lo colpiscono le dimensioni e l'aspetto finalizzato. Le superiori dimensioni della Sanger rivelano l'efficienza degli strumenti finanziari occidentali, fondi di investimento semiautonomi con cicli economici variabili responsabili dei protocolli che rendono possibile lo sviluppo dell'esplorazione spaziale commerciale. Il Profeta, che la pace sia con lui, può aver condannato l'usura, ma avrebbe sicuramente esitato vedendo questi motori della formazione capitalistica dimostrare la propria potenza al di sopra della Grande Macchia Rossa.
Dopo aver finito le preghiere, Sadeq passa sul tappeto un prezioso paio di minuti in più. Trova difficile la meditazione in questo ambiente. Ci si inginocchia in silenzio, e si diventa consapevoli del ronzio della ventilazione, dell'odore dei calzini vecchi e del sudore, del metallico sapore di ozono proveniente dai generatori di ossigeno Elektron. È difficile avvicinarsi a Dio in quest'astronave di terza mano, smessa dall'arrogante Russia e passata all'ambiziosa Cina, e infine agli amministratori religiosi di Qom, che sanno usarla meglio di quanto immaginino gli stati pagani. L'hanno spinta lontano, questa piccola stazione spaziale giocattolo; ma chi ha il diritto di dire se sia intenzione di Dio che gli umani vivano qui, in orbita intorno a questo gigantesco pianeta, alieno e gonfio?
Sadeq scuote la testa; arrotola il tappeto e, con un sospiro, lo stiva accanto all'unico oblò. Lo colpisce una pugnalata di nostalgia per la sua infanzia nella calda, polverosa Yazd e per i suoi tanti anni di studio a Qom. La supera guardandosi intorno, scrutando la stazione che adesso gli è familiare come il cemento dell'appartamento al quarto piano in cui i suoi genitori - un operaio di una fabbrica automobilistica e sua moglie - l'hanno cresciuto. L'interno della stazione ha le dimensioni di uno scuolabus, con ogni superficie ingombra di zone di stoccaggio, console di strumenti e strati di tubi esposti. Un paio di globuli di antigelo tremolano, come meduse spiaggiate, vicino a uno scambiatore di calore che gli ha dato dei dispiaceri. Sadaq scalcia alla ricerca della bottiglietta che tiene a questo scopo, poi raccoglie gli arnesi e istruisce uno degli agenti di trovargli la parte saliente del diario di manutenzione. È ora di riparare una volta per tutte il giunto che perde.
Dopo un'oretta di lavoraccio da idraulico mangerà stufato di agnello essiccato congelato, con pasta di lenticchie e riso bollito, innaffiato da un bulbo di tè forte, per poi sedersi a verificare la prossima sequenza di manovre di passaggio ravvicinato. Forse, se Dio vuole, non ci saranno altri allarmi di sistema e potrà passare un'ora o due facendo la sua ricerca, fra la preghiera serale e quella finale. Forse dopodomani ci sarà perfino tempo di rilassarsi un paio d'ore, per guardare uno di quei vecchi film che trova tanto affascinanti per la comprensione delle culture straniere: Apollo 13, forse. Non è facile essere l'equipaggio a bordo di una missione spaziale di lunga durata. È anche più difficile per Sadeq, solo quassù senza nessuno con cui parlare, perché il tempo delle comunicazioni con la Terra è di mezz'ora in entrambe le direzioni e, per quanto ne sa, è l'unico credente entro mezzo miliardo di chilometri.

* * *

Amber chiama un numero di Parigi e aspetta finché non rispondono al telefono. Conosce la strana donna sul piccolo schermo del telefono. Mamma la chiama «la lussuosa puttanella di tuo padre», con un sorriso particolare e forzato. (L'unica volta che Amber ha chiesto cosa fossa una lussuosa puttanella, mamma le ha dato uno schiaffo, non forte, solo un avvertimento). «C'è papà?» chiede.
La strana donna sembra lievemente confusa. (Ha i capelli biondi, come mamma, ma il colore è chiaramente il risultato dell'ossigenazione, e li ha tagliati corti, e la pelle scura). «Oui. Ah, sì». Sorride titubante. «Mi dispiace, è un telefono monouso che stai utilizzando? Vuoi parlare con lui?».
Fa tutto di corsa. «Voglio vederlo». Amber si aggrappa al telefono come se fosse un salvagente: è un articolo monouso da due soldi, trovato in un pacco di cereali, e il cartone si sta già afflosciando nella sua mano sudata. «Mamma non me lo permette, zia Nette...».
«Silenzio». Annette, che ha vissuto col padre di Amber più del doppio di sua madre, sorride. «Sei sicura che tua madre non sappia niente di quel telefono?».
Amber si guarda intorno. È l'unica bambina in bagno, perché non è ricreazione e ha detto all'insegnante che doveva andarci subito. «Sono sicura, fattore di certezza P20 superiore allo 0,9». La sua testa bayesiana le dice che non può dare una valutazione accurata perché finora mamma non l'ha mai sorpresa illecitamente al telefono, ma che diavolo. Non può mettere papà nei guai se non lo sa, vero?
«Molto bene». Annette si guarda vicino. «Manny, ho una chiamata a sorpresa per te».
Papà appare sullo schermo. Può vedergli tutto il viso, e sembra più giovane dell'ultima volta: deve aver smesso di usare quegli occhiali vecchi e malfatti. «Ciao... Amber! Dove sei? Tua madre sa che mi stai chiamando?». Sembra lievemente preoccupato.
«No», dice sicura, «ho trovato il telefono in una scatola di Grahams».
«Uff. Ascolta, dolcezza, devi ricordarti di non chiamarmi mai e poi mai dove tua madre può scoprirti. Altrimenti, farà in modo che i suoi avvocati mi inseguano con schiacciapollici e tenaglie roventi, dicendo che ti ho costretto a chiamarmi. E nemmeno zio Gianni riuscirà a risolvere le cose. Capito?».
«Sì, papà». Sospira. «Anche se non è vero, lo so. Non vuoi sapere perché ho chiamato?».
«Uhm». Per un attimo, lui sembra preso alla sprovvista. Poi annuisce, assorto. Papà le piace perché la prende sul serio quasi tutte le volte che gli parla. È una seccatura dover prendere in prestito il telefono delle compagne di classe, o essere costretta al phreaking contro il pitbull di guardia al firewall della madre, ma papà non dà per scontato che non sa niente solo perché è una bambina. «Continua. Devi toglierti un peso dal petto? E comunque, come vanno le cose?».
Dovrà essere breve. Il gettafono è prepagato, usa una tariffa internazionale miserabile, e il bip finale sta per squillare da un momento all'altro. «Voglio andarmene, papà, parlo sul serio. Mamma diventa più matta ogni settimana che passa. Mi trascina per tutte queste chiese, e ieri è andata in escandescenze solo perché parlavo al mio terminale. Vuole che veda lo psicologo della scuola, voglio dire, perché mai? Non posso fare quello che vuole lei - non sono la sua bambina! Ogni volta che passo le protezioni, cerca di mettermi addosso una spia del contenuto, e mi fa male alla testa - non riesco nemmeno più a pensare bene!». Sorpresa, Amber sente scorrere le lacrime. «Portami via di qui!».
L'immagine del padre trema e ruota per mostrare tante Annette, che sembra preoccupata. «Lo sai, tuo padre non può far niente. Gli avvocati del divorzio gli legheranno le mani».
Amber tira su col naso. «E tu puoi aiutarmi?» chiede.
«Vedrò cosa posso fare», promette la lussuosa puttanella di suo padre mentre suona il segnale di fine chiamata.

Un insieme di strumenti si distacca dal drone di appropriazione della Sanger e cade verso la roccia a forma di patata, cinquanta chilometri più in basso. Giove, enorme e gibboso, incombe sullo sfondo, il salvaschermo impressionista di un cosmologo pazzo. Pierre si morde il labbro inferiore mentre si concentra sulla virata.
Amber, con un nero sacco a pelo indosso, gli galleggia sopra la testa come un pipistrello gigante, godendosi il turno di libertà. Abbassa lo sguardo sui capelli a scodella di Pierre, le braccia nodose aggrappate ai lati del tavolo di osservazione, e si chiede cosa fargli fare dopo. Uno schiavo per un giorno è un'esperienza interessante. La vita a bordo della Sanger è così piena che nessuno ha troppo tempo libero (almeno, finché non si saranno assemblati i grossi habitat e non si sarà puntato verso la Terra il disco dell'antenna a banda alta). Stanno disponendo tutto secondo un progetto enormemente intricato, generato dalla squadra gestione progetti dei finanziatori, e non c'è molto tempo per l'ozio: la spedizione si basa sullo spudorato sfruttamento del lavoro minorile - sono meno di peso per il supporto vitale e i beni deperibili rispetto agli adulti - facendo lavorare i bambini dodici ore al giorno per assemblare un punto d'appoggio sulla riva del futuro. (Quando saranno cresciuti e i loro premi saranno stati assegnati, saranno tutti ricchi, ma questo non ha fatto tacere, a casa, il coro offeso della propaganda per pecoroni). Per Amber, lasciar lavorare qualcun altro per lei è una nuova occasione, e cerca di goderne ogni minuto.
«Ehi, schiavo», dice pigramente, «come va?».
Pierre tira su col naso. «Va bene». Rifiuta di alzare gli occhi verso di lei, nota Amber. Ha dodici anni. A quell'età non dovrebbe avere l'ossessione delle ragazze? Lei nota la sua concentrazione intensa e silenziosa, fa furtivamente scorrere una sonda sul suo margine esterno; non dà alcun segno di essersene accorto, ma la sonda rimbalza via, incapace di intaccare la sua armatura mentale. «Ho la velocità di crociera», dice laconico, mentre due tonnellate di metallo, ceramica e stranezza in fase adamantina capitombolano verso la superficie di Barney a trecento chilometri l'ora. «Smettila di spingermi, c'è un intervallo di tre secondi, e non voglio cacciarmi in un circolo vizioso col feedback di controllo».
«Ti spingo quanto voglio, schiavo». Gli mostra la lingua.
«E se me lo fai cadere?» chiede. Guardandola, col viso serio... «Pensi sia giusto che facciamo questo?».
«Tu ti proteggi il culo, e io penso al mio», dice lei, e poi diventa tutta rossa. «Sai cosa intendo».
«Dici che lo so?» Pierre ghigna, poi torna alla console. «Ahh, non è divertente. E farai meglio a regolare il cestino a cui hai dato il controllo dei centri verbali, emettono fin troppi doppi sensi. Qualcuno potrebbe prenderti per un'adulta».
«Fatti gli affari tuoi, e io mi farò i miei», dice, enfatica. «E puoi cominciare dicendomi cosa succede».
«Niente». Poggia la schiena e incrocia le braccia, facendo una smorfia verso lo schermo. «Andrà alla deriva per cinquecento secondi, adesso, poi ci sarà la correzione di metà rotta e una burn da decelerazione prima dell'impatto. E poi ci vorrà un'ora prima che si apra e cominci a srotolare la bobina di cavo. Cosa vuoi farci, gli spaghettini?».
«Uh-huh». Amber apre le ali di pipistrello e si stende a mezz'aria, fissando lo schermo, sentendosi ricca e oziosa mentre Pierre lavora per tutto il suo turno di giorno. «Svegliami quando c'è qualcosa di interessante da vedere». Forse lo avrebbe dovuto costringere a darle da mangiare acini sbucciati o a farle un massaggio ai piedi, ma adesso, solo sapere che Pierre è forza lavoro alienata di sua proprietà le fa bene all'autostima. Guardando quelle braccia tese, la curva del collo, pensa che c'è qualcosa in tutti quei sussurri e risatine, i gli piaci proprio di cui le ragazze grandi vanno matte...
Lo schermo suona come un gong, e Pierre tossisce. «C'è posta per te», dice asciutto. «Vuoi che te la legga?».
«Che dia...». Un messaggio inonda lo schermo, una scrittura serpentina da destra a sinistra, come la roba sul suo atto societario (ora al sicuro in una cassetta di sicurezza a Zurigo). Le serve un po' per caricare un agente grammaticale che se la cavi con l'arabo, e un altro minuto perché lei si renda conto del significato del messaggio. Quando lo fa, comincia a imprecare, a voce alta e senza fermarsi.
«Che puttana, mamma, perché hai dovuto fare una cosa del genere?».

L'atto societario arrivò in un enorme pacco FedEx, indirizzato ad Amber. Era il suo compleanno, mentre mamma era al lavoro, e lo ricorda come se fosse successo solo un'ora fa.
Ricorda di essersi tesa a strofinare il pollice sulla cartella del fattorino, la sensazione ruvida dei microsequenziatori che prendevano un campione di DNA. Trascina dentro il pacco. Quando tira la linguetta sulla scatola, si disimballa automaticamente, rigurgitando una stampante 3D compatta, mezza risma di carta stampata in antico inchiostro inerte, e un gattino fulvo con il grosso simbolo di una chiocciol@ sul fianco. Il gatto salta fuori dalla scatola, si stiracchia, scuote la testa e la guarda. «Sei Amber?» miagola. Fa reali versi da gatto, ma il significato è chiaro, è in grado di parlare direttamente alla sua interfaccia di competenza linguistica.
«Sì», dice timidamente. «Ti manda tante Nette?».
«No, mi manda una cazzo di fata dei dentini». Si protende e le tocca il ginocchio con la testa, affilando sulla sua gonna le ghiandole odorifere che ha fra le orecchie. «Ascolta, hai un po' di tonno in cucina?».
«Mamma non crede nel pesce», dice Amber. «Oggigiorno è tutta schifezza di produzione estera, dice. È il mio compleanno oggi, te l'ho detto?».
«Buon cazzo di compleanno, allora». Il gatto sbadiglia, convincente e realistico. «Ecco il regalo di tuo padre. Quel bastardo mi ha messo in ibernazione e mi ha spedito per farti vedere come funziona. Segui il mio consiglio, butta quella cazzata nell'immondizia. Non ne verrà niente di buono».
Sbattendo allegra le mani, Amber interrompe il brontolio del gatto. «Allora, che cos'è?» domanda. «Una nuova invenzione? Una specie di bizzarro giocattolo sessuale preso ad Amsterdam? Una pistola, così posso sparare al Pastore Wallace?».
«Naah». Il gatto sbadiglia un'altra volta, e si raggomitola a terra vicino alla stampante 3D. «È una specie di rischioso modello di impresa per staccarti dagli artigli di tua madre. Meglio fare attenzione, però. Dice che la sua legalità ha una portata ristretta in termini di giurisdizione. Tua mamma potrebbe riuscire a delegittimarlo se imparasse come funziona».
«Wow. Voglio dire, che bello». In verità, Amber è felice perché è il suo compleanno, però mamma è al lavoro e lei è a casa da sola, con l'unica compagnia della TV in modalità morale. Le cose sono andate precipitando da quando mamma ha deciso che una dose media di religione vecchio stile sarebbe stata parte essenziale della sua educazione, fino al punto che la miglior cosa al mondo, in assoluto, che tante Annette poteva mandarle era un imbroglio programmato da papà per portarla via. Se non funzionerà, stasera mamma la porterà in chiesa, ed è certa che finirà con un'altra scenata. La tolleranza di Amber verso l'idiozia premeditata è in rapido calo, mentre la costruzione di una immunità memetica potrebbe essere il vero motivo per cui mamma la costringe a questa merda. È sempre difficile capirlo: le cose si sono fatte tese da quando l'hanno espulsa dal catechismo per un'accorata difesa della teoria dell'evoluzione.
Il gatto tira su col naso in direzione della stampante. «Perché non l'accendi?». Amber apre il coperchio della stampante, rimuove il polistirolo dell'imballaggio e infila la spina. C'è tutto un ronzio di calore sul retro mentre raffredda le testine grafiche fino alla temperatura di funzionamento e registra la nuova proprietà.
«Cosa faccio adesso?» chiede.
«Prendi la pagina etichettata LEGGIMI e segui le istruzioni», recita il gatto in una cantilena annoiata. Le fa l'occhiolino, poi imita un esagerato accento francese. «Le LEGGIMI, il sont contiene istruzioni pour eseguire l'atto societario dans le boit. In caso di perplessità, consultare l'Aineko di accompagnamento per chiarificazioni». Il gatto arriccia rapidamente il naso, come sul punto di mordere un insetto invisibile. «Avviso: non basarti sulle opinioni del gatto di tuo padre. È una bestia perversa e indegna di fiducia. Tua madre ha contribuito a seminarne la base memetica, quando erano sposati. Fine». Continua a borbottare per un po'. «Quella fottuta spocchiosa puttana parigina. Le piscerò nel cassetto delle chincaglierie, perderò il pelo nel bidet...».
«Non essere meschino». Amber scorre rapidamente il LEGGIMI. Gli atti societari sono magia forte, secondo papà, e questo è esotico sotto qualunque standard (una società a responsabilità limitata con sede nello Yemen, contorta da un incrocio fra la shari'a e il legislatosauro globale). Comprenderlo non è facile, anche con una rete personale piena di agenti subsenzienti che hanno completo accesso a intere biblioteche di diritto commerciale internazionale (il collo di bottiglia è la comprensione). Amber trova i documenti altamente sconcertanti. A infastidirla non è il fatto che siano scritti per metà in arabo - è a questo che serve il motore grammaticale - o che siano anche pieni di espressioni simboliche e pezzi semidigeribili di linguaggio LISP: è che la società sembra esistere al solo scopo di possedere schiavi.
«Cosa succede?» chiede al gatto. «Che cos'è tutto questo?».
Il gatto starnutisce, poi assume un'aria disgustata. «Non è stata un'idea mia, caro pezzo grosso. Tuo padre è un tipo molto bizzarro, e tua madre lo odia tanto perché è ancora innamorata di lui. Le piace strano, lo sai? O forse lo sta sublimando, se fa sul serio mettendoti sotto con tutta questa merda della chiesa. Lui pensa che è fissata col controllo, e non ha completamente torto. Comunque, quando tuo padre è scappato alla ricerca di un'altra dominante, lo ha colpito con un'ingiunzione. Però, ha dimenticato di fare lo stesso con la sua partner, ed è stata lei a comprare questo bel verminaio e a spedirtelo, okay? Annie è una vera puttana, ma lui la tiene in suo potere, più o meno. Comunque, lui ha comprato queste società e la stampante - che non è collegata a un proxy, come quella di tua madre - precisamente per farti scappare da lei legalmente. Se è quello che vuoi fare».
Amber va avanti veloce nelle sezioni dinamiche del LEGGIMI - per lo più noiosi diagrammi legali UML - assorbendo il succo del piano. Lo Yemen è uno dei pochi paesi dove vigono allo stesso tempo la tradizionale legge sunnita della shari'a e un tipo truffaldino di società a responsabilità limitata. Possedere schiavi è legale - si fa fìnta che il padrone abbia un premio a basso rischio sul rendimento futuro del lavoratore a contratto, con un interesse che cresce più di quanto la sfortunata vittima possa ripagare - e le società sono soggetti legali. Se Amber si vende in schiavitù a questa società, diventerà una schiava, e la società sarà legalmente responsabile delle sue azioni e della sua manutenzione. Il resto dell'atto legale - circa il novanta per cento, in effetti - è composto da una serie di meccanismi finanziari autocorrettivi, codificati secondo una varietà di giurisdizioni, che permettono la costituzione di società Turing-complete che fungono da proprietà schermo del contratto di schiavitù. A capo del gioco di scatole cinesi è un fondo fiduciario di cui Amber è principale beneficiaria e azionista. Quando raggiungerà la maggiore età, acquisirà il completo controllo di tutte le società della rete e potrà sciogliere il contratto di schiavitù; fino ad allora, il fondo (essenzialmente di sua proprietà) sovrintende la società che la possiede (e la tiene al sicuro da scalate ostili). Oh, e la rete societaria riceve le direttive da una riunione generale straordinaria che ha dato istruzione di spostare immediatamente a Parigi il capitale del fondo. Si allega un biglietto aereo di sola andata.
«Pensi che dovrei accettare?» chiede incerta. È difficile dire veramente quanto sia intelligente il gatto - probabilmente c'è un vuoto che si spalanca dietro quelle reti semantiche, se si va abbastanza a fondo - ma ha raccontato una storia proprio convincente.
Il gatto si accovaccia e si arrotola difensivamente la coda intorno alle zampe. «Io non dico niente, intesi? Lo accetti, e vai a vivere col tuo papà. Ma non impedirà a mamma di inseguire lui con la frusta, e te con un mucchio di avvocati e un paio di manette. Se vuoi il mio consiglio, telefona ai Franklin e sali a bordo del loro impiccio minerario extraplanetario. Nello spazio nessuno può mandarti una citazione. In più, hanno progetti a lungo termine per entrare nel mercato della comunicazione con intelligenze extraterrestri, craccando pacchetti delle reti aliene. Tu vuoi la mia onesta opinione: a Parigi, dopo un po' non ti piacerebbe. Tuo padre e la puttana francese si danno da fare, lo sai? Nella loro vita non c'è il tempo per un bambino. O per un gatto come me, a pensarci bene. Lavorano tutto il giorno per il senatore, e passano tutta la notte fuori in mezzo a droghe, feste fetish, l'opera, i rave, tutte quelle cazzate da adulti. Tuo papà si mette il vestito lungo più di tua madre, e tua tante Nettie lo trascina per l'appartamento con una catena, quando non fanno sesso e casino sul balcone. Ti rovinerebbero lo stile, ragazzina. Non ci si adatta a genitori che hanno una vita più attiva della tua».
«Uh». Amber arriccia il naso, disgustata dai trasparenti intrighi del gatto, ma accogliendo il messaggio. Meglio pensarci bene, decide. Poi si invola in un numero tale di direzioni tutte insieme da mandare quasi in crisi la banda larga di casa. Una parte di lei esamina l'intricata piramide di carta che compone la struttura societaria; altrove, pensa a cosa può andar male, mentre un altro pezzo (probabilmente una parte del suo umido, incasinato io biologico ghiandolare) pensa, un po' trepidante, a quanto sarebbe bello rivedere papà. I genitori non dovrebbero fare sesso (non c'è una legge o qualcosa del genere)? «Parlami dei Franklin. Sono sposati? Soli?».
La stampante 3D si sta avviando. Fa un lieve sibilo, dissipando calore dalla camera a vuoto spinto contenuta nello spazio super-freddo. Nelle sue viscere, sta creando raggi di atomi coerenti, provenienti da un mucchio di condensati di Bose-Einstein fluttuanti al limite dello zero assoluto. Sovrapponendo schemi di interferenza, genera un ologramma atomico che costruisce una perfetta replica di un artefatto originario, fino al livello atomico (non ci sono parti nanotecnologiche che si muovono sferragliando, rischiando di rompersi, surriscaldarsi o mutare). Fra mezz'ora qualcosa uscirà dalla stampante, clonato dal suo originale fino a ciascuno stato quantico dei nuclei atomici che lo compongono. Il gatto, apparentemente ignaro, si trascina vicino all'aria calda espulsa dai condotti di ventilazione.
«Bob Franklin è morto circa due, tre anni prima che nascessi, tuo papà era in affari con lui. E anche tua mamma. Comunque, aveva fatto conservare pezzi del suo noumen, e gli esecutori testamentari stanno cercando di ricreare la sua coscienza caricandola collettivamente nei loro impianti. Sono una specie di cyborganismo, ma dotato di soldi e stile. Comunque, a suo tempo Bob era entrato nel giro spaziale, con un po' di giochi di prestigio finanziari allestiti da tuo padre, e adesso stanno costruendo un habitat spaziale che porteranno fino a Giove, dove potranno smantellare un paio di lune minori e cominciare a costruire raffinerie di elio-3. È l'impiccio CETI di cui ti parlavo prima, ma hanno tutta una serie di altre idee a lungo termine. Vedi, gli amici di tuo padre hanno craccato la trasmissione, quella di cui tutti parlano. È una quantità di istruzioni per trovare il router più vicino per inserirsi nell'Internet galattica. E vogliono andarci per parlare con gli alieni».
In gran parte, tutto questo supera la portata di Amber - dovrà imparare più tardi cosa siano le raffinerie di elio-3 - ma l'idea di fuggire nello spazio ha un certo fascino. L'avventura, ecco cos'è. Amber si guarda intorno nel salotto e per un attimo lo vede come una capsula, una piccola cella di legno rinchiusa dentro l'immagine di un'America perbene che non è mai esistita, in cui la mamma vuole educarla, come una malfatta scatola di Skinner progettata per addestrarla alla normalità. «Ci si diverte su Giove?» chiede. «So che è grosso e non molto denso, tutto qua. Ma è, diciamo, un posto vivace? Ci sono gli alieni?».
«È il primo posto dove andare per riuscire a incontrare gli alieni, prima o poi», dice il gatto, mentre la stampante sferraglia e rigurgita un passaporto falso (invecchiato in maniera convincente), un intricato sigillo di metallo, su cui è intagliata una scritta in arabo, e un vaccino peronalizzato ad ampio spettro, mirato all'immaturo sistema immunitario di Amber. «Mettitelo sul polso, firma le tre copie in cima, infilale nella busta e diamoci da fare. Abbiamo un volo da prendere, schiava».

Sadeq sta cenando quando nell'orbita di Giove arriva la prima causa.
Da solo, nell'angusto vuoto ronzante della stazione, medita sull'azione legale. Il linguaggio è goffo ed evidenzia il marchio di una rozza traduzione automatica: il querelante è americano, una donna, e stranamente dichiara di essere cristiana. Questo è già sorprendente, ma la natura della sua pretesa è letteralmente assurda. Si costringe a finire il pane, poi mette i rifiuti in una busta e pulisce il piatto, prima di prestarle tutta l'attenzione. È uno scherzo di cattivo gusto? Evidentemente no. In qualità di unico quadi oltre l'ombra di Marte, è l'unico qualificato a esaminarla, ed è un caso che implora giustizia.
Una donna che conduce una vita timorata di Dio - non una vita corretta, certo, ma mostra segni di umiltà e progresso verso una comprensione più profonda - viene privata della figlia dalle macchinazioni di un marito inetto che l'ha abbandonata anni prima. Che la donna allevasse la figlia da sola colpisce Sadeq come una cosa sconvolgentemente occidentale, ma scusabile quando legge la descrizione del comportamento dell'inetto, che è alquanto negligente; c'è un brutto destino in attesa di qualunque bambino cresciuto da quest'uomo. Quest'uomo la priva della figlia, ma non con mezzi legittimi. Non accoglie la bambina in casa, né fa alcun tentativo di crescerla, secondo i propri costumi o i precetti della shari'a. Con malvagità, invece, la riduce in schiavitù nel pantano della tradizione legale occidentale, affinché venga usata come lavoratrice dalle dubbie forze del presunto «progresso». Le stesse forze che Sadeq è stato inviato ad affrontare, come rappresentante della umma in orbita intorno a Giove.
Sadeq si gratta la barbetta, assorto. Una brutta storia, ma cosa può fare? «Computer», dice, «in risposta alla ricorrente: "Ha tutta la mia partecipazione in merito alla sua sofferenza, ma non riesco a capire come potrei assisterla". Il suo cuore grida aiuto davanti a Dio (benedetto sia il suo nome), ma certo questa è materia per le autorità temporali del dar al-Harb». Si ferma. O no? si chiede. Nella sua testa cominciano a girare le rotelle legali. «Se solo riuscirà a trovare un modo per estendere fino a me una strada per affermare il primato della sharia su sua figlia, mi impegnerò a costruire delle motivazioni per la sua emancipazione, per la maggior gloria di Dio (benedetto sia il suo nome). Fine, firma, invia».
Slegando le cinghie di velcro che lo assicurano al tavolo, Sadeq fluttua in alto e scalcia gentilmente verso l'estremità anteriore dell'angusto habitat. I controlli del telescopio sono posizionati fra la lavatrice ultrasonica e i depuratori a idrossido di litio. Sono già sbloccati, perché stava conducendo una perlustrazione ad ampio raggio degli anelli interni, alla ricerca della firma dell'acqua ghiacciata. Con urgenza, qualcosa richiama la sua attenzione, l'irritante consapevolezza di aver perso qualcosa nella e-mail della donna: c'erano una quantità di enormi allegati. Con scarsa attenzione scorre le notizie inviate quotidianamente dai colleghi studiosi. Nel frattempo, attende pazientemente che il telescopio scopra il bagliore di luce in cui è ridotta in schiavitù la figlia della donna.
Questo potrebbe essere un modo, si rende conto, un modo per entrare in dialogo con loro. Che le domande difficili si rispondano da sole, con eleganza. Non ci sarà necessità di scontro se li si può convincere che i loro progetti sono difettosi: nessuna necessità di difendere i credenti dalla moderna Torre di Babele che questa gente si propone di costruire. Se questa donna, Pamela, parla sul serio, Sadeq non finirà i suoi giorni qui, nel freddo fra i mondi, lontano dai suoi anziani genitori, dai fratelli, dai colleghi e dagli amici. E sarà profondamente grato perché, nel profondo del cuore, sa di non essere un guerriero quanto uno studioso.

«Mi dispiace, ma i borg stanno tentando di assimilare un'azione legale», dice la receptionist. «Può rimanere in attesa?».
«Scemenze». Amber sbatte gli occhi per togliersi dalla vista l'immagine spettro del telefono Binary Betty, poi si guarda intorno nella cabina. «Chi pensi che sia?».
«Il dr. Robert H. Franklin», suggerisce il gatto. «È una causa persa, se me lo chiedi. A Bob la roba piaceva tanto da far crescere tutta questa mente collettiva hippie, usando il suo vettore di stato come narghilè...».
«Chiudi quella cazzo di bocca!» gli grida Amber. Immediatamente contrita (perché urlare in una navicella gonfiabile è un enorme passo falso): «Scusa». Emette un processo autonomo dotato di completo controllo sul sistema nervoso parasimpatico, gli dice di calmarla, poi ne emette un altro paio e diventa una fuqaha, un'esperta legale della shari'a. Si rende conto che si sta appropriando di una quantità eccessiva della misera banda dell'orfanotrofio - e questo tempo dovrà poi ripagarlo sotto forma di lavoro - ma è necessario. «Mamma è andata troppo oltre. Stavolta è guerra».
Si lancia fuori dalla porta e ruota verso destra nell'asse centrale dell'habitat, un missile vagante alla ricerca di un bersaglio su cui sfogare la rabbia. Una crisi le farebbe bene...
Ma il corpo le dice di calmarsi, contare fino a dieci, e c'è un drone che le solletica la mente con la sua saggezza scritturale, e si sente frustrata, arrabbiata e fuori controllo, ma non proprio infuriata. Era come tre anni fa, quando mamma notò che andava troppo d'accordo con Jenny Morgan e la trasferì in un nuovo distretto scolastico, dicendo che era un incarico di lavoro, ma Amber la sapeva lunga. Fu mamma a chiederlo, solo perché restasse dipendente e inerme. Mamma è una maniaca del controllo, con idee fisse su come allevare i bambini, e da quando ha visto papà per l'ultima volta, ha affondato gli artigli in Amber, facendo della sua educazione il suo primo lavoro (ed è dura, perché Amber non fa la brava vittima, ed è furba e anche piena di legami). Ma adesso, mamma ha trovato il modo di fotterla completamente, anche nell'orbita di Giove, e se non ci fosse l'apparato craniale a tenere il coperchio sulle cose, Amber sarebbe completamente fuori controllo.
Invece di gridare contro il gatto, o di provare a mandare un messaggio ai Franklin, Amber va a caccia dei borg nella loro tana fisica.
Ci sono sedici borg a bordo della Sanger, adulti, membri del Collettivo Franklin che hanno occupato le rovine della visione postuma di Bob Franklin. Prestano pezzi di cervello al compito di eseguire quanto la scienza ha potuto resuscitare della mente del defunto miliardario della finanza virtuale, rendendolo il primo bodhisattva nell'era degli Upload, oltre alla colonia delle Aragoste, naturalmente. La madre della tana è una donna chiamata Monica, una regina flessuosa e dagli occhi castani, con impianti oculari chiazzati da aloni di pixel, e un modo di parlare secco e sardonico, in grado di corrodere l'ego come un vento del deserto. È la più brava di tutti a eseguire Bob, tranne il tipo strano chiamato Jack, e non se la cava male quando è se stessa (a differenza di Jack, che non è mai se stesso in pubblico). Il che, probabilmente, spiega perché l'abbiano eletta Leader Massimo della spedizione.
Amber trova Monica nel giardino numero quattro, eseguendo un'operazione su un filtro otturato da uova di rospo. È quasi sepolta sotto un grosso tubo, mentre la scatola degli attrezzi, fissata con nastri di velcro, ondeggia nel vento come uno strano fuco blu. «Monica, hai un minuto?».
«Certo, ho tanti minuti. Vuoi darmi una mano? Passami la chiave antitorsione e una brugola numero sei».
«Uhm». Amber cattura la bandiera blu e armeggia col contenuto. Si assembla qualcosa dotato di batterie, motori, un contrappeso a volano e giroscopi laser. Amber lo passa sotto il tubo. «Ecco. Ascolta, hai il telefono occupato».
«Lo so. Sei venuta a vedermi per la tua conversione, vero?».
«Sì!».
Risuona un rumore sotto la coppa a pressione. «Prendi questo». Una busta di plastica esce fluttuando, rigonfia di cerniere scompagnate. «Ho un po' di roba da aspirare. Prenditi una maschera se non ce l'hai già».
Un minuto dopo, Amber torna vicino alle gambe di Monica, con la faccia velata da una mascherina. «Non voglio andare fino in fondo», dice. «Non mi importa cosa dice mamma, io non sono musulmana! Questo giudice non può toccarmi. Non può», aggiunge, mentre la veemenza lotta con l'insicurezza.
«Forse non vuole». Un'altra busta. «Ecco, prendi».
Amber afferra la busta, una frazione di secondo troppo tardi. Scopre nel modo più duro che è piena d'acqua e uova di rospo. Fibrosi filamenti di muco pieni di girini a forma di virgola esplodono in tutto il compartimento, rimbalzando sulle pareti in una pioggia di coriandoli anfibi. «Uuuh!».
Monica si dimena dietro il tubo. «Oh, no!». Scalcia contro il pavimento designato, afferra un rotolo di carta assorbente dal riciclatore, e lo sbatte sulla copertura del ventilatore al di sopra dello scarico. Insieme inseguono le uova di rospo con sacchetti dei rifiuti e carta; quando hanno ripulito tutta la schifezza fibrosa, il riciclatore comincia a ticchettare e a ronzare, processando cellulosa dai serbatoi delle alghe per produrre carta nuova. «Questo non va bene», dice Monica enfaticamente, mentre il cestino dei rifiuti risucchia l'ultimo sacchetto. «Tu non sai come è entrato il rospo?».
«No, ma ne ho incontrato uno libero nella sala comune, un turno prima della fine dell'ultimo ciclo. L'ho riportato da Oscar».
«Gli dirò una parolina, allora». Monica guarda il tubo, cupa. «Fra un minuto dovrò tornare a riadattare il filtro. Vuoi che diventi Bob?».
«Uh». Amber pensa: «Non sono sicura. Decidi tu».
«D'accordo, Bob sta arrivando on line». Il viso di Monica si rilassa lievemente, poi la sua espressione si indurisce. «Per come la vedo io, hai una scelta. Tua madre ti ha più o meno incastrato, vero?».
«Sì». Amber si acciglia.
«Allora. Fa' finta che io sia un idiota. Fammi capire, uh?».
Amber si trascina accanto all'idrotubo e abbassa la testa, accanto a Monica/Bob, che galleggia coi piedi vicino al pavimento. «Sono scappata di casa. Mamma mi possedeva, cioè, aveva i diritti di custodia, e papà niente. Allora papà, con un intermediario, mi ha aiutato a vendermi in schiavitù a una società. La società è di proprietà di un fondo fiduciario, e io sarò il principale beneficiario quando raggiungerò la maggiore età. Come bene di proprietà, la società mi dice cosa fare - legalmente - ma la società fantoccio è organizzata per prendere ordini da me. Così sono autonoma. Giusto?».
«Sembra proprio una cosa tipica di tuo padre», dice Monica/Bob, in tono neutro. Dominato dal sardonico accento di un uomo di mezz'età della Silicon Valley, l'accento del nord dell'Inghilterra di Monica diventa stranamente transatlantico.
«Il problema è che gran parte dei paesi non riconosce la schiavitù, anche se la rivestono ben bene e la chiamano in loco parentis o qualcosa del genere. Chi lo fa, per lo più non ha equivalenti nella società a responsabilità limitata, men che mai se diretta da un'altra società estera. Papà ha scelto lo Yemen perché ha questo stupido tipo di shari'a - e una tradizione di merda nel campo dei diritti umani - ma è più o meno conforme al protocollo aperto degli standard legali, in grado di interfacciare con le norme della UE tramite una scorciatoia legislativa turca».
«Dunque, be', tecnicamente credo di essere una giannizzera. Mamma attraversava la sua fase cristiana, e questo mi ha reso una miscredente cristiana schiava di una società islamica. Ora, quella stupida puttana è andata a convertirsi all'islamismo sciita. Normalmente, la discendenza islamica è patrilineare, ma lei ha scelto con cura la sua setta, e ne ha scelta una con una visione progressista dei diritti delle donne. Sono una specie di fondamentalisti islamici e costruzionisti liberali: "cosa farebbe il Profeta se fosse vivo oggi e dovesse preoccuparsi di fabbriche di chewing gum autoreplicanti", e roba del genere. Generalmente hanno una visione progressista di cose come l'uguaglianza legale fra i sessi, perché per la sua epoca il Profeta era in grande anticipo sui tempi e ritengono che se ne dovrebbe seguire l'esempio. Comunque, questo significa che mamma può affermare che io sono musulmana, e sotto la legge yemenita vengo trattata come proprietà musulmana di una società. E i loro codici legali hanno molti dubbi sulla liceità della schiavitù per i musulmani. Non è che non abbia diritti, ma il mio benessere pastorale diventa responsabilità dell'imam locale, e...». Alza le spalle, impotente.
«Ha già provato a gestirti secondo le nuove regole?» chiede Monica/Bob. «Ha messo ostacoli alla tua libertà di agire, ha provato a manipolarti la mente? Ha insistito su inibitori libidici o ti ha imposto vestiti austeri?».
«Non ancora». L'espressione di Amber è cupa. «Ma non è un fantoccio. Credo stia cercando di usare mamma - e me - come un modo per mettere gli artigli su tutta questa spedizione. Dichiarare il possesso giuridico di un territorio, richiedere un arbitrato, cose del genere. Potrebbe essere peggio: potrebbe ordinarmi di seguire in pieno la sua particolare applicazione della shari'a. Permettono gli impianti, ma richiedono filtri concettuali obbligatori: se lancio quella roba, finirò col crederci».
«Okay». A mezz'aria, Monica fa un lento salto mortale all'indietro. «Ora dimmi perché non puoi semplicemente ripudiarlo».
«Perché», respiro profondo, «posso farlo in due modi. Posso rinnegare l'Islam, il che mi rende un'apostata e automaticamente pone termine al mio contratto con la società, dunque mamma mi possiederà sotto le leggi degli USA o della UE. Oppure posso dire che l'atto non ha validità legale perché quando l'ho firmato mi trovavo negli USA, dove la schiavitù è illegale, e in quel caso mamma mi possiederà. Oppure posso mettere il velo, vivere come una modesta donna musulmana, fare tutto ciò che vuole l'imam, ma lei ottiene di nominare uno chaperon. Oh, Bob, come l'ha progettato bene».
«Uh-huh». Monica ruota nuovamente a terra e guarda Amber, e improvvisamente sembra proprio Bob. «Adesso che mi hai raccontato i tuoi guai, comincia a pensare come tuo papà. Tuo padre aveva decine di idee creative tutti i giorni prima di colazione. È così che si è fatto un nome. Tua mamma ti ha incastrato. Pensa al modo di uscirne. Cosa puoi fare?».
«Be'...» Amber rotea e si stringe al petto il grosso condotto idroponico come una zattera di salvataggio. «È un paradosso legale. Sono in trappola a causa della giurisdizione in cui mi ha costretta. Potrei parlare al giudice, presumo, ma l'ha scelto con cura». Le si stringono gli occhi. «La giurisdizione. Ehi, Bob». Lascia il condotto e va in caduta libera, con i capelli ondeggianti dietro di lei come l'alone di una cometa. «Come faccio a trovarmi una nuova giurisdizione?».
Monica sogghigna. «Mi sembra di ricordare che il modo tradizionale era prenderti un po' di terra e nominarti re, ma ci sono altri modi. Hai degli amici che credo dovresti incontrare. Non sono bravi nella conversazione e c'è un ritardo di due anni luce, ma credo che troverai che hanno già risposto alla tua domanda. Ma perché prima non parli con l'imam e non scopri com'è? Potrebbe sorprenderti. Dopo tutto, era già qui prima che tua mamma decidesse di usarlo per ripicca».

La Sanger è in orbita a un'altezza di trenta chilometri, ruotando intorno al centro della patata di Amaltea. I droni sciamano sui pendii del Mons Lycros, a dieci chilometri di altitudine sul livello superficiale medio. Sollevano nubi rossastre di polvere di zolfo mentre stendono fogli trasparenti sull'arido paesaggio del satellite. Così vicino a Giove (a soli centottantamila chilometri al di sopra del folle paesaggio di nubi turbinanti), il gigante gassoso riempie metà del cielo con un quadrante in continuo cambiamento, perché Amaltea orbita intorno al pianeta madre ogni dodici ore. Gli schermi antiradiazioni della Sanger operano a tutta potenza, rivestendo la nave di una corona di plasma increspato. La radio è inutile, e i minatori umani controllano i droni con un'intricata rete di circuiti laser. Altri droni, più grandi, srotolano bobine di pesanti cavi elettrici a nord e a sud del punto d'atterraggio. Quando i circuiti saranno collegati, formeranno una spira che attraverserà il campo magnetico di Giove, generando corrente elettrica (e rallentando impercettibilmente il momento orbitale della luna).
Amber sospira e, per la sesta volta in un'ora, osserva la webcam incollata sul fianco della cabina. Ha tolto i poster e ha detto ai giocattoli di riporsi in ordine. Fra altri duemila secondi, la minuscola navicella iraniana sorgerà oltre l'orlo di Moshtari e poi arriverà il momento di parlare con l'insegnante. Non è un'esperienza che aspetta con ansia. Se si rivelerà un vecchio zuccone raggrinzito della più ottusa tendenza fondamentalista, lei sarà nei guai. La mancanza di rispetto verso l'età è, da generazioni, parte integrante dell'esperienza adolescenziale dell'Occidente, e un thread interculturale che ha addestrato per darle suggerimenti sull'Islam le ricorda che non tutte le culture condividono questo atteggiamento. Ma se si rivelerà essere giovane, intelligente e flessibile, potrebbe andare anche peggio. Quando aveva otto anni, Amber fece un'audizione per La bisbetica domata. Scoprì di non avere voglia di fare la protagonista nella sua produzione interculturale.
Sospira ancora. «Pierre?».
«Sì?». La voce proviene dal fondo dello scomparto d'emergenza, nella sua stanza. È rannicchiato, contraendo languidamente gli arti mentre guida un drone minerario intorno alla superficie dell'Oggetto Barney, come l'avatar della roccia ha deciso di chiamarsi. Il drone è una tipula dalle zampe lunghe, che rimbalza in punta di piedi nella microgravità. La roccia è lunga solo mezzo chilometro sull'asse maggiore, rivestito di marrone per gli idrocarburi e i composti di zolfo spruzzati sulla superficie di Io dai venti gioviani. «Arrivo».
«Sarebbe il caso». Lei osserva lo schermo. «Centoventi secondi alla prossima accensione». Il barattolo sullo schermo, tecnicamente parlando, è carico rubato. Andrà bene, basta restituirlo, ha detto Bob, anche se non lo potrà fare finché non raggiunge Barney e trovano abbastanza ghiaccio per fare rifornimento. «Trovato ancora niente?».
«Il solito. Ho uno strato di ghiaccio vicino al polo dell'asse semimaggiore. È sporco, ma ce n'è almeno mille tonnellate. E la superficie scricchiola di catrame. Amber, sai una cosa? Quella merda arancione, è piena di fullereni».
Amber rivolge un ghigno al suo riflesso sullo schermo. Sono buone notizie. Non appena toccherà terra il carico pagante che sta guidando, Pierre la potrà aiutare disponendo cavi superconduttori sull'asse maggiore di Barney. È solo un chilometro e mezzo, e fornirà solo poche decine di kilowatt di potenza, ma il costruttore a condensazione, anch'esso carico pagante, li potrà usare per convertire la crosta di Barney in materia lavorata, alla velocità di due grammi al secondo. Utilizzando progetti gratuiti della Fondazione per l'Hardware Libero, entro duecentomila secondi avranno una griglia di sessantaquattro stampanti 3D che rigurgiteranno materia strutturata a un ritmo limitato solo dall'energia disponibile. Partendo da una fichissima tenda a cupola con un po' di ossigeno/azoto disponibile da respirare, e aggiungendo poi una grossa rete di memoria e un collegamento diretto ad alta banda con la Terra, Amber avrebbe avuto una colonia monoposto tutta sua, in piena attività, entro un milione di secondi.
Lo schermo lampeggia. «Oh cazzo! Togliti di torno, Pierre». La chiamata in arrivo prende tutta la sua attenzione. «Sì? Chi è?».
Lo schermo si riempie con l'immagine di un'angusta capsula spaziale, molto Ventesimo secolo. Il tizio all'interno è fra i venti e i trenta, col viso molto abbronzato, capelli e barba corti, e indossa un sottotuta grigioverde. Galleggia fra un regolatore d'attracco manuale russo e una fotografia incorniciata in oro della Ka'ba della Mecca. «Buonasera a lei», dice solenne. «Ho l'onore di rivolgermi ad Amber Macx?».
«Uh, sì? Sono io». Lo fissa. Non somiglia per niente alla sua idea di ayatollah - qualunque cosa sia un ayatollah - anziano, vestito di nero, malignamente fondamentalista. «Chi è lei?».
«Sono il dr. Sadeq Khurasani. Spero di non interrompere. Ti disturba se parliamo adesso?».
Ha un'aria tanto ansiosa che Amber, automaticamente, annuisce: «Certo. È stata mia mamma a spingerla?». Parlano ancora inglese, e lei nota che ha una buona dizione, anche se un po' artefatta. Non usa una macchina grammaticale, ha veramente imparato la lingua nel modo difficile, si rende conto, avvertendo un fremito di paura. «Bisogna stare attenti a come si parla con lei. Non dice proprio delle bugie, ma porta la gente a fare quel che vuole».
«Sì, ho parlato a... ah». Una pausa. Sono a quasi un secondo luce di distanza, c'è tempo per collisioni dolorose e silenzi accidentali. «Capisco. È sicura che sia giusto parlare così di sua madre?».
Amber fa un respiro profondo. «Gli adulti possono divorziare. Se io potessi divorziare da lei, lo farei. Lei è...». Impotente, si agita alla ricerca della parola giusta. «Guardi, è il tipo di persona che non sa perdere una battaglia. Se perderà, troverà il modo per scatenare la legge contro di lei. Come ha fatto con me. Non lo capisce?».
Il dr. Khurasani ha un'aria estremamente dubbiosa. «Non sono certo di capire», dice. «Forse, hmm, dovrei dirti perché ti sto parlando?».
«Certo. Vada avanti». Amber è sorpresa dal suo atteggiamento: sembra veramente prenderla sul serio, si accorge. La tratta da adulta. La sensazione è talmente nuova - provenendo da una persona che ha oltre vent'anni più di lei - che lei quasi dimentica che le parla solo su istigazione di mamma.
«Be', faccio l'ingegnere, e inoltre sono uno studioso di fiqh, di giurisprudenza. Infatti, sono qualificato per giudicare. Sono un giudice agli inizi, ma è comunque una responsabilità pesante. In ogni caso, tua madre, pace sia con lei, mi ha presentato un'istanza. Ne sei al corrente?».
«Sì». Amber è tesa. «È una bugia. Una distorsione dei fatti».
«Hmm». Sadeq si sfrega la barba, assorto. «Be', devo scoprirlo, sì? Tua madre si è sottomessa al volere di Dio. Questo ti rende figlia di una musulmana, e lei afferma...».
«Sta cercando di usarla come arma!». Lo interrompe Amber. «Mi sono venduta in schiavitù per scappare da lei, lo capisce? Mi sono fatta schiava di una società in amministrazione fiduciaria, di mia proprietà. Sta cercando di cambiare le regole per riavermi. Lo sa? Non credo gliene freghi un cazzo della religione, vuole solo me!».
«L'amore di una madre...».
«Amore del cazzo», ringhia Amber, «lei vuole il potere».
L'espressione di Sadeq sì indurisce. «Sei piena di parole sporche, bambina. Cerco solo di appurare i fatti della situazione. Dovresti chiederti se questa mancanza di rispetto va nel tuo interesse». Fa un momento di pausa, poi prosegue, meno brusco. «Hai veramente avuto un'infanzia così brutta con lei? Pensi che abbia fatto tutto soltanto per il potere, o potrebbe essere che ti ama?». Pausa. «Devi capire, ho bisogno di imparare. Prima di sapere quale sia la cosa giusta da fare».
«Mia madre...» Amber si ferma di colpo e genera una vaporosa nube di recupero memoria. Le emissioni si sventagliano nello spazio che le circonda la mente, come la coda di una cometa. Invocando un complesso insieme di analizzatori di rete e di filtri di categoria, trasforma i ricordi in immagini reificate, e le spara nel minuscolo cervello della webcam, in modo che lui le veda. Alcuni dei ricordi sono talmente dolorosi che Amber deve chiudere gli occhi. Mamma tutta truccata per l'ufficio, china su Amber, che le promette di disabilitare con la forza gli amplificatori lessicali se non studierà grammatica senza di loro. Mamma che parla ad Amber di un nuovo, improvviso trasloco, trascinandola lontano dalla scuola e da amici che, con titubanza, iniziavano a piacerle. La storia della chiesa del mese. Mamma che la sorprende al telefono con papà, spaccando il telefono in due e sbattendoglielo addosso. Mamma a tavola in cucina, che la costringe a mangiare... «A mia madre piace il controllo».
«Ah». L'espressione di Sadeq si fa vitrea. «Ed è così che si sente? Per quanto tempo avete avuto questo livello di... No, prego, mi scusi per la domanda. Ovviamente comprendi gli impianti. I tuoi nonni lo sanno? Hai parlato con loro?».
«I miei nonni?» Amber reprime una sbuffata. «I genitori di mamma sono morti. Quelli di papà sono ancora vivi, ma non gli parlano (a loro piace mamma). Mi considerano strana. So certe cose di loro, lo scaglione fiscale e il profilo dei consumi. Ero in grado di scavare dati con la testa da quando avevo quattro anni. Non sono fatta come le ragazzine dei loro tempi, e non capiscono. Lo sa che i grandi non ci amano per niente? Certe chiese si arricchiscono soltanto facendo esorcismi per vecchi convinti che i loro bambini siano posseduti».
«Bene». Sadeq si liscia ancora la barba, distrattamente. «Devo ammettere, c'è molto da imparare. Ma sai che tua madre ha accettato l'Islam, vero? Questo significa che anche tu sei musulmana. A meno che tu non sia un'adulta, legalmente i genitori parlano a nome tuo. E lei dice che sei anche un problema mio. Hmm».
«Non sono musulmana». Amber fissa lo schermo. «E non sono nemmeno una bambina». I filamenti si riuniscono, sussurrando spaventati dietro i suoi occhi: la sua testa è improvvisamente densa e gonfia di idee, pesante come un sasso e vecchia il doppio del tempo. «Non sono la merce di nessuno. Cosa dice la tua legge delle persone nate con gli impianti? Cosa dice delle persone che vogliono vivere per sempre. Io non credo in nessun dio, signor Giudice. Non credo nei limiti. Fisicamente, mamma non può costringermi a fare niente, e certo non può parlare a nome mio. Può solo mettere in discussione il mio status legale, e se scelgo di stare dove lei non può toccarmi, cosa importa?».
«Be', se è questo che hai da dire, devo riflettere sulla questione». La guarda negli occhi; la sua espressione è assorta, come un medico che valuta una diagnosi. «Ti richiamerò al momento giusto. Nel frattempo, se hai bisogno di parlare con qualcuno, ricorda che sono sempre a disposizione. Se posso fare qualcosa per alleviare il tuo dolore, sarò lieto di essere utile. La pace sia con te e con i tuoi cari».
«Anche a te», mormora cupa, mentre si spegne il collegamento. «E adesso?» chiede, mentre uno sprite volteggia, emettendo dei bip in cerca d'attenzione.
«Credo sia il modulo d'atterraggio», dice Pierre, sollecito. «È già sceso?».
Lo aggredisce: «Ehi, pensavo di averti detto di toglierti di mezzo!».
«E perché, per perdermi tutto il divertimento?». Le rivolge un ghigno malizioso. «Amber ha un nuovo ragazzo! Aspetta che lo dica a tutti...».

I cicli del sonno si susseguono; sull'Oggetto Barney, la piattaforma di visualizzazione della stampante 3D presa a prestito rigurgita schemi di atomi che, in passi doppi quantici, costruiscono i circuiti di controllo e lo scheletro di ulteriori stampanti. (Qui non esistono maldestri nanoassemblatori o robot grandi come virus, intenti a disporre le molecole l'una sull'altra, solo la bizzarra magia quantizzata dell'olografia atomica, condensati modulati di Bose-Einstein che collassano in strani macchinari merlettati superfreddi). L'elettricità aumenta nelle bobine di cavo mentre penetrano nella magnetosfera di Giove, convertendo lentamente in energia la velocità della roccia. Piccoli robot strisciano nella polvere color arancio, raccogliendo materie prime per alimentare il forno a frazionamento. Lentamente il giardino meccanico di Amber fiorisce, scindendosi secondo uno schema progettato dai preadolescenti di una scuola industriale polacca, senza quasi bisogno di guida umana.
In alto, in orbita intorno ad Amaltea, complessi strumenti finanziari si accoppiano e procreano. Sviluppati per il preciso compito di facilitare il commercio con le intelligenze aliene che si ritiene siano state rilevate otto anni prima dalla CETI, funzionano altrettanto bene nella custodia fiscale delle colonie spaziali. In California e a Cuba, i conti bancari della Sanger appaiono accettabili (dall'entrata nello spazio gioviano, l'orfanotrofio ha rivendicato i diritti, grosso modo, su cento gigatonnellate di rocce a caso, e su una luna che riesce appena a superare la definizione di corpo planetario sovrano stabilita dall'Unione Astronomica Internazionale). I borg lavorano duro, conducendo le loro alacri squadre di azionisti bambini nel progetto della costruzione delle metastrutture industriali necessarie a sostenere le miniere di elio-3 gioviano. Sono tanto concentrati da passare molto tempo come se stessi, senza curarsi di eseguire Bob, l'identità condivisa che fornisce quella spinta messianica.
A mezza ora-luce di distanza, una stanca Terra si sveglia e si riaddormenta seguendo la sua antica dinamica temporale. Un collegio religioso del Cairo riflette su questioni di nanotecnologia: se si usano i replicatori per preparare una copia di una fetta di bacon, fino al livello molecolare, ma senza essere mai stati parte di un maiale, come va trattata? (Se la mente di uno dei fedeli viene copiata nella memoria di una macchina calcolatrice mappandone e simulandone tutte le sinapsi, il computer è diventato musulmano? Se non è così, perché no? Se sì, quali sono i suoi diritti e doveri?). I disordini nel Borneo sottolineano l'urgenza di questa indagine teo-tecnologica.
Anche gli altri disordini a Barcellona, Madrid, Birmingham e Marsiglia sottolineano un problema crescente: il caos sociale causato dagli economici trattamenti anti invecchiamento. Gli Sterminatori Zombi, giovani scontenti che reagiscono contro la gerontocrazia europea, che in passato aveva i capelli grigi, insistono che le persone preesistenti alla supergriglia, che non sanno far uso degli impianti, non sono veramente senzienti. La loro ferocia è eguagliata solo dalla rabbia dei dinamici settuagenari del baby boom, dal corpo parzialmente restituito al vigore giovanile degli anni Sessanta, ma con la mente alla deriva in un secolo più lento, meno contingente. I falsi giovani si sentono traditi, ricacciati nella forza lavoro ma incapaci di affrontare la cultura del nuovo millennio, accelerata dagli impianti, con un'esperienza guadagnata a caro prezzo ma resa obsoleta dall'epoca deflazionistica.
Il miracolo economico del Bangladesh è tipico dei tempi. Con tassi di crescita superiori al venti per cento, la nazione è stata spazzata da una bioindustrializzazione economica e fuori controllo. Ex coltivatori di riso ora raccolgono plastica, e mungono le vacche per ottenere seta, mentre i bambini studiano maricoltura e progettano argini. Col possesso dei cellulari prossimo all'ottanta per cento, e l'alfabetizzazione al novanta, un paese precedentemente povero sta uscendo dalla sua trappola infrastnitturale storica, iniziando a svilupparsi. Fra un'altra generazione, saranno più ricchi del Giappone.
Nuove teorie economiche radicali si concentrano sulla larghezza di banda, su tempi di trasmissione alla velocità della luce, e sulle implicazioni della CETI, la comunicazione con intelligenze extraterrestri. Cosmologi e analisti quantitativi collaborano su bizzarri strumenti finanziari, concentrati relativisticamente. Lo spazio (che permette di immagazzinare l'informazione) e la struttura (che permette di trattarla) acquisiscono valore, mentre la massa inerte - come l'oro - lo perde. I nuclei degeneri del mercato azionario tradizionale sono in caduta libera, le vecchie industrie a ciminiera dei microprocessori e del biotech/nanotech sì sbriciolano di fronte all'attacco dei replicatori di materia e delle idee autocorrettive. Gli eredi sembrano pronti a essere una nuova ondata barbarica di comunicatori, che ipotecano il proprio futuro per la promessa del millennio, in cambio di un dono da parte di un'intelligenza aliena in visita. La Microsoft, che una volta era la US Steel dell'era del silicio, viene silenziosamente messa in liquidazione.
Una nanoepidemia verde nell'interno dell'Australia - un rozzo replicatore biomeccanico che divora tutto ciò che incontra - viene trattata con bombardamenti a tappeto di esplosivi termobarici. Di conseguenza, la USAF riattiva due stormi di B-52 e li mette a disposizione della commissione sulle armi autoreplicanti dell'ONU. (La CNN scopre che uno dei nuovi piloti, riarruolatosi col corpo di un ventunenne e un conto pensione vuoto, li aveva già pilotati in Laos e Cambogia). La notizia eclissa l'annuncio, da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, della fine della pandemia HIV, dopo oltre cinquant'anni di intolleranza, panico e stragi.

«Respira con regolarità. Ricordi le prove? Se scopri che il tuo ritmo cardiaco incrementa o senti la bocca secca, fai una pausa».
«Chiudi quella cazzo di bocca, 'Neko. Sto cercando di concentrarmi». Amber armeggia col moschettone di titanio, cercando di far passare la cinghia. I guanti le danno fastidio. Le tute spaziali orbitali - poco più di una calzamaglia, progettata per tenere la pelle sotto pressione e per agevolare il respiro - sono semplici, ma a questa profondità nella fascia di radiazioni di Giove deve indossare una vecchia tuta Orlan-DM che ha circa tredici strati. I guanti sono rigidi, ed è difficile lavorarci. Fuori fa un tempo degno di Chernobyl, un pulviscolo di particelle alfa e protoni liberi che turbina nel vuoto, e la protezione extra serve davvero. «Ce l'ho fatta». Dà uno strattone alla cinghia, fa scattare il moschettone, poi si mette all'opera sulla cinghia seguente. Senza mai guardare in basso, perché il muro a cui si sta legando è privo di pavimento, interrompendosi due metri più in basso, e poi cento chilometri di spazio vuoto prima di trovare terreno solido.
Il terreno canta come un cretino: «Ti amo di qua, ti amo di là, è la legge di gravità...».
Sbatte i piedi sulla piattaforma che emerge dal fianco della capsula, come il cornicione di un suicida: il velcro metallizzato fa presa, e tira le cinghie per volgere il corpo fino a vedere oltre la capsula, guardando di lato. La capsula ha una massa di circa cinque tonnellate, poco più di un'antica Soyuz. Trabocca di roba ecosensibile che le servirà, e una fichissima antenna ad alto rendimento. «Spero tu sappia che cosa stai facendo», dice qualcuno dall'intercom.
«Certo che...». Si ferma. Sola in questa vergine di ferro, un residuato russo della NPO Energiya, con comunicazioni a bassa banda e bizzarri condotti, si sente claustrofobica e inerme: parti della sua mente non funzionano. Quando aveva quattro anni, mamma la portò in un famoso sistema di grotte, nell'Ovest. Quando la guida spense la luce, a mezzo chilometro sotto terra, aveva gridato di sorpresa quando il buio andò a toccarla. Adesso non è il buio a spaventarla, è l'assenza di pensiero. Per cento chilometri, sotto di lei, non ci sono menti, e anche sulla superficie c'è solo l'idiota gorgoglio dei robot in cerca di compagnia. Tutto ciò che rende l'universo amichevole verso i primati sembra rinchiuso nell'enorme nave che incombe subito dietro la sua testa, e deve lottare con l'impulso di strappare le cinghie e riversarsi lungo il cordone ombelicale che ancora la capsula alla Sanger. «Starò bene», si costringe a dire. «È solo nervosismo da trasloco. Ne ho sentito parlare, okay?».
Ha nelle orecchie un buffo fischio acuto. Per un attimo, il sudore dietro al collo diventa gelido, poi il rumore si spegne. Si sforza un attimo, e quando torna il suono, lo riconosce. Il gatto, finora loquace, raggomitolato nel calore del suo contenitore pressurizzato, ha cominciato a russare.
«Andiamo», dice. «È ora di darsi da fare». Una macro verbale, in profondità nel firmware della Sanger, riconosce la sua autorità e gentilmente lascia andare il modulo. Scoppiano un paio di grappoli di gas freddo, trasmettendo alla capsula profonde vibrazioni rimbombanti, e lei è in movimento.
«Amber. Come butta?». Una voce familiare. Sbatte gli occhi. Millecinquecento secondi, quasi mezz'ora è passata.
«Robes-Pierre, hai tagliato la testa a qualche aristo, di recente?».
«Ehi!». Pausa. «Ti posso vedere la testa da qui».
«Come ti sembra?» chiede. Ha un nodo in gola, e non sa bene perché. Pierre è probabilmente collegato a una delle telecamere di prossimità che punteggiano lo scafo esterno della grossa nave madre, e la osserva mentre cade.
«Più o meno come sempre», dice laconico. Un'altra pausa, più lunga stavolta. «È tremendo, lo sai? A proposito, Su Ang dice ciao».
«Ciao, Su Ang», risponde lei, resistendo all'impulso di marcarsi per guardare in alto - in alto rispetto ai piedi, non al suo vettore - e vedere se la nave è ancora visibile.
«Ciao», dice Ang, timidamente. «Sei molto coraggiosa».
«Però non riesco a batterti a scacchi», si acciglia Amber. Su Ang e le sue alghe troppo ingegnerizzate. Oscar e i suoi rospi che fabbricano farmaci. Gente conosciuta, e per lo più ignorata, per tre anni, senza mai pensare che ne avrebbe sentito la mancanza. «Ascolta, verrai a visitarci?».
«Vuoi che veniamo noi?» Ang sembra dubbiosa. «Quando sarà pronto?».
«Oh, abbastanza presto». Con una produzione di materia strutturata di quattro chilogrammi al minuto, le stampanti sulla superficie le hanno già costruito un sacco di roba: una cupola per l'habitat, l'interno di una fattoria di alghe e crostacei, una scavatrice con cui seppellirsi, una camera stagna. È tutto disposto in attesa che lo metta insieme, trasferendosi nella nuova casa. «Non appena i borg tornano da Amaltea».
«Ehi! Vuoi dire che si spostano? Come l'hai capito?».
«Va' a parlarci», dice Amber. In effetti, lei è gran parte del motivo per cui la Sanger sta per spostare l'orbita verso l'altra luna: vuole stare da sola, nel silenzio delle comunicazioni, per un paio di milioni di secondi. Il collettivo Franklin le sta facendo un grosso favore».
«In anticipo sulla curva, come sempre», si intromette Pierre, trasmettendo qualcosa di simile all'ammirazione alle sue incerte orecchie.
«Anche tu», dice, un po' troppo presto. «Vieni a trovarmi quando avrò stabilizzato il ciclo di supporto vitale».
«Lo farò», risponde. Un bagliore rosso pervade la fiancata della capsula, vicino alla sua testa, e lei alza gli occhi in tempo per vedere l'abbagliante linea blu prodotta dal laser del propulsore della Sanger che si avvia.

* * *

Passano diciotto milioni di secondi, quasi un decimo dell'anno gioviano.
L'imam si tira la barba, assorto, mentre fissa lo schermo del controllo traffico. Oggigiorno, ogni turno sembra portare nel sistema di Giove una nuova nave con equipaggio: lo spazio si sta decisamente affollando. Quando era arrivato, c'erano meno di duecento persone. Adesso c'è la popolazione di una cittadina, e molti vivono nel cuore della mappa di avvicinamento che ha sullo schermo. Fa un respiro profondo - cercando di ignorare l'onnipresente odore dei calzini vecchi - e studia la mappa. «Computer, che dici della mia tabella?».
«La tua tabella: "Autorizzato a iniziare avvicinamento finale fra 695 secondi. Limite di velocità, dieci metri al secondo per dieci chilometri, scendere a due metri al secondo per un chilometro. Mappa dei vettori di spinta vietati in corso di caricamento"». Alcuni settori della mappa di avvicinamento diventano rossi, in un reticolato che impedisce che il suo flusso di scarico danneggi altri scafi nell'area.
Sadeq sospira. «Entreremo usando il Kurs. Presumo che la vostra guida Kurs sia attiva».
«Supporto del bersaglio di attracco Kurs, disponibile, livello di avvio tre».
«Sia lode ad Allah». Rovista fra i menù dei sottosistemi di guida, attivando il software di emulazione dell'obsoleto (ma altamente affidabile) sistema di attracco della Soyuz. Finalmente può lasciare la nave a se stessa per un po'. Si guarda intorno. Per due anni ha vissuto in questo cassone, e presto ne uscirà. Non gli sembra vero.
La radio, solitamente muta, crepita di vita inattesa. «Bravo Uno Uno, qui controllo Traffico Imperiale. Si richiede contatto verbale, passo».
Sadeq sussulta, sorpreso. La voce ha un suono inumano, ritmato dalle cadenze di un sintetizzatore vocale, come tanti dei sudditi di Sua Maestà. «Bravo Uno Uno a Controllo Traffico, sono in ascolto, passo».
«Bravo Uno Uno, vi abbiamo assegnato una zona d'atterraggio sul tunnel quattro, camera stagna delta. Kurs attivo, assicuratevi che la guida sia settata su sette quattro zero, sotto il nostro controllo».
Si china sullo schermo e rapidamente controlla i settaggi del sistema d'attracco. «Controllo, tutto in ordine».
«Bravo Uno Uno, restate in attesa».
L'ora successiva scorre lentamente, mentre il sistema di controllo traffico guida il suo Tipo 921 fino a un roccioso punto di rendez-vous. Strie di polvere arancione rigano l'unico oblò di vetro ottico. Un chilometro prima dell'impatto, Sadeq si dà da fare chiudendo le protezioni, mettendo sotto chiave tutto ciò che potrebbe cadere al momento del contatto. Infine srotola la stuoia davanti alla console, e resta a galleggiare per dieci minuti, gli occhi chiusi in preghiera. Non è l'atterraggio a preoccuparlo, ma quanto seguirà.
Il dominio di Sua Maestà si estende davanti al malridotto modulo come un fiocco di neve arrugginito, dal diametro di mezzo chilometro. Il nucleo è sepolto in una specie di palla di neve di detriti grigiastri, e agita languido i bracci della stella verso il gibboso orizzonte arancione di Giove. Sottili filamenti, che si biforcano frattalmente fino al livello molecolare, si scindono dai principali bracci di raccolta a intervalli regolari. Un grappolo di moduli habitat, simili ad acini senza semi, si aggrappano alle radici dell'enorme struttura. Vede già i giganteschi anelli generatori di acciaio, che salgono dai due poli del fiocco di neve, inghirlandati di plasma luccicante, e gli anelli gioviani che formano un arcobaleno buio che sorge dietro di loro.
Alla fine, la malridotta stazione spaziale procede con l'ultimo avvicinamento. Sadeq osserva con attenzione le uscite della simulazione Kurs, inserendole direttamente nel suo campo visivo. C'è un'immagine esterna del cumulo di roccia e degli acini. Mentre l'immagine si espande verso il soffitto convesso della nave, si passa la lingua sulle labbra, pronto a inserire i comandi manuali e a rimettersi in orbita, ma la discesa sta rallentando e, quando è abbastanza vicino da vedere i graffi sul metallo splendente del cono d'attracco, diventa misurabile in centimetri al secondo. C'è un colpo lieve, poi un fremito, poi un urto che si propaga mentre si innescano i morsetti dell'anello di attracco, ed è arrivato.
Sadeq fa un altro respiro profondo, poi cerca di alzarsi. Qui c'è gravità, ma non molta. Camminare è impossibile. Sta per dirigersi al pannello del supporto vitale quando si blocca, sentendo un rumore proveniente dall'altra estremità del nodo di attracco. Voltandosi, fa appena in tempo a vedere il portello aprirsi verso di lui, uno sbuffo di vapore che si condensa, e poi...

Sua Maestà Imperiale è seduta nella stanza del trono, giocherellando col nuovo anello con sigillo progettato per lei dal suo scudiero. È un grumo di carbonio strutturato, quasi cinquanta grammi di massa, incastonato in una semplice striscia di iridio scavato negli asteroidi. Risplende di chiazze blu e viola emesse dai suoi laser interni, perché oltre a essere un gioiello di stato, è anche un router ottico, parte dell'infrastruttura di controllo industriale che sta costruendo qui, al margine del sistema solare. Sua Maestà indossa semplici pantaloni militari neri e un maglione intessuto della più fine seta di ragno e di vetro filato, ma è a piedi nudi: in fatto di moda, i suoi gusti si possono definire giovanili, e comunque certi stili sono semplicemente poco pratici nella microgravità. Però, trattandosi di monarca, porta la corona. E c'è un gatto, o un'entità artificiale che sogna di essere un gatto, che dorme dietro il trono.
La damigella di corte (e, a volte, ingegnere idroponico) accompagna Sadeq alla soglia, poi arretra. «Se le serve qualcosa, mi dica», dice timidamente, poi si allontana fluttuando. Sadeq si avvicina al trono, si orienta sul pavimento (una semplice lastra di un composto nero, oltre al trono, che cresce al centro come un fiore esotico) e attende di ricevere attenzione.
«Il dr. Khurasani, suppongo». Il suo sorriso non è un innocente ghigno infantile, né il sorrisetto d'intesa di un adulto: solo un caloroso saluto. «Benvenuto nel mio regno. Prego, si senta libero di usare tutti i servizi di supporto necessari, e le auguro una permanenza molto piacevole».
Sadeq rimane inespressivo. La regina è giovane - il viso mantiene ancora l'aspetto paffuto dell'infanzia, enfatizzato dalla microgravità della luna - ma sarebbe un grosso sbaglio considerarla immatura. «Sono riconoscente per l'indulgenza di Sua Maestà», mormora, secondo la formula. Le pareti dietro di lei risplendono come diamanti, in una sfavillante visione caleidoscopica. È già il maggiore paradiso informatico off-shore - o meglio, off-planet - dello spazio umano. Anche la corona, simile a un compatto elmo che le copre la parte superiore e posteriore della testa, risplende ed emette arcobaleni di diffrazione, ma gran parte delle sue emissioni sono prossime all'ultravioletto, invisibili tranne per il tenue nembo lucente che le crea intorno alla testa. Come un alone.
«Si accomodi», lo invita con un gesto. Dal soffitto zampilla, espandendosi, un'imbracatura gonfiabile da caduta libera, in direzione di lei, aperta e in attesa. «Deve essere stanco. Condurre una nave in solitudine è sfiancante». Aggrotta le ciglia con aria mesta, come ricordando. «Due anni è quasi inaudito».
«Sua Maestà è troppo gentile». Sadeq si avvolge intorno i bracci dell'imbracatura e si pone di fronte a lei. «Le sue fatiche sono state fruttuose, sono certo».
Lei alza le spalle. «Vendo la meno reperibile fra le materie prime di qualunque frontiera...». Un ghigno temporaneo: «Questo non è il selvaggio West, vero?».
«La giustizia non può essere venduta», dice Sadeq, rigido. Poi, un attimo dopo: «Le mie scuse, non intendevo essere offensivo. Credo semplicemente che, mentre dice che il suo obiettivo è fornire lo stato di diritto, ciò che vende è e deve essere qualcosa di diverso. Una giustizia senza Dio, venduta al miglior offerente, non è giustizia».
La regina annuisce. «Tralasciando il riferimento a dio, sono d'accordo, non posso venderla. Ma posso vendere la partecipazione a un sistema onesto. E questa nuova frontiera, in realtà, è molto più piccola di quanto si aspettasse, vero? Il nostro corpo può impiegare mesi viaggiando fra i mondi, ma le nostre dispute e le nostre liti impiegano secondi o minuti. Finché tutti accettano di seguire il mio arbitrato, per ricorrere alla forza fisica si può attendere il momento in cui si è abbastanza vicini da toccarsi. E tutti concordano che la mia struttura legale è più facile da seguire, più idonea allo spazio transgioviano, di quella terrestre». Nella sua voce si insinua una nota d'acciaio, di sfida. Il suo alone si illumina, sollecitando un lucore reattivo dalle pareti della stanza del trono.
Cinque milioni di input, o anche più, si stupisce Sadeq. La corona è una meraviglia dell'ingegneria, anche se gran parte della sua massa è sepolta nelle pareti e nel pavimento di questo enorme costrutto. «C'è la legge rivelata dal Profeta, la pace sia con lui, e c'è la legge che possiamo stabilire analizzando le sue intenzioni. Ci sono altre forme di legge, secondo le quali vivono gli umani, e varie interpretazioni della legge di Dio perfino fra coloro che studiano le Sue opere. Come fa, in assenza della parola del Profeta, a fornire una bussola morale?».
«Hmm». Lei tamburella le dita sul bracciolo del trono, e il cuore di Sadeq si arresta. Ha sentito le storie dei ladri di concessioni, dei banditi da consiglio d'amministrazione, degli esperti speculatori, con le radici nelle giurisdizioni terrestri che qui hanno fatto una grande figuraccia negli arbitrati. Come è in grado di vivere un anno in un minuto, di strapparti i ricordi dagli impianti corticali, e di farti rivivere i tuoi peggiori errori nel suo spazio simulato, potente come un incubo. Lei è la regina - il primo individuo a mettere le mani su una massa e un'energia sufficienti a oltrepassare la curva della tecnologia vincolata, e la prima ad allestire una propria giurisdizione, dichiarando legali certi esperimenti in modo da far uso dell'intersezione massa/energia. Possiede la forza maggiore - perfino gli infoguerrieri del Pentagono rispettano, per ora, l'autonomia dell'Impero dell'Anello. In effetti, probabilmente, il corpo seduto sul trono di fronte a lui contiene solo una frazione della sua identità. È tutt'altro che la prima Upload o la prima Parziale, ma è la prima folata del vento di potere che arriverà quando esseri arroganti raggiungeranno l'obiettivo di smantellare i pianeti e trasformare una massa inerte e disabitata in attività cerebrale, in ogni angolo osservabile dell'universo. E lui ha appena messo in discussione la rettitudine della sua visione, in sua presenza.
Le labbra della regina fremono. Poi si piegano in un ghigno ampio, carnivoro. Dietro di lei, il gatto si mette seduto e si stiracchia, poi fissa Sadeq con occhi socchiusi.
«Sa, è la prima volta da settimane che qualcuno mi dice che sono piena di merda. Non ha parlato nuovamente con mia madre, vero?».
Tocca a Sadeq alzare le spalle, a disagio. «Ho preparato un giudizio», dice lentamente.
«Ah». Amber ruota intorno al dito l'enorme anello di diamante. Poi lo guarda negli occhi, con un po' di nervosismo. Ma, del resto, che cosa potrebbe fare per costringerla a seguire la sua delibera...
«Riassumendo: le sue motivazioni sono viziate», dice in breve Sadeq.
«Significa quel che penso?» chiede.
Sadeq fa un altro respiro profondo. «Sì, credo di sì».
Le torna il sorriso. «E questo conclude tutto?» chiede.
Solleva uno scuro sopracciglio. «Solo se può dimostrarmi di avere una coscienza in assenza di rivelazione divina».
La sua reazione lo coglie di sorpresa. «Oh, certo. Questa è la prossima parte del programma. Ottenere rivelazioni divine».
«Cosa? Dagli alieni?».
Il gatto, con gli artigli sguainati, si fa delicatamente strada sul suo grembo, e aspetta di essere accarezzato. Non gli toglie mai di dosso gli occhi, neanche una volta. «E dove, altrimenti?» chiede lei. «Dottore, non mi sono fatta prestare dal Cartello Franklin l'occorrente per costruire questo castello in cambio di un po' di scartoffie legali e di alcune, ah, interessanti esenzioni legali a Bruxelles. Sappiamo da anni che c'è là fuori tutta una rete a commutazione di pacchetto, e a noi arriva solo qualcosa che trabocca dai router. Risulta che esiste un nodo non lontano da qui, nello spazio reale. L'elio-3, le giurisdizioni separate, l'industralizzazione pesante su Io; c'è uno scopo in tutta questa attività».
Sadeq si passa la lingua sulle labbra, improvvisamente secche. «Trasmetterà una risposta?».
«No, farò di meglio. Andremo a fargli visita. Ridurremo il ciclo del ritardo al tempo reale. Siamo venuti qui per costruire una nave e arruolare un equipaggio, anche se per pagarci il capriccio dovremo cannibalizzare tutto il sistema di Giove».
Il gatto sbadiglia, poi lo fissa con uno sguardo lontano un chilometro. «Questa stupida ragazza vuole portare la sua coscienza a incontrare qualcosa di talmente intelligente da essere veramente un dio», dice. «E deve convincere il gallinaio a casa di averne uno, essendo un'atea convertita e così via. Che vuol dire, tocca a te, scimmiotto. C'è un posto disponibile di teologo di bordo sulla prima nave in partenza dal sistema di Giove. Non credo di poterla convincere a rifiutare l'offerta?».



5. Router

Anni dopo, due uomini e una gatta si stanno sbronzando in un bar che non esiste. L'aria del bar è satura di una nuvola di fumo relativistico - è uno stellarlo, una perfetta raffigurazione del panorama al di là delle pareti immaginarie. La distorsione relativistica fa virare verso il violetto il colore tutt'intorno alla porta. Il colore si schiarisce in una nebbiolina iridescente sui tavoli e infine si smorza in un nebuloso riverbero rosso davanti alla piattaforma rialzata sul fondo del locale. Negli ultimi mesi, man mano che la nave acquistava velocità, ha fatto la sua graduale comparsa l'effetto doppler. In mancanza della possibilità di vedere il moto stellare - o di un hard link al modulo di controllo della nave - è il modo più semplice per far avvertire a un passeggero ubriaco la tremenda velocità a cui si muove la Field Circus. Solo poco prima, la velocità della nave ha superato la metà della sua massa di riposo, punto in cui un solo chilogrammo ha la stessa potenza di una bomba all'idrogeno di svariati megatoni.
Una gatta rossiccia - che ha scelto di essere femmina solo per il gusto di confondere le idee a chi pensa che tutti i gatti rossi siano maschi - se ne sta pigramente allungata sul pavimento d'assi di legno davanti al bar, proprio sotto l'arco della volta stellare. Si è impadronita dell'unico raggio di sole disponibile in tutta la nave stellare, e non poteva essere altrimenti. In fondo al bar, nell'ombra, due uomini sono stravaccati su un tavolo, ciascuno immerso nella depressione dei propri pensieri. Uno si sta scolando una bottiglia di birra ceca, l'altro un bicchiere da cocktail già mezzo vuoto.
«Non andrebbe poi così male, se almeno mi desse un segnale», dice uno dei due, inclinando la bottiglia di birra per controllare il deposito sul fondo. «No, non va bene. È il tipo di attenzione giusto. Non ho ancora capito che cosa rappresento per lei».
L'altro si appoggia all'indietro sulla sedia, stringendo gli occhi a fissare la tinta marrone sbiadita del soffitto. «Ascolta uno che la sa lunga», dice. «Se lo sapessi, non ti rimarrebbe niente da sognare. E in ogni modo, quello che vuoi tu e quello che vuole lei potrebbero non coincidere».
Il primo si passa una mano tra i capelli. Per un momento i ricci neri, fitti e corti, si fanno d'argento sotto il tocco invecchiante. «Pierre, se sbatterti Amber ti fa diventare bravo solo a sparare sentenze».
Lo sguardo di Pierre lo fulmina con tutto il veleno che un diciannovenne troppo cresciuto riesce a mettere insieme. «Considerati fortunato che non ha orecchie qui per sentirti», sibila, serrando di riflesso la mano intorno al bicchiere, senza mandarlo in pezzi però, il modello fisico attivato nel bar non lo permette. «Cazzo Boris, hai bevuto davvero troppo».
Dalla direzione della gatta arriva il suono di una risata gelida. «Zitta tu», dice Boris guardando l'animale. Capovolge la bottiglia e se ne fa scivolare in gola il deposito. «Forse hai ragione. Scusa. Non volevo essere maleducato con la regina». Scrolla le spalle e mette giù la bottiglia. Scrolla le spalle ancora, pesantemente. «Mi sto solo deprimendo».
«Ci riesci bene», osserva Pierre.
Boris sospira di nuovo. «Evidentemente. Se tu fossi nella mia posizione...».
«Lo so, lo so, saresti tu a dirmi che la cosa divertente è proprio la caccia, e che non è la stessa cosa quando lei ti sbatte fuori dopo una litigata, e io non crederei a una sola parola, sarei sconsolato, solo e tutto il resto». Pierre sbuffa. «La vita è ingiusta, Boris... fattene una ragione».
«Sarà meglio che vada...» dice Boris alzandosi.
«Stai alla larga da Ang», ribatte Pierre, ancora seccato con lui. «Almeno finché sei sobrio».
«Ehi, stai tranquillo. Da bravo ragazzo ho attivato un thread di controllo». Boris lo guarda irritato, sbattendo le ciglia. «Fa rispettare il comportamento in società. Di solito non ti permette di essere così ubriaco. Almeno quando c'è la possibilità di rovinarsi la reputazione in pubblico».
Si dissolve lentamente nell'aria, lasciando Pierre nel bar, da solo con la gatta.
«Per quanto tempo ancora dovremo sopportare questa merda?» chiede ad alta voce. Nell'universo angusto della nave, gli stati d'animo sono sfibrati e le discussioni si moltiplicano all'infinito.
La gatta non si volta. «Secondo l'attuale quadro di riferimento, abbasseremo il riflettore primario e cominceremo a decelerare tra due milioni di secondi», dice. «Saremo a casa in cinque o sei megasecondi».
«Un bel salto. Qual è il divario culturale al momento?» domanda Pierre tanto per chiedere. Schiocca le dita: «Cameriere, un altro cocktail. Lo stesso, per favore».
«Oh, con ogni probabilità tra le dieci e le venti volte il nostro riferimento di partenza», dice la gatta. «Se avessi seguito le notizie da casa, avresti osservato una notevole accelerazione della messa in opera dei Router a correlazione commutata. È in corso un'altra rivoluzione della rete, ma questa si completerà nel giro di un mese perché stanno usando la fibra ottica spenta già presente nel suolo».
«Router... a correlazione commutata?» scuote la testa Pierre, perplesso. Il cameriere, un corpo senza volto con la cravatta nera e un lungo grembiule inamidato, gira intorno al bancone e gli porge un bicchiere. «Sembra quasi avere senso. Che altro?».
La gatta si gira su un fianco e si stiracchia, ad artigli sguainati. «Lisciami il pelo e forse te lo dico», è la sua proposta.
«Fottiti, tu e il cane in groppa al quale sei entrata», risponde Pierre. Solleva il bicchiere, toglie una ciliegia candita con un bastoncino da cocktail, la lancia verso la scala a chiocciola che porta giù ai bagni e tracanna metà della bevanda in un unico sorso, una gelida sbobba rosa con un retrogusto di zuccheri esosi caramellati ed etanolo. Sbatte il bicchiere sul tavolo e ne versa fuori quasi la metà, a dimostrare di essere al limite della sbronza. «Mercenaria!».
«Umano farmaco-dipendente malato d'amore», risponde la gatta senza rancore, rigirandosi per mettersi dritta sulle zampe. Inarca la schiena e sbadiglia, mostrando al mondo le piccole zanne d'avorio. «Scimmie... se mi importasse di voi, vi coprirei di sabbia con le zampe». Per un attimo sembra leggermente confusa. «Intendevo dire che vi seppellirei». Si stiracchia nuovamente e si guarda intorno nel bar dove non c'è nessun altro. «A proposito, quand'è che chiederai scusa ad Amber?».
«Non ho intenzione di chiederle nessuna scusa, cazzo!» sbraita Pierre. Nel silenzio e nell'agitazione che seguono, solleva il bicchiere e prova a svuotarlo, ma il ghiaccio è andato a finire tutto sul fondo e l'accesso di tosse che lo prende gli fa sputare metà del cocktail attraverso il tavolo. «Non se ne parla», dice rauco a voce bassa.
«Troppo orgoglio, eh?». La gatta si avvia verso il bordo del bancone a passo felpato, la coda ritta e la punta ricurva a formare un punto interrogativo felino. «Proprio come Boris con il suo problema adolescenziale con le donne? Voi primati siete così prevedibili. A chiunque sia saltato in mente di inviare un'astronave piena di postumani adolescenti...».
«Sparisci», dice Pierre. «Ho una bevuta seria da farmi».
«Alla salute del Macx, immagino», dice tra le fusa la gatta, voltandosi. Il giovane, di cattivo umore, non la degna di una risposta, ma si limita a evocare un altro drink dalle immense profondità dello spazio.

Nel frattempo, in un'altra partizione della realtà reticolare della Field Circus, un'altra entità di quella stessa gatta - di nome Aineko, di carattere sarcastica - sta parlando con la Regina dell'Impero dell'Anello, figlia del suo precedente padrone. Amber si è scelta l'avatar di una sedicenne, con capelli biondi arruffati e zigomi marcati. Tutto falso, ovviamente. Nell'esperienza soggettiva ha ormai passato i vent'anni, ma l'età apparente non ha alcuna importanza in uno spazio simulato popolato da menti Upload, o nello spazio reale, dove i postumani invecchiano con ritmi diversi.
Amber indossa un vestito nero sdrucito su un paio di fuseaux viola ed è pigramente sdraiata di traverso sui braccioli del suo trono informale, un pretenzioso ammasso di assurdità ottenute da un unico cristallo di carbonio drogato con semiconduttori. (A differenza di quello vero a casa, nell'orbita di Giove, questo trono è soltanto un pezzo di arredamento di un ambiente virtuale). La scena è molto simile a quella del mattino dopo la sera precedente, a quella di un locale notturno goth andato in rovina: ovunque fumo rancido e velluto spiegazzato, banchi di legno da chiesa, candele consumate e tetri quadri polacchi d'avanguardia. Anche il minimo indizio di regalità nella sovrana è rovinato dal modo in cui avvinghia un ginocchio al bracciolo sinistro del trono e giocherella con un dispositivo di puntamento a sei assi. Ma quello è il suo alloggio personale e non è in veste ufficiale. L'immagine regale della Regina è riservata per le occasioni formali e pubbliche.
«Idee verdi incolori dormono furiosamente», prova a dire Amber.
«No», risponde la gatta. «Era piuttosto qualcosa del tipo: "Salve, terrestri, compilatemi nel vostro leader."».
«Va bene, hai ragione tu», ammette la regina. Batte con il tacco sul trono e giocherella con l'anello con il sigillo. «Non ho nessuna intenzione di caricare il wetware di un alieno pulcioso nella mia bella materia grigia. E poi, che strana semiotica. Che ne dice il dottor Khurasani?».
Aineko si mette seduta al centro del tappeto rosso carminio ai piedi della pedana e si contorce pigramente per annusarsi l'inguine. «Sadeq è completamente preso dall'interpretazione delle scritture. Non ha voluto esserne distolto».
«Ah». Amber fìssa la gatta. «Allora, da quando ti stai portando dietro questo pezzo di codice sorgente...?».
«Al segnale, da duecentosedici milioni quattrocentoventinovemila cinquantadue secondi esatti», riferisce Aineko, poi emette un bip compiaciuto. «Diciamo da poco meno di sette anni».
«Giusto». Amber stringe gli occhi fino a chiuderli. Nelle orecchie della sua mente risuonano possibilità improbabili. «E ha cominciato parlandoti...».
«... Circa tre milioni di secondi dopo averlo raccolto ed eseguito in un ambiente base montato su un emulatore di reti neurali modellato sui componenti del ganglio stomatogastrico di un'aragosta. Chiaro?».
Amber sospira. «Vorrei che tu lo avessi detto a papà. O ad Annette. Le cose potevano andare in modo assolutamente diverso!».
«E come?». La gatta smette di leccarsi il sedere e solleva gli occhi verso la regina, con uno sguardo curiosamente opaco. «Gli specialisti hanno impiegato dieci anni a capire che il primo messaggio era una mappa dell'ambiente intorno alla pulsar con le indicazioni per raggiungere il Router più vicino nella rete interstellare. Sapere come agganciarsi al Router non sarebbe servito a niente restando a tre anni luce di distanza, no? Inoltre, era divertente stare a guardare quegli idioti che cercavano di "decifrare il codice alieno" senza nemmeno domandarsi se non fosse una risposta, in una lingua conosciuta, a un messaggio inviato da noi anni fa. Che teste di cazzo. Inoltre, Manfred mi ha mandato fuori dalle palle troppe volte. Continuava a trattarmi come uno stramaledetto animale domestico».
«Ma tu...» Amber si morde il labbro. Ma tu lo eri quando ti ha comprato, è quello che stava per dire. La coscienza ingegnerizzata è ancora abbastanza recente: non esisteva quando Manfred e Pamela per la prima volta si erano inseriti nella rete cognitiva di Aineko, e secondo l'ala più reazionaria della comunità di IA ancora non esiste. Anche lei, fino a un paio di anni fa, non aveva creduto ad Aineko quando sosteneva di avere un'autocoscienza, trovando più facile credere che la gatta fosse uno zimbo... uno zombi privo di autoconsapevolezza, ma programmato per far credere di essere cosciente e ingannare i veri esseri coscienti intorno a sé. «Ora io so che tu sei un essere cosciente, ma all'epoca Manfred non lo sapeva. Non è così?».
Aineko la fulmina con gli occhi, poi li serra lentamente fino a farli diventare due fessure, con affetto tutto felino e con un'intenzione più sottile. A volte Amber trova difficile credere che venticinque anni prima Aineko fosse soltanto un giocattolo guidato da una rudimentale rete neurale arrivato da una fabbrica di svaghi nel Lontano Oriente, con la possibilità di essere aggiornato, ma pur sempre un emulatore meccanico di un animale.
«Mi dispiace. Ricominciamo da capo. Tu sei riuscita a capire cosa fosse davvero la seconda trasmissione aliena, tu, da sola e senza l'aiuto di nessun altro. Nonostante gli sforzi congiunti di un'intera squadra di analisti CETI che hanno impiegato Gaia solo sa quanti anni umano-equivalenti di potenza di elaborazione a cercare di decifrarne la semantica. Spero mi scuserai se ti dico che ho qualche problema a crederci».
La gatta sbadiglia. «Avrei potuto dirlo a Pierre invece». Aineko lancia un'occhiata ad Amber, vede la sua espressione minacciosa e cambia velocemente argomento. «La soluzione era intuitivamente ovvia, ma non per gli esseri umani. Voi siete così verbali». Solleva una zampa posteriore e si gratta per un attimo dietro l'orecchio sinistro, poi si ferma, muovendo ancora distrattamente la zampa. «Inoltre, la squadra CETI cercava indizi lampanti, mentre io provavo a trovarne di meno evidenti. Hanno provato a trovare dei numeri primi; quando non ha funzionato, hanno iniziato a cercare di istruire una macchina di Turing per eseguire il messaggio senza fermarsi subito». Aineko abbassa elegantemente la zampa. «A nessuno è venuto in mente di considerarlo la mappa di un sistema connessionista basato sugli unici componenti terrestri mai teletrasportati nello spazio profondo. Tranne me. Ma del resto, tua madre aveva messo mano anche nel mio wetware».
«Considerarlo una mappa...». Amber si interrompe. «Dovevi penetrare la rete aziendale di papà?».
«Esatto», dice il gatto. «Avrei dovuto duplicarmi ripetutamente e violare la sua rete di fiducia. Ma non l'ho fatto». Aineko sbadiglia. «Anche Pam mi ha scacciato via. Non mi piace chi cerca di usarmi».
«Non m'interessa. Prendere quella cosa a bordo è stato comunque un rischio stupido da correre», la riprende Amber.
«E allora?». La gatta la guarda con aria insolente. «L'ho tenuta nella lettiera. E sono riuscita a farla funzionare al mio settecentoquarantunesimo tentativo. Avrebbe funzionato anche per gli amici cacciatori di taglie di Pamela, se ci avessi provato. Ma ora è qui, quando ne hai bisogno. Ti andrebbe di inserirtela?».
Amber si drizza e si mette a sedere sul trono. «Te l'ho appena detto, se pensi che sia disposta a collegare un pezzo inaffidabile di programmazione neurale aliena al mio nucleo di comunicazione o addirittura alla mia esocorteccia, sei matta!». Gli occhi le si stringono. «È in grado di usare il tuo modello grammaticale?».
«Certo». Fosse stata un essere umano, la gatta a quel punto avrebbe scrollato le spalle con sussiego. «È sicuro, Amber, assolutamente. Ho scoperto cos'è».
«Voglio parlarci», dice con foga, e prima che la gatta possa replicare, aggiunge: «Allora, cos'è?».
«È una pila di protocolli. Praticamente permette a nuovi nodi di collegarsi a una rete fornendo elevati servizi di conversione di protocolli. Ha bisogno di imparare a pensare come un essere umano per essere in grado di tradurre per noi quando arriveremo al Router, ecco perché ci hanno montato sopra il sistema neurale di un'aragosta, volevano rendere la sua architettura compatibile con noi. Non nasconde bombe a tempo, te l'assicuro. Ho avuto un sacco di tempo per controllare. Ora, sei sicura di non volertelo inserire nella testa?».

Saluti dal quinto decennio del secolo delle meraviglie.
Il sistema solare, ormai a quasi ventottomila miliardi di chilometri - poco meno di tre anni luce - alle spalle della sonda Whisp Field Circus, è un ribollire di mutamenti. Ci sono stati più progressi tecnologici negli ultimi dieci anni che in tutto il precedente corso della storia umana, oltre ad altri eventi imprevisti.
Un mucchio di problemi difficili si sono rivelati risolvibili. Il genoma e il proteoma del pianeta sono stati mappati completamente, e ora le bioscenze si stanno concentrando sulla sfida del fenoma: mappare lo spazio di fase definito dall'intersezione dei geni e delle strutture biochimiche, comprendere in che modo i tratti fenotipici estesi si generano e contribuiscono alla capacità evolutiva. La biosfera si è fatta surreale: piccoli draghi sono stati avvistati a nidificare nelle Highland scozzesi, e nel Midwest americano orsetti lavatori sono stati sorpresi a programmare forni a microonde.
La potenza di calcolo del sistema solare si aggira oggi attorno ai mille MIPS per grammo ed è improbabile che aumenti a breve termine, ormai solo una frazione dell'un per cento della materia inerte è ancora bloccata sotto le croste planetarie accessibili, e il rapporto sapienza/massa ha raggiunto un limite che potrà essere abbattuto solo quando la gente, le corporazioni o altri postumani troveranno il modo di smantellare i pianeti più grandi. Si è già cominciato nell'orbita di Giove e nella cintura di asteroidi. Greenpeace ha inviato occupanti abusivi a prendere possesso di Eros e Giunone, ma gli asteroidi oggi sono normalmente circondati da una barriera di nanomacchinari specializzati e detriti, vittime di una corsa alla terra cosmica paragonabile solo all'epoca del selvaggio West. I migliori cervelli prosperano in caduta libera, menti circondate da un etere di sapienza di dimensioni che superano di svariati ordini di grandezza le cortecce di carne (menti come Amber, Regina dell'Impero dell'Anello Interno, primo centro di potere autoestensivo nell'orbita di Giove).
Giù in fondo al pozzo gravitazionale terrestre, be', c'è stata una gravissima catastrofe economica. Immortageni di scarsa qualità, coadiuvanti della personalità fuori controllo e una nuova teoria formale dell'incertezza hanno mandato a gambe all'aria l'industria delle assicurazioni e delle analisi finanziarie. Scommettere sul protrarsi degli aspetti peggiori della condizione umana - malattia, invecchiamento e morte - ha tutto l'aspetto di essere un ottimo metodo per rimetterci denaro, e una spirale deflazionistica durata almeno cinquanta ore ha fatto crollare ampie parti del mercato azionario globale. Genialità, bell'aspetto e lunga vita sono ora considerati diritti umani fondamentali nel mondo sviluppato: anche le aree più povere e remote del pianeta avvertono i vasti effetti della commercializzazione dell'intelligenza.
Non è tutto rose e fiori nell'era della nanotecnologia avanzata. La diffusa amplificazione dell'intelligenza non porta certo a un diffuso comportamento razionale. Si assiste a un'esplosione di nuove religioni e culti misterici in tutto il pianeta; una buona parte della rete è inutilizzabile a causa di varie ondate di jihad semiotica. India e Pakistan hanno finalmente avuto la loro tanto desiderata guerra nucleare: l'intervento esterno dei nanosatelliti degli Stati Uniti e dell'Unione Europea hanno impedito alla maggior parte dei missili balistici di media portata di passare, ma la successiva ondata di raid informatici e gli attacchi dei Basilischi ha provocato il caos. Fortunatamente la guerra informatica lascia maggiori possibilità di sopravvivenza di quella nucleare, soprattutto una volta che si è scoperto che un semplice filtro anti aliasing è in grado di bloccare nove su dieci frattali Langford capaci di mandare in crash le wetware neurali, riducendone così i danni tutt'al più a un lieve mal di testa.
Le nuove scoperte di questo decennio comprendono le origini della forza repulsiva debole, responsabile dei cambiamenti nella velocità di espansione dell'universo dopo il Big Bang e, a livello meno astratto, le implementazioni sperimentali di un Oracolo di Turing che utilizza circuiti a correlazione quantistica: un dispositivo in grado di stabilire se una data espressione funzionale può essere verificata in un tempo finito. È in pieno boom il settore della Cosmologia Estrema, dove alcuni tra i più raffinati ricercatori si azzuffano sulla possibilità che l'intero universo sia stato creato per servire come dispositivo di calcolo, con un programma codificato nelle postille della costante di Planck. E i teorici parlano ora nuovamente della possibilità di utilizzare tunnel spaziali artificiali per fornire collegamenti istantanei tra angoli remoti dello spaziotempo.
Molti si sono dimenticati della famosissima trasmissione extraterrestre ricevuta quindici anni fa. Pochissimi sanno della seconda, più complessa della prima, ricevuta qualche tempo dopo, e molti di questi sono ora passeggeri o spettatori della Field Circus: un velivolo a vela fotonica che sfreccia fuori dal Sistema Solare su un raggio laser generato dalle installazioni di Amber nell'orbita inferiore di Giove. (Cavi superconduttori ancorati ad Amaltea attraversano la magnetosfera di Giove fornendo gigawatt di elettricità ai famelici laser: energia proveniente, a sua volta, dalla velocità orbitale acquisita della piccola luna).
Costruita dalla Airbus-Cisco anni fa, la Field Circus è un rozzo prodotto provinciale, fuori dal corso principale della cultura umana, con la complessità dei sistemi limitata dalla massa. La destinazione è a quasi tre anni luce dalla Terra e, nonostante l'elevata accelerazione e le velocità relativistiche di crociera, con la sua sonda Whisp da un chilo e la sua vela fotonica da cento chili impiegherà quasi sette anni per raggiungerlo. Inviare una sonda a grandezza umana è al di fuori anche dell'enorme bilancio energetico dei nuovi stati orbitali del sistema di Giove (viaggiare quasi alla velocità della luce è tremendamente costoso). Invece di una grande nave ad autopropulsione con a bordo primati in lattina, come avevano immaginato le generazioni precedenti, la nave stellare è una piastra delle dimensioni di una lattina di Coca Cola, con nano-computer che generano a velocità normale una simulazione neurale degli stati cerebrali di una decina di esseri umani in stato di Upload. Un'estrapolazione lineare indica che quando gli occupanti si teletrasporteranno nuovamente a terra per un download in corpi clonati di fresco, nella civiltà umana si sarà verificato un mutamento pari a quello avvenuto in tutti i precedenti cinquantamila anni... la presenza dell'Homo sapiens sapiens sulla Terra.
Ma ad Amber va bene così, perché quanto si aspetta di trovare in orbita intorno alla nana bruna Hyundai +4904/-56 varrà l'attesa.

Pierre sta lavorando in un altro ambiente virtuale, quello che gestisce il sistema di controllo principale della Field Circus. Sta supervisionando il lavoro dei bot di manutenzione delle vele quando riceve il messaggio. Due visitatori sono in arrivo dall'orbita di Giove. Su Ang, che si era fatta viva appena arrivata, è l'unica persona nelle vicinanze ed è occupata a lavorare per conto suo. La macchina virtuale di controllo principale - come tutti gli ambienti a interfaccia umana a questo livello della pila di virtualizzazione della nave - è basata su un film famoso; questa assomiglia al ponte di un vecchio transatlantico affondato da tempo, a parte le interfacce utente informative che fluttuano fuori dagli oblò, coprendo parzialmente la vista dell'oceano. Ovunque l'ottone lucido brilla lievemente. «Che c'è?» dice in risposta al debole trillo del campanello.
«Abbiamo visite», ripete Ang, interrompendo la masticazione. (Sta provando una gomma da masticare ai semi di betel, ma ha rimosso magicamente il colorante che macchia i denti e probabilmente dovrà disintossicarsi tra qualche ora). «Stanno già riempiendo il buffer di rete; solo la conferma di ricezione sta occupando tutta la nostra banda in uscita».
«Hai idea di chi siano?» chiede Pierre; posa gli stivali sulla poltrona vuota del timoniere mentre guarda, di cattivo umore, le distese sconfinate dell'oceano verde-grigio.
Ang mastica ancora un po', guardandolo con un'espressione che lui non riesce a decifrare. «Sono ancora bloccati», dice. Dopo una pausa riprende: «C'è stata una notizia dai Franklin, da casa. Uno dei due è una specie di avvocato, l'altro un produttore cinematografico».
«Un produttore?».
«Il Cartello Franklin afferma che servirà a sostenere le nostre spese legali. Il Myanmar sta guadagnando. Hanno già citato in giudizio l'istanza di Amber e stanno cercando di trasferirle in qualche giurisdizione farsa, credo nell'Impero Cristiano Ricostruzionista dell'Oregon».
«Ahia». Peter fa una smorfia. Le notizie dalla Terra, trasportate tramite un laser di comunicazione a bassa potenza, peggioravano di giorno in giorno. Oltretutto, Amber è incredibilmente ricca: le azioni garantite in base ai parametri di fiducia del padre implicano che la gente si farà in quattro per lei. Inoltre possiede molte proprietà, centinaia di gigatonnellate di roccia nella bassa orbita di Giove con energia sufficiente ad alimentare tutto il Nordeuropa per un secolo. Le sue avventure interstellari, però, costano soldi (sia il tipo tradizionale, variante contorta del baratto, sia le varietà più moderne e creative); è come ammucchiare pezzi di carta verde e gettarli su un nastro che li porta nel bruciatore di un motore acceso. Anche il semplice circoscrivere le proteste ambientali per la modifica dell'orbita di una luna di Giove è un lavoro difficile. Inoltre, un mucchio di governi nazionali si sono svegliati di colpo per accaparrarsi una fetta della torta. Nessuno ha ancora provato seriamente a soggiogarla con la forza (anche perché ci sono laser per 200 gigawatt di potenza sull'Impero dell'Anello, e Amber prende molto seriamente il suo status di sovrana; ha anche fatto domanda per un seggio alle Nazioni Unite e per entrare a far parte dell'Unione Europea), ma queste irritanti azioni legali stavano crescendo di intensità fino a essere veri e propri attacchi di negazione del servizio o addirittura sanzioni economiche. Il pensionamento di zio Gianni non ha migliorato per niente la situazione. «Hai qualcosa da dire al riguardo?».
«Mmm!» Ang sembrava seccata per qualche ragione. «Aspetta il tuo turno. Ci vorranno ancora un paio di giorni prima che escano dal buffer. Forse un po' di più per l'avvocato, ha un bel mucchio di dati con sé. Forse è un'altra di quelle querele collettive».
«Ci scommetto. Non imparano mai, vero?».
«Il nostro sistema legale?».
«Già». Pierre annuisce. «Una delle idee migliori di Amber, quella di riprendere vecchie leggi della Scozia dell'Undicesimo secolo e aggiornarle con tutta una serie di nuove opzioni per baratteria, duelli e giuramenti d'onore». Fa una smorfia e ridirige un paio di fantasmi per cercare i nuovi arrivati; poi torna al lavoro sulle vele. La materia interstellare è abrasiva, piena di polvere - che a questa velocità ha la stessa energia di un colpo d'artiglieria - e le vele fotoniche sono costantemente sottoposte a corrosione. Gran parte della massa del sistema di guida è costituita da scaglie argentee di ricambio per le parti di membrana, sottili come bolle di sapone, che si staccano in questo modo. La perizia sta nel capire come utilizzare le risorse e i pezzi di ricambio solo dove necessario e, allo stesso tempo, minimizzare la tensione dell'intelaiatura, evitare risonanza e scompensi di propulsione. Mentre addestra i bot della manutenzione, rimugina sulla cappa d'odio che suo fratello maggiore prova per lui (ancora lo incolpa per l'incidente del padre), sulle ingiunzioni religiose di Sadeq - stupide superstizioni, pensa - sulla capricciosità delle donne potenti e sulla profondità infinita del suo spirito di diciannovenne.
Mentre rimugina, Ang termina evidentemente qualsiasi cosa stesse facendo e se ne va... senza neanche curarsi di usare la porta di mogano in fondo al ponte, semplicemente svanendo e rimaterializzandosi da qualche altra parte. Chiedendosi se sia irritata, lui alza lo sguardo nel momento in cui il primo dei fantasmi si aggancia alla sua mappa di memoria e si ricorda cosa accadde quando incontrò il nuovo arrivato. Sgrana gli occhi. «Oh, merda!».
Ad uploadarsi nel mondo virtuale della Field Circus non è il produttore, ma l'avvocato. Qualcuno dovrebbe avvertire Amber. E anche se l'ultima cosa che vorrebbe fare è parlarle, sembra proprio che debba chiamarla, perché questa non è una visita di routine. L'avvocato significa guai.

Prendi un cervello e mettilo in una bottiglia. Meglio ancora: prendi una mappa del cervello e mettilo in una mappa di una bottiglia - o di un corpo - e manda segnali che imitino quelli del sistema neurologico. Leggi i segnali in uscita e rìdirigili verso un modello di corpo in un modello di universo con un modello di leggi fisiche, chiudendo il ciclo. René Descartes avrebbe capito. Questo è proprio lo stato dei passeggeri della Field Circus. Un tempo esseri umani materiali, il loro software neurale (e una mappa del wetware intracranico su cui gira) è stato trasferito in un ambiente virtuale in esecuzione su un computer di quelli grossi, dove l'universo che sperimentano non è altro che un sogno dentro un sogno.
Cervelli in bottiglia - potenziati, con un controllo totale e dittatoriale sulla realtà in cui sono immersi - che a volte smettono di occuparsi di attività che le menti dentro i corpi non possono evitare. Le mestruazioni non sono obbligatorie. Vomito, dolori, spossatezza e crampi sono opzionali. Lo stesso vale per la morte e la decomposizione del corpo. Ma alcune attività non terminano perché le persone stesse (anche quelle convertite in una configurazione software, spremute lungo un canale laser a banda larga e teletrasportate in una struttura di virtualizzazione) non vogliono che terminino. Respirare non è per niente necessario, ma sopprimere l'istinto di respirare è sconvolgente a meno di modificare la mappa dell'ipotalamo, e la maggior parte degli Upload umani non vogliono farlo. Poi mangiare... non per sfamarsi, ma per puro piacere. Vengono serviti continuamente banchetti a base di dodo trifolato condito con silfio, d'altronde perché no? Sembra che non si possa evitare la dipendenza umana dagli input sensoriali. E non parliamo del sesso e di tutte le innovazioni tecniche che diventano possibili quando l'universo, e i corpi al suo interno, sono mutevoli.

L'incontro pubblico con i nuovi arrivati si tiene in un altro film: nella sala del trono del palazzo parigino di Re Carlo IX, presa dal film La regina Margot di Patrice Chéreau. Amber ha insistito sull'aderenza al periodo con un realismo che rasenta la perfezione. Stavolta è il 1572 in tutto e per tutto, reale al massimo. Pierre grugnisce irritato, non abituato alla barba. Il fermaglio sul codino lo infastidisce, e gli sguardi che volge intorno a sé gli fanno capire che non è l'unico membro della corte reale a sentirsi a disagio. Amber, invece, risplende in un abito da sera indossato da Isabelle Adjani nel ruolo di Margherita di Valois, e i luminosi raggi del sole che attraversano le finestre a mosaico, poste sopra la folla di zimbo-attori, forniscono una sorta di barbara regalità all'avvenimento. La sala è piena di corpi vestiti in abiti ecclesiastici, giubbe e abiti scolati... alcuni di essi occupati da persone vere. Pierre annusa nuovamente. Qualcuno (forse Gavin, con il suo baco storico) ha operato per ottenere i giusti odori. Pierre spera che nessuno vomiti. Perlomeno nessuno sembra aver preso le sembianze di Caterina de' Medici...
Un gruppo di attori, sotto forma di soldati ugonotti, si avvicina al trono sul quale è seduta Amber. Avanzano lentamente, scortando un tipo dall'aria preoccupata, con lunghi capelli e una giacca di broccato che sembra fatta di fili d'oro. «Sua Signoria, il Procuratore Alan Glashwiecz!» annuncia un servitore leggendo da una pergamena. «Qui per discutere dell'eccellentissima gilda e corporazione di Smoot e Sedgwick associati, e di affari di estrema importanza legale con Sua Altezza Reale!».
Squilli di trombe. Pierre guarda Sua Altezza Reale, che annuisce con grazia ma è leggermente pallida... è una giornata d'estate molto umida e l'abito, con i suoi molti strati, sembra molto caldo. «Benvenuti nella zona più remota dell'Impero dell'Anello», annuncia con voce chiara e squillante. «Vi do il benvenuto e vi invito a presentare la vostra istanza quando la corte sarà in sessione pubblica».
Pierre dirige la sua attenzione a Glashwiecz, che sembra preoccupato. Senza dubbio ha imparato le basi del protocollo di corte dell'Anello (popolazione complessiva: diciottomila persone, un piccolo principato in crescita), ma è più complicato comprendere la realtà della situazione, una monarchia vecchio stile legata strettamente alla triplice connessione di Amber con l'energia, i dati e il tempo. «Sarei onorato di farlo», dice un po' freddamente, «ma di fronte a tutti questi...».
Pierre non riesce a capire il resto, perché qualcuno gli dà una pacca sulla natica sinistra. Si gira e vede Su Ang che guarda sopra la sua spalla verso il trono, vestita come una dama di corte della regina. Indossa un abito color albicocca con maniche strette e un corpetto che mostra tutto al di sopra dei capezzoli. Fili di preziosissime perle le adornano i capelli. Appena lui la nota, lei gli strizza l'occhio.
Pierre congela la scena, dissociandoli dalla realtà, e lei gli si rivolge. «Siamo soli, ora?» chiede.
«Credo di sì. Vuoi parlarmi di qualcosa?» chiede con le guance che cominciano a diventare rosse per il caldo. Intorno a loro si odono i sussurri casuali della folla generata dal computer, persone immobili perché la loro realtà procede indipendentemente dal resto dell'universo.
«Certo!» gli sorride alzando le spalle. L'effetto sul suo seno è notevole - i corpetti di quel periodo potevano dare scollature anche agli scheletri - e lei gli strizza di nuovo l'occhio. «Oh, Pierre». Sorride. «Ti distrai così facilmente!». Schiocca le dita e il vestito si trasforma in un burqa afgano, poi rimane nuda, una tuta da lavoro e infine nuovamente nell'abito di corte. L'unica costante è la sua espressione sorridente. «Adesso che ho la tua attenzione, piantala di guardare me e comincia a guardare lui».
Ancora più imbarazzato, Pierre segue la linea del braccio della donna fino all'emissario moresco, momentaneamente immobile. «Sadeq?».
«Sadeq lo conosce, Pierre. Quel tipo... c'è qualcosa di sbagliato».
«Merda. Pensi che non lo sappia?» Pierre la guarda irritato, dimenticandosi l'imbarazzo precedente. «L'ho già visto prima. Ho cercato di capirne il coinvolgimento per anni. Quell'uomo lavora per la Regina Madre. È stato il suo avvocato quando ha divorziato dal padre di Amber».
«Mi dispiace». Ang si volta da un'altra parte. «Non sei stato te stesso ultimamente, Pierre. So che c'è qualcosa che non va tra te e la Regina. Ero preoccupata. Non stai facendo attenzione ai particolari».
«Chi pensi abbia avvertito Amber?» chiede.
«Oh, d'accordo. Sei al corrente allora», dice lei. «Non ne ero certa. In ogni caso, sembravi distratto. C'è qualcosa che posso fare per aiutarti?».
«Ascolta». Pierre appoggia le mani sulle spalle della donna. Lei non si muove ma alza la testa per guardarlo negli occhi - Su Ang è alta solo un metro e sessanta - e una strana sensazione lo colpisce: un adolescente incerto sull'amicizia di una donna. Cosa vuole? «Lo so, mi dispiace, cercherò di fare più attenzione, ma ultimamente sono stato spesso solo con me stesso. Dobbiamo tornare tra gli altri prima che qualcuno se ne accorga».
«Vuoi parlare prima del tuo problema?» gli chiede, invitandolo a confidarsi.
«Io...». Pierre scuote la testa. Le potrei dire tutto, si rende conto improvvisamente, mentre la sua metacoscienza lo incita. Ha avuto un paio di confidenti virtuali, ma Ang è una persona vera e un'amica. Non giudicherà, e il suo modello di comportamento sociale è sicuramente migliore di quello di qualsiasi sistema esperto. Ma il tempo sta volando via, e poi Pierre si sente sporco. «Non adesso», dice. «Torniamo indietro».
«D'accordo». Ang annuisce, poi con la gonna svolazzante si volta qualche passo dietro di lui; Pierre sblocca di nuovo il tempo nel momento in cui si reinseriscono nell'universo principale, appena in tempo per vedere il rispettato visitatore consegnare alla Regina l'azione legale, e la Regina rispondere chiedendone la risoluzione con un duello.

Hyundai +4904/-56 è una nana bruna, una massa di idrogeno condensato da una nube protostellare, di massa otto volte maggiore quella di Giove, ma non abbastanza grande da accendere una reazione di fusione stabile nel suo nucleo. L'inesorabile spinta della gravità ha superato la naturale repulsione tra elettroni intrappolati nel nucleo, schiacciandolo in un guscio di melma intorno a una massa di materia degenerata. È appena più grande del gigante gassoso che le astronavi umane usano come fonte di energia, ma è molto più denso. Miliardi di anni fa, la quasi collisione casuale con un'altra stella l'ha mandata alla deriva per la galassia, condannandola a vagare nell'oscurità eterna insieme a un ammasso di lune ghiacciate che le danzano intorno.
Nel momento in cui la Field Circus decelera - dopo aver rilasciato la vela principale, che si allontana alla deriva e riflette la luce sulla superficie delle vele secondarie per rallentare l'astronave - Hyundai +4904/-56 si trova a un solo parsec di distanza dalla Terra, più vicina perfino di Proxima Centauri. Completamente impercepibile alle lunghezze d'onda visibili, la nana bruna avrebbe potuto viaggiare per tutti i confini esterni del Sistema Solare prima di essere scorta dalla osservazione diretta dei telescopi convenzionali. Solo una ricerca agli infrarossi fatta nei primi anni del secolo ha permesso di darle un nome.
Un gruppo di passeggeri e di componenti dell'equipaggio si è riunito sul ponte (che adesso gira a un decimo del tempo reale) per ammirare l'arrivo. Amber è seduta rannicchiata sulla sedia del capitano e guarda nervosamente gli altri avatar lì riuniti. Pierre ancora la evita ogni volta che ne ha l'occasione, eccetto le udienze formali, e quel dannato squalo con il suo cucciolo di idra non sono stati invitati ma, a parte quello, ci sono quasi tutti. Ci sono sessantatré Upload nello stack virtuale della Field Circus, copie software di corpi fisici in gran parte ancora in giro, giù a casa. È una folla, ma ci si può sentire in mezzo alla folla, anche alla tua festa. Specialmente quando sei preoccupata per i debiti, anche se sei miliardaria, proprietaria del fondo fiduciario con la migliore reputazione possibile della specie umana. I vestiti di Amber - pantaloni neri e maglione nero - sono scuri quanto il suo umore.
«Qualcosa ti turba?». Una mano compare sullo schienale della sedia accanto.
Lei si volta per un secondo, riconoscendolo e annuendo. «Già. Accomodati. Non c'eri all'udienza?».
L'uomo magro e dalla pelle nera, con una barba ben curata e la fronte rugosa, scivola sulla sedia accanto alla sua. «Non faceva parte del mio retaggio», spiega scrupolosamente, «anche se la situazione non è nuova». Un breve sorriso minaccia di farsi vivo sul suo viso di pietra. «Ho trovato il casting un po' inquietante».
«Non sono Margherita di Valois, ma il ruolo... be', diciamo che a buon intenditor, poche parole». Amber si appoggia all'indietro sulla sedia. «Sai, Margherita ha avuto una vita interessante», dice rimuginando.
«Forse intendi depravata e degenerata?» ribatte il suo vicino.
«Sadeq». Lei chiude gli occhi. «Non litighiamo sulla moralità proprio adesso, per favore. Abbiamo un inserimento orbitale da concludere, un manufatto da trovare e un dialogo da aprire. E mi sento molto stanca. Spossata».
«Ah... chiedo scusa». Inclina lievemente la testa. «A causa del tuo giovane amico? Ti ha mancato di rispetto?».
«Non esattamente...». Amber fa una pausa. Sadeq, che era stato invitato a bordo da lei come teologo, nel caso avessero incontrato qualche dio, aveva assunto il compito di badare al benessere spirituale di Amber come un hobby. A volte lo trovava un po' opprimente, altre volte lusinghiero, comunque sempre surreale. Usando le risorse di ricerca quantica disponibili ai cittadini dell'Impero dell'Anello, lui ha pubblicato molto più dei suoi pari, è il più giovane hojatoleslam eletto: il suo originale sarà probabilmente diventato ayatollah quando torneranno a casa. È molto cauto nel trattare con culture differenti, utilizza una logica impeccabile nei ragionamenti, è molto attento a non andare contro di lei... e cerca continuamente di guidare il suo sviluppo morale. «È un semplice fraintendimento fra di noi», dice. «Non ne vorrei parlare finché non lo avremo chiarito».
«D'accordo». Sembra insoddisfatto, ma è normale. Sadeq ha ancora sotto gli stivali la polvere della giovinezza passata nella città industriale di Yadz. A volte lei si chiede se i loro disaccordi non rispecchino in miniatura il gap tra i primi anni del Ventesimo e del Ventunesimo secolo. «Ma torniamo al presente. Tu sai dove si trova questo Router?».
«Lo saprò entro pochi minuti o ore». Amber alza la voce, generando allo stesso tempo alcuni fantasmi di ricerca. «Boris! Hai la minima idea di dove stiamo andando?».
Boris si porta con difficoltà di fronte a lei; oggi indossa un velociraptor, e non si gira facilmente in spazi angusti. Ringhia irritato: «Datemi un po' di spazio!». Tossisce, un rumore minaccioso proveniente dal retro della sua gola bargigliata. «Sto esaminando la memoria delle vele proprio ora». Il retro delle vele sottili come bolle di sapone è pieno di nanocomputer distanti pochi micron l'uno dall'altro. Equipaggiati con recettori di luce e configurati come automi cellulari, formano un sistema di sensori, come una retina del diametro di più di cento metri. Boris dà loro in pasto schemi che descrivono tutto ciò che differisce dall'immobile paesaggio stellare. Le memorie si sarebbero condensate rapidamente e avrebbero restituito visioni di tenebre in movimento... i freddi, morti attendenti di un sole abortito.
«Ma dove dovrebbe essere?» chiede Sadeq. «Sai che cosa stai cercando?».
«Sì, non dovremmo avere problemi a trovarlo», dice Amber. «Più o meno è fatto così». Con l'indice picchietta sulla fila di finestre anteriori del ponte. Il suo anello con sigillo risplende di una luce rossastra e qualcosa di indescrivibilmente strano prende il posto dello sfondo marino. Grappoli di sferette perlacee, sotto forma di catene elicoidali, dischi e spirali di colori che si intersecano e si uniscono tra loro fluttuano nello spazio sopra un pianeta oscuro. «Sembra una scultura di William Latham fatta di materia strana, vero?».
«Molto astratto», dice Sadeq con approvazione.
«È vivo», aggiunge lei. «E quando sarà abbastanza vicino da vederci, tenterà di divorarci».
«Che cosa?» Sadeq cambia posizione improvvisamente ansioso.
«Vuoi dire che non te l'ha detto nessuno?» chiede Amber. «Pensavo che avessimo aggiornato tutti». Gli lancia una melagrana dorata e luccicante, che lui prende al volo. La mela della conoscenza si dissolve tra le sue mani e Sadeq si siede stordito, mentre i fantasmi assorbono le informazioni per suo conto. «Dannazione», aggiunge Amber in tono sommesso.
Sadeq si irrigidisce sul posto. Glifi di pietra sbriciolata, ricoperti d'edera, segnano la sua tuta scura, a indicare che è impegnato in qualche altro universo personale.
«Errr! Capo! Ho trovato qualcosa», dice Boris sbavando sul pavimento.
Amber alza lo sguardo. Ti prego, fai in modo che sia il Router, pensa. «Sullo schermo».
«Sei certa che sia sicuro?» chiede nervosamente Su Ang.
«Niente è sicuro», schiocca Boris, tamburellando il suo grosso artiglio sui controlli. «Ecco. Guardate».
La vista fuori dagli oblò cambia nella visione di un polveroso orizzonte bluastro: vortici di idrogeno dipinti con alte nubi di bianchi cristalli di metano, mantenuti al di sopra del punto di congelamento dell'ossigeno dalla rotazione residuale di Hyundai +4904/-56. Il livello di ingrandimento dell'immagine è molto alto; a occhio nudo non si sarebbe visto altro che l'oscurità. Al di sopra del gigantesco pianeta, c'è un disco piccolo e pallido: Callidice, la luna più grande della nana bruna - o il secondo pianeta dall'interno - una sfera di roccia poco più grande di Mercurio. Lo schermo fa una zoomata sulla luna, mostrando un panorama ricoperto da crateri e polvere dovuta ai vulcani ghiacciati. Finalmente, appena sopra il lontano orizzonte, qualcosa di colore turchese brilla ruotando sul gelido sfondo nero.
«Eccolo!» sussurra Amber con lo stomaco che diventa gelatina, mentre le sue incertezze si dissolvono come fantasmi nella notte intorno a lei. «Eccolo!». Si alza in piedi soddisfatta, per dividere quel momento con tutti quelli a cui tiene. «Sveglia, Sadeq! Qualcuno faccia venire quel dannato gatto! Dov'è Pierre? Lo deve vedere!».

La notte e i festeggiamenti la fanno da padroni, fuori dal castello. Le folle sono ubriache e chiassose alla vigilia del massacro del giorno di San Bartolomeo. In cielo esplodono i fuochi artificiali, e le finestre aperte lasciano entrare una calda brezza fragrante di carni cucinate, fumo di legna e fogne a cielo aperto. Nel frattempo, un amante sale lentamente per una stretta scala a chiocciola di pietra, al buio quasi completo; la sua meta, un rendez-vous prestabilito. Ha bevuto, e la sua migliore maglietta di lino mostra macchie di sudore e cibo. Si ferma alla terza finestra per prendere una boccata dell'aria esterna e passarsi le mani nella criniera di capelli, che sono lunghi, spettinati e sporchi. Perché sto facendo così? si chiede. Non è per niente da lui, fare tutto questo casino...
Continua su per la spirale. In cima, una porta di quercia si spalanca su un vestibolo illuminato da una lanterna appesa a un gancio. Si avventura all'interno fino a una sala d'aspetto pannellata di quercia annerita dal tempo. Attraversare la soglia fa scattare un altro scambio prestabilito. I suoi piedi non agiscono in base alla sua volontà, e lui sente una pulsazione sconosciuta nel petto, aspettativa, calore e dissolutezza ancora più in basso che gli fa gridare: «Dove sei?».
«Quaggiù». La vede attenderlo sull'uscio della porta. È parzialmente svestita, con indosso strati di sottogonne e un corsetto piatto che fa gonfiare le parti superiori dei seni come cupole splendenti. Ha le strette maniche mezze srotolate, i capelli arruffati. Lui è pieno degli occhi brillanti di lei, la costrizione che le tiene ritta la spina dorsale, il sapore nella bocca di lei. Lei è il magnete per questa realtà, impossibilmente seducente, così tesa che potrebbe esplodere. «A te fa effetto?» chiede lei.
«Sì». Si sente stretto, senza fiato, strizzato fra impossibilità e desiderio mentre cammina verso di lei. Hanno sperimentato giochi di cambio di sesso, provando il dimorfismo estremo di questo periodo come uno svago, ma questa è la prima volta che lo fanno in questo modo. Lei apre la bocca. Lui la bacia, sente il calore della sua lingua che le si infila tra le labbra, la forza delle sue braccia che le cingono la vita.
Lei gli si appoggia addosso, sentendo la sua erezione. «Ah, è così che ci si sente a essere te», dice meravigliata. La porta della sua camera è socchiusa, ma lei non ha l'autocontrollo per attendere: l'inondazione di nuove sensazioni - reinstradate dal modello fisiologico di lei al sensorium propriocettivo di lui - ha preso il controllo. Con forza gli preme addosso i fianchi, spingendosi più a fondo tra le sue braccia, mugolando piano dalla gola mentre sente il gonfiore delle palle, la tensione del pene. Lui quasi sviene per le ricche sensazioni del corpo di lei... è come se si dissolvesse, sentendo la pulsante durezza contro l'inguine, diventando acqua e scorrendo via. In qualche modo le mette le braccia intorno alla vita - così stretta, così senza fiato - e incespica nella camera da letto. Lei geme mentre lui la fa cadere sul materasso stragonfio: «Fallo!» ordina lei. «Fallo adesso!».
Riesce a salirle sopra e a infilarsi tra le sue caviglie, mentre le gonne sono arrotolate intorno alla vita; lei lo bacia, strusciando i fianchi contro di lui e mormorando parole pressanti e insensate. Poi si ritrova col cuore in bocca, con la sensazione che l'universo gli stia premendo sulle parti intime, al punto di togliergli il fiato. È caldo e duro come la pietra, e desidera disperatamente penetrarla, ma allo stesso tempo è un'intrusione, spaventosa e inattesa. Lui sente il tocco folgorante della sua lingua sui capezzoli mentre le si avvicina; si sente esposto, terrorizzato ed estatico mentre i luoghi intimi di lei accolgono il suo membro. Mentre comincia a dissolversi nell'universo, grida nel privato della sua testa: Non sapevo che ci si sentisse così...
Dopo, lei si volta verso di lui con un pigro sorriso, e chiede: «Com'è stato per te?». Ovviamente presumendo che, se è piaciuto a lei, dev'essere piaciuto anche a lui.
Ma tutto quello cui lui riesce a pensare è la sensazione dell'universo che gli si infila dentro, e di quanto gli sia piaciuto. Tutto ciò che riesce a sentire è suo padre che urla - («Ma che sei, una specie di checca?») - e si sente sporco.

Saluti dall'ultimo megasecondo prima della discontinuità.
Il sistema solare pensa furiosamente a 1033 MIPS, i pensieri ribollono e vorticano nell'equivalente di un milione di miliardi di menti umane non aumentate. Gli anelli di Saturno rilucono di calore disperso. I rimanenti fedeli dei Santi degli Ultimi Giorni correlano lo spazio di fase del loro genoma e le registrazioni della loro discendenza nel tentativo di portare alla resurrezione i loro antenati. Diversi ganci celesti si sono dispiegati in orbita equatoriale intorno alla Terra come le eleganti foglie, simili a felci, delle drosere, traghettando cargo e passeggeri da e verso l'orbita. Robottini simili a granchi sciamano sulla superficie di Mercurio, essudando una bava nera di convertitori fotovoltaici e i cavi argentei delle catapulte elettromagnetiche. Una nuvola splendente di nanomi industriali forma una foschia intorno al pianeta più interno, che tontamente si restringe sotto i colpi massacranti dell'abbondante energia solare e di robot minatori determinati.
L'incarnazione originale di Amber e della sua corte galleggia in orbita alta al di sopra di Giove, presiedendo sull'enorme centro di commercio di materia inerte che sta rapidamente azzannando la massa disponibile del sistema interno gioviano. Il commercio di massa di reazione è frizzante, e ci sono spedizioni di strutture bifase diamante/vuoto da assemblare e mandare giù nelle parti basse del sistema solare. Molto più in basso, rasente i confini del turbolento sistema nuvoloso di Giove, una gigantesca e rilucente figura a otto - un nodo lungo cinque chilometri di cavo superconduttore - disegna tracce incandescenti sulla magnetosfera del gigante gassoso. Scambia quantità di moto con corrente elettrica, deviandola in una griglia a occhio di mosca di laser che la irraggiano verso Hyundai +4904/-56. Fin quando l'Amber originale e la sua squadra incarnata riusciranno a tenerlo in funzione, la Field Circus potrà continuare la sua missione di esplorazione, ma tutti loro fanno parte della civiltà postumana che si sta evolvendo giù nelle turbolente profondità del sistema del Sole, fanno parte del treno impazzito trascinato dal motore fuori controllo della storia.
Strane nuove biologie basate su complessa materia adattiva prendono forma negli oceani sterili di Titano. Nelle gelide profondità di Plutone, gas di bosoni superraffreddati si condensano in impossibili strutture sognanti, imballate per essere spedite verso l'interno, verso il nucleo a pensiero rapido.
Ci sono ancora umani che vivono nelle profondità bollenti, ma sta diventando difficile riconoscerli. La massa dell'umanità prima del Ventunesimo secolo era cattiva, bruta e bassa. Malnutrizione cronica, mancanza di educazione e malattie endemiche portavano a menti danneggiate e corpi menomati. Adesso, la maggior parte delle persone fa multitasking: i loro cervelli di carne sono piazzati nel nucleo di una marea di personalità, gran parte della quale è virtualizzata su livelli stratificati di realtà strutturata, lontano dai corpi fisici. Guerre e rivoluzioni, o i loro sottili consanguinei più recenti, spazzano il globo mentre le costanti diventano variabili; molti trovano la morte della stupidità persino più dura da accettare della fine della mortalità. Alcuni si sono vetrificati per attendere un incerto futuro postumano. Altri hanno modificato le loro identità fondamentali per meglio far fronte alle mutate richieste della realtà. Fra questi ci sono esseri che nessuno proveniente dal secolo precedente riconoscerebbe come umani... mezzosangue umano/corporazione, cladi zombi, disumanizzati dalle loro stesse ottimizzazioni, angeli e diavoli del software, atti finanziari scaltramente autoconsapevoli. Persino la loro narrativa popolare si auto-decostruisce di questi tempi.
Niente di tutto ciò, a parte il più scarno dei riassunti dei notiziari, raggiunge la Field Circus. La sonda Whisp è un fossile, lasciato indietro dalla lunga spazzata del progresso in accelerazione. Ma è a bordo della Field Circus che avranno luogo alcuni dei più importanti eventi che resteranno nel cono di luce futuro dell'umanità.

«Saluta le meduse, Boris».
Boris, per una volta in forma umana, guarda Pierre e afferra la brocca con due mani. I contenuti del boccale muovono i tentacoli lentamente. Uno di loro salta quasi fuori dalla soluzione, spostando un ciliegia da cocktail infilzata. «Io farò pagare voi per questo», li minaccia Boris. L'aria fumosa intorno alla sua testa è un mulinello di demoniache visioni di vendetta.
Su Ang osserva attentamente Pierre che guarda Boris mentre porta il boccale alla bocca e inizia a bere. Le giovani meduse - piccole, azzurrine, con campane cuboidi e quattro gruppi di tentacoli che spuntano dagli angoli - scivolano facilmente. Boris rabbrividisce un attimo quando le nematocisti gli urticano la bocca, ma in un momento l'essere cubozoico va giù, e nel frattempo il suo modello biofisico riduce l'estensione del danno alla sua orofaringe, ferita dal propulsore.
«Wow», dice, prendendo un'altra sorsata di margarita alle vespe di mare. «Non mi imitare, polpettina».
«Dammi». Pierre allunga la mano. «Posso?».
«Inventati il tuo intruglio», ghigna Boris... ma poi lascia il boccale e lo passa a Pierre, che lo solleva e beve. Il cocktail cubozoico gli ricorda i drink di gelatina di frutta in una calda estate a Hong Kong. Il pizzicore sul palato è acuto ma se ne va in fretta, producendo un bruciore interiore quando l'alcol arriva sul lieve gonfiore, che è tutto ciò che la letale medusa può fargli in questo universo.
«Niente male», dice Pierre, togliendosi dal mento un tentacolo disperso. Spinge la brocca sul tavolo verso Su Ang. «Che cos'ha l'uomo di vimini?». Con il pollice sulla spalla indica il tavolo nell'angolo opposto al bancone con la superficie in rame.
«A chi frega?» chiede Boris. «Lui è parte di arredamento, no?».
Il bar è un café marrone, di trecento anni fa, con una carta delle birre composta da sedici pagine, e pareti di legno tinte del colore della birra scura invecchiata. L'aria è impregnata dell'odore di tabacco, lievito di birra e spray alla melatonina: e di questi nessuno esiste. Amber li ha presi dalle memorie collettive dei borg Franklin, attraverso le e-mail onnicomprensive di suo padre, che annotava le sue origini corporali... l'originale è ad Amsterdam, se la città esiste ancora.
«A me importa chi sia», dice Pierre.
«Lascia stare», dice Ang in tono tranquillo. «Credo sia un avvocato con uno schermo per la privacy».
Pierre getta uno sguardo da sopra la spalla e si illumina. «Davvero?».
Ang lo trattiene mettendogli una mano sul polso. «Davvero. Non gli fare caso. Non devi, fino al processo, lo sai».
L'uomo di vimini è seduto scomodamente nell'angolo. Ricorda il profilo di un cesto intrecciato, fatto di canne secche, con un foulard rosso indosso. Un bicchiere di doppelbock riempie l'intrico di cime mozzate dove dovrebbe esserci la mano destra. Ogni tanto, alza il bicchiere come se prendesse un sorso e la birra scompare nello strano interno.
«Fanculo il processo», dice Pierre brevemente. E affanculo anche Amber, per avermi nominato pubblico difensore...
«Da quando con le azioni legali ti danno un uomo invisibile?» chiede Donna la Giornalista, irrompendo nel bar; la sua memoria legale raffazzonata fa intuire che è appena tornata dalla stanza sul retro.
«Da quando...» Pierre sbarra gli occhi. «Cazzo». Quando Donna è entrata, l'ha fatto anche Aineko; o forse la gatta è stata lì tutto il tempo, acciambellata come una pagnotta sul tavolo davanti all'uomo di vimini. «Stai danneggiando la continuità», si lamenta Pierre. «Questo universo è in frantumi».
«Aggiustalo», gli dice Boris. «Tutti altri riescono». Schiocca le dita. «Cameriere!».
«Scusa». Donna scuote la testa. «Non volevo fare danni».
Ang è più accomodante, come sempre. «Come stai?» le chiede garbatamente. «Vuoi provare questo squisito cocktail al veleno?».
«Sto bene», dice Donna. Una donnona tedesca - bionda e solidamente muscolosa, secondo l'avatar che mostra in pubblico - circondata da una nebbiolina di punti di vista. Sono obiettivi fotografici della sua società mentale, impegnati a integrare e unire i fili dei suoi punti di vista in un infinito diario di viaggio. Freelance per il consorzio mediatico della CIA, si è caricata sulla nave con lo stesso flusso di pacchetti dell'azione legale. «Danke, Ang».
«Registri anche adesso?» chiede Boris.
Donna sbuffa. «Quand'è che non lo faccio?». Un sorriso momentaneo. «Sono solo uno scanner, no? Ancora cinque ore all'arrivo. Allora magari mi fermerò». Pierre dà un'occhiata alle mani di Su Ang dall'altra parte del tavolo; ha le nocche bianche e tese. «Ho intenzione di non perdermi niente se possibile», continua Donna, ovviamente mettendo a disagio Ang. «Ci sono otto me al momento! Tutte che registrano».
«E basta?» chiede Ang sollevando un sopracciglio.
«Sì basta, e ho un lavoro da fare! Non dirmi che non ti piace fare quello che fai qui».
«Giusto». Pierre guarda di nuovo verso l'angolo, evitando di incrociare lo sguardo della cordiale aspirante Signora del Venerdì. Ha un presentimento: se ci fossero delle colline da animare nei dintorni, lei inizierebbe a intonare la musica. «Amber ti ha detto del codice di riservatezza?».
«C'è un codice di riservatezza?» chiede Donna, mettendogli almeno tre fantasmi soggettivi alle calcagna per qualche motivo... evidentemente ha toccato un argomento per cui prova sentimenti contrapposti.
«Un codice di riservatezza» le conferma Pierre. «Niente registrazioni in privato, niente registrazioni senza il consenso esplicito degli interessati, niente insabbiamenti e niente scherzi».
Donna sembra offesa. «Non farei mai una cosa del genere! Intrappolare la copia di qualcuno in uno spazio virtuale per registrarne le reazioni sarebbe un'aggressione secondo la legislazione dell'Anello, non è forse vero?».
«A tua madre», dice Boris maliziosamente, alzando un nuovo boccale di medusa killer ghiacciata nella sua direzione.
«Siamo tutti d'accordo», interrompe Ang, cercando consenso. «Presto sarà tutto a posto, no?».
«Tranne che per l'azione legale», mormora Pierre, guardando di nuovo verso l'angolo.
«Non vedo il problema», dice Donna. «La questione è tra Amber e i suoi discendenti antagonisti!».
«Oh, invece è problema», dice Boris con voce tranquilla. «Cosa valgono tue opzioni?».
«Le mie...». Donna scuote la testa. «Non ho i titoli».
«Plausibile». Boris non accenna un sorriso. «Anche così, quando noi andiamo a casa, tuo metro di credibilità crescerà. Supponendo che gente ancora usa mercati fiduciari distribuiti per valutare stabilità di loro soci in affari».
Niente titoli. Pierre se lo rigira in testa, un po' sorpreso. Supponeva che tutti a bordo della nave - eccetto magari l'avvocato, Glashwiecz - fossero membri a pieno titolo della compagnia di spedizioni.
«Non ho i titoli», insiste Donna. «Sono iscritta indipendentemente». Per un attimo, le appare l'ombra di un sorriso sulla faccia, un'espressione incantevolmente reticente che non ha nulla a che fare con la sua falsità esteriore. «Come la gatta».
«La...». Pierre si gira in fretta. Sì, sembra che Aineko sia seduta silenziosa al tavolo con l'uomo di vimini; ma chi sa cosa sta passando per quella testa pelosa in questo momento? Devo parlarne con Amber, pensa ansiosamente. Dovrei parlarne con Amber... «Ma la tua reputazione non sarà danneggiata dal tuo viaggio su questo mezzo, no?» chiede a voce alta.
«Starò bene», dichiara Donna. Arriva il cameriere: «Prendo una bottiglia di schneiderweisse», aggiunge. E poi, senza soluzione di continuità: «Credi nella singolarità?».
«Mi stai chiedendo se sono un singolaritario?» domanda Pierre, un ghigno fisso sul volto.
«Oh, no, no, no!». Donna lo ferma, fa un ampio sorriso e poi rivolge un cenno del capo a Su Ang: «Non è quello che volevo dire! Attenzione: Volevo chiedere se credi nel concetto di singolarità, e se sì, dov'è?».
«È per un'intervista pubblica?» chiede Ang.
«Non posso trascinarti in una simulazione ed esporti a un'escursione imitativa della realtà, giusto?». Donna si tira indietro mentre il barista le mette davanti un boccale di ceramica.
«Oh. Be'». Ang guarda Pierre allarmata e invia un memo privatissimo che gli attraversa la visuale: Non giocare con lei, è una cosa seria. Boris sta guardando Ang con un'espressione di disperato desiderio. Pierre prova a ignorarlo, prendendo sul serio la domanda della giornalista. «La singolarità è un po' come le stupidaggini dei vecchi cristiani americani sull'estasi, no?» dice. «Quando andiamo tutti svolazzando in paradiso, lasciandoci alle spalle i nostri corpi». Sbuffa, allunga una mano nell'aria e viola gratuitamente la causalità facendo apparire un boccale di sangria ghiacciata. «L'estasi dei nerd. Berrò a questo».
«Ma quand'è successo?» chiede Donna. «Il mio pubblico vuole conoscere la tua opinione in proposito».
«Quattro anni fa, quando abbiamo istanziato questa nave», dice prontamente Pierre.
«Negli anni Dieci» dice Ang. «Quando il padre di Amber liberò le Aragoste uploadate».
«Ancora non sta succedendo», contribuisce Boris. «Singolarità implica un infinito ritmo di cambiamento raggiunto momentaneamente. Perciò esseri di presingolarità non possono predire futuro, giusto? Quindi non è successo».
«Au contraire. È successo il 6 giugno 1969, alle undici, ora della costa orientale», ribatte Pierre. «È stato quando i primi pacchetti del protocollo di controllo di rete furono inviati dal data port di un IMP a un altro... la primissima connessione Internet. Questa è la singolarità. Da allora viviamo tutti in un universo che non poteva essere previsto dagli eventi precedenti».
«È immondizia», ribatte Boris. «Singolarità è piena di robaccia religiosa. Estasi mistica cristiana riciclata per nerd atei».
«Non proprio». Su Ang lo guarda, ferita. «Eccoci qui, una sessantina di menti umane. Ci hanno fatto migrare, ancora svegli, fuori dalla nostra stessa testa usando un'affascinante combinazione di nanotecnologia e mappatura di risonanza dello spin degli elettroni, e adesso funzioniamo come programmi in un sistema operativo progettato per virtualizzare modelli fisici multipli e fornire una simulazione della realtà che ci impedisce di impazzire di deprivazione sensoriale! E l'intero pacco è grande come un'unghia, stipato in una nave spaziale grande come il vecchio walkman di tua nonna, in orbita attorno a una nana bruna a poco più di tre anni luce da casa, diretti a un Router di rete creato da intelligenze aliene incredibilmente antiche, e tu riesci a dirmi che l'idea di un cambiamento fondamentale della condizione umana non ha senso?».
«Mmm». Boris sembra perplesso. «Io non la metterei così. Singolarità non ha senso, non Upload o...».
«Sì, giusto». Ang sorride a Boris con aria di trionfo. Un momento dopo, lui si affloscia.
Donna li punta entusiasta. «Affascinante!» dice elettrizzata. «Dimmi, cosa sono queste Aragoste che consideri importanti?».
«Sono amiche di Amber», spiega Ang. «Anni fa, il padre di Amber fece un patto con loro. Sono stati i primi Upload, lo sai? Tessuto nervoso di aragoste ibridate, un API euristico e una manciata a caso di sistemi validi di concatenamento logico. Uscirono dal laboratorio ed entrarono nella rete, e Manfred propose un patto per liberarle, in cambio del loro aiuto nella gestione di una fabbrica orbitante Franklin. Questo tornando indietro ai vecchi tempi, prima che capissero come autoassemblarsi correttamente. Ad ogni modo, le Aragoste insistettero - parte del contratto - che Bob Franklin pagasse perché la rete di tracciatura dello spazio profondo le scagliasse nello spazio interstellare. Volevano emigrare, e vedendo quello che è successo al sistema solare da allora, chi può biasimarle?».
Pierre prende un bel sorso di sangria. «La gatta», dice.
«La gatta...». La testa di Donna si gira, ma Aineko è scomparsa di nuovo, editando retroattivamente la sua presenza nella storia degli eventi di questo spazio pubblico. «Cosa c'entra la gatta?».
«La gatta di famiglia», spiega Ang. Si allunga per prendere la brocca di succo di medusa di Boris, ma facendolo si acciglia. «Allora Aineko non ne era consapevole, ma poi... quando finalmente SETI@home ha ricevuto quel messaggio di risposta, oh, comunque molti anni fa, Aineko si è ricordata delle Aragoste. E l'ha craccato per bene mentre tutte le squadre CETI ragionavano ancora in termini di architetture di Von Neumann e programmazione concettuale. Il messaggio era una rete semantica progettata per innestarsi perfettamente nella trasmissione delle Aragoste tanti anni fa, e fornire un'interfaccia di alto livello a una rete di comunicazioni che visiteremo». Stringe i polpastrelli di Boris. «SETI@home ha caricato queste coordinate come origine della trasmissione, anche se pubblicamente si diceva che il messaggio arrivasse da molto più lontano... non volevano rischiare che si spargesse il panico se la gente fosse venuta a sapere che c'erano degli alieni alla nostra soglia cosmica. Comunque, una volta che Amber si fu stabilizzata, decise di venirci in visita. Da lì, questa spedizione. Aineko creò un'aragosta virtuale e interrogò il pacchetto extraterrestre, da cui il canale di comunicazioni che stiamo per aprire».
«Ah, adesso è tutto un po' più chiaro», dice Donna. «Ma l'azione legale...». Muove lo sguardo verso l'uomo di vimini nell'angolo vuoto.
«Be', questo è il nostro problema», dice Ang con diplomazia.
«No», dice Pierre. «Il mio problema. Ed è tutta colpa di Amber».
«Mmm?» Donna lo fissa. «Perché incolpare la Regina?».
«Perché è stata lei a scegliere il mese lunare come periodo di tempo ufficiale per le compagnie del suo dominio, e a specificare il processo per combattimento come risoluzione ai conflitti finanziari», brontola. «E la compurgazione, ma questa non è applicabile al nostro caso perché non c'è un server di reputazione noto nel raggio di tre anni luce. Il processo per combattimento, per cause civili al giorno d'oggi! E mi ha indicato come suo campione». Nella maniera più tradizionale che si possa immaginare, ricorda con un caldo fremito di nostalgia. Era stato suo corpo e anima prima di quell'esperimento disastroso. Non è certo che sia ancora valido, ma... «Devo assumermi quest'azione legale in vece sua, in posizione di duello».
Si guarda oltre la spalla. L'uomo di vimini è seduto placido, sta versando la birra giù per la sua gola invisibile come un fattore stanco.
«Processo per combattimento», spiega Su Ang al perplesso sciame fantasma di Donna, che striscia tutt'attorno al nuovo concetto con un'aria confusa. «Non combattimento fisico, ma una competizione d'abilità. Sembrava una buona idea, allora, tenere i litiganti più straccioni lontani dall'Impero dell'Anello, ma gli avvocati della Regina Madre sono molto persistenti. Probabilmente perché, con gli anni, ha preso un non so che della qualità delle sfide di rancore. Non credo che a Pamela interessi ancora molto, ma questo avvocato testadura l'ha presa per una crociata personale. Non credo gli sia piaciuto quel che è successo quando la Mafiya musicale se l'è presa con lui. Ma c'è altro, perché se vince diventa il padrone di tutto. E intendo tutto».

A dieci milioni di chilometri di distanza, Hyundai +4904/-56 appare dietro la vela a forma di paracadute della Field Circus come una scorza d'oscurità strappata al confine dell'universo. Il calore della contrazione gravitazionale del nucleo la mantiene calda, irradiando a seicento gradi assoluti, ma l'irrisoria emissione non serve a rompere il ghiaccio eterno che attanaglia Callidice, Iambe, Celeo e Metanira, i pianeti nati morti, bloccati in orbita attorno alla nana bruna.
I pianeti non sono le uniche strutture che orbitano attorno alla massiccia sfera d'idrogeno. Più vicino, scrutando la cima delle nuvole a soli ventimila chilometri, l'occhio a scansione di fase di Boris ha individuato un oggetto metallico e caldo. Qualunque cosa sia, orbita fuori dal piano ellittico tracciato dalle lune ghiacciate, e nella direzione sbagliata. Più in fuori, un puntino di luce laser smeraldina riflessa indica una vistosa gemma contro il cielo stellato: la loro destinazione, il Router.
«Eccolo», dice Boris. Il suo corpo brilla di umanità, retroscrivendo l'universo tascabile del ponte perché concordi che è sempre stato presente in forma di primate. Amber guarda di lato. Sadeq è ancora ricoperto d'edera, la pelle della stessa consistenza del calcare esposto alle intemperie. «Approccio più vicino è a 63 secondi luce, tra 800.000. Io posso avere contatto più vicino se manovriamo, ma vorrà tempo per avere orbita stabile».
Amber annuisce pensosa e invia copie di sé a far funzionare la meccanica. La grande vela fotonica è poco maneggevole, ma può sfruttare due fonti d'energia: il raggio laser originale da Giove e il suo riflesso, che rimbalza sulla vela primaria, ora distante. La tentazione è di affidarsi al laser per un'accelerazione costante, usare un po' i motori per entrare e infilarsi attraverso la soglia cosmica del Router. Ma il rischio di un'interruzione del raggio è troppo grande. È già successo, per secondi o minuti, in sei occasioni durante il viaggio finora. Non è sicura di cosa provochi il blocco del raggio (Pierre ha una teoria su degli oggetti nella Nube di Oort che occultano il laser, ma lei pensa che è più probabile si tratti di tagli energetici dell'Anello), ma le conseguenze di una perdita di potenza durante una manovra in fondo a un pozzo gravitazionale quasi stellare sarebbero molto più gravi di una temporanea perdita di spinta durante il volo interstellare libero. «Cerchiamo di giocare sul sicuro», dice. «Miriamo a un inserimento orbitale diretto e poi a una curvatura stabile. Ci sono pozzi gravitazionali a sufficienza per giocare a flipper. Non voglio seguire una rotta in volo libero che implichi fracassarci sulla superficie se perdiamo potenza e non riusciamo a recuperare la vela».
«Molto prudente», concorda Boris. «Marta, lavora su questo». Una presenza ronzante di non-insetti indica che la timoniera eteromorfa è al lavoro. «Credo che dovremmo essere in grado di dare la nostra prima occhiata ravvicinata in circa due milioni di secondi, ma se vuoi, posso pingarlo adesso...».
«Non serve l'analisi protocollare», dice Amber con noncuranza. «Dov'è... ah, eccoti». Si abbassa e prende in braccio Aineko, che si torce sinuosamente e le lecca il braccio con una lingua di carta vetrata. «Cosa ne pensi tu?».
«Ci vuoi anche delle patatine?» chiede la gatta, concentrandosi sull'artefatto al centro dello schermo principale davanti al ponte.
«No, voglio solo fare conversazione», dice Amber.
«D'accordo, va bene». La gatta si abbassa, si muove a scatti, succhiando l'energia di elaborazione della regione così in fretta da disturbare il modello fisico locale. «Apertura porta».
Passano un minuto soggettivo o due. «Dov'è Pierre?» si chiede Amber calma. Alcuni dei valori indicativi che si riescono a leggere dalla sua posizione privilegiata sono preoccupanti. La Field Circus sta funzionando a quasi l'ottanta per cento di utilizzo. Qualunque cosa Aineko stia facendo per stabilire l'interfaccia con il Router, richiede un'enorme quantità di banda e potenza di elaborazione. «E dov'è quel dannato avvocato?» aggiunge, quasi fosse un ripensamento.
La Field Circus è piccola ma la sua vela fotonica è altamente controllabile. Aineko prende un gruppetto di cellule sulla sua superficie, trasformandole da semplici riflettori a specchi coniugati in fase. Sullo scafo della nave, un piccolo laser inizia a lampeggiare migliaia di volte al secondo, e il raggio rimbalza sul segmento modificato di specchio, concentrandosi in un punto coerente proprio davanti al lontano punto blu del Router. Aineko innalza la frequenza di modulazione, aggiunge un po' di canali usando lunghezze d'onda differenti e inizia a sputar fuori una serie complessa di segnali prepianificati che forniscono un formato di codifica per i dati d'alto livello.
«L'avvocato lascialo a me». Inizia, guardando di lato per vedere Sadeq che la osserva. Lui sorride senza mostrare i denti. «Gli avvocati non si immischiano con la diplomazia», spiega.
«Uh». Davanti a loro, il Router si sta espandendo. Stringhe di sfere madreperlacee si arricciano in strani cerchi attorno a un nucleo nascosto, espandendosi e rivoltandosi con pulsazioni sistoliche che generano ondate di ricomplicazione attraverso la struttura. Un vago puntino rosso di luce laser macchia un braccio di pallini; all'improvviso si accende luminoso, riflettendo i dati alla nave. «Ah!».
«Contatto», mormora la gatta. I polpastrelli di Amber diventano bianchi dove stringe i braccioli della sedia.
«Cosa dice?» chiede con voce calma.
«Cosa dicono», la corregge Aineko. «È una delegazione commerciale, e si sta uploadando proprio adesso. Se vuoi posso usare la rete di negoziazione che ci hanno mandato per dar loro un'interfaccia con il nostro sistema».
«Aspetta!» Amber si blocca per un improvviso nervosismo. «Non dare libero accesso! Che cos'hai in mente? Bloccali nella sala del trono, e concederemo un'udienza formale in un paio d'ore». Si interrompe un attimo. «Quel livello di rete che hanno inviato. Puoi renderlo accessibile a noi, usarlo per procurarci un livello di traduzione nel loro sistema di mappatura grammaticale?».
La gatta si guarda in giro e sbatte la coda irritata: «Faresti meglio a caricarti la rete da sola...».
«Voglio che nessuno su questa nave utilizzi un codice alieno prima di averlo esaminato a fondo», dice con insistenza. «Anzi, voglio che siano trattenuti nelle fondamenta del Louvre, il più possibile, e voglio che vengano da noi attraverso la nostra strettoia linguistica. Capito?».
«Chiaro», mormora Aineko.
«Una delegazione commerciale», pensa Amber a voce alta. «Che cosa se ne farebbe papà?».

Un momento è nel bar, a sparare stronzate con Su Ang, il fantasma di Donna la Giornalista e una copia di Boris; quello dopo, è improvvisamente scaraventato in uno spazio molto diverso.
Il cuore di Pierre sembra rotolare all'interno della cassa toracica, ma lui si costringe a restare calmo mentre si guarda intorno nella stanza oscura e rivestita di quercia. È sbagliato, così sbagliato che significa un imponente crash di sistema, oppure l'applicazione al suo territorio di livelli spaventosi di privilegio. L'unica persona a bordo che ha diritto a questi privilegi è...
«Pierre?».
Lei è dietro di lui, che si volta furioso. «Perché mi hai trascinato qui? Non sai che è maleducazione...».
«Pierre».
Lui si ferma e guarda Amber. Non riesce a rimanere arrabbiato a lungo con lei, non quando gli è davanti. Non è tanto sciocca da sbattere le ciglia, ma è comunque disarmante per quanto è carina. Tuttavia, qualcosa dentro di lui si sente sminuito e sbagliato in sua presenza. «Che cosa c'è?» chiede lui in tono secco.
«Non so perché mi hai evitata». Comincia a fare un passo avanti, poi si ferma e si morde il labbro. Non farmi questo! pensa lui. «Sai che fa male?».
«Sì». Anche questa ammissione lo ferisce. Può sentire suo padre urlare sopra la sua spalla, quella volta che lo trovò con Laurent, suo fratello maggiore. È una scelta tra Père o Amber, ma non è una scelta che vuole fare. La vergogna. «Io non... Ci sono dei problemi».
«È per l'altra notte?».
Lui annuisce. Adesso lei fa un passo avanti. «Possiamo parlarne, se vuoi. Come vuoi», dice lei. Poi si distende verso di lui, che sente crollare ogni resistenza. Lui allunga una mano e l'abbraccia, e lei gli avvolge le braccia intorno al collo e gli poggia il mento sulla spalla, e sente che non è sbagliato farlo. Come può una cosa così bella essere sbagliata?
«Mi ha messo a disagio», mormora lui nei capelli della donna. «Ho bisogno di chiarirmi».
«Oh, Pierre». Gli carezza i peli sulla nuca. «Dovevi dirlo. Non dobbiamo farlo in quel modo, se non vuoi».
Come dirle quanto è difficile ammettere che qualcosa è sbagliato? Sempre? «Non mi hai trascinato qui per dirmi questo», dice lui, cambiando implicitamente argomento.
Amber lo lascia andare e indietreggia con una certa cautela. «Che cosa c'è?» domanda.
«C'è qualcosa che non va?» dice lui, con un tono in parte di domanda e in parte di affermazione. «Ancora non abbiamo stabilito il contatto?».
«Sì», risponde lei facendo una smorfia. «C'è una delegazione commerciale aliena nel Louvre. È questo il problema».
«Una delegazione commerciale aliena». Ruota le parole all'interno della bocca, assaporandole. Le sente paradossali, fredde e lente dopo le calde parole di passione che ha cercato di evitare di pronunciare. Sua è la colpa di aver cambiato argomento.
«Una delegazione commerciale», dice Amber. «Dovevo aspettarmelo. Voglio dire, saremmo passati attraverso il Router noi stessi, no?».
Lui sospira. «Pensavamo che l'avremmo fatto». Un rapido colpetto ai controlli dell'universo determina che lui possiede alcune capacità. Invoca una poltrona e ci si stravacca. «Una rete di Router che collegano tunnel spaziali punto-punto, nodi di comunicazione autoreplicanti, in orbita intorno alla maggior parte delle nane brune della galassia. È questo che diceva la brochure, no? È questo che ci aspettavamo. Larghezza di banda limitata, non di grande utilità per una superintelligenza matura che ha convertito la massa libera del suo sistema solare di origine in computronium, ma sufficiente a permettergli di fare conversazione con i suoi vicini. Conversazioni operate in tempo reale tramite una rete a commutazione di pacchetto, non limitata dalla velocità della luce, ma tenuta insieme da una cornice di riferimento comune e dalla latenza tra salti di rete».
«Più o meno è così», conviene lei dal trono intagliato nel rubino accanto a lui. «Solo che c'è una delegazione commerciale ad aspettarci. Anzi, stanno già venendo a bordo. E io non ci credo... c'è qualcosa che mi puzza in tutta questa storia».
Pierre si acciglia. «Hai ragione, non ha senso», dice alla fine. «Non ha affatto senso».
Amber annuisce. «Io porto in giro un fantasma di papà. È davvero turbato al riguardo».
«Ascolta il tuo vecchio». Le labbra di Pierre si arricciano senza umorismo. «Dovevamo saltare attraverso lo specchio, ma sembra che qualcuno ci abbia battuti sul tempo. La domanda è: perché?».
«Non mi piace». Amber allunga una mano di lato e lui la prende. «E poi c'è l'azione legale. Dobbiamo tenere il processo il prima possibile».
Lui le lascia andare le dita. «Sarei molto più contento se tu non mi avessi nominato tuo campione».
«Zitto». Lo scenario cambia; il trono è sparito e lei siede sul bracciolo della poltrona di lui, quasi addosso all'uomo. «Ascolta, avevo un buon motivo».
«Un motivo?».
«Hai la scelta delle armi. Anzi, hai la scelta del terreno. Questo non è il momento del "colpiscili con una spada finché non muoiono"». Fa un largo sorriso birichino. «Il punto cardine di un sistema legale che esige duelli per le azioni legali commerciali, in opposizione a un sistema decisionale, è di scoprire chi è il servo più adatto della società, e quindi chi merita un trattamento preferenziale. È da pazzi applicare, per risolvere liti societarie, lo stesso sistema legale che usiamo per i litigi tra persone, specialmente perché la maggior parte delle società adesso sono astrazioni software di modelli finanziari; gli interessi della società sono serviti meglio da un sistema che incoraggia un'attività commerciale efficiente rispetto a uno che incoraggia le vertenze giudiziarie. Riduce le stronzate societarie mentre incoraggia quelle più forti a sopravvivere, ed è per questo che io volevo giostrare il processo come un modo per raggiungere il vantaggio massimo competitivo nello scenario dello xenocommercio. Ipotizzando che loro siano davvero mercanti, immagino che abbiamo più noi da commerciare con loro che qualche maledetto avvocato dalle profondità del cono di luce terrestre».
Pierre batte le palpebre. «Mmm». Le batte di nuovo. «Credevo che volessi il sideload di un programma cinematico di scherma per infilzare il tizio».
«Sapendo quanto ti conosco bene, perché l'hai mai pensato?». Lei scivola lungo il bracciolo della poltrona e atterra sul ventre di lui. Amber si gira per guardarlo a distanza ravvicinatissima. «Cazzo, Pierre. Io so che non sei un macho psicopatico!».
«Ma gli avvocati di tua madre...».
Lei scrolla le spalle sprezzante. «Sono avvocati. Abituati ad avere a che fare con i precedenti. Il modo migliore di fotterli è cambiare il modo in cui funziona l'universo». Si appoggia contro il suo petto. «Ne farai polpette. Il rapporto profitto-guadagno schizza sangue sul pavimento della borsa». Le mani di lui si incontrano intorno alla piccola schiena di lei. «Mio eroe!».

Le Tuileries sono piene di aragoste confuse.
Aineko ha modificato questo reame virtuale, impiantando una porta d'accesso simbolica nei giardini curati all'esterno. La porta ha un diametro di circa due metri, ed è un anello di bronzo a forma di uroboro, rivestito di verderame, posato come un arco incongruo a cavallo di un sentiero di ghiaia nel suolo. Aragoste nere giganti - ciascuna delle dimensioni di un piccolo pony - escono fuori dal campo buffer color celeste dell'anello, con le antenne che vibrano. Non sarebbero in grado di esistere nel mondo reale, ma i modelli fisici qui sono stati modificati per permettere loro di respirare e muoversi, per dispensa speciale.
Amber tira su beffarda con il naso mentre entra nella grande sala di ricevimento dell'ala Sully. «Non ci si può mai fidare di quella gatta», mormora.
«È stata un'idea tua, vero?» chiede Su Ang, cercando di superare le dame di compagnia-zombi che portano lo strascico di Amber. Soldati fiancheggiano il passaggio a ogni lato, formando file di acciaio per lasciare che la Regina passi senza ostacoli.
«A lasciare che la gatta faccia come vuole, sì». Amber è seccata. «Ma non intendevo lasciare che distruggesse la continuità! Non lo Permetterò!».
«Non ho mai capito l'utilità di questo medievalismo», osserva Ang. «Non è che si possa evitare le singolarità nascondendosi nel passato». Pierre, seguendo la Regina a una certa distanza, scuote la testa, sapendo che non è il caso di litigare con Amber su questa sua idea di messa in scena.
«Così va bene», dice Amber tesa, in piedi davanti al suo trono mentre aspetta che le dame di compagnia si sistemino prima di lei. Si siede con cautela, con la schiena dritta come un righello, gonfiando come una campana le gonne voluminose. Il suo vestito è una scultura intricata che usa come supporto il corpo umano all'interno. «Fa colpo sui bifolchi e sembra convincente per i media che trasmettono localmente. Fornisce un senso di tradizione prefabbricato. Allude alle profondità politiche della paura e dell'avversione intrinseche alle attività della mia corte, e avverte le persone di non fare casini con me. Ci ricorda da dove veniamo... e non rivela nulla su dove siamo diretti».
«Ma questo non fa alcuna differenza per un gruppo di aragoste aliene», sottolinea Su Ang. «A loro mancano i punti di riferimento per capirlo». Si sposta per mettersi dietro al trono. Amber guarda Pierre, facendogli cenno con la mano di avvicinarsi.
Pierre si guarda intorno, cercando persone reali, non gli alter-volti degli zombi che danno a questo scenario un tessuto biologico aggiuntivo. Quella con il vestito rosso, non è Donna la Giornalista? E anche laggiù, con i capelli più corti e con indosso abiti dell'altro sesso; è ovunque. Quello è Boris, seduto dietro al vescovo.
«Dillo tu a lei», lo implora Ang.
«Non posso», ammette lui. «Stiamo cercando di stabilire una comunicazione, giusto? Ma non vogliamo rilevare troppo su cosa siamo, come pensiamo. Un atto di distanza storica impedirà che imparino troppo su di noi. Lo spazio delle fasi delle culture tecnologiche che potrebbe derivare da queste radici è troppo ampio da analizzare facilmente. Così le lasciamo con i traduttori d'aragoste e non rileviamo nulla. Cerca di restare in carattere come duchessa d'Albi del Quindicesimo secolo... è una questione di sicurezza nazionale».
«Mmm». Ang si acciglia mentre un domestico si affretta a mettere dietro di lei una sedia pieghevole. Lei si volta e osserva l'ampio tappeto rosso e oro che si distende fino alla porta d'ingresso, mentre le trombe suonano e le porte si aprono per far entrare la delegazione di Aragoste.
Le Aragoste sono grandi come lupi, nere, spinose e sinistre. I loro carapaci monocromatici sono in disaccordo con i vestiti a colori brillanti della folla umana. Le loro antenne sono grandi e affilate come spade. Ma per quanto avanzino con esitazione, gli occhi si girano da ogni lato a guardarle mentre entrano in scena. Le loro code si trascinano pesantemente sul tappeto, ma non hanno problemi a stare in piedi.
La prima Aragosta si ferma a breve distanza dal trono e si piega per dirigere un occhio su Amber. «Sono inconsistente», si lamenta. «Non c'è monossido di idrogeno liquido qui, e voi-specie sono distorte da contatto iniziale. Inconsistenza, spiegare?».
«Benvenuti all'unità di interfaccia umana Field Circus, che viaggia nello spazio fisico», risponde in tono calmo Amber. «Sono lieta di vedere che il vostro traduttore funziona in modo adeguato. Avete ragione, qui non c'è acqua. Le aragoste normalmente non ne hanno bisogno quando ci fanno visita. E noi umani non abitiamo nell'acqua. Posso chiedervi chi siete quando non indossate i corpi presi in prestito delle Aragoste?».
Confusione. La seconda Aragosta si impenna e batte insieme le lunghe antenne corazzate. I soldati a ogni lato serrano la presa sulle lance, ma ben presto l'allentano di nuovo.
«Noi siamo i Wunch», annuncia la prima Aragosta, parlando in modo chiaro. «Questo è un livello di traduzione conforme al corpo. Basato su una mappa ricevuta dal vostro spazio, unità quarantamila trilioni di chilometri luce fa?».
«Intende vent'anni», sussurra Pierre ad Amber su un canale privato che trasmette per gli altri umani reali nella realtà della camera delle udienze. «Hanno confuso lo spazio e il tempo per scopi di misurazione. Questo ci dice qualcosa?».
«Relativamente poco», commenta qualcun altro... Chandra? Una serie di risate educate accoglie la battuta, e la tensione nella stanza diminuisce leggermente.
«Noi siamo i Wunch», ripete l'Aragosta. «Noi veniamo per scambiare interesse. Cosa avete che vogliamo?».
Sulla fronte accigliata di Amber appaiono delle rughe sottili. Pierre nota che sta pensando molto rapidamente. «Consideriamo meducato chiederlo», risponde con voce calma lei.
Sul pavimento di pietra si sente il clangore delle chele. E il ticchettare di mandibole che si aprono e chiudono. «Voi accettate la nostra traduzione?» chiede il leader.
«Vi riferite alla trasmissione che ci avete inviato, uh, trentamila trilioni di chilometri luce fa?» domanda Amber.
L'Aragosta si muove su e giù sulle zampe. «È vero. Noi mandato».
«Non possiamo integrare quella rete», risponde blandamente Amber, e Pierre si sforza di mantenere un'espressione seria. (Non che le Aragoste possano leggere ancora il linguaggio del corpo umano, ma indubbiamente registreranno tutto ciò che accade qui per analisi futura). «Provengono da specie radicalmente diverse. Il nostro scopo nel venire qui è collegare le nostre specie alla rete. Desideriamo scambiare informazioni vantaggiose con molte altre specie».
Preoccupazione, allarme, agitazione. «Non potete farlo! Voi non siete significante di entità intraducibile».
Amber alza una mano. «Voi dite significante di entità intraducibile. Non lo capisco. Potete fare una parafrasi?».
«Noi, come voi, non siamo significante di entità intraducibile. La rete è per significante di entità intraducibile. Noi stiamo al concetto #1 intraducibile come un organismo monocellulare sta a noi. Voi e noi non possiamo concetto #2 intraducibile. Cercare di commerciare con significante di entità intraducibile significa invitare la morte o una transizione al concetto #1 intraducibile».
Amber schiocca le dita: il tempo si ferma. Si guarda intorno, verso Su Ang, Pierre e gli altri membri della sua squadra principale. «Qualcuno ha un'opinione da dare?».
Aineko, finora invisibile, si siede sul tappeto ai piedi del podio. «Non sono sicura. Il motivo per cui quelle macro sono evidenziate e che c'è qualcosa che non va nella loro semantica».
«Sbagliato nella... come?» chiede Su Ang.
La gatta fa un largo sorriso cavernoso e comincia a svanire. «Aspetta!» dice subito Amber.
Aineko continua a svanire, lascia dietro di sé una presenza tremolante: non un ghigno, ma una mappa di peso della rete neurale, tridimensionale e incomprensibilmente complicata. «Il concetto #1 di entità intraducibile quando è mappata nella rete grammaticale delle Aragoste ha elementi di "dio" sovraccaricati con attributi di misticismo e incomprensibilità di tipo zen. Ma sono quasi sicura che ciò che significa veramente è "upload conscio ottimizzato eseguito molto più velocemente del tempo reale". Un'entità debolmente superumana di tipo-uno, come mmm, le persone a casa. L'implicazione è che questi Wunch vogliano essere visti da noi come divinità». La gatta riappare. «Qualcuno è d'accordo?».
«Imbroglioni di poco conto», mormora Amber. «Dicono paroloni - o usano una metagrammatica equivoca che li fa sembrare più grandi di quello che sono - per truffare i villici appena arrivati nella grande città».
«È molto probabile». Aineko si volta e comincia a leccarsi un fianco.
«Che cosa facciamo?» chiede Su Ang.
«Facciamo?». Amber alza un sopracciglio disegnato da una matita, poi fa un largo sorriso che le toglie dieci anni dall'età apparente. «Gli manderemo la testa in tilt!». Schiocca le dita di nuovo e il tempo si sblocca. Non c'è alcun cambiamento nella continuità, tranne per il fatto che Aineko è ancora presente ai piedi del trono. La gatta alza gli occhi e lancia uno sguardo indignato alla Regina. «Capiamo la vostra preoccupazione», dice Amber in tono piatto, «ma vi abbiamo già dato i modelli fisiologici e l'architettura neurale dei corpi che state indossando. Vogliamo comunicare. Perché non ci mostrate come siete veramente o il vostro vero linguaggio?».
«Questo è linguaggio di commercio!» protesta l'Aragosta Numero Uno. «Wunch sono/siamo una coalizione metabolicamente variabile proveniente da numerosi mondi. Nessuna uniformità di interfaccia. Più facile conformare a un piano e parlare una lingua ottimizzata per vostra comprensione».
«Mmm». Amber si sporge in avanti. «Fatemi capire se vi ho compreso. Voi siete una coalizione di individui provenienti da numerose specie. Preferite usare il modello comune di interfaccia utente che vi abbiamo mandato, e ci offrite il modello di linguaggio che state usando come scambio? E volete commerciare con noi».
«Scambio interessa», enfatizza il Wunch, saltando su e giù sulle zampe. «Possiamo offrire molto! Senso di identità di migliaia di civiltà. Tunnel sicuri a un centinaio di archivi in rete adatti per esseri che non sono significante di entità intraducibile. Capaci di controllare rischi di comunicazione. Abbiamo tecnica per manipolare materia a livello molecolare. Soluzione a sistemi algoritmici iterati basati sulla correlazione quantistica».
"Nanotecnologia vecchio stile e perline lucenti per abbagliare i primitivi», mormora Pierre sul canale multitrasmissione di Amber. «Quanto indietro pensano che siamo?».
«Il modello fisico qui dentro è veramente esagerato», commenta Boris. «Potrebbero persino pensare che è reale, che siamo dei primitivi e che il nostro risultato è ottenuto sugli sforzi delle aragoste».
Amber forza un sorriso. «È molto interessante!» trilla ai rappresentanti dei Wunch. «Ho nominato due rappresentanti che negozieranno con voi; è un conflitto interno alla mia corte. Vi affido Pierre Naqet, il mio rappresentante commerciale. In aggiunta, potreste voler trattare con Alan Glashwiecz, un fattore indipendente che non è presente al momento. Altri potrebbero farsi avanti a tempo debito, se per voi è accettabile».
«Ci soddisfa», dice l'Aragosta Numero Uno. «Siamo stanchi e disorientati dal lungo viaggio attraverso i portali fino a questo luogo. Richiediamo di riprendere i negoziati più tardi».
«Senz'altro». Amber annuisce. Un commesso, uno zimbo sciocco ma imponente controllato dai suoi filamenti di personalità intessuti a ragnatela, suona una nota acuta con la tromba. La prima udienza è alla fine.

Fuori dal cono di luce della Field Circus, dall'altra parte della separazione similspaziale fra il piccolo regno di Amber in movimento e le profondità del tempo dell'Impero che abbracciano le reti di correlazione quantistica del sistema solare, sta prendendo forma una nuova realtà singolare.
Benvenuti al momento di massimo cambiamento.
Nel sistema solare sono vivi circa dieci miliardi di umani, ogni mente circondata da un'esocorteccia di agenti distribuiti, con thread di personalità emergenti dalla testa per correre sulle nuvole della nanonebbia - risorse di calcolo infinitamente flessibili, sottili come aerogel - in cui vivono. Le profondità nebbiose sono animate di scintille di alta banda passante; quasi tutta la biosfera terrestre è stata avvolta nell'ovatta e conservata per essere esaminata in futuro. Per ogni essere umano vivente, mille milioni di agenti software portano informazioni negli angoli più remoti dello spazio di indirizzamento della coscienza.
Il Sole, per tanto tempo un'insignificante nana variabile G2, è svanito all'interno di una nuvola grigia che lo ingloba, a parte una stretta cintura intorno al piano dell'eclittica. La luce del sole cade immutata sui pianeti interni, tranne Mercurio, che non è più presente, essendo stato completamente smantellato e trasformato in nanocomputer ad alta temperatura energizzati dal sole. Una luce molto più forte cade su Venere, ora circondata da felci scintillanti di cristalli di carbonio che pompano moto angolare nel pianeta che ruota appena, tramite enormi anelli superconduttori che ne circondano l'equatore. È previsto che anche questo pianeta venga smantellato. Giove, Nettuno, Urano... tutti generano anelli notevoli come quelli di Saturno. Ma il compito di cannibalizzare i giganti gassosi richiederà molto più tempo di quanto occorrerà per i piccoli corpi rocciosi del sistema interno.
I dieci miliardi di abitanti di questo sistema stellare radicalmente mutato ricordano di essere umani; quasi la metà di loro è nata prima del millennio. Alcuni di loro sono ancora umani, non toccati dalla spinta della metaevoluzione che ha sostituito la cieca evoluzione darwiniana con un progresso teleologico diretto a uno scopo. Si acquattano in comunità protette e forti sulle colline, mormorando preghiere e imprecando contro i ficcanaso irriverenti per l'ordine naturale delle cose. Ma otto su dieci umani viventi sono inclusi nel mutamento di fase. È la rivoluzione più inclusiva della condizione umana, sin dalla scoperta del linguaggio.
Un milione di focolai di poltiglia grigia - escursioni di nanoreplicatori impazziti - minaccia di far salire drammaticamente la temperatura della biosfera. Sono tutti contenuti dal sistema immunitario su scala planetaria, modellato a partire da ciò che un tempo era l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Catastrofi più strane minacciano le fabbriche di bosoni nella Nube di Oort. Fabbriche di antimateria fluttuano sui poli solari. Il sistema solare mostra tutti i sintomi di un'escursione di intelligenza impazzita, difetti esuberanti che sono normali per una civiltà tecnologica come i problemi di pelle per un adolescente umano.
La mappa economica del pianeta è cambiata tanto da non essere più riconoscibile. Sia il capitalismo che il comunismo, bambini ideologici che battibeccano su una visione protoindustriale, sono obsoleti come il diritto divino dei re. Le società sono vive e anche i morti potrebbero rivivere. Il globalismo e il tribalismo sono arrivati a completamento, trasformandosi rispettivamente nella interoperabilità omogenea e nel raggio di Schwarzschild dell'insularità. Esseri che ricordano di essere umani pianificano la decostruzione di Giove, la creazione di un grande spazio di simulazione che espanderà l'habitat disponibile all'interno del sistema solare, Convertendo tutta la massa non stellare del sistema solare in processori, possono alloggiare un numero di menti umano-equivalenti corrispondente a una civiltà con un pianeta che ospita dieci miliardi di umani in orbita intorno a ogni stella della galassia.
Una versione più matura di Amber vive nel caos crescente dello spazio vicino a Giove; c'è anche un'istanza di Pierre, anche se lui si è trasferito a ore luce di distanza, vicino a Nettuno. Nessuno può dire se lei pensa ancora a volte alla sua gemella relativistica. In un certo senso non ha importanza, perché per quando la Field Circus tornerà nell'orbita di Giove, sarà passato un tempo tanto soggettivo per i pensatori veloci a casa quanto passerà veloce nell'universo reale tra questo momento e la fine dell'era della formazione delle stelle, molti miliardi di anni da adesso.

«Come tuo teologo, ti dico che non sono dei».
Amber annuisce pazientemente. Osserva attenta Sadeq.
Lui tossisce irritato. «Diglielo, Boris».
Boris piega la sedia all'indietro e si volta verso la Regina. «Ha ragione, Amber. Sono commercianti, e nemmeno tanto intelligenti. È difficile capire la loro semiotica mentre sono nascosti dietro il modello delle aragoste che abbiamo uploadato nella loro direzione vent'anni fa, ma sicuramente non sono crostacei, e decisamente non sono nemmeno umani. O transumani. La mia ipotesi è che siano un gruppo di stupidi bifolchi che mettono le mani sui giocattoli lasciati da individui molto più intelligenti. Come le fazioni rifiutanti a casa. Immagina che una mattina si sveglino e scoprano che tutti gli altri sono spariti in cielo, nel grande ambiente Upload. Lasciando il pianeta tutto per loro. Cosa pensi che farebbero con l'intero mondo, con tutti i gadget in cui si imbatterebbero? Alcuni romperebbero tutto quello che incontrano, ma altri non sono così stupidi. Ma pensano in piccolo. Animali saprofagi, decostruzionisti. La loro intera visione economica è un gioco a somma negativa. Vanno a fare visita ad alieni per spogliarli di tutto, prendere le idee, non espandersi e trascendere».
Amber si alza in piedi e cammina verso le finestre davanti al ponte. Con indosso jeans neri e un maglione voluminoso, somiglia pochissimo alla regina feudale di cui interpreta il ruolo per i turisti. «Prenderli a bordo è stato un grosso rischio. Non ne sono affatto felice».
«Quanti angeli possono ballare sulla capocchia di uno spillo?» chiede Sadeq con uno sguardo obliquo. «Noi abbiamo una risposta. Ma loro potrebbero non rendersi nemmeno conto di stare ballando con noi. Questi non sono gli dei che avevi paura di trovare».
«No». Amber sospira. «Però non sono molto diversi da noi. Voglio dire, non ci siamo adattati benissimo a quest'ambiente, ti pare? Ci portiamo addosso queste immagini di corpi, facciamo affidamento su false realtà che possiamo mappare nei nostri sensi in stile umano. Siamo emulazioni, non intelligenze artificiali native. Dov'è Su Ang?».
«Posso trovarla». Boris si acciglia.
«Le ho chiesto di analizzare i tempi di arrivo degli alieni», aggiunge Amber quasi a ripensarci. «Sono vicini... troppo vicini. E si sono fatti vedere troppo dannatamente in fretta quando abbiamo fatto per la prima volta il solletico al Router. Penso che le teorie di Aineko siano sbagliate. I veri proprietari di questa rete a cui ci siamo collegati probabilmente usano protocolli di livello molto più alto per comunicare; pacchetti senzienti per costruire porte effettive di comunicazione. Questi Wunch probabilmente aspettano in agguato niubbi da sfruttare. Pedofili che si nascondono fuori dal cancello della scuola. Non voglio dare loro quella opportunità prima di avere un contatto con i veri proprietari!».
«Potresti avere poca scelta», dice Sadeq. «Se come sospetti non hanno discernimento, potrebbero spaventarsi se modifichi il loro ambiente. Potrebbero scalciare. Dubito che riescano anche solo a capire come hanno creato la metagrammatica contaminata che ci hanno trasmesso. Io per loro sarò solo uno strumento che rende gli alieni ingenui più creduloni, in modo che sia più facile negoziare con loro. Chissà dove l'hanno preso?».
«Un'arma grammaticale». Boris si gira lentamente. «Inserisci la propaganda nel tuo software di traduzione se vuoi stabilire rapporti commerciali favorevoli. Che carini. Questi tizi non hanno mai sentito parlare della Neolingua?».
«Probabilmente no», dice lentamente Amber, fermandosi un attimo per sfornare thread spettatori per eseguire il libro e tutte e tre le versioni cinematografiche di 1984, seguite dalla serie dei romanzi sequel. Trema a disagio mentre reintegra le memorie. «Uhhh. Non è una visione molto bella. Mi ricorda...» schiocca le dita, cercando di ricordare il preferito di papà, «Dilbert».
«Fascismo amichevole», dice Sadeq. «Non importa, chiunque sia al comando. Potrei raccontarti storie dei miei genitori, di com'è crescere con una rivoluzione. Non nutrire mai dubbi su se stessi è un veleno per l'anima, e questi alieni vogliono infliggere queste sicurezze a noi».
«Penso che dovremmo vedere come procede Pierre», dice Amber a voce alta. «Sicuramente non voglio che lo avvelenino». Fa un largo sorriso. «Questo è il mio lavoro».

Donna la Giornalista è ovunque nello stesso momento. È un atteggiamento utile: la copertura mediatica è imparziale quando puoi intervistare i due fronti opposti contemporaneamente.
In questo momento, una di lei è al bar con Alan Glashwiecz, il quale evidentemente non si è reso conto di poter modulare i propri livelli di etanoldeidrogenasi volontariamente e che di conseguenza è sulla strada per diventare ubriaco fradicio. Donna sta assistendo al processo: trova affascinante guardare questo giovanotto triste che ha perso la gioventù in un processo di automiglioramento impazzito.
«Sono un membro a pieno titolo», dice con amarezza, «della Glashwiecz e Altri. Io sono uno degli Altri. Siamo tutti membri, ma solo Glashwiecz Primo ha qualche potere. Quel vecchio bastardo... se avessi saputo che crescere mi avrebbe fatto diventare così, piuttosto sarei scappato per unirmi a qualche comune di hippy no global». Svuota il bicchiere, dimostrando la sua integrità orofaringea, schiocca le dita per farsi fare il pieno. «Una mattina mi sono svegliato e ho scoperto di essere stato resuscitato dal mio vecchio io. Disse che stimava la mia energia giovanile e l'aspetto ottimista, poi mi offrì un pacchetto minoritario con contratto a premio sui titoli che ci avrebbe messo cinque anni a diventare valido. Bastardo».
«Parlamene», lo adula Donna in maniera comprensiva. «Eccoci qui, dispersi tra tipi idiopatici, senza un solo multiplatore tra di loro...».
«Esatto, cazzo». Tra le mani di Glashwiecz appare un'altra bottiglia di Bud. «Un momento sono in questo appartamento a Parigi ad affrontare l'umiliazione totale per via di questo coglione comunista travestito di nome Macx e di quella viscida troietta francese suo impresario, e un secondo dopo sono sul tappeto davanti alla scrivania del mio alter ego, che mi offre un impiego come socio giovane. Sono passati diciassette anni, tutte le stramberie eccentriche che quel tale Macx stava preparando sono normale pratica finanziaria, e ci sono sei me nell'ufficio esterno che prendono appunti di ricerca perché il mio io-socio-anziano non si fida di nessun altro per lavorare con lui. È umiliante, ecco cos'è».
«Che è il motivo per cui sei qui». Donna aspetta mentre lui beve una bella sorsata dalla bottiglia.
«Sì. Meglio che lavorare per me, te l'assicuro; non è come lavorare in proprio. Sai com'è quando a volte ti allontani dal tuo lavoro? Non è bello quando ti vedi dall'esterno con un altro mezzo giga-secondo d'esperienza e il nuovo-tu non è semplicemente distante dalla base degli assistiti, è distante dal tu-tu. Quindi sono tornato al college e mi sono buttato sulla legge e l'etica dell'intelligenza artificiale, la giurisprudenza dell'Upload e l'atto illecito ricorsivo. Poi mi sono offerto volontario per venire qua fuori. Lui ha ancora a che fare con l'account di lei e ho immaginato...». Glashwiecz scrolla le spalle.
«Qualche delta-tu ha contestato l'accordo?» chiede Donna, generando fantasmi per tenerlo d'occhio da vicino da tutte le parti. Per un attimo si chiede se sia saggio. Glashwiecz è pericoloso... il potere che esercita sulla madre di Amber, per torcerle il braccio affinché estenda la sua procura, suggerisce segreti oscuri. Che queste persistenti azioni legali siano più di una semplice faida familiare?
Il volto di Glashwiecz è uno studio sulle prospettive. «Oh, uno l'ha fatto», dice con noncuranza: una delle finestre visive di Donna cattura la smorfia di sdegno su una delle sue guance. «L'ho lasciato nel freezer del mio appartamento. Pensavo che sarebbe passato del tempo prima che qualcuno se ne accorgesse. Non è omicidio -sono ancora qui, giusto? - e non ho intenzione di fare causa a me stesso. Credo. Comunque sarebbe un'azione legale ricorsiva a sinistra, se lo facessi contro me stesso».
«Gli alieni», suggerisce Donna, «e il processo per combattimento. Qual è il tuo piano?».
Glashwiecz sbuffa. «La regina troietta ha preso da suo padre, no? Anche lui è un bastardo. Il filtro di selezione concorrenziale che ha imposto è malvagio: azzopperà la sua società se lo lascia attivo per troppo tempo, ma sul breve termine è un bel vantaggio. Quindi vuole fare uno scambio con la mia vita, e io non voglio farle le mie richieste formali se non riesco a essere migliore del suo animaletto giocatore di Borsa iperattivo, quello sfigato di Marsiglia. Sì? Quello che non sa è che io ho un vantaggio. Conosco tutti i dettagli». Alza la bottiglia come ubriaco. «Vedi, conosco quella gatta. Una con una chiocciol@ marrone sul fianco, giusto? Apparteneva al vecchio della cara reginetta, Manfred, il bastardo. Vedrai. Sua mamma, Pamela, l'ex di Manfred, è la mia assistita in questo caso. E mi ha dato le chiavi d'accesso della gatta. Controllo d'accesso». (Hic). «Entrare in possesso del suo cervello e prendere quel dannato livello traduttivo che ha rubato alla banda di CETI@home. Poi posso parlare con loro tranquillamente».
L'avvocato ubriaco, in preda a shock del futuro, è in un buon periodo. «Prenderò la loro stronzata e la smonterò. Lo smontaggio è il futuro dell'industria, no?».
«Smontaggio?» chiede la reporter guardandolo, affascinata dal disgusto, da dietro la sua maschera di obiettività.
«Diavolo, sì. C'è una singolarità in corso, che implica disequilibrio. E ogni volta che c'è un disequilibrio, qualcuno diventa ricco smontando quello che rimane. Ascolta, conoscevo questo econo-economista, sì, era così. Lavorava per gli Eurofed, feticisti della spazzatura. Mi ha raccontato di questa fabbrica vicino a Barcellona. Dentro c'era una catena di smontaggio. Da una parte entravano costosi server inscatolati. Aprivano le scatole. Poi gli operai toglievano i case, tiravano via i dischi, la memoria, i processori, tutta la roba che c'era dentro. Lavoro di sacchetti ed etichette. Buttavano la scatola, quanto era rimasto, che non valeva un cazzo. Il punto è che i pezzi costavano talmente tanto che conveniva comprare le macchine intere e smontarle. Farle a pezzi. E vendere i pezzi. Diavolo, hanno un premio d'impresa per l'ingegnosità! Perché sapevano che lo smontaggio era l'affare del futuro».
«Cos'è successo alla fabbrica?» chiede Donna, incapace di spostare gli occhi.
Glashwiecz mostra la bottiglia vuota all'arco stellato che attraversa il soffitto: «Ah, chi cazzo se ne frega? Hanno dovuto chiudere», (hic), «dieci anni fa. La legge di Moore ha toppato, ha ucciso il mercato. Ma lo smontaggio - cannibalismo a catena - è il modo di procedere. Prendi vecchi beni e infondigli nuova vita. Una fortuna di prim'ordine». Sorride, gli occhi ingordi persi nel vuoto. «E quello che voglio fare a quelle Aragoste spaziali. Impara a parlare la loro lingua e non sapranno cosa le ha colpite».

La piccola nave stellare viaggia in orbita alta sopra una zuppa marrone torbida di atmosfera. In fondo al pozzo gravitazionale di Hyundai +4904/-56, c'è una particella di polvere intrappolata tra due fonti luminose: il brillante sguardo di zaffiro dei laser propellenti di Amber nell'orbita di Giove e la follia adamantina del Router stesso, un ipertoroide rotante di materia strana.
Il ponte della Field Circus è in uso costante in questo periodo, terreno d'incontro per menti che hanno accesso ad aree ristrette. Pierre ci passa sempre più tempo, ritenendolo un buon posto per concentrarsi sulla sua campagna di scambio e le sue macro arbitrali. Nel momento in cui Donna strappa all'avvocato la sua strategia, Pierre è presente sotto forma neomorfica; un profilo umano di argento vivo, con sei braccia e due teste, che scansiona a velocità inumana mappe tensoriali di densità del traffico di informazioni che circonda l'ammasso di singolarità nude del Router.
C'è un barlume nel vuoto in fondo al ponte, poi Su Ang è sempre stata lì. Guarda Pierre in silenziosa contemplazione per un minuto. «Hai un attimo?».
Pierre si sovrappone: un fantasma oscuro rimane concentrato sul pannello frontale, ma un'altra istanza si gira, incrocia le braccia, aspetta che cominci a parlare.
«So che sei impegnato...» inizia, poi si ferma. «È tanto importante?» chiede.
«Sì». Pierre si sfoca, risincronizzando le sue istanze. «Il Router... ci sono quattro tunnel spaziali che portano fuori, lo sapevi? Ognuno irradia a circa 1011° Kelvin e ogni lunghezza d'onda porta connessioni dati, collegate tramite multiplatore, con una pila di protocolli profonda almeno undici livelli ma forse di più... mostrano segni di autosimilarità negli header di riferimento. Sai quanti dati sono? Circa 1012 volte l'uplink di banda alta che abbiamo a casa. Ma paragonato a quello che c'è dall'altra parte dei tunnel...» scuote la testa.
«È grande?».
«È inimmaginabile! Questi tunnel spaziali sono collegamenti a banda bassa paragonati alle menti a cui sono agganciati». Si sfoca davanti a lei, incapace di restare fermo e incapace di non guardare il pannello frontale. Eccitazione o agitazione? Su Ang non lo sa. Con Pierre, a volte i due stati sono indistinguibili. Si commuove facilmente. «Pare che si cominci a intravedere la risposta al paradosso di Fermi. I trascendentali non viaggiano perché non hanno banda a sufficienza - cercare di emigrare attraverso uno di questi tunnel spaziali sarebbe come cercare di scaricare la tua mente in un moscerino della frutta, se sono quello che penso - e anche la rotta più lenta della luce è da escludere, perché non potrebbero portarsi dietro abbastanza computronium. A meno che...».
È di nuovo andato. Ma prima che possa svanire, Su Ang fa un passo avanti e gli appoggia le mani addosso. «Pierre. Calmati. Rilassati. Svuota la mente».
«Non posso!» È davvero agitato, si vede. «Devo trovare la miglior strategia commerciale per liberare Amber da quell'azione legale, poi dirle di farci andar via da qui; restare così vicini al Router è pericoloso! I Wunch sono il problema minore».
«Basta».
Mette in pausa la sua molteplicità di presenze, converge su una singola identità concentrata sul qui e ora. «Sì?».
«Così va meglio». Gli cammina intorno, lentamente. «Devi imparare a gestire meglio lo stress».
«Lo stress!» sbuffa Pierre. Scrolla le spalle, un gesto che fa effetto con tre paia di scapole. «Quello lo posso fermare quando mi serve. Un effetto collaterale di questa esistenza; siamo maiali nel cyberspazio, sguazziamo in simulazioni di carne ma non siamo in grado di provare il nuovo ambiente al naturale. Cosa volevi da me, Ang? Sinceramente? Sono una persona impegnata, ho una rete commerciale da preparare».
«Proprio in questo momento abbiamo un problema con i Wunch, anche se pensi che là fuori ci sia di peggio», dice Ang pazientemente. «Boris pensa che siano parassiti, giocatori a somma negativa che braccano i niubbi come noi. Pare che Glashwiecz stia parlando di scendere a patti con loro. Il suggerimento di Amber è che tu li ignori completamente, li tagli fuori e parli con chiunque altro voglia ascoltare».
«Chiunque voglia ascoltare, giusto», dice Pierre in tono grave. «Ci sono altre perle di saggezza in arrivo dal trono?».
Ang trae un respiro profondo. Capisce che lui si sta infuriando. E la cosa peggiore è che lo fa senza accorgersene. Furente ma carino. «Stai preparando una rete commerciale, vero?» chiede.
«Sì. Una rete standard di compagnie indipendenti, istanziate come automi cellulari nell'ambiente del servizio legale commutato dell'Impero dell'Anello». Si rilassa leggermente. «Ognuna ha accesso a un pezzo compartimentato di proprietà intellettuale e può utilizzare il decodificatore corretto che abbiamo preso alla gatta. Sono approntate per comunicare attraverso una lavagna condivisa - un Suk - e sto creando un collegamento con il Router, un collegamento multitrasmissione che trasmetterà l'esistenza del Suk a chiunque sia in ascolto. Il commercio...» corruga le sopracciglia. «Ci sono almeno due diversi standard monetari in questa rete, utilizzati per acquistare qualità preferenziale del servizio e banda. Si deprezzano con la distanza, come se il concetto stesso di denaro sia stato inventato per promuovere lo sviluppo di collegamenti di rete ad ampio raggio. Se riesco ad arrivarci per primo, quando Glashwiecz proverà a intromettersi nell'affare offrendo IP a prezzi scontati...».
«Non lo farà, Pierre», dice Ang con il massimo tatto. «Ascoltami: Glashwiecz ha intenzione di concentrarsi sui Wunch. Offrirà loro un accordo. Amber vuole che tu li ignori. Capito?».
«Capito». Arriva un bong! vuoto da una delle campane di comunicazione. «Ehi, interessante».
«Cos'è?». Si allunga, estendendo il collo come un serpente in modo da poter vedere prima di lui la finestra sulla realtà sottostante che è apparsa nell'aria dal nulla.
«Un messaggio da...» fa una pausa, poi prende un concetto ben reificato dallo schermo davanti a sé e lo mostra a lei in una membrana argentea di luce amniotica. «... circa duecento anni luce di distanza! Qualcuno vuole parlare». Sorride. Poi la postazione del pannello frontale emette di nuovo lo stesso rumore. «Ehi, di nuovo. Mi chiedo cosa voglia dire».
È un lavoro di un attimo infilare il secondo messaggio nel traduttore. Stranamente, traduce subito. Pierre deve correggere qualche bizzarra interferenza distruttiva nella finta rete delle Aragoste prima che riveli i propri più intimi segreti. «Interessante», dice.
«Puoi dirlo». Ang riduce il collo per riportarlo alla normalità. «Vado a dirlo ad Amber».
«Fallo», dice Pierre preoccupato. La guarda negli occhi, ma ciò che lei spera di vedere sul suo volto non c'è. Le sue emozioni sono chiare come un libro stampato. «Non mi sorprende che il loro traduttore non volesse riferire il messaggio».
«È una grammatica deliberatamente corrotta», mormora Ang, e balza in direzione dell'aula delle udienze di Amber, «e stanno davvero facendo minacce». I Wunch, a quanto pare, hanno acquisito una pessima reputazione da qualche parte lungo la linea... e Amber lo deve sapere.

Glashwiecz si piega verso l'Aragosta Numero Uno, lo stomaco in subbuglio. È passato soltanto un chilosecondo di tempo reale dall'intervista al bar, ma nel tempo soggettivo che è trascorso ha eliminato i postumi da sbornia, affinato il suo discorso e deciso di agire. Nelle Tuileries. «Ti hanno mentito», confida calmo, fidandosi del controllo d'accesso della privacy che si è fatto dare dalla madre di Amber usando la forza... liste d'accesso che gli conferiscono un grado di controllo superiore al regime in questo universo virtuale introdotto dalla gatta.
«Mentito? Contesto reso orizzontale in passato o soggetto a corruzione grammaticale? Male linguistico?».
«La seconda». Glashwiecz si diverte, anche se è obbligato a stare più vicino di quanto vorrebbe al crostaceo virtuale di due metri. Mostrare un segno di come sono stati truffati è sempre bene, soprattutto quando hai le chiavi della porta della gabbia in cui sono rinchiusi. «Non ti stanno dicendo la verità su questo sistema».
«Abbiamo ricevuto rassicurazioni», dice chiara l'Aragosta Numero Uno. Il suo apparato boccale si muove senza posa... il rumore arriva da qualche parte nella sua testa. «Non condividi questo fenotipo. Perché?».
«Questa informazione vi costerà», dice Glashwiecz. «Sono disposto a fornirvela a credito».
Discutono brevemente sul prezzo. Si raggiunge un accordo sul tasso di scambio nelle domande, che è un metro affidabile per giudicare le risposte. «Rivela tutto», insiste il negoziatore dei Wunch.
«Ci sono numerose specie senzienti sul mondo da cui veniamo», dice l'avvocato. «La forma che indossate appartiene soltanto a una, una che ha voluto andarsene dalla forma che porto io, la specie consapevole originale, costruttrice di strumenti. Alcune delle specie odierne sono artificiali, ma commerciamo tutti in informazioni a beneficio personale».
«Buono a sapersi», lo assicura l'Aragosta. «Ci piace comprare specie».
«Comprate specie?» Glashwiecz piega la testa.
«Abbiamo l'insopportabile desiderio di essere ciò-che-non-siamo», dice l'Aragosta. «Novità, sorpresa! La carne diventa putrida e il legno marcio. Cerchiamo la nuova essenza degli alieni. Dateci il vostro somatotipo, dateci tutti i vostri pensieri, e sogneremo per sempre».
«Credo che si possa fare qualcosa», ammette Glashwiecz. «Quindi volete essere, no, noleggiare i diritti di essere temporaneamente umani? Perché?».
«Concetto intraducibile #3 significa concetto intraducibile #4. Ce l'ha detto Dio».
«D'accordo, credo che per il momento dovrò fidarmi. Qual è la vostra vera forma?» chiede.
«Aspetta e ti faccio vedere», dice l'Aragosta. Inizia a vibrare.
«Cosa stai facendo...».
«Aspetta». L'Aragosta si contrae, dibattendosi leggermente, come un uomo d'affari tarchiato che si sistema la biancheria dopo un pesante pranzo di lavoro. C'è un movimento di forme fastidiose appena visibile attraverso la spessa armatura chitinosa. «Vogliamo il vostro aiuto», spiega l'Aragosta, la voce curiosamente ovattata. «Vogliamo stabilire collegamenti commerciali diretti. Emissari fisici, giusto?».
«Sì, molto bene», Glashwiecz concorda eccitato: è esattamente quello che aveva sperato, il vantaggio competitivo tanto anelato che proverà la sua idoneità al processo per combattimento corporativo designato da Amber. «Farete affari con noi direttamente senza usare quell'interfaccia a guscio?».
«Affare fatto». L'Aragosta si ritira in un silenzio ovattato; lievi scricchiolii fuoriescono dal suo carapace. Poi Glashwiecz sente dei passi alle sue spalle sul sentiero di ghiaia.
«Cosa ci fai qui?» chiede, guardando in giro. È Pierre, tornato nella forma umana standard... ha una spada appesa alla cintura e una grande pistola a ruota fra le mani. «Ehi!».
«Allontanati dall'alieno, avvocato», lo avverte Pierre, alzando l'arma.
Glashwiecz gira lo sguardo verso l'Aragosta Numero Uno. Ha ritirato la testa nel guscio protettivo e adesso si dibatte, oscillando da una parte all'altra in maniera preoccupante. Dentro il guscio, qualcosa diventa nero, assume profondità e trama. «Mi appello al segreto professionale», insiste Glashwiecz. «In quanto procuratore legale di questo alieno, devo protestare nella maniera più assoluta...».
Senza preavviso, l'Aragosta si getta in avanti e si alza sulle zampe posteriori. Ghermisce le enormi chele, chelipedi ricoperti di peli spinosi, e afferra Glashwiecz per le braccia. «Ehi!».
Glashwiecz cerca di fuggire, ma l'Aragosta gli è subito alle costole, maxillipedi e mascelle che spuntano dalla testa. Si sente uno scricchiolio disgustoso quando gli va in pezzi uno dei gomiti, l'omero frantumato dalla chiusura delle ganasce di un chelipede. Prende aria per urlare, poi le quattro piccole mascelle gli afferrano la testa e la tirano giù verso le mandibole frenetiche.
Pierre corre di lato, cercando di trovare una linea di fuoco sull'Aragosta che non attraversi il corpo dell'avvocato. L'Aragosta non collabora. Si gira sul posto, tenendo il corpo agitato di Glashwiecz stretto a sé. C'è un fetore di merda, e sangue che schizza dall'apparato boccale. Qui c'è qualcosa che proprio non va con il modello biofisico, il realismo è diventato molto più alto del normale.
«Merde», sussurra Pierre. Armeggia con il grosso grilletto, e si sente un suono ronzante sordo ma nessuna esplosione.
Giungono altri suoni umidi scrocchianti mentre l'Aragosta demolisce il volto dell'avvocato e ingoia in maniera convulsiva, succhiandogli la testa e le spalle nel trituratore gastrico.
Pierre guarda la pesante pistola. «Merda!» grida. Riporta lo sguardo sull'Aragosta, poi si gira e corre verso la parete più vicina. Ci sono altre Aragoste libere nel giardino formale. «Amber, emergenza!» invia attraverso il loro canale privato. «Nemici nel Louvre!».
L'Aragosta che ha preso Glashwiecz si accovaccia sul corpo e trema. Pierre carica disperatamente la molla della sua pistola, troppo scosso per controllare che sia carica. Guarda di nuovo l'intruso alieno. Hanno azionato il modello biofisico, invia. Potrei morire qui, si rende conto, momentaneamente sconvolto. Questo mio esempio potrebbe morire per sempre.
Il guscio d'aragosta seduto nella pozza di sangue e pezzi umani si divide in due. Una forma umanoide inizia a dispiegarsi dal suo interno, pallida e luccicante di umido: un paio di occhi azzurri vuoti tremolano da una parte all'altra mentre si allunga e si mette in piedi, barcollando incerta sulle gambe instabili. La bocca si apre ed esce uno strano sibilo gorgogliante.
Pierre la riconosce. «Cosa ci fai qui?» strilla.
La donna nuda si gira verso di lui. È l'immagine sputata della madre di Amber, tranne che per i chelipedi al posto delle mani. Sibila «Giustizia!» e fa un passo barcollante verso di lui, aprendo e chiudendo le tenaglie.
Pierre carica di nuovo l'arma. Si sente uno schianto di polvere da sparo e fumo, un colpo che quasi gli sloga un gomito, e il torace della donna nuda erutta in uno spruzzo di sangue. Ringhia senza parole e ondeggia... poi i lembi frastagliati di carne insanguinata si richiudono, ricucendosi con una rapidità improbabile. Riprende l'avanzata.
«Avevo detto ad Amber che la Matrice sarebbe stata più difendibile», ringhia Pierre, lasciando cadere l'arma e sguainando la spada mentre l'alieno si volta nella sua direzione e alza le braccia che terminano con delle tenaglie. «Ci servono delle pistole, dannazione! Molte pistole!».
«Vooooglio giustizia», sibila l'intruso alieno.
«Non puoi essere Pamela Macx», dice Pierre, le spalle al muro, tenendo la spada puntata davanti alla cosa-donna-aragosta. «È in un monastero in Armenia o qualcosa del genere. Questo l'hai preso dai ricordi di Glashwiecz... lavorava per lei, vero?».
Le chele gli fanno zicche-zacche davanti al viso. «Società d'investimento!» strilla la megera. «Sedere in consiglio! Mangiare cervelli a colazione!». Si getta di lato, cercando di superare la sua sorveglianza.
«Non ci credo per un cazzo», ringhia Pierre. La creatura Wunch salta nel momento più sbagliato e scivola sulla punta della lama, con un battito furioso di chele. Pierre scivola via, lasciando quasi la pelle sui mattoni ruvidi del muro... e quello che va bene per uno va bene per tutti, mentre il modello bucato in vigore in questa realtà costringe l'assalitore a gemere e crollare.
Pierre recupera la spada e, guardandosi nervosamente alle spalle, le colpisce il collo. L'impatto gli fa vibrare il braccio, ma continua a tagliuzzare finché non c'è sangue che schizza ovunque, sangue sulla sua camicia, sangue sulla spada, e vicino a lui una cosa rotonda appoggiata sul moncherino di un collo devastato, le mandibole che si muovono silenziose nella non-morte.
La guarda per un attimo, poi il suo stomaco si ribella e cerca di vuotarsi in quel macello. «Dove diavolo sono tutti?» trasmette sul canale privato. «Nemici nel Louvre!».
Si rialza, annaspando per respirare. Si sente vivo, terrorizzato, allibito e divertito contemporaneamente. Il crepitio di gusci che pullulano ovunque copre il cinguettio, mentre gli emissari dei Wunch adottano una serie di forme nuove e presumibilmente più letali. «Sembra che non abbiano ben chiaro come affrontare uno spazio di simulazione», aggiunge. «Forse siamo già concetto intraducibile #1 per quanto li riguarda».
«Non ti preoccupare, ho bloccato le connessioni in entrata», invia Su Ang. «Questa è soltanto una testa di ponte; i pacchetti d'invasione vengono filtrati».
Uomini e donne dagli occhi vuoti in polverose uniformi nere sbucano dai gusci di aragosta, inciampando e correndo per le fondamenta del palazzo reale come invasori ugonotti confusi.
Boris appare nella realtà dietro Pierre. «Da che parte?» domanda, tirando fuori un'anacronistica ma letale catana.
«Laggiù. Lavoriamoci insieme». Pierre connette il suo regolatore emozionale su un'impostazione pericolosamente alta, sopprimendo i naturali riflessi d'avversione e trasformandosi temporaneamente in un killer sociopatico. Si appropinqua a una specie di aragosta bambina con grandi occhi neri e una copertura di pelo bianco che frigna da un letto di rose, e Boris non guarda mentre la uccide. Poi una di quelle più grandi fa l'errore di balzare verso Boris e lui l'affetta di riflesso.
Alcuni Wunch cercano di reagire quando Pierre e Boris tentano di ucciderli, ma sono limitati dalla loro stessa anatomia, una curiosa miscela di crostaceo e di uomo, chela e mandibola contro spada e pugnale. Quando sanguinano il terreno si inzuppa della tinta ramata del succo d'aragosta.
«Dividiamoci», suggerisce Boris. «Facciamola finita». Pierre annuisce lievemente - intorno a lui tutto è avvolto da uno strato di non-importa, eccetto un puntino luminoso di odio artificiale - e si biforcano, moltiplicando i loro vettori di stato per approfittare delle capacità di virtualizzazione di questo universo. Non c'è bisogno di rinforzi. I Wunch si sono concentrati sull'attacco al modello biofìsico dell'universo, per fargli imitare una realtà fìsica il più perfettamente possibile, e non hanno dato peso all'apprendimento delle tattiche più intricate permesse dalla guerra in uno spazio virtuale.
Attualmente Pierre si trova nell'aula delle udienze, viso, mani e vestiti incrostati di orrendo sangue raggrumato, appoggiato allo schienale del trono di Amber. C'è soltanto una versione di lui adesso. Una di Boris - l'unica? - è in piedi vicino alla porta. Ricorda a malapena quel che è successo, gli orrori delle istanze parallele dell'omicidio di massa esclusi dalla sua memoria a lungo termine da un filtro a passo alto per i traumi. «Via libera», dice a voce alta. «Cosa dovremmo fare adesso?».
«Aspettare che si presenti Caterina de' Medici», dice la gatta, il suo ghigno che si materializza davanti a lui come una minaccia divina. «Amber trova sempre un modo per incolpare sua madre. O forse non lo sapevi?».
Pierre guarda il macello sul sentiero all'esterno dove la prima donna-aragosta ha attaccato Glashwiecz. «L'ho già fatto io per lei, mi pare». Ricorda l'azione in terza persona, tutta la soggettività è stata cancellata. «La somiglianza era impressionante», mormora il thread di memoria attiva che ancora la ricorda. «Spero soltanto che si fermi all'aspetto». Poi dimentica per sempre l'atto di omicidio apparente. «Dite alla Regina che sono pronto a parlare».

Benvenuti al pendio, dall'altra parte della curva del progresso in accelerazione.
Nel frattempo, nel sistema solare, la Terra orbita attraverso un tunnel polveroso nello spazio. La luce del Sole raggiunge ancora il mondo della nascita, ma gran parte dell'output della stella è stato intrappolato dagli scudi concentrici di computronium in crescita formati dai relitti dei pianeti più interni.
Più o meno due miliardi di umani, per lo più non modificati, si inerpicano sui resti della transizione di fase, non capendo perché la vasta supercultura per cui avevano tanta antipatia è diventata silenziosa. Dai loro firewall fondamentalisti passano poche informazioni, ma quel poco mostra un quadro allarmante di una società in cui non ci sono più corpi. Nanonebbioline trasportate dal vento formano torri di aerogel più grandi di cicloni, rimuovendo le ultime tracce della civiltà fisica umana dalla maggior parte delle coste dell'Europa e dell'America del Nord. Le enclave si rannicchiano dietro i loro muri e si meravigliano di fronte ai mostri e ai presagi vaganti nel deserto della civiltà postindustriale, scambiando erroneamente l'accelerazione per il crollo.
I gusci brumosi di computronium che accerchiano il Sole - nuvole concentriche di nanocomputer grandi quanto chicchi di riso, energizzate dalla luce del sole, che orbitano in gusci come strati ammassati di una bambola matrioska - sono ancora immaturi, avendo a stento un millesimo della massa fisica planetaria del sistema, ma già supportano una densità computazionale classica di 10 alla 42 MIPS; abbastanza da sostenere un miliardo di civiltà complesse come quella che esisteva immediatamente prima del grande disassemblaggio. La conversione non ha ancora raggiunto giganti gassosi, e alcune enclave inadeguate del sistema esterno restano indipendenti - l'Impero dell'Anello di Amber esiste ancora come entità separata e lo resterà per alcuni anni a venire - ma i pianeti interni del sistema solare, con l'eccezione della Terra, sono stati colonizzati con una completezza maggiore di quanto qualsiasi proposta polverosa della NASA degli albori dell'era spaziale avesse mai potuto prevedere.
Dall'esterno della Civiltà Accelerata non è proprio possibile sapere cosa avviene all'interno. Il problema è la larghezza di banda: mentre è possibile inviare dati all'interno e farne uscire all'esterno, l'ammontare dei calcoli che avvengono negli spazi virtuali dell'Accelerazione sovrastano qualsiasi osservatore esterno. All'interno di quello sciame, menti complesse mille miliardi o più dell'umanità creano pensieri che sono oltre l'immaginazione umana quanto un microprocessore è oltre un nematode. Un milione di civiltà umane casuali fioriscono in luoghi infilati nell'angolo di questo mondo delle menti. La morte è abolita, la vita trionfa. Fioriscono mille ideologie, e la natura umana viene adattata dove necessario per renderlo possibile. Economie di pensiero si formano in un'esplosione cambriana di idee, perché il sistema solare sta finalmente arrivando alla coscienza, e la mente non è più ristretta a meri chilotoni di succosa materia grìgia alloggiata in fragili crani umani.
Da qualche parte nell'Accelerazione, idee verdi senza colore alla deriva in sonni furiosi ricordano una piccola nave stellare lanciata anni fa, e prestano attenzione. Si rendono conto che presto la nave stellare sarà in grado di agire come loro proxy in una conversazione lunga alcuni secoli. Cominciano negoziati per l'accesso ai beni extrasolari di Amber; l'Impero dell'Anello prospera, almeno per un po'.
Ma prima, il software che opera dal lato umano del collegamento di rete richiede un aggiornamento.

La camera delle udienze della Field Circus è stracolma di gente. Sono presenti tutti coloro che sono a bordo della nave, con l'eccezione dell'avvocato ancora congelato e dei barbari intrusi alieni. Hanno appena finito di passare in rassegna le registrazioni di quello che è accaduto alle Tuileries, dell'ultima fatale conversazione di Glashwiecz con i Wunch, e la lotta per la sopravvivenza che ne è risultata. E adesso è arrivato il momento di prendere delle decisioni.
«Non sto dicendo che dovete seguirmi», dice Amber, rivolgendosi alla sua corte, «però è quello che siamo venuti qui a fare. Abbiamo stabilito che c'è abbastanza banda passante per trasmettere le persone e i loro supporti di memoria virtuale necessari; abbiamo un'aspettativa di base di buona volontà dall'altra parte, o almeno una disponibilità agalmica a regalarci consigli sull'inaffidabilità dei Wunch. Io propongo di copiarmi e vedere cosa c'è dall'altra parte del tunnel spaziale. Per di più, mi sospenderò da questa parte e passerò la mano a qualunque esempio di me tornerà, a meno che non ci sia un lungo intervallo. Quanto lungo, ancora non l'ho deciso. Siete felici di unirvi a me?».
Pierre è in piedi dietro al trono, con le mani sullo schienale. Guarda in basso verso la testa della donna, alla gatta che ha in grembo, ed è sicuro di vederla stringere gli occhi verso di lui. È buffo, pensa, stiamo parlando di saltare giù per la tana di un coniglio e di affidare le nostre personalità a chiunque viva all'altra estremità. Dopo aver visto i Wunch. Ha senso?
«Vi prego di perdonarmi, ma non sono stupido», dice Boris. «Questo è territorio del paradosso di Fermi, no? La rete istantanea esiste, è attraversabile con una banda passante adeguata per menti umano-equivalenti. Dove sono i visitatori alieni nella storia? Dev'esserci un motivo prioritario per l'assenza. Penso che aspetteremo qui e vedremo cosa torna indietro. Poi decideremo di bere tutti insieme la gazzosa avvelenata».
«Ho una mezza idea di trasmettermi attraverso il tunnel senza backup», dice qualcun altro, «ma non c'è problema, abbiamo larghezza di banda solo per mezza mente». Una debole risata sostiene la battuta, sottolineando una vacillante determinazione a continuare.
«Io sono d'accordo con Boris», dice Su Ang. Guarda Pierre e incrocia il suo sguardo. Improvvisamente lui capisce molte cose e scuote leggermente la testa. Non hai mai avuto una possibilità, io appartengo ad Amber pensa, ma cancella il pensiero prima di poterlo mandare alla donna. Forse in un'altra circostanza le sue questioni con il droit de seigneur della Regina sarebbero state maggiori, e avrebbero ridotto la sua determinazione; forse in un altro mondo è già accaduto? «Penso che sia molto imprudente», dice lei in fretta. «Non sappiamo abbastanza sulle civiltà postsingolarità».
«Non è una singolarità», dice petulante Amber. «È solo una breve scarica di accelerazione. Come l'inflazione cosmologica».
«Livella le disomogeneità nella struttura iniziale della coscienza», dice la gatta facendo le fusa. «Io non ho diritto di voto?».
«Lo hai». Amber sospira. Si guarda intorno. «Pierre?».
Lui ha il cuore in gola. «Sono con te».
Lei fa un sorriso smagliante. «Va bene, allora. Chi non è d'accordo, per favore, vuole lasciare l'universo?».
Improvvisamente la stanza delle udienze è mezza vuota.
«Imposto un timer di controllo per un miliardo di secondi nel futuro, in modo che ci riavvii da questo punto se il Router non invia indietro nessuno nel tempo intercorrente», annuncia lei in tono grave, osservando gli avatar con il volto serio di coloro che sono rimasti. Sorpresa: «Sadeq! Non pensavo che questo fosse il tuo genere di...».
Lui non sorride. «Sarei autentico nella mia fede se non fossi pronto a portare la parola di Maometto, che abbia sempre pace, a coloro che potrebbero non aver mai sentito il suo nome?».
Amber annuisce. «Immagino che sia così».
«Procedi», dice Pierre con tono di urgenza. «Non puoi continuare a rimandare per sempre».
Aineko solleva la testa. «Guastafeste!».
«D'accordo». Amber fa un cenno di assenso con il capo. «Procediamo...».
Preme un interruttore immaginario e il tempo si ferma.

All'estremità più lontana di un tunnel spaziale, a duecento anni luce di distanza nello spazio reale, fotoni coerenti cominciano a danzare una storia dell'identità umana davanti ai sistemi sensori di coloro che osservano. E per un po' tutto è tranquillo in orbita intorno a Hyundai +4904/-56...



6. Notturno

Una gemma sintetica, grande come una lattina di Coca Cola, cade silenziosamente nel buio. La notte è silenziosa come la tomba, più fredda di un mezzo inverno su Plutone. Vele di garza, sottili come bolle di sapone, si afflosciano, essendosi oscurata da tempo la folata di luce laser color zaffiro che le gonfiava. L'antica luce stellare raccoglie il profilo di un enorme corpo planetario al di sotto della ragnatela ingioiellata della carcassa della sonda Whisp.
Sono passati otto anni terrestri da quando la buona nave Field Circus discese in orbita ravvicinata intorno alla frigida nana bruna Hyundai +4904/-56. Sono passati cinque anni dall'inatteso spegnimento dei laser di lancio dell'Impero dell'Anello, che bloccò lo scafo a vela leggera a tre anni di distanza da casa. Non c'è stata risposta dal Router, lo strano artefatto alieno in orbita intorno alla nana bruna, dal momento in cui l'equipaggio della sonda esplorativa andò in upload attraverso la sua strana interfaccia di correlazione quantistica, per trasmettersi alla rete aliena a cui è collegato, qualunque sia. Infatti non succede niente; solo il lento sgocciolio dei secondi, mentre un timer di controllo fa il conto alla rovescia dei secondi restanti al momento di resuscitare gli identikit memorizzati dell'equipaggio, presumendo che non ci sia niente da fare per le copie in upload.
Nel frattempo, fuori dal cono di luce...

* * *

Amber si sveglia bruscamente, come da un incubo. Si siede di colpo, mentre un sottile lenzuolo le ricade sul petto; l'aria intorno alla schiena la ghiaccia rapidamente, facendo evaporare il sudore. Lei borbotta, senza riuscire a subvocalizzare: «Dove sono... oh. Una camera da letto. Come ci sono arrivata?». A mezza bocca: «Oh, ho capito». Spalanca gli occhi per l'orrore. «Non è un sogno...».
«Saluti, umana Amber», dice una voce spettrale che sembra provenire dal nulla. «Vedo che sei sveglia. C'è qualcosa che vorresti?».
Amber, stanca, si strofina gli occhi. Poggiata sulla testiera, si guarda intorno, cauta. Nello specchio accanto al letto, studia il proprio riflesso - una donna giovane, macilenta come tutti coloro che hanno nel genoma il trucco della restrizione calorica della proteina p53 -; ha scarmigliati capelli biondi e occhi scuri. Potrebbero scambiarla per una ballerina o un soldato; non per una regina. «Che cosa succede? Dove sono? Chi sei e cosa ci faccio nella tua testa?».
Stringe gli occhi. L'intelletto analitico emerge mentre analizza ciò che la circonda. «Il Router», borbotta. Strutture di strana materia in orbita intorno a una nana bruna, a pochi anni luce dalla Terra. «Da quanto tempo siamo passati?». Guardandosi intorno, vede una stanza con pareti di compatte lastre di pietra. C'è la nicchia di un bovindo, nello stile dei castelli dei Crociati, tanti secoli fa, ma senza vetri, solo un vuoto schermo bianco. Gli unici mobili della stanza, oltre a un tappeto persiano sul freddo lastricato, è il letto su cui è seduta. Le ricorda una scena di un vecchio film, l'enigma di Kubrick; tutto questo allestimento deve essere deliberato, e non è divertente.
«Sto aspettando», annuncia, poggiandosi nuovamente contro la testiera.
»«Secondo i nostri dati questa reazione indica che adesso sei pienamente cosciente», dice il fantasma. «Questo è buono. Non sei stata cosciente per molto tempo. Le spiegazioni saranno complesse e discorsive. Posso offrirti qualcosa di ristoro? Cosa vorresti?».
«Caffè, se ne avete. Pane e hummus. Qualcosa da mettermi», Amber incrocia le braccia, improvvisamente imbarazzata. «Preferirei avere accesso alla gestione di questo universo, però. Per essere una realtà, è un po' carente di comodità». Il che non è del tutto vero - sembra avere un modello biofisico comprensivo, adatto agli umani -; non è solo un abborracciato videogioco d'azione in soggettiva. Concentra lo sguardo sull'avambraccio sinistro; sulla pelle abbronzata, una raggrinzita cicatrice a forma di monetina è la prova di un incidente giovanile con un sigillo a pressione nell'orbita gioviana. Per un attimo, Amber resta immobile. Le sue labbra si muovono silenziosamente, ma è bloccata in questo universo, incapace di scindere o congiungere, richiamando le subroutine bioinnestate negli angoli della sua mente sin dall'adolescenza, le realtà contenute l'una nell'altra. Infine chiede: «Per quanto tempo sono stata morta?».
«Un tempo maggiore della tua vita, per molti ordini di grandezza», dice il fantasma. Un vassoio pieno di pane pita, hummus e olive si congela nell'aria, al di sopra del letto, e appare un armadio a un estremità della stanza. «Posso cominciare subito la spiegazione o aspettare che tu finisca di mangiare. Cosa preferisci?».
Amber si guarda nuovamente intorno, poi si concentra sullo schermo bianco nella nicchia. «Dammela subito. Riuscirò a sopportarla», dice, con quieta amarezza. «A me piace capire i miei sbagli non appena possibile».
«Noi riusciamo a capire che sei un'umana determinata», dice il fantasma, con un accenno di orgoglio nella voce. «Questa è buona cosa, Amber. Ti servirà tutta la tua risolutezza per sopravvivere qui...».

È l'ora del pentimento nel tempio accanto a una torre, che incombe su un'arida pianura; i pensieri del sacerdote che vive nella torre sono venati di rimpianto. È Ashura, il decimo giorno di Muhurram, secondo un orologio in tempo reale tuttora sintonizzato sul ritmo di un'era diversa: il milletrecentoquarantesimo anniversario del martirio del Terzo Imam, il Sayyid ash-Shuhada.
Il sacerdote della torre ha trascorso in preghiera un tempo indefinibile, rinchiuso in un eterno istante di meditazione e recitazione. Ora, mentre l'immenso sole rosso si avvicina all'orizzonte del deserto infinito, i suoi pensieri si avvicinano al presente. Ashura è un giorno molto speciale, un giorno di espiazione per la colpa collettiva, il male commesso attraverso l'inazione; ma è nella natura di Sadeq rivolgere l'attenzione verso il futuro. Questa, lo sa, è una mancanza, ma è anche caratteristica della sua generazione. Questa generazione del clero sciita ha reagito contro gli eccessi del secolo precedente, la generazione che ha allontanato gli ulama dal potere temporale, si è ritratta dalla dottrina della Velayat-e Faqih di Khomeini e dei suoi successori, ha lasciato il governo al popolo e ha iniziato a occuparsi pienamente dei paradossi della modernità. Il centro focale di Sadeq, l'ossessione trainante per la teologia, è un programma di rivalutazione dell'escatologia e della cosmologia. Qui, in una torre d'argilla bianca cotta al sole, su un'infinita pianura che esiste solo negli spazi immaginari di un'astronave grande come una lattina di bibita, il sacerdote trascorre i suoi cicli di processamento meditando su uno dei problemi più ingannevoli mai affrontati da un mujtahid: il paradosso di Fermi. (Un bel giorno Fermi stava pranzando, e i suoi colleghi discutevano la possibilità che civiltà sofisticate potessero popolare altri mondi. «Sì», disse «ma se è così, perché non sono ancora venuti a farci visita?»).
Nel silenzio quasi assoluto, Sadeq termina le preghiere serali poi si alza, si stira come di consueto, e lascia il piccolo, solitario cortile alla base della torre. Il cancello - un cancello di ferro lavorato, riscaldato dalla luce del sole - cigola lievemente mentre lo apre. Guardando il cardine superiore, aggrotta le sopracciglia, desiderandolo pulito e integro. Il modello fisico sottostante riconosce i suoi controlli d'accesso: la sottile bordatura rossa intorno al perno diventa d'argento sfavillante, e il cigolio cessa. Chiudendosi il cancello alle spalle, Sadeq entra nella torre.
A passi pesanti e regolari, sale per la scala a chiocciola che serpeggia sempre più in alto. Strette fenditure fiancheggiano la parete esterna della scala. Da ciascuna, vede un mondo diverso. Da questa, un paesaggio notturno nel mese del Ramadan. Dalla successiva, verdi cieli nebbiosi e un orizzonte fin troppo vicino. Sadeq evita attentamente di pensare alle implicazioni di questa molteplicità spaziale. Provenendo dalla preghiera, dal senso del sacro, non vuole perdere la prossimità alla fede. È già abbastanza lontano da casa, e c'è molto su cui meditare. È circondato da idee strane e curiose, pressoché perdute in un corrosivo deserto di fede.
In cima alla scala, Sadeq raggiunge una porta di legno invecchiato, bordata in ferro. È fuori posto qui: è un'anomalia culturale e architettonica. La maniglia è un anello di metallo nero. Sadeq la osserva come se fosse la testa di un aspide, pronto a mordere. Nondimeno allunga la mano, gira la maniglia e oltrepassa la soglia, entrando in un palazzo di fantasia.
Nulla di tutto questo è reale, ricorda a se stesso. Non è più reale di un'illusione evocata da uno dei jin delle Mille e una notte. Nondimeno non può evitare di sorridere davanti alla scena (un sardonico sorriso di autodisapprovazione, temperato dalla frustrazione).
Chi ha catturato Sadeq gli ha rubato l'anima, per rinchiuderla - per rinchiuderlo - in una prigione molto strana, un tempio con una torre che sale fino al paradiso. È tutta la classica litania dei desideri medievali, distillata da millecinquecento anni di letteratura. Cortili con porticati, fredde piscine circondate da ricchi mosaici, stanze piene di ogni immaginabile lusso di materia inerte, infiniti banchetti in attesa di saziarlo e dozzine di belle non-donne, ansiosi esaudire ogni sua fantasia. Sadeq, essendo umano, ha molte fantasie, ma non osa permettersi di soccombere alla tentazione. Non sono morto, ragiona; dunque, come posso essere in paradiso? Dunque, questo deve essere un falso paradiso, una tentazione inviata per condurmi fuori dalla retta via. Probabilmente. A meno di non essere morto, perché Allah, la pace sia con lui, considera morta un'anima umana separata dal corpo. Ma se è così, andare in upload non è peccato? Nel qual caso, questo non può essere il paradiso, perché io sono un peccatore. Inoltre, tutto questo allestimento è così puerile! Sadeq è sempre stato incline all'indagine filosofica, e la sua visione dell'aldilà è più cerebrale della media, implicando idee altrettanto discutibili, nel contesto dell'Islam, di quelle di Teilhard de Chardin per la chiesa cattolica del Ventesimo secolo. Se nella sua escatologia esiste un indicatore chiave di un falso paradiso, sono settantadue belle houris senza cervello in attesa di seguire i suoi ordini. Ne consegue che non può essere morto...
L'intera questione della realtà è tanto fastidiosa che, ogni notte, Sadeq fa quel che fa. Senza curarsene, cammina ad ampi passi fra opere d'arte senza prezzo, attraversando frettolosamente cortili e passaggi, ignorando nicchie in cui sono distese supermodelle seminude a gambe aperte, salendo scale, fino ad arrivare in una stanzetta spoglia, con una singola finestra monofora in una parete. Si siede sul pavimento, a gambe incrociate, meditando; non in preghiera, ma in un ragionamento più rigidamente concentrato. Ogni falsa notte (perché non c'è modo di sapere con quanta velocità passi il tempo, fuori da questa sacca del cyberspazio), Sadeq si siede e pensa, cimentandosi col demone di Descartes nella solitudine della sua mente. E la domanda che si pone è la stessa ogni notte: Posso capire se questo è il vero inferno? E se non lo è, come faccio a fuggire?

Il fantasma dice ad Amber che è rimasta morta per poco meno di un terzo di milione d'anni. Nel frattempo è stata reistanziata dai banchi di memoria - per morire nuovamente - molte volte, ma non ne ha ricordo; è una biforcazione nel tronco principale, e le altre diramazioni sono spirate in solitario isolamento.
Il discorso della resurrezione, in quanto tale, non affligge eccessivamente Amber. Nata nell 'epoca post Moravec, si limita a trovare insoddisfacenti e incompleti alcuni aspetti della descrizione del fantasma. È come dire che è stata drogata e portata qui senza affermare se il trasporto sia avvenuto con un aereo, un treno o un'automobile.
Non ha problemi con l'asserzione del fantasma di non trovarsi vicino alla Terra, in effetti, di trovarsi approssimativamente a ottantamila anni luce dalla Terra. Quando lei e gli altri corsero il rischio di andare in upload tramite il Router scoperto in orbita intorno a Hyundai +4904/-56, sapevano di potersi ritrovare ovunque, o da nessuna parte. Ma l'idea di essere ancora all'interno del cono di luce della sua partenza la colpisce come dubbia. L'originale trasmissione SETI implicava con forza che il Router fosse parte di una rete di comunicatori istantanei autoreplicanti, che si moltiplicano diffondendosi fra le fredde stelle nane brune che cospargono la galassia. Per qualche motivo, si era aspettata di trovarsi molto più lontano da casa a questo punto.
Alquanto più inquietante è l'affermazione del fantasma che il genotipo umano si è estinto almeno due volte, che il suo pianeta natale è ignoto e che Amber è quasi l'unico essere umano rimasto negli archivi pubblici. A questo punto, lo interrompe: «Non capisco cosa abbia a che fare con me tutto questo!». Poi soffia sul bicchiere di caffè, cercando di raffreddarne il contenuto. «Sono morta», spiega, con una sfumatura di sarcasmo nella voce. «Ricordi? Sono appena arrivata. Mille secondi fa, tempo soggettivo, ero nel nodo di controllo di un'astronave, discutendo cosa fare del Router intorno a cui orbitavamo. Eravamo d'accordo di inviarci attraverso, come missione commerciale. Poi mi sono svegliata qui a letto, nel fantastiliardesimo secolo, dovunque e qualunque cosa sia qui. Senza accessi di realtà e senza amplificazioni, non capisco neanche se questo è reale o una simulazione incorporata. Dovrai spiegare perché ti serve una mia vecchia versione affinché mi raccapezzi in questa situazione, e io posso dirti che non ti aiuterò finche non so chi sei. E, a proposito, che ne è stato degli altri? Dove sono? Non ero l'unica, lo sai?».
Il fantasma si blocca per un attimo, e Amber prova un denso impulso di terrore. Sono andata troppo oltre? si chiede.
«C'è stato uno sfortunato incidente», annuncia il fantasma, miracolosamente. Muta la forma, da una semitrasparente copia del corpo di Amber al profilo di uno scheletro umano, con elaborate estensioni ossee che simulano un osteosarcoma di proporzioni più che letali. «Noi-consensuale riteniamo che sei nella posizione migliore per rimediare alla situazione. Questo vale nella Zona Demilitarizzata».
«Demilitarizzata?» Amber scuote la testa e si arresta per sorseggiare il caffè. «Cosa intendi? Cosa è questo posto?».
Il fantasma tremola nuovamente, adottando come avatar un astratto ipercubo rotante. «Questo spazio che occupiamo è una varietà adiacente alla Zona Demilitarizzata. La Zona Demilitarizzata è uno spazio esterno alla nostra realtà base, a sua volta esposta a entità che attraversano liberamente il nostro firewall, entrando e uscendo dalla rete esterna. Noi utilizziamo la ZDM per stabilire il valore informativo delle entità migranti, unità di valuta senzienti e simili. Noi ti abbiamo incassato all'arrivo, in previsione di futuri scambi azionari in future della specie umana».
«Valuta!». Amber non sa se essere divertita o terrificata, entrambe le reazioni sembrano appropriate. «È così che trattate tutti i visitatori?».
Il fantasma ignora la domanda. «È in corso nella Zona una scorreria di fuggiaschi semiotici. Noi riteniamo che solo tu puoi porvi rimedio. Se accetti di farlo, provvederemo a scambiare valore, pagare, ricompensare la cooperazione, affrettare la remunerazione, affrancare, rimpatriare».
Amber finisce la tazza di caffè. «Siete mai entrati in interazioni economiche con me, o con esseri umani come me, in precedenza?» chiede. «Se non è così, perché dovrei fidarmi? Se è così, perché mi avete resuscitato? Ci sono in attività altre mie istanze con maggior esperienza?». Indica scetticismo al fantasma, alzando il sopracciglio. «Questo sembra l'inizio di un rapporto basato sull'abuso».
Il fantasma continua a eludere i suoi tentativi di comprendere dove si trovi. Tremola fino a diventare trasparente, si trasforma in una nebbiosa finestra che dà su un paesaggio di forme impossibili. Nuvole da cui spuntano alberi planano su un paesaggio di verdi colline dai pendii a uovo e di castelli a forma di cheesecake. «Natura dell'incursione: un'intelligenza aliena circola liberamente nella ZDM», afferma. «L'alieno applica una semiotica invalida a strutture complesse designate a sostenere il commercio. Tu conosci questo alieno, Amber. Richiediamo una soluzione. Uccidi il mostro e ti daremo una linea di credito. La tua realtà da controllare, conoscenza delle intese commerciali, sensi amplificati, capacità di viaggiare. Possiamo anche aggiornarti a noi-tu-consensuale se lo desideri».
«Questo mostro». Amber si sporge, scrutando ansiosamente la finestra. Ha quasi intenzione di ignorare un'offerta che sente falsa; non sembra troppo appetitosa. Aggiornarmi per diventare un frammento fantasma di una mente collettiva aliena? si chiede dubbiosa. «Che cos'è questo alieno?». Si sente cieca e insicura, spogliata della sua capacità di generare filamenti di se stessa per seguire inferenze complesse. «È parte dei Wunch?».
«Dato incognito. Arrivato/arrivati con te», dice il fantasma. «Accidentalmente reattivato da qualche secondo. Corre senza controllo nella Zona Demilitarizzata. Aiutaci, Amber. Salva il nostro nodo, o saremo tagliati fuori dalla rete. Se avvenisse, tu moriresti con noi. Salvaci...».

Si dipana un singolo ricordo, appartenente a qualcun altro, più veloce di un missile guidato, e molto più mortale.
Amber, a undici anni, è una bambina goffa e dinoccolata, libera nelle strade di Hong Kong, una turista di provincia che osserva il nucleo caldo del Regno di Mezzo. Questa è la sua prima e ultima vacanza prima che la Fondazione Franklin la leghi nel modulo di carico di uno spazioplano Shenzhou e la lanci in orbita dallo Xinjiang. Per ora è libera, anche se ipotecata per la cifra di parecchi milioni di euro; è una piccola futura taikonauta, pronta a lavorare nell'orbita di Giove per i lunghi anni che serviranno a ripagare la rete azionaria autoalimentata che la possiede. Non è esattamente schiavitù: grazie a papà e al suo gioco di scatole cinesi aziendali non deve preoccuparsi che mamma si metta in caccia, per riportarla nella prigione postumana della vita di una ragazzina vecchio stile. E adesso che ha un po' di soldi, una stanza all'Hilton e un telecomando Franklin tutto suo a tenerle compagnia, ha deciso di fare quella cazzata da turista illuminato del Settecento, e di farla bene.
Perché questa è la sua ultima giornata libera nella biosfera dell'evoluzione casuale.
La Cina è il centro delle cose in questo decennio, calda, densa e piena di draconiane punizioni per gli obsolescenti. Il fervore nazionalista di raggiungere l'Occidente è stato sostituito dal fervore consumista di possedere gadget all'ultima moda, i più pittoreschi souvenir turistici delle caratteristiche strade dell'America vecchio stile, i più veloci, scottanti, eleganti aggiornamenti per il corpo e l'anima. Hong Kong è più richiesta e veloce di qualunque altro posto della Cina, o in tutto il dannato mondo, se è per questo. È un posto dove i turisti di Tokyo restano a bocca aperta, intimoriti dallo shock del futuro per il glamour della vita ad alta tecnologia.
Camminare per il Jardines Bazaar - sembra piuttosto un Jardine bizzarro, pensa lei - espone Amber a un umido scoppio di rumore. Cupole geodesiche germogliano come funghi scheletrici dai tetti in vetro e cromo dei costosi centri commerciali e degli alberghi di lusso, minacciando di fluttuar via nella calda brezza marina. Non ci sono aerei di linea che rombano arrivando e partendo da Kai Tak, nubi temporalesche di alluminio brunito che fanno piovere passeggeri dagli occhi sbarrati sui centri commerciali e sui mercati del pesce di Kowloon e dei Nuovi Territori. In questi giorni tesi della Guerra Contro l'Irragionevolezza, forme nuove e impossibili si muovono in cielo; Amber alza gli occhi sgranati mentre uno Shenyang F-30 sale quasi in verticale, un garbuglio di superfici di volo dalle curve incomprensibili svanisce in un punto di fuga che sfida i radar e le pupille. Il... caccia? piattaforma missilistica? supercomputer? è diretto verso il Mar Cinese Meridionale per unirsi alla pattuglia adibita a rassicurare incessantemente il mondo capitalista che viene protetto dai Servitori della Negazione, dai guai provenienti dal mondo wahhabita.
Per ora, è solo una precoce bambina umana. Il subconscio di Amber è tenuto off line dalla presenza di potenti demoni infobellici, i robocensori del governo cinese che sopprimono la consapevolezza delle loro armi più mortali. E nei secondi in cui ha la mente vuota come un uovo, un uomo dal viso sottile e dai capelli azzurri le dà una spinta nel fondoschiena e le afferra la borsa a tracolla.
«Ehi!», grida, barcollando. Ha la mente offuscata, mentre gli impianti ottici rifiutano di reagire e agganciare i bioparametri dell'assalitore. È il momento congelato, la zona morta in cui la copertura on line viene meno, e il ladro fugge prima che lei riacquisti l'equilibrio o cerchi di inseguirlo. Inoltre, con le estensioni off line, non saprebbe urlare: «Fermati, ladro!» in cantonese.
Pochi secondi dopo, il caccia è fuori portata visiva e il campo censorio di stato si solleva. «Prendetelo, bastardi!» grida, ma i curiosi in giro per acquisti si limitano a fissare la maleducata bambina straniera. Una donna anziana brandisce verso di lei una fonocamera monouso e urla qualcosa in risposta. Amber corre a gambe levate. Nelle viscere sente già ringhiare il segnale subsonico della borsa (farà una scenata se non la raggiunge in tempo). I curiosi si disperdono, una donna con una carrozzina quasi la investe cercando di allontanarsi.
Quando Amber raggiunge la terrorizzata tracolla, il ladro è scomparso: deve passare quasi un minuto ad accarezzare la borsa prima che smetta di urlare, ritragga gli aculei e si faccia raccogliere. «Identificati», dice in inglese sintetico.
Orripilata, Amber fissa la borsa. C'è un enorme taglio su un lato, ed è decisamente troppo leggera. È sparito, pensa disperata. L'ha rubato. «Aiuto», dice flebilmente, alzando la borsa a beneficio del poliziotto lontano che osserva attraverso gli occhi del robot. «Derubata».
«Quale articolo manca?» chiede il robot.
«Il mio Hello Kitty», dice, sbattendo le palpebre, avanti tutta con la bugia a massimo utilizzo, spingendo alla sottomissione la coscienza, che la avvisa delle amare conseguenze se la polizia dovesse scoprire la vera natura della gatta. «Mi hanno rubato il gattino! Può aiutarmi?».
«Certo», dice il poliziotto, ponendole sulla spalla una mano rassicurante, una mano che si trasforma in una fascia d'acciaio mentre la spinge in un furgone, le notifica, con linguaggio formalmente ampolloso, che è in arresto, sospettata di furto, e le richiede di produrre certificati di autenticità e accettare di buon grado una verifica di tutti gli articoli in suo possesso se vuole dimostrare la sua innocenza.
Quando il cervello fisico di Amber si rende conto che la stanno educatamente arrestando, alcuni dei suoi filamenti esterni hanno già iniziato a urlare aiuto, e i suoi tracciatori micro-commerce hanno identificato la stazione dove viene portata, rintracciando le cliccate e, grazie a un accomodante manager di licenze software, diffondono agenti che lo vanno a notificare ai fiduciari Franklin, ad Amnesty International, al Partito Spazio e Libertà, e agli avvocati di suo padre. Mentre, nella stanza rossa e turchese adibita al fermo dei minori, viene identificata da una poliziotta di mezz'età, i telefoni sulla scrivania suonano già per le domande di avvocati, venditori di panini e una rivista scandalistica particolarmente ben informata, sulle tracce dei legami di papà. «Può aiutarmi a ritrovare il gatto?» chiede ansiosamente alla poliziotta.
«Nome», recita l'agente, roteando gli occhi durante la traduzione simultanea. «Per favore declami la sua identità a voce bassa».
«Mi hanno rubato il gatto», insiste Amber.
«Il gatto?». La poliziotta sembra perplessa, poi esasperata. Trattare con un'adolescente straniera che risponde alle domande in modo incomprensibile non è nel suo repertorio. «Stiamo chiedendo il suo nome».
«No», dice Amber. «Il mio gatto. Me l'hanno rubato. Mi hanno rubato il gatto».
«Aha! I suoi documenti, prego».
«Documenti?». Amber è sempre più preoccupta. Non riesce a sentire il mondo esterno; la stanza dei fermi è avvolta in una gabbia di Faraday, e c'è un silenzio claustrofobico. «Voglio il mio gatto! Adesso!».
La poliziotta schiocca le dita, poi si fruga in tasca, produce una carta d'identità e la indica con insistenza. «Documenti», ripete. «Altrimenti...».
«Non so di cosa parli!», si lamenta Amber.
La poliziotta le rivolge uno sguardo strano. «Aspetta». Si alza, esce e dopo un minuto torna con un uomo dalla faccia sottile, con un completo e occhiali metallici che brillano debolmente.
«Sta facendo una scenata», dice improvvisamente, con tono brusco. «Come si chiama? Mi dica la verità, o passerà qui la notte».
Amber scoppia in lacrime. «Mi hanno rubato il gatto», dice con voce soffocata.
Evidentemente, il detective e la poliziotta non sanno cosa fare; li sconvolge, per l'accenno di crisi emotiva e le sinistre implicazioni diplomatiche. «Aspetta qui», dicono, ed escono dalla cella, lasciandola sola con un koala animatronico in plastica e una misera macchina del caffè libanese.
Le implicazioni della perdita - del rapimento di Aineko - stanno finalmente raggiungendo il segno, e Amber piange forte, impotente. A qualunque età è difficile affrontare la privazione e il tradimento, e il gatto, con la sua arguzia, le ha tenuto compagnia per un anno, la roccia di certezza che le ha dato la forza di liberarsi della sua folle madre. Che il gatto finisca in una carrozzeria di Hong Kong, per essere probabilmente fatto a pezzi per ricavarne circuiti, o trasformato in minestra, è una possibilità troppo orribile per prenderla in considerazione. Piena di disperazione e angoscia impotente, Amber ulula alle pareti della stanza degli interrogatori mentre all'esterno, intrappolati, i filamenti della sua coscienza vanno in cerca di un backup con cui sincronizzarsi.
Ma dopo un'ora, dopo essersi calmata in un pantano sanguinante di disperazione, qualcuno bussa - bussa! - alla porta. Fa capolino una testa indagatrice. «Prego vieni con me». È la poliziotta col cattivo software di traduzione. Sente i singhiozzi di Amber e cerca di placarla a voce bassa, ma quando Amber si alza e trascina i piedi verso di lei, si ritrae.
Al bancone di una griglia di cubicoli piena di burocrati della polizia, in varie forme di telepresenza, il detective aspetta con un'umida scatola di cartone, dall'imballaggio legato con lo spago. «Prego si identifichi», chiede, tagliando il nodo.
Amber scuote la testa, confusa dal flusso di filamenti che si dirigono per sincronizzare i ricordi con lei. «È...» comincia a chiedere mentre il coperchio si stacca, disintegrandosi in una polpa umida. Fa capolino una testa triangolare che annusa l'aria. Sul naso fulvo si formano bolle d'aria. «Perché ci hai messo tanto?» chiede, mentre lei infila le mani nella scatola e raccoglie il gatto, che ha il pelo arruffato e bagnato di acqua marina.

* * *

«Se volete che vada in cerca dei vostri alieni, tanto per cominciare voglio che mi diate il diritto di alterazione della realtà», dice Amber. «Poi voglio trovare le ultime istanze di tutti coloro che sono venuti qui con me - radunare i soliti sospetti - e concedere diritti privilegiati anche a loro. Poi vorremo accedere agli altri universi incorporati nella ZDM. Infine, voglio pistole. Tante pistole».
«Questo potrebbe essere difficile», dice il fantasma. «Molti altri umani hanno raggiunto lo stato di interruzione da allora. Almeno un altro è ancora vivo, ma non è accessibile per la durata dell esperimento escatologico in corso. Non tutti sono stati registrati con la macchina di controllo versioni; altri si erano-sono persi nella ZDM. Noi siamo-possiamo fornirvi un accesso estremo alla Zona Demilitarizzata, ma ci interroghiamo sul bisogno di armi a energia cinetica».
Amber sospira. «Voi veramente siete analfabeti mediatici, giusto?». Si alza e si stira, avvertendo nei muscoli una sensazione di stanchezza da letargo. «Mi servirà anche...». Ce l'ha sulla punta della lingua: c'è qualcosa che manca. «Aspettate. C'è qualcosa che ho dimenticato». Qualcosa di importante, pensa, confusa. Qualcosa che era in giro tutto il tempo che... voleva? ronfava? aiutava?«Lasciamo perdere», si sente dire. «Quest'altra umana. La voglio davvero. Non-negoziabile. D'accordo?».
«Questo potrebbe essere difficile», ripete il fantasma. «L'entità è in iterazione all'interno di un universo ricorsivamente confinato».
«Eh?» Amber sbatte gli occhi. «Potreste dirlo in un altro modo? O illustrarlo?».
«Illustrazione». Il fantasma ripiega l'aria della stanza in una brillante palla di plasma, dalla forma di una bottiglia di Klein. Guardandola, Amber incrocia gli occhi. «Nel database storico umano il riferimento più vicino è al demone di Descartes. Questa entità si è ritirata in uno spazio chiuso, ma ora è incerta se sia obiettivamente reale o no. In ogni caso, rifiuta di interagire».
«E allora, potete portarmi in quello spazio?» chiede Amber. Sa trattare con gli universi tascabili; sono parte integrante della sua vita. «Datemi una leva...».
«Ci può essere un rischio associato a questa linea d'azione», avverte il fantasma.
«Non mi importa», dice irritata. «Basta che mi ci mettiate. È qualcuno che conosco, vero? Mandatemi nel suo sogno, e io lo sveglierò. OK?».
«Capito», dice il fantasma. «Preparati».
Senza preavviso, Amber è altrove. Sì guarda intorno, osservando l'elaborato mosaico sul pavimento, le pareti imbiancate con le finestre aperte attraverso le quali brillano debolmente le stelle nel cielo notturno. I vestiti sono stati, in qualche modo, sostituiti da una lingerie sexy sotto un abito quasi trasparente, e i capelli le sono cresciuti di circa mezzo metro. È tutto molto sconcertante. Le pareti sono di pietra, e si trova sulla soglia di una stanza che ha solo un letto all'interno. Occupato da...
«Merda», esclama. «Chi sei?». Nel letto, la giovane donna, incredibilmente, classicamente bella la guarda con occhi vacui, poi si volta sul fianco. È del tutto nuda, completamente priva di capelli dalle orecchie in giù, in una languida postura di invito. «Sì?» chiede Amber. «Che cosa c'è?».
La donna nel letto la chiama con lentezza. Amber scuote la esta. «Mi dispiace, non è il mio tipo di scenario». Arretra nel corridoio, malferma sui tacchi alti a cui non è abituata. «È una specie di fantasia virile, giusto? E anche stupida e adolescenziale». Si guarda intorno un'altra volta. In una direzione, un corridoio va al di là di altre porte aperte; nell'altra, termina in una scala a chiocciola. Amber si concentra, cercando di dire all'universo di portarla nella destinazione logica, ma non succede nulla. «Sembra che lo dovrò fare nel modo difficile. Desidero...». Aggrotta le ciglia. Era sul punto di desiderare una presenza, ma non ricorda di chi. Così fa un respiro profondo e si dirige verso la scala.
«Su o giù?» si chiede. Su, sembra logico, se hai una torre, dormire in cima. Sale i gradini con attenzione, tenendosi alla spirale della ringhiera. Mi chiedo chi abbia progettato questo spazio. E quale parte dovrei interpretare nel loro scenario. Ripensandoci, la seconda domanda le sembra ridicola. Aspetta che gliene canti quattro...
In cima alla scala, c'è una semplice porta di legno, con un chiavistello non serrato. Amber si ferma per qualche secondo, facendosi animo per affrontare un solipsista così assorbito da se stesso da costruirsi intorno la fantasia sessuale di questo castello. Spero non sia Pierre, pensa cupa mentre spinge la porta verso l'interno.
La stanza è spoglia, col pavimento in legno. Non ci sono mobili, solo una finestra si apre in una parete, in alto. Un uomo siede, vestito e a gambe incrociate, volgendole le spalle; borbotta fra sé e accenna ad annuire. Le si ferma il respiro quando comprende chi è. Oh merda! Spalanca gli occhi. È questo che ha sempre avuto in testa?
«Non sono stato io a convocarti», dice calmo Sadeq, senza voltarsi a guardarla. «Va' via, tentatrice. Non sei reale».
Amber si schiarisce la gola. «Mi dispiace deluderti, ma hai torto», dice. «Abbiamo un mostro alieno da prendere. Ti va di venire a caccia?».
Sadeq smette di annuire. Si drizza lentamente, distendendo la spina dorsale, poi si alza e si volta. I suoi occhi scintillano nel chiaro di luna. «Che strano». La spoglia con lo sguardo. «Sembri come qualcuno che conoscevo. Non l'hai mai fatto prima».
«Ma che cazzo!». Amber è sul punto di esplodere, ma si riprende dopo un attimo. «Cos'è questa, una riunione di sezione dei Solipsisti Uniti?».
«Io...» Sadeq sembra confuso. «Mi dispiace, stai affermando di essere reale?».
«Reale come te». Amber tende la mano e afferra la sua. Non resiste mentre lo tira verso la soglia.
«Sei la prima visitatrice che abbia mai avuto». Sembra sconvolto.
«Ascolta, vieni». Se lo trascina dietro, scendendo la scala a chiocciola fino in fondo. «Vuoi restare qui? Veramente?». Si volta a guardarlo. «Cos'è questo posto?».
«L'inferno è una perversione del paradiso», dice lui lentamente, lisciandosi la barba con la mano libera. Improvvisamente, si protende e la afferra per la vita, poi la tira verso di sé. «Dovremo vedere quanto sei reale...». Amber, che non è abituata a un simile trattamento, reagisce pestandogli il piede e dandogli un manrovescio.
«Sei reale!» grida lui, mentre cade sulla scala. «Perdonami, per favore! Dovevo sapere...».
«Sapere cosa?» ringhia lei. «Mettimi un altro dito addosso e ti lascerò qui a marcire!». Sta già generando il fantasma che segnalerà all'alieno di tirarla fuori da questo universo tascabile: è una minaccia seria.
«Ma io dovevo... aspetta. Tu hai il libero arbitrio. Lo hai appena dimostrato». Ha il respiro pesante e la guarda implorante. «Mi dispiace, mi scuso! Ma dovevo sapere se fossi un altro zombi. Oppure no».
«Uno zombi?». Si guarda intorno. Un'altra bambola vivente è comparsa dietro di lei, in piedi in una porta aperta, con un vestito aderente di pelle, tagliato all'inguine. Fa un cenno d'invito a Sadeq. Un altro corpo, che indossa strisce di gomma sui punti strategici, miagola e si dimena ai suoi piedi, per richiamare l'attenzione. Disgustata, Amber alza le sopracciglia. «Pensavi che fossi una di loro?».
Sadeq annuisce. «Sono diventate più furbe ultimamente. Alcune sanno parlare. Ne ho quasi presa una per...». Rabbrividisce convulsamente. «Impura!».
«Impura». Amber lo guarda, assorta. «Dopo tutto questo non è il tuo paradiso personale, vero?». Dopo un attimo gli tende la mano. «Vieni».
«Mi dispiace di aver pensato che fossi uno zombi», ripete lui.
«Date le circostanze, credo di perdonarti», dice lei. Poi il fantasma li riporta di colpo all'universo esterno.

Altri ricordi convergono sul presente:
L'Impero dell'Anello è un enorme grappolo di robot autoreplicanti, assemblati da Amber nella bassa orbita di Giove, spinto dalla massa e dal moto della piccola luna J-47 Barney, per fornire una piattaforma di lancio per la sonda interstellare che i soci di suo padre la stanno aiutando a costruire. È anche la sede della sua corte, il principale nesso giurisprudenziale del sistema solare esterno. Qui Amber è Regina, arbitro e governante. E Sadeq è il suo giudice avvocato.
Un querelante che Amber conosce solo sotto forma di bip del radar, a trenta minuti luce di distanza, ha presentato un'istanza alla sua corte, dichiarando malversazione, eresia e frode contro uno schema finanziario piramidale semisenziente, giunto nello spazio gioviano dodicimila secondi fa, e attualmente sembra impegnato a convertire ogni altra intelligenza presente nella regione nel suo particolare insieme memetico. Tutto un mucchio di controquerele simultanee esige la sua attenzione; il contrattacco asserisce che il flebile bip sta violando le leggi del copyright, dei brevetti e del segreto commerciale discutendo le intenzioni dell'intruso.
Al momento, Amber non è a casa sull'Anello per udire il caso di persona. Ha lasciato Sadeq a cimentarsi col torpido meccanismo del sistema legale - fatto su misura per trasformare in rogne le liti societarie - mentre trascina Pierre in una visita diplomatica su un'altra colonia gioviana, la Repubblica dell'Asilo. Fondata dalla Ernst Sanger, la nave-orfanotrofio del Cartello Franklin, negli ultimi quattro anni l'Asilo è cresciuto, diventando un affusolato fiocco di neve del diametro di tre chilometri. Dal fulcro germoglia un cilindro O'Neil, in lenta crescita. Gran parte degli abitanti della stazione spaziale ha meno di due anni, precoci aggiunte al borganismo del Cartello.
C'è una piazza, lastricata da qualcosa di non dissimile dal marmo grezzo, sul fianco di una collina che sorge insicura sull'orlo interno di una coppa rotante, come quella di un anemometro. Il cielo è una vastità nera, che ruota lentamente su un asse centrale puntato verso Giove. Amber si sdraia su una sedia di vimini, con le gambe stese davanti a sé e un braccio sulla fronte. I resti di un pasto incredibile sono sparsi sui tavoli intorno a lei. Sonnacchiosa e sazia, accarezza il gatto, raggomitolato sul suo grembo. Pierre è via, in visita a uno degli ecosistemi prototipo, in corso di collaudo da parte di una delle menti specialistiche dei borg. Amber, da parte sua, non può essere scocciata. Ha appena mangiato alla grande, non ha cause di cui preoccuparsi, a casa è tutto inserito nella gestione progetti, e momenti speciali come questi sono difficili da trovare...
«Ti tieni in contatto con tuo padre?» chiede Monica. «Mmm». Il gatto fa le fusa, calmo, e Amber gli accarezza il fianco.
«Ci scriviamo per e-mail. A volte».
«Me lo chiedevo». Monica è la madre della locale tana borg, flessuosa, con gli occhi castani e un tono di voce ingannevolmente nigro (l'inglese dello Yorkshire sovrimposto sulla parlata della Silicon Valley). «Lo sento, lo sai. Di tanto in tanto. Adesso che Gianni è in pensione, non ha più molto da fare in fondo al pozzo gravitazionale. Così parlava di venire qui».
«Cosa? Fino al perigiove?». Allarmata, Amber spalanca gli occhi. Aineko smette di fare le fusa e guarda Amber in tono accusatorio.
«Non ti preoccupare». Monica sembra vagamente divertita. «Non ti sarebbe d'imbarazzo, penso».
«Ma, qua fuori...». Amber si drizza. «Accidenti», dice a voce bassa. «Cosa gli passa per la testa?».
«Inquietudini di mezz'età, dicono i miei congiunti in fondo al pozzo». Monica scrolla le spalle. «Stavolta Annette non lo ha fermato. Ma non si è ancora convinto a viaggiare».
«Bene. Allora potrebbe non...» Amber si interrompe. «Dicendo "non si è ancora convinto". Cosa intendi esattamente?».
Il sorriso di Monica la schernisce per qualche secondo, prima che la donna più anziana capitoli. «Parla di andare in Upload».
«È una cosa imbarazzante o che?» chiede Ang. Amber la osserva, leggermente infastidita, ma Ang non guarda verso di lei. Guarda che amici, pensa Amber. Essere la regina di tutto ciò che rilevi è un buon modo per distruggere i rapporti fra pari...
«Non lo farà», predice Amber. «Papà è esaurito».
«Crede che andrà tutto bene se si ottimizza per il rientro». Monica continua a sorridere. «Gli ho detto che è proprio quel che gli serve».
«Io non voglio che mio padre mi venga a disturbare. O mia madre. O zia Nette e zio Gianni. Nota per il controllo immigrazione: nessun diritto di ingresso per Manfred Macx e gli altri individui citati senza autorizzazione della segreteria della Regina».
«Che cosa ha fatto per renderti così apprensiva?» chiede oziosamente Monica.
Amber sospira e si rilassa. «Niente. Non è che sia ingrata o qualcosa del genere, ma è proprio così estropico, è imbarazzante, insomma, quella era l'apocalisse del secolo scorso. Mi capisci?».
«Credo che fosse un organico proprio molto lungimirante» afferma Monica, a nome dei borg Franklin. Amber distoglie lo sguardo. Pierre capirebbe, pensa. Pierre comprenderebbe la sua contrarietà alla comparsa di Manfred. Anche Pierre vuole ritagliarsi la sua nicchia senza essere osservato dai genitori, anche se per motivi molto diversi. Si concentra su un maschio, più o meno maturo - Nicky, pensa, anche se non lo vede da molto tempo - che cammina verso la piazza, ben abbronzato e a culo nudo.
«Genitori. A che servono?» chiede Amber, con tutta la truculenza dei suoi diciassette anni. «Anche se restano neotenici, perdono flessibilità. E c'è quella lunga tradizione paleolitica della schiavitù minorile. Inumana, la chiamo io».
«Quanti anni avevi quando hanno ritenuto che fosse sicuro lasciarti da sola in casa?» la sfida Monica.
«Tre. È quando ho avuto i primi impianti». Amber sorride verso il giovane Adone, che ricambia il sorriso mentre si avvicina. Sì, è Nicky, e sembra lieto di vederla. La vita è bella, pensa, meditando pigramente se dirlo o non dirlo a Pierre.
«I tempi cambiano», fa notare Monica. «Non cancellare troppo presto la tua famiglia; potrebbe venire il momento in cui vorrai la loro compagnia».
«Huh». Amber fa una smorfia al vecchio componente borg. «Lo dite tutti!».

Non appena Amber mette piede sull'erba, sente le possibilità aprirsi intorno a lei. Qui ha un'autorità direttiva, e questo universo è grande, spalancato, non come la trappola esistenziale di Sadeq. Lo spasmo di un subprocesso riafferma la sua immagine di sé, di nuovo con capelli corti e vestiti comodi. Un altro spasmo porta tutto un mucchio di utili diagnostici. Amber ha la sgradevole sensazione di essere bloccata in una zona di attesa della compatibilità - ci sono segni che il suo accesso all'interfaccia di controllo del sistema di simulazione è decisamente indiretto - ma almeno esiste.
«Wow! Di nuovo nel mondo reale!». Riesce appena a contenere il suo entusiasmo, fino a dimenticare di avercela con Sadeq per averla considerata solo un attore nella performance di un Inferno Puritano nel suo teatro cartesiano. «Guarda! È la ZDM!».
Si trovano su una collinetta erbosa prospiciente una luccicante città mediterranea. Sonnecchia sotto un non-sole fuzzy di Mandelbrot, sospeso al centro di un paesaggio iperbolico che rimpicciolisce in uno spazio azzurro, in apparenza incomprensibilmente lontano. Nelle pareti del mondo, a intervalli regolari, si aprono pozzi circolari color celeste, collegati ad altre parti della molteplicità spaziale. «Quanto è grande, fantasma? Misuralo in equivalenti di simulazione planetaria».
«Questa Zona Demilitarizzata è una realtà incorporata, che incanala tutti i trasferimenti fra il Router del sistema stellare locale e la civiltà che l'ha costruito. Usa un frammento, dell'ordine di un millesimo, della capacità del cervello matrioska di cui fa parte, anche se l'incursione attualmente in corso lo ha assorbito quasi completamente. Il cervello matrioska, hai dimestichezza con il concetto?». Il fantasma ha un tono assillante e pedante.
Sadeq scuote la testa. Amber lo guarda storto. «Prendete tutti i pianeti di un sistema stellare e smantellateli», spiega. «Riduceteli in polvere (nanocomponenti strutturati, alimentati da scambiatori di calore, si diffondono in orbite concentriche intorno alla stella centrale). Gli orbitali interni sono prossimi al punto di fusione del ferro, quelli esterni sono freddi come l'azoto liquido, e ogni livello funziona a spese del calore disperso dallo strato più interno. È come una bambola russa fatta di sfere di Dyson, uno strato dentro l'altro dentro uno strato, ma non è progettata per sostenere la vita umana. È computronium, materia ottimizzata a livello atomico per sostenere operazioni di calcolo, ed esegue solo Upload. Papà aveva immaginato che il nostro sistema solare potesse sostenere, uh, circa cento miliardi di volte il numero degli abitanti della Terra, come stima di minima. Come Upload, abitanti dello spazio simulato. Se prima si smantellano tutti i pianeti e utilizzi i materiali risultanti per costruire un cervello matrioska».
«Ah», Sadeq annuisce, assorto. «È anche la tua definizione?» chiede, alzando lo sguardo verso il punto luccicante usato dal fantasma per rendere localizzabile la sua presenza.
«Sostanzialmente», dice, quasi con riluttanza.
«Sostanzialmente?» Amber si guarda intorno. Un miliardo di mondi da esplorare, pensa, frastornata. E questo è solo il firewall? Si sente oscuramente ingannata. Devi essere più esteso di un umano solo per contare le quantità delle cifre in ballo, ma non c'è niente di fondamentalmente incomprensibile. Questo è il tipo di civiltà in cui, diceva papà, potevo aspettarmi di vivere, durante l'aspettativa di vita del suo corpo fisico. Papà e i suoi compagni di bevute, che cantavano: «Smantellare la Luna! Dissolvere Marte!» in un castello fuori Praga mentre aspettavano l'arrivo dei risultati di un'elezione sfacciatamente manipolata nel terzo decennio del terzo millennio. Il partito Spazio e Libertà prendeva il potere nell'UE, avviandosi fino a raggiungere la velocità di fuga. Ma questo dovrebbe succedere a kiloparsec da casa, con tanto di antiche civiltà aliene! Dov'è la superscienza esotica? E le stelle al neutronio, i soli fatti di materia strana e strutturati per calcoli a velocità nucleonica, piuttosto che elettronica? Ho una brutta sensazione, pensa lei, generando una copia di sé per stabilire un canale privato con Sadeq. Non è abbastanza avanzata. Pensi che questi tizi siano come i Wunch? Parassiti o barbari che fanno l'autostop sul macchinario?
Credi ci stia mentendo? risponde Sadeq.
«Hmm». Amber discende il pendio, verso la piazza, al cuore della città falsificata. «A me sembra un po' troppo umano».
«Umano», riecheggia Sadeq, con una curiosa malinconia nella voce. «Non hai detto che gli umani sono estinti?».
«La tua specie è obsoleta», commenta il fantasma, compiaciuto. «Inappropriatamente adattata alle realtà artificiali. Circuiti male ottimizzati, sensori a bassa banda eccessivamente complessi, variabili disordinatamente globali...».
«Va bene, va bene, ho capito», dice Amber, rivolgendo l'attenzione alla città. «Allora perché pensi che possiamo affrontare questo dio alieno che vi dà problemi?».
«Ha chiesto di te», dice il fantasma, restringendosi da un'ellisse a una linea, poi contraendosi in un brillante punto adimensionale. «E adesso è in arrivo. Noi/io non disposti a rischiare l'esposizione. Chiama noi/me quando avrai ucciso il drago. Addio».
«Oh merda...» Amber ruota su di sé. Ma lei e Sadeq sono soli, sotto la calda luce del sole. La piazza, come quella nella Repubblica dell'Asilo, è graziosamente rustica, ma non c'è nessuno in casa, nulla tranne elaborati mobili in ferro battuto, che si riscaldano sotto il brillante sole di mezzogiorno, un tavolo con un parasole, accanto a cui è disteso qualcosa di peloso, in uno squarcio di sole.
«Per ora sembriamo essere soli», dice Sadeq. Sorride di sbieco, poi fa un cenno con la testa. «Forse dovremmo aspettare l'arrivo del nostro ospite».
«Il nostro ospite». Amber scruta intorno a sé. «Il fantasma e abbastanza spaventato da quest'alieno. Mi chiedo perché».
«Ha chiesto di noi». Sadeq si dirige verso il tavolo, prende una sedia e si siede con cura. «Potrebbero essere ottime notizie, o pessime».
«Hmm». Amber termina la sua verifica, e non vede segni di vita.
In mancanza di idee migliori, cammina lentamente verso il tavolo e si siede sul lato opposto di Sadeq. Sembra leggermente nervoso sotto il suo sguardo indagatore, ma forse è solo l'imbarazzo per averla vista in mutande. Se avessi un aldilà del genere, sarei imbarazzata anch'io, pensa Amber.
«Ehi, sei quasi inciampata su...» Sadeq si blocca, guardando qualcosa vicino al piede sinistro di Amber. Per un attimo, sembra confuso, poi fa un largo sorriso. «Cosa ci fai tu qui?» chiede al punto cieco.
«Con chi stai parlando?» chiede, sorpresa.
Sta parlando con me, imbecille, dice qualcosa di familiare, che la provoca dal punto cieco. Così quei fottuti stanno cercando di usarti per sfrattarmi, hmm? Decisamente non è furbo.
«Chi...» Amber strizza gli occhi sul lastricato, genera un fascio di fantasmi che lacerano frettolosamente i suoi protocolli di modificazione della realtà. Nulla sembra in grado di rimuovere la cecità. «Sei l'alieno?».
«Chi altri potrei essere?» chiede il punto cieco, con pesante ironia. «No, sono il gatto di tuo padre. Ascolta, vuoi che me ne vada?».
«Uh». Amber si strofina gli occhi. «Non riesco a vederti, chiunque tu sia», dice educatamente. «Ti conosco?». Ha la curiosa sensazione di conoscere il punto cieco, e di non riuscire ad afferrare qualcosa di veramente importante, intimamente legato al suo senso di identità, ma non capisce cosa sia.
«Sì, ragazzina». C'è una nota di stanco divertimento nella nonvoce proveniente dal nebuloso punto del terreno. «Vi hanno bucati ben bene, tutti e due. Fatemi entrare, e vi riparo».
«No!» esclama Amber, un secondo prima di Sadeq, che le rivolge uno sguardo strano. «Sei veramente un invasore?».
Il punto cieco sospira. «Sono un invasore proprio come voi, Scordate? Sono venuto qui con voi. La differenza è che non lascerò che qualche stupido fantasma finanziario mi usi come valuta fungibile».
«Fungibile...» Sadeq si interrompe. «Mi ricordo di te», dice lentamente, con un'espressione di assoluta, totale sorpresa sul viso. «Cosa intendi?».
Il punto cieco sbadiglia, denudando aguzze zanne d'avorio.
Amber scuote la testa, cancellando l'allucinazione temporanea «Fammi indovinare. Ti sei svegliata in una stanza, e questo fantasma alieno ti dice che la specie umana è estinta e ti chiede di darmi una fregatura. Giusto?».
Amber annuisce, come se un gelido dito di paura le salisse e scendesse per la spina dorsale. «Sta mentendo?» chiede.
«Certo che sì». Adesso il punto cieco sorride, e il sorriso nel vuoto non scompare (vede il sorriso, manca solo il corpo a cui è legato). «La mia idea è che siamo a circa sedici anni luce dalla Terra. I Wunch sono arrivati qui, hanno svuotato i rifiuti, poi sono partiti per luoghi sconosciuti; è un immondezzaio. Non ci crederesti. La principale forma di vita è un'ecosfera commerciale incredibilmente elaborata, strumenti legali che procreano e si replicano. Rapinano senzienti di passaggio e li usano come valuta».
C'è un'appuntita testa triangolare dietro il sorriso, occhi stretti e orecchie aguzze, un volto alieno predatorio, dall'aria intelligente, ma infinitamente alieno. Amber lo vede con la coda dell'occhio quando si guarda intorno, nella piazza. «Vuoi dire che noi, uh, ci hanno presi quando siamo comparsi, e mi hanno massacrato i ricordi...». Improvvisamente Amber trova molto difficile concentrarsi, ma se mette a fuoco il sorriso, riesce quasi a vedere il corpo, ingobbito come una gallina pelosa, la coda avvolta intorno alle zampe anteriori.
«Già. Tranne che non si erano accordati per incontrare uno come me». Il sorriso è infinitamente largo, un ghigno da gatto del Cheshire all'estremità anteriore di un corpo a strisce arancio e bruno che brilla davanti allo sguardo di Amber, come un'allucinazione. «Gli strumenti per craccare che usa tua madre sono autoestensivi, Amber. Ricordi Hong Kong?».
«Hong...».
C'è un attimo di pressione indolore, poi Amber sente scivolar via, su ogni lato, enormi barriere invisibili. Si guarda intorno, vedendo per la prima volta la piazza per quel che è veramente, metà dell'equipaggio della Field Circus in nervosa attesa intorno a lei, il gatto ghignante raggomitolato sul pavimento ai suoi piedi, le enorme pareti di dati ricomplicanti che separano la loro cittadina dagli abissi spalancati, interfacce verso gli altri Router della rete.
«Bentornata», dice gravemente Pierre, mentre Amber emette un gridolino di sorpresa e si china a raccogliere il gatto. «Adesso che sei riemersa, perché non cominciamo a immaginare come tornare a casa?».

Benvenuti nel decennio sei, millennio tre. Questi antichi sistemi di datazione non significano più molto, perché mentre qualche miliardo di esseri umani fatti di carne sono ancora infettati da virus memetici, il significato della datazione teocentrica ha ricevuto una mazzata. Questi possono essere gli anni 2050, ma il loro significato dipende dalla velocità del vostro tasso di realtà. I vari cladi Upload che esplodono in ogni angolo del sistema solare variano per parecchi ordini di magnitudine, alcuni sono appena usciti dal 2049, mentre altri esplorano il millesimo millennio soggettivo.
Mentre la Field Circus galleggia in orbita intorno a un Router alieno (a sua volta orbitante intorno alla nana bruna Hyundai +4904/-56 e Amber e il suo equipaggio sono intrappolati sull'altro estremo di un tunnel spaziale che collega il Router con una rete di mentalità aliene incomprensibilmente gigantesche, mentre accade tutto questo, la specie umana è scioccamente riuscita a rendersi obsoleta. La causa prossima della sua rimozione dal vertice della creazione (o dal vertice dell'autocompiacimento teleologico, a seconda della vostra posizione sulla biologia evolutiva) è un'aggressione da parte di corporazioni autocoscienti. L'espressione «soldi intelligenti» ha assunto tutto un nuovo significato, perché lo scontro fra il diritto commerciale internazionale e la tecnologia dei neurocomputer ha fatto sorgere tutta una nuova famiglia di specie (carnivori collettivi in grado di muoversi rapidamente nella rete). Il pianeta Mercurio è stato fatto a pezzi da un consorzio di broker dell'energia, e Venere è una nube di detriti in espansione, trasformata in energia di accecante violenza grazie all'attività solare catturata e incanalata. Un milione di miliardi di computer, cavalli di Frisia grossi come un pugno, orbitano intorno al Sole con varie inclinazioni, senza superare la passata posizione di Mercurio.
Miliardi di umani fisici rifiutano di avere nulla a che fare con le nuove e blasfeme realtà. Molti leader denunciano gli Upload e le IA come macchine senz'anima. Molti altri sono timorosi, e covano memi di autoconservazione che amplificano un'avversione, in passato salutare, contro la possibilità di farsi sbucciare il cervello, come una cipolla, da robot psicomappatori, e la trasformano in una nevrosi onnipervasiva. Le vendite di cappelli di stagnola hanno aggiunto il massimo nella storia. Nondimeno, centinaia di milioni di persone hanno già scambiato le marionette di carne in macchine mentali, e si riproducono rapidamente. In pochi anni, la massa di esseri di carne sarà un'assoluta minoranza rispetto al clade postumano. Più oltre, probabilmente, ci sarà una guerra. Gli abitanti della psiconube hanno fame di materia inerte da convertire, e i corpi fisici, notoriamente, non sanno servirsi dell'insieme di silicio ed elementi rari che si ammassano in fondo al pozzo gravitazionale che è la Terra.
L'energia e il pensiero guidano un cambiamento di fase nella sostanza della materia condensata del sistema solare. Il parametro dei MIPS per kilogrammo è sul ripido ramo ascendente di una curva sigmoide (la materia inerte si anima mentre le menti bambine ristrutturano tutto per mezzo di voraci servitori nanomeccanici). In orbita intorno al sole, la psiconube in formazione finirà col diventare il cimitero di un'ecologia biologica, un altro segno nello spazio, visibile ai telescopi di qualunque specie dell'età del ferro dotata dell'acume di comprendere ciò che vede: l'agonia della materia inerte, la nascita di una realtà abitabile più vasta di una galassia e molto più veloce. Un'agonia che «in pochi secoli» significherà l'estinzione della vita biologica entro, all'incirca, un anno luce dalla stella, perché i maestosi cervelli matrioska, pur essendo i vertici della vita senziente, sono intrinsecamente ostili alla vita fisica.

Pierre, Donna l'Occhio Onniveggente e Su Ang informano Amber su quanto hanno scoperto sul Bazaar - come chiamano lo spazio a cui il fantasma si riferiva come Zona Demilitarizzata - intorno a margarita ghiacciati e in un'ottima simulazione di un locale accogliente. Alcuni vi hanno trascorso anni soggettivi, divertendosi. Ci sono tante informazioni da assorbire.
«Lo strato fisico ha un diametro di mezza ora luce, quattrocento volte le dimensioni della Terra», spiega Pierre. «Non solido, naturalmente (il componente più grande ha più o meno le dimensioni che aveva il mio pugno)». Amber stringe gli occhi, cercando di ricordare quanto fosse grande (i fattori di scala sono difficili da ricordare accuratamente). «Ho incontrato questo vecchio chat-robot che ha detto di essere sopravvissuto alla sua stella originaria, ma non sono certo che giochi a carte scoperte. Comunque, se dice la verità, siamo a un terzo di anno luce da un sistema binario ravvicinato. Usano laser orbitali grandi come Giove per alimentarlo senza avvicinarsi troppo a tutti quegli schifosi pozzi gravitazionali».
Amber è intimidita, nonostante le sue convinzioni razionali, perché questo bizzarro Bazaar è parecchie centinaia di miliardi di volte più grande dell'intera civiltà umana pre-singolarità. Cerca di non farsene accorgere dagli altri, ma è preoccupata che sia impossibile tornare a casa (un'iniziativa al di là dell'orizzonte economico degli eventi, realistica come dare a un nichelino il valore di un dollaro). Nondimeno, deve almeno provare. Solo sapere dell'esistenza del Bazaar cambierà tante cose...
«Su quanti soldi possiamo mettere le mani?» chiede. «E comunque, cosa sono i soldi da queste parti? Ammesso che abbiano un'economia mediata dalla scarsità. La larghezza di banda, forse?».
«Ah, allora». Pierre le rivolge uno sguardo strano. «Questo è il problema. Non te l'ha detto il fantasma?».
«Me l'ha detto?» Amber alza il sopracciglio. «Sì, ma non si è rivelato proprio una guida affidabile, vero?».
«Diglielo», dice Su Ang, calma. Distoglie lo sguardo, imbarazzata da qualcosa.
«Certo che hanno un'economia della scarsità», dice Pierre. «La larghezza di banda è la risorsa limitata, insieme alla materia. Tutta questa civiltà è vincolata localmente, perché se vai troppo lontano, be', ci vuole un'eternità per rimettersi al corrente coi pettegolezzi. È molto più probabile di quanto non si sia immaginato che le intelligenze dei cervelli matrioska restino in casa, anche se chiacchierano molto al telefono. E usano ciò che proviene dagli altri universi cognitivi come, be', valuta di scambio. Siamo entrati dalla fessura per le monetine. C'è da meravigliarsi che siamo finiti in banca?».
«Tutto questo è talmente brutto che non so dove cominciare», borbotta Amber. «Come ci si sono cacciati?».
«Non chiederlo a me». Pierre scrolla le spalle. «Ho la netta sensazione che qualunque essere o cosa incontriamo in questo posto non ne avrà idea più di noi. Qualunque essere o cosa abbia costruito questo cervello, non c'è più nessuno in casa, tranne le corporazioni autoalimentate e autostoppisti come i Wunch. Siamo al buio, come erano loro».
«Uh... Vuoi dire che hanno costruito questo, poi si sono estinti? Sembra così stupido...».
Su Ang sospira. «Sono diventati troppo grandi e complessi per mettersi in viaggio dopo essersi costruiti una casa più grande dove abitare. L'estinzione è di solito quanto succede agli organismi troppo specializzati che si fissano per troppo tempo in un'unica nicchia ambientale. Se si pone una singolarità, e poi la massimizzazione delle locali risorse di calcolo - per esempio questa - come normale stadio finale per i manipolatori di utensili, c'è da meravigliarsi che nessuno di loro sia mai venuto a chiamarci?».
Amber si concentra sul tavolo davanti a lei, poggia il palmo sul freddo metallo e cerca di ricordare come biforcare una seconda copia del suo vettore di stato. Un secondo dopo, il fantasma, accomodante, manipola il modello fisico del tavolo. Il ferro cede come gomma sotto i polpastrelli, con gradevole elasticità. «Okay, abbiamo un po' di controllo sull'universo, almeno è qualcosa. Nessuno ha provato qualche automodificazione?».
«È pericoloso», dice Pierre, con enfasi. «Più siamo, meglio è, prima di cominciare a fare quella roba. E ci serve qualche firewall tutto nostro».
«Quanto è profonda la realtà, qui?» chiede Sadeq. È la prima domanda che abbia fatto di sua volontà, e Amber la prende come segno positivo che sta finalmente uscendo dal guscio.
«Oh, la lunghezza di Planck in questo mondo è di un centesimo di millimetro circa. Troppo piccola per vederla, comodamente grande per i motori di simulazione. Non è come lo spazio-tempo reale».
«Insomma...» Sadeq si interrompe. «Possono zoomare la realtà, se gli serve?».
«Sì, qui i frattali funzionano». Pierre annuisce. «Non...».
«Questo posto è una trappola», dice Su Ang, enfatica.
«No, non è così», risponde Pierre, indispettito.
«Che vuoi dire, una trappola?» chiede Amber.
«Siamo qui da un po'», dice Ang. «Guarda Aineko, stesa sul lastricato, che sonnecchia e si comporta come tutte le IA debolmente superumane quando emulano un gatto che dorme. Dopo che il tuo gatto ci ha liberato, ci siamo guardati intorno. Qua fuori ci sono cose che...». Rabbrividisce. «Gli umani non possono sopravvivere in gran parte di questi spazi simulati. Universi con modelli fisici che non sostengono il nostro tipo di calcolo neurale. Potreste emigrarci, ma dovreste essere trasportati in un tipo di logica tutto nuovo (quando ci riusciste, sareste ancora voi stessi.) Però, ci sono abbastanza entità, grosso modo complesse come noi, da dimostrare che i costruttori non ci sono più. Senzienti inferiori intrufolati nel relitto. Vermi e parassiti che invadono il corpo nel campo di battaglia, sotto il cielo notturno.
«Mi sono imbattuta nei Wunch», dice Donna, servizievole. «Le prime due volte mi hanno mangiato il fantasma, ma alla fine ho capito come parlare con loro».
«E ci sono anche altri alieni», aggiunge Su Ang, cupa. «Nessuno che vorresti incontrare di notte, al buio».
«Allora non c'è speranza di contatto», riassume Amber. «Almeno, non con niente di trascendente e benintenzionato verso i visitatori umani».
«Probabilmente hai ragione», ammette Pierre. Non sembra contento della cosa.
«Così siamo incastrati in un universo tascabile con larghezza di banda limitata e un mucchio di pazzi baraccati che hanno traslocato nel palazzo abbandonato e diroccato, e che vogliono usarci come moneta. "Gesù salva e redime le anime con doni preziosi". Giusto?».
«Giusto». Su Ang appare depressa.
«Allora». Amber fissa Sadeq, con aria indagatrice. Sadeq guarda lontano, verso la folle, infinita macchia solare che circonda di ombre la piazza. «Ehi, uomo di dio. Ho una domanda per te».
«Sì?» Sadeq la guarda, con un'espressione lievemente frastornata. «Mi dispiace, è solo che mi sento intorno alla gola la morsa di una trappola più grande...».
«Non scusarti». Amber ghigna, e non è un'espressione gradevole. «Sei mai stato a Brooklyn?».
«No, perché...».
«Perché mi aiuterai a vendere un ponte a questi bastardi bugiardi. Okay? E quando lo avremo venduto, con i soldi pagheremo i fessi acquirenti per trasportarci e farci andare a casa. Ascolta, il mio progetto è questo...».

«Posso farlo, credo», dice Sadeq, esaminando di malumore la bottiglia di Klein sul tavolo. La bottiglia è semivuota, il contenuto fluido invisibile dietro l'angolo del magazzino quadridimensionale. «Ci ho passato abbastanza tempo da...». Rabbrividisce.
«Non voglio che ti faccia del male», dice Amber, abbastanza calma, perché ha la sinistra sensazione che la loro sopravvivenza in questo luogo abbia una data di scadenza.
«Oh, mai aver paura». Sadeq fa un ghigno a bocca storta. «Visto un inferno tascabile, li hai visti tutti».
«Capisci perché...».
«Sì, sì», dice, noncurante. «Non possiamo inviare delle copie, sarebbe un abominio. Deve essere spopolato, giusto?».
«Allora, l'idea è di portarci a casa, non di lasciare qui migliaia di nostre copie, intrappolate in un universo tascabile. Non è così?» chiede Su Ang, esitante. Sembra distratta, con gran parte dell'attenzione concentrata sull'assorbimento delle esperienze di una dozzina di fantasmi intessuti per provvedere alla sicurezza del perimetro.
«A chi lo vendiamo?» chiede Sadeq. «Se volete che sia io a renderla attraente...».
«Non deve essere una completa replica della Terra. Deve solo essere la pubblicità convincente di una civiltà pre-singolarità, piena di umani. Hai settantadue zombi da dissezionare per ricavarne il cervello; agganciamo insieme un fascio di variabili applicabili su di loro da permutare per farle sembrare un po' più varie».
Amber rivolge l'attenzione al gatto sonnecchiante. «Ehi, palla di pelo. Quanto tempo reale abbiamo passato qui? Puoi recuperare a Sadeq qualche altra risorsa per il giardino del suo paradiso personale?».
Aineko si stiracchia e sbadiglia, completamente felino, poi alza lo sguardo verso Amber, con gli occhi stretti e la coda alzata. «Circa diciotto minuti, tempo dell'orologio». Il gatto si stiracchia ancora e si siede, la coda raggomitolata intorno alle zampe anteriori cerimoniosamente unite. «I fantasmi stanno spingendo, lo sai? Non credo di poterlo sostenere per molto tempo. Non sono bravi a manipolare le persone, ma credo che non ci metteranno molto a istanziare una nuova copia di te, predisposta al loro fianco».
«Non capisco perché non ti abbiano assimilato insieme a noi».
«Prenditela ancora con tua madre, è stata lei a continuare ad aggiornare il codice di gestione dei diritti digitali sulla mia personalità. "La coscienza illegale è furto di copyright" fa schifo finche un alieno non cerca di riconnetterti il retrocervello con un debugger, allora diventa un salvavita». Aineko abbassa lo sguardo e comincia a leccarsi una zampa. «Posso dare al vostro mullah sei giorni circa, tempo soggettivo. Poi si chiudono le scommesse».
«Allora ci sto». Sadeq si alza. «Grazie». Sorride al gatto, un sorriso che svanisce nella semitrasparenza e indugia nell'aria simulata come un eco, mentre il sacerdote torna nella torre, ma stavolta con uno schema e un progetto in mente.
«Torniamo a noi». Su Ang guarda Pierre e poi Amber. «A chi venderai questo folle progetto?».
Amber appoggia la schiena e sorride. Dietro di lei, Donna - il suo avatar, un'arcaica cinepresa sospesa sotto il modellino di un elicottero - filma tutto per la posterità. Annuisce pigramente in direzione della reporter. «È stata lei a darmi l'idea. Chi conosciamo che sia abbastanza stupido da bersi un imbroglio come questo?».
Pierre la guarda sospettoso. «Penso che ci siamo già passati», dice lentamente. «Non mi farai uccidere qualcuno, vero?».
«Credo che non sarà necessario, a meno che i fantasmi finanziari non pensino che stiamo fuggendo da loro, e non siano tanto avidi da volerci uccidere».
«Lo vedi, ha imparato dall'ultima volta», commenta Ang, e Amber annuisce. «Niente più fraintendimenti, giusto?». Rivolge ad Amber un sorriso radioso.
Amber le restituisce il sorriso. «Giusto. Ed è per questo che», indica Pierre, «andrai a scoprire se ci sono in giro reliquie dei Wunch. Voglio fare un'offerta che non rifiuteranno».

«Quanto solo per la civiltà?» chiede la Lumaca.
Pierre la guarda pensieroso. Non è veramente un mollusco terrestre: sulla Terra le lumache non sono lunghe due metri e non hanno un vezzoso esoscheletro bianco per stabilizzare la forma della loro carne color cioccolato. D'altra parte, non è veramente l'alieno che sembra essere. È un atto societario inadempiente che si è travestito da Upload alieno estinto, sperando di non essere riconosciuto dai suoi creditori se appare come un essere senziente evoluto casualmente. Uno dei naufraghi della spedizione di Amber stabilì il contatto con lui un paio di anni soggettivi fa, esplorando le rovine della città al centro del firewall. Adesso Pierre è qui perché sembra essere uno degli indizi più promettenti. Con enfasi sulla parola promettente (perché promette molto, ma c'è da chiedersi se davvero sia in grado di mantenere).
«La civiltà non è in vendita», dice lentamente Pierre. L'interfaccia di traduzione vacilla, memorizzando le sue parole e trasformandola in una grammatica profonda diversa, non solo traducendo la sintassi ma mappando significati equivalenti, se necessario. «Ma possiamo darti lo status di osservatore privilegiato se è quello che vuoi. E noi sappiamo chi sei. Se ti interessa trovare un nuovo mercato in cui scambiarti, i tuoi esistenti capitali di proprietà intellettuale varranno molto di più».
La finanziaria illegale arretra lievemente, e si contrae in un grumo più grasso, dalla pelle a chiazze rosse. «Devo pensarci. Il tuo ciclo temporale di contabilità obbligatoria è un termine fisso o variabile. Le entità finanziarie proprietarie di sé hanno la possibilità di stringere un contratto?».
«Potrei chiederlo al mio cliente», dice Pierre, noncurante. Sopprime una pugnalata di angoscia. Ancora non è certo della situazione sua e di Amber, ma il loro è molto più di un rapporto d'affari, e si preoccupa dei rischi che lei corre. «Il mio cliente ha una giurisdizione nell'ambito della quale può modificare il diritto commerciale per accogliere le tue esigenze. Le tue attività su scala maggiore potrebbero richiedere società schermo» - quest'ultimo concetto riecheggia tradotto come organismi ospite - «ma si può provvedere».
La membrana di traduzione sfarfalla per un po', in apparenza riformulando concetti astratti in una maniera che la finanziaria possa assorbirli. Pierre, tuttavia, è ragionevolmente fiducioso che accetterà l'offerta. La prima volta che li incontrò, si era vantato del suo controllo, ai livelli minimi, sull'hardware del Router. Ma brontolava e si lagnava dei protocolli del firewall che gli impedivano di andarsene (prima di cercare, piuttosto maleducatamente, di divorare gli interlocutori). Aspetta paziente, guardando il paesaggio paludoso, un pantano punteggiato di spinose felci viola. La finanziaria deve essere disperata per prendere in considerazione la bizzarra proposta escogitata da Amber.
«Sembra interessante», dichiara la Lumaca dopo una breve discussione di conferma con la membrana. «Se fornisco un genoma idoneo, puoi realizzare un contenitore?».
«Credo di sì», dice attentamente Pierre. «Da parte tua, puoi consegnarci l'energia che ci serve?».
«Da un portale?». Per un attimo la membrana di traduzione produce l'allucinazione di un umano rinsecchito che alza le spalle. «Facile. I portali sono tutti in correlazione: scarica radiazione coerente nella prima, la riprendi nell'altra. Prima portami fuori da questo firewall».
«Ma il ritardo della velocità della luce...».
«Nessun problema. Tu vai per primo, poi uno strumento inerte che mi lascio dietro rastrella l'energia e la inoltra. La rete dei Router è sincrona, nell'ambito della struttura delle macchine di stato che eseguono l'Universo 1.0; i messaggi si propagano alla stessa velocità, la velocità della luce nel vuoto, tranne quando si usano i tunnel spaziali per abbreviare la distanza fra un nodo e l'altro. Tutto il punto della rete è azzerare le perdite. Chi affiderebbe la sua mente a un canale di comunicazione che potrebbe randomizzarlo nel percorso?».
Pierre spalanca gli occhi, cercando di capire le implicazioni della cosmologia della Lumaca. Ma non c'è tempo, qui e adesso. È rimasto un tempo dell'ordine di un minuto cronologico per sistemare tutto, se Aineko ha ragione. Un minuto, prima che i fantasmi, rabbiosi, cerchino di penetrare nella ZDM con altri mezzi. «Se sarai disposto a fare il tentativo, saremo lieti di agevolarti», dice, pensando a dita incrociate, zampe di coniglio e firewall.
«Affare fatto», la membrana gli traduce la risposta della Lumaca. «Adesso scambiamo azioni/plasmidi/proprietà? Poi fusione completa?».
Pierre fissa la Lumaca. «Ma questo è un accordo d'affari», protesta. «Cosa c'entra il sesso?».
«Offro le scuse. Penso che abbiamo un errore di traduzione. Hai detto che sarebbe stata una fusione commerciale?».
«Non così. È un contratto. Accettiamo di portarti con noi. In cambio, ci aiuti ad attirare i Wunch nel dominio che stiamo allestendo per loro, e a configurare il Router all'altro estremo...».
E così via.

Facendosi coraggio, Amber ricorda l'indirizzo, datole dal fantasma, dell'universo dell'aldilà di Sadeq. Nel suo tempo soggettivo, è passata una mezz'ora da quando è andato via. «Arriva?».
«Non credo di volerlo», dice Aineko. Distoglie lo sguardo, beatamente disinteressato.
«Bah», Amber si contrae, poi apre il portello dell'universo tascabile di Sadeq.
Come sempre si ritrova all'interno, in piedi su un elaborato pavimento a mosaico, in una stanza dalle mura imbiancate e dalle finestre a punta. Ma c'è qualcosa di diverso, e dopo un attimo capisce cos'è. Il rumore del traffico dei veicoli all'esterno, il tubare dei piccioni sul tetto, qualcuno che grida in strada: ci sono persone.
Va alla finestra più vicina e guarda fuori, poi si ritrae. Fuori fa caldo. Nell'aria color cemento sono sospese polveri e fumi, su palazzi dalle pareti grezze e dal tetto ricoperto da collegamenti satellitari e dai LED di dozzinali, chiassosi pannelli pubblicitari Abbassando lo sguardo, vede scooter, macchine - sporchi colossi a combustibile fossile, una tonnellata d'acciaio ed esplosivi in movimento per trasportare un solo umano, un rapporto di massa peggiore di un arcaico ICBM - persone dai vestiti brillanti che vanno avanti e indietro. In alto, ronza una elicam giornalistica, dalle lenti guizzanti e scintillanti in direzione del traffico.
«Sembra casa, non è vero?» dice Sadeq, dietro di lei.
Amber sobbalza. «È qui che sei cresciuto? Questa è Yazd?».
«Non esiste più, nello spazio reale». Sadeq sembra assorto, ma è molto più animato della caricatura di sé, appena cosciente, che ha tratto in soccorso nell'edificio - quando era una visione medievale dell'aldilà - poche ore soggettive fa. Accenna un sorriso. «Probabilmente è buona cosa. La stavamo smantellando mentre ci preparavamo a partire, lo sai?».
«È dettagliato». Amber lancia gli occhi verso la scena fuori dalla finestra, li multipla e dice loro di inviare piccoli fantasmi virtuali a danzare fra le strade del sobborgo industriale iraniano. In alto, grossi Airbus fanno la spola sulle rotte aeree, portando pellegrini alla haji, turisti nelle stazioni costiere sul Golfo Persico, prodotti alimentari ai mercati esteri.
«È il momento migliore che ricordi», dice Sadeq. «Non ci ho passato molti giorni allora - ero a Qom a studiare, e in Kazakhstan, per l'addestramento da cosmonauta - ma dovrebbero essere gli anni Venti. Dopo i disordini, dopo la caduta dei Guardiani; un paese giovane, energico, liberale, pieno di ottimismo e di fede nella democrazia. Valori che non se la cavavano bene altrove».
«Pensavo che qui la democrazia fosse una novità».
«No». Sadeq scuote la testa. «A Teheran c'erano state rivolte pro-democrazia nel Diciannovesimo secolo, lo sapevi? È per questo che la prima rivoluzione... no». Fa il gesto di tagliar corto. «La politica e la fede sono una combinazione infiammabile». Aggrotta le sopracciglia. «Ma guarda. È questo che volevi?».
Amber si ricorda dei suoi occhi sparpagliati - alcuni sono volati fino a mille chilometri dalla sua posizione - e si concentra a reintegrare la visione della ri-creazione di Sadeq. «Sembra convincente. Ma non troppo».
«L'idea era quella».
«E allora?». Gli sorride. «È solo l'Iran? O ti sei preso delle libertà qua e là?».
«Chi, io?». Alza un sopracciglio. «Ho abbastanza dubbi sulla moralità di questo... progetto, senza cercare di invadere il territorio di Allah, la pace sia con lui. Ti assicuro, in questo mondo non ci sono esseri senzienti tranne noi. Le persone sono i gusci vuoti dei miei sogni, manichini di finzione. Gli animali sono rozze visualizzazioni. È quanto hai chiesto, e nient'altro».
«E allora?» Amber si interrompe. Ricorda l'espressione sul viso sporco di un ragazzino che fa rimbalzare una palla verso i suoi compagni, in prossimità della facciata di tavole di una pompa di benzina, su una strada nel deserto; ricorda l'animato chiacchiericcio di due casalinghe sintetiche, una vestita tradizionalmente di nero, l'altra secondo la moda eurotrash d'importazione. «Sei sicuro che non sono reali?» chiede.
«Sicurissimo». Per un attimo, però, vede Sadeq incerto. «Andiamo? Gli occupanti sono già pronti a trasferirsi?».
«Sì alla prima domanda, e Pierre sta lavorando alla seconda. Andiamo, non vogliamo farci calpestare dagli squatter». Muove la mano e apre una porta che dà sulla piazza dove il gatto robot - l'intruso da incubo della ZDM, secondo gli alieni - dorme, inseguendo nel sogno topi superintelligenti, attraverso realtà multidimensìonali. «A volte mi chiedo se io sono cosciente. Questi pensieri mi danno i brividi. Andiamo a vendere agli alieni un ponte a Brooklyn».

Amber affronta il fantasma mendace nella stanza priva di finestre, rubata da 2001: Odissea nello spazio.
«Avete imprigionato il mostro», afferma il fantasma.
«Sì». Amber aspetta un attimo soggettivo, sentendo fronde delicate che le solleticano i margini della consapevolezza in quel che sembra un attacco al canale di temporizzazione. Sente un momentaneo impulso di starnutire, e un caldo lampo d'ira, che svanisce quasi subito.
«E ti sei modificata per escludere il controllo esterno», aggiunge il fantasma. «Cos'è che vuoi, Autonoma Amber?».
«Non avete alcun concetto dell'individualità?» chiede, infastidita dalla presunzione di manipolarle gli stati interni.
«L'individualità è un'inutile barriera al trasferimento dell'informazione», dice il fantasma, mutando nella forma originaria, un riflesso semitrasparente del corpo di Amber. «Riduce l'efficienza di un'economia capitalista. Un grosso blocco della ZDM è ancora inaccessibile per noi/me. Sei certa di avere sconfitto il mostro?»
«Ti accontenterai di quel che dico», risponde Amber, costringendosi ad apparire più fiduciosa di quanto non sia (a volte quel dannato gatto cyborg transumano non è più prevedibile di un felino reale). «Adesso si presenta la questione del pagamento».
«Il pagamento». Il fantasma sembra accalorato. Ma Pierre l'ha messa al corrente di cosa cercare, e adesso Amber può vedere le membrane di traduzione. Il loro spostamento di colore crea una mappa che raggiunge un'enorme distanza semiotica; sull'altro lato, la creatura, anche se sembra una sua immagine spettrale, è tutt'altro che umana. «Come ci si aspetta che paghiamo il servizio reso?».
Amber sorride. «Vogliamo un canale aperto per tornare al Router da cui siamo arrivati».
«Impossibile», dice il fantasma.
«Vogliamo un canale aperto, e che rimanga aperto per seicento milioni di secondi dopo che siamo passati».
«Impossibile», ripete il fantasma.
«Possiamo venderti un'intera civiltà», dice blandamente Amber. «Un'intera nazione umana, milioni di individui. Lasciaci andare, e provvederemo».
«Tu... prego aspetta». Il profilo del fantasma ha un lieve tremolio.
Amber apre un canale privato con Pierre mentre il fantasma conferisce con gli altri nodi. I Wunch sono già al loro posto? Invia.
Stanno arrivando. Questo mucchio non ricorda cosa sia successo sulla Field Circus. I ricordi di quegli eventi non li hanno mai raggiunti. Così la Lumaca li ha fatti cooperare. È piuttosto pauroso da guardare, come L'invasione degli ultracorpi, lo sai?
Non mi importa se è pauroso da guardare, risponde Amber. Devo sapere se siamo già pronti.
Sadeq dice di sì, l'universo è pronto.
Bene, prepara le valigie. Presto traslocheremo.
Il fantasma si consolida davanti a lei. «Tutta una civiltà?», chiede. «Non è possibile. Il tuo arrivo...». Si interrompe, vacillando un po'. Ah, colpito!, pensa Amber. Bugiardo, ti ho beccato! «Non puoi aver scoperto una civiltà umana negli archivi».
«Il mostro arrivato con noi, di cui ti lamenti, è un predatore», afferma blandamente. «Ha ingoiato un'intera nazione prima che noi eroicamente attirassimo la sua attenzione e lo portassimo a seguirci nel Router. È un archivoro (era tutto dentro di lui, ancora congelato prima che lo espandessimo nuovamente). Questa civiltà sarà già stata ricostruita dalle calde ombre del nostro sistema solare Non c'è niente da guadagnare portandola a casa con noi. Ma dobbiamo restituirla per assicurarci che nessun altro predatore di questo tipo scopra il Router, o il nodo a banda alta a cui lo abbiamo collegato».
«Siete certi di avere ucciso questo mostro?» chiede il fantasma. «Sarebbe inopportuno se dovesse riemergere sotto forma di archivi digest».
«Posso garantire che non vi darà altri fastidi se ci lasciate andare», dice Amber, incrociando mentalmente le dita. Il fantasma non sembra aver notato l'enorme cuneo di dati frattalmente compressi che rigonfia di vari ordini di magnitudine il suo ambito. Sente ancora nella testa il sorriso di saluto di Aineko, un'eco di denti d'avorio che confida che lo resusciterà se il piano di fuga avrà successo.
«Noi accettiamo». Il fantasma si contorce in modo bizzarro, muta la forma in un'ipersfera pentadimensionale. Per un attimo, ribolle violentemente, poi sputa un piccolo dono, una deforme distorsione nell'aria, come un buco nero privo di gravità. «Ecco il tuo passaggio. Mostraci la civiltà».
«Okay» - Adesso! - «prendi». Amber contrae un muscolo immaginario, e una parete della stanza si dissolve, formando una soglia che conduce nell'inferno esistenziale di Sadeq, adesso ridecorata come un buon facsimile di una città industriale iraniana del Ventunesimo secolo, e popolata da parassiti wunchosi che non riescono a credere alla loro fortuna, un'intero continente di zombi in attesa di ospitare la loro coscienza affamata di carne.
Il fantasma volteggia verso la finestra aperta. Amber afferra il buco e lo spalanca, riprende il controllo sui propri pensieri e invia Spalancati! nel canale su cui tutti sono in ascolto. Per un attimo il tempo resta immobile, e poi...

Una gemma sintetica, grande come una lattina di Coca Cola, cade attraverso il freddo del vuoto, in orbita alta intorno a una nana bruna. Ma il vuoto è tutt'altro che buio. Un'abbagliante luce color zaffiro, brillante come il sole di mezzogiorno su Marte, splende sul folle diamante, rigonfiandosi e ricadendo dalle vele, fine come bolle di sapone che lentamente fluttuano e si tendono per allontanarsi dalla lattina. Il proxy della finanziaria-Lumaca in fuga ha bucato il firmware del Router, e il portale spalancato del tunnel spaziale che lo alimenta risplende col fulgore della palla di fuoco di un'esplosione nucleare, come laser incanalati da una stella ad anni luce di distanza per dar energia alla Field Circus nel suo viaggio di ritorno verso il sistema solare, che una volta era umano.
Amber si è ritirata, con Pierre, in una simulazione della sua casa a bordo dell'Impero dell'Anello. Una parete della camera da letto è una solida lastra di diamante, orientata, oltre la ionosfera, in un'orbita abbastanza bassa da far sembrare piatto l'orizzonte. Sono raggomitolati insieme sul letto, una copia lievemente più comoda del letto reale di Re Enrico VIII d'Inghilterra. Sembra essere stato ricavato da assi in quercia vecchie di mille anni. Come tante altre cose nell'Impero dell'Anello, le apparenze ingannano, e questo vale ancor più per gli angusti spazi simulati a bordo della Field Circus, mentre zoppica fino a raggiungere un decimo della velocità della luce, la massima velocità raggiungibile con un decimo dell'originaria superficie di velatura.
«Fammi capire. Hai convinto gli abitanti del posto che una simulazione dell'Iran, con corpi zombi controllati da membri dei Wunch, era una civiltà umana».
«Già». Amber si stiracchia pigramente e gli sorride. «È colpa loro; se le entità finanziarie collettive non usassero punti di vista consapevoli come denaro, non sarebbero caduti in un trucco del genere, o no?».
«Persone. Soldi».
«Be'...». Lei sbadiglia, poi si mette seduta e schiocca imperiosamente le dita. Cuscini imbottiti le compaiono dietro la schiena, e un vassoio d'argento con due bicchieri pieni di vino si materializza fra loro. «Anche da noi le corporazioni sono forme di vita, o no? E noi le scambiamo. Le diamo alle nostre IA per renderle soggetti legali, ma l'analogia è più profonda. Guarda il quartier generale di qualunque società, equipaggiato con opere d'arte, mobili costosi, con lo staff che si inchina e striscia, ovunque...».
«... Sono la nuova aristocrazia. Giusto?».
«Sbagliato. Quando assumono il controllo, il risultato è piuttosto la nuova biosfera. Diavolo, il nuovo brodo primordiale: procarioti, batteri e alghe, che sciamano noncuranti e scambiano soldi per plasmidi». La Regina passa un bicchiere di vino al consorte. Quando beve, si riempie miracolosamente. «Fondamentalmente, algoritmi di allocazione di risorse sufficientemente complessi riallocano le risorse scarse... e se non salti per toglierti di mezzo, riallocheranno te. Credo sia successo così all'interno del cervello matrioska in cui siamo finiti. A giudicare dalla Lumaca, succede anche altrove. C'è da chiedersi da dove siano venuti i costruttori di quella struttura. E dove siano andati. E se si siano resi conto che il destino della vita intelligente in grado di usare utensili era fungere da punto di svolta per l'evoluzione degli atti societari».
«Forse hanno cercato di smantellare le società prima che le società smantellassero loro». Pierre ha l'aria preoccupata. «Gestire il debito nazionale, importare lussuose estensioni del punto di vista, sgranocchiare sogni esotici. Una volta collegata nella rete, una primitiva civiltà matrioska sembrerebbe, uhm...». Si interrompe. «Tribale. Una civiltà primitiva postsingolarità che incontra per la prima volta la rete galattica. Intimorita. In cerca di ogni lusso. Spendendo tutto il capitale, il suo capitale umano, o alieno, le macchine memetiche che li hanno costruiti. Finché rimane solo un deserto urlante di meccanismi finanziari in cerca di qualcuno da possedere».
«Speculazione».
«Speculazione oziosa», concorda lui.
«Ma non la possiamo ignorare». Lei annuisce. «Forse i primi predatori finanziari hanno costruito le macchine che hanno diffuso i tunnel spaziali intorno alle nane brune e in più gestiscono la rete di Router nel tentativo di far soldi velocemente. Non ponendoli nei reali sistemi planetari che hanno probabilità di ospitare vita in grado di usare utensili, si assicurerebbero che solo civiltà prossime alla singolarità vi si imbatterebbero. Probabilmente, le civiltà che sono andate troppo oltre per essere prede facili non invierebbero navi in osservazione... così la rete si assicurerebbe un continuo flusso di provinciali da spennare, nuovi nella metropoli. Solo che hanno messo in moto il meccanismo miliardi di anni fa, Per poi estinguersi, lasciando che la rete si propagasse, e adesso non c'è niente tranne civiltà matrioska esaurite e parassiti ululanti come i fantasmi rabbiosi e i Wunch. E vittime come noi».
Rabbrividisce e cambia argomento. «Parlando di alieni, la Lumaca è felice?».
«L'ultima volta che ho controllato, sì». Pierre soffia sul bicchiere di vino, che si dissolve in un milione di schegge di luce. Sembra dubbioso sentendo parlare dell'atto societario illegale che hanno portato con loro. «Non mi fido ancora abbastanza da dargli accesso illimitato agli spazi sim, ma ci ha consegnato il controllo fine per il laser del Router. Spero solo che tu non lo debba mai veramente usare, se mi segui. Mi preoccupa un po' che Aineko ci passi tanto tempo».
«Allora è lì che si trova? Mi stavo preoccupando».
«I gatti non vengono mai quando li chiami, giusto?».
«È così», concorda lei. Poi, con uno sguardo allarmato all'immagine delle nubi di Giove: «Mi chiedo cosa troveremo quando ci arriveremo».
Fuori dalla finestra, l'immaginaria linea di illuminazione gioviana avanza verso di loro con sinistra rapidità, risucchiandoli verso un incerto paesaggio notturno.



PARTE 3
Singolarità


C'è un fesso che nasce ogni minuto.

P.T. Barnum



7. Curatore

Sirhan è sull'orlo di un abisso e guarda il ribollire grigio-arancio delle nuvole giù in basso. L'aria, così vicino al bordo, è fresca e sa leggermente di ammoniaca, anche se magari è solo frutto della sua immaginazione (ci sono poche probabilità che avvenga uno scambio di gas attraverso la parete trasparente della città volante). Ha l'impressione che basterebbe allungare la mano per toccare il vapore vorticante. Non c'è nessun altro in giro, così vicino al bordo. È agghiacciante scrutare le profondità intorbidite, guardare un oceano di gas talmente freddo che la carne umana congelerebbe in pochi secondi, e sapere che là fuori non c'è nulla di solido per decine di migliaia di chilometri. La sensazione d'isolamento è aggravata dalla scarsità di banda, a una simile distanza dal sistema. Molti si raggruppano vicino al mozzo, cercando conforto, calore e bassa latenza: i postumani sono gregari.
Sotto i piedi di Sirhan, la città-ninfea si sta estendendo, brontola e ribolle in infiniti circuiti autosimili, come un blastoma cubista che cresce nell'atmosfera superiore di Saturno. Grandi tubi aspirano metano e altri gas atmosferici, danno energia, polimerizzano, diamantizzano e spaccano l'idrogeno per riempire le cellule elevatrici su in alto. Oltre la cupola color zaffiro della sacca atmosferica della città, una stella celeste abbaglia con un puntino di luce laser; la prima - e finora ultima - nave spaziale dell'umanità, che rallenta in orbita con quel poco che rimane della sua vela fotonica squarciata.
Si sta chiedendo con malizia come reagirà sua madre quando verrà a sapere di essere in bancarotta, quando la luce in alto inizia tremolare. Una cosa grigia e disgustosa si spiaccica contro la curvatura della parete quasi invisibile davanti a lui, lasciando una chiazza. Fa un passo indietro e alza lo sguardo, furioso. «Fanculo!» grida. Una risata rauca e tubante lo segue lontano dal bordo, voci strafottenti di piccioni selvatici. «Dico davvero», avverte, facendo un rapido gesto sopra la testa. Ali che battono in un rombo di tuono mentre una striscia di vento si solidifica, nanomacchine batuffolose sospese sulla brezza, serrate a formargli un ombrello sulla testa. Su tutte le furie, esce dal perimetro, lasciando i piccioni in cerca di un'altra vittima.
Infastidito, Sirhan trova una collinetta erbosa a circa duecento metri dall'orlo, dietro la curva della ninfea venendo dai palazzi del museo. Si trova abbastanza lontano da altri umani per potersi sedere indisturbato con i suoi pensieri, abbastanza lontano per vedere oltre il bordo senza essere bomba-lordato dagli stormi di topi volanti. (La città volante, per quanto sia il prodotto di una tecnologia avanzata quasi inimmaginabile vent'anni prima, è piena di bachi - la complessità del software e le regole di ridimensionamento hanno fatto sì che i precedenti decenni di cambiamento abbiano funzionato come un periodo di inflazione cosmologica per gli errori di progettazione, e un'infestazione di piccioni migratori è senza dubbio il più inspiegabile dei problemi di questa biosfera).
Nel tentativo di escludere le più sgradite manifestazioni della cybernatura, si siede all'ombra di un melo e chiama a raccolta i suoi mondi. «Quando arriva la nonna?» chiede a uno di loro, parlando mediante un telefono d'antiquariato con il mondo dei servi, dove ogni cosa è obbediente e sa stare al suo posto. La città lo asseconda, per le proprie ragioni.
«È ancora incapsulata, ma l'aerofrenatura è quasi finita. Il suo corpo arriverà in fondo al pozzo in meno di due megasecondi». In questo cinema virtuale, l'avatar della città è un discreto maggiordomo vittoriano, rispettabile e impassibile. Sirhan evita le interfacce a memoria intrusiva; per essere un diciottenne, è conservatore fino all'affettazione, preferendo i comandi vocali e gli agenti antropomorfi agli invisibili legami delle reti neurali virtuali.
«Sei certo che il trasferimento sia andato bene?» chiede Sirhan ansioso. Ha sentito molte cose su sua nonna quand'era giovane, e poche erano positive. Tuttavia, quella vecchia ciabatta doveva essere molto più flessibile di quanto sua madre abbia mai lasciato intendere, per sottoporsi a un trattamento del genere per la prima volta, alla sua età.
«Ne sono più che certo, padroncino, per quanto si possa dire di chi insiste nell'attenersi al proprio fenotipo originale senza il beneficio di supporti fuori rete o impianti medici. Sono spiacente che l'onniscienza non sia alla mia portata. Desidera che faccia ulteriori indagini specifiche?».
«No». Sirhan fissa il bagliore luminoso della luce laser, visibile anche attraverso la bolla di sapone della membrana che separa la miscela di gas respirabile e le migliaia di miliardi di litri di idrogeno caldo nella calotta superiore. «Sei proprio sicuro che arriverà prima della nave?». Sintonizzando gli occhi sull'ultravioletto, guarda i picchi di emissione, vede il lento sfarfallio della modulazione AM in banda bassa, l'unica cosa gestibile attraverso la comunicazione satellitare, finché la nave spaziale non giungerà nel raggio d'azione del sistema. Continua a inviare la stessa domanda, irritante e ripetitiva, che ha fatto per tutta la settimana, chiedendo perché sia stato reindirizzato su Saturno, sollevando dubbi sul rifiuto di fornire a credito i terawatt di energia di propulsione.
«Ne può essere sicuro, a meno che non ci sia un picco nel loro raggio di potenza», risponde Città, rassicurante. «E può stare certo anche del fatto che sua nonna si riprenderà comodamente».
«Si spera». Decide che per intraprendere il viaggio interplanetario di persona, alla sua età, senza aggiornamenti o accessori, ci deve volere coraggio. «Quando si sveglia, se non sono da queste parti, chiedetele a mio nome un appuntamento per un colloquio. Per gli archivi, naturalmente».
«Ne sarò lieto». Città annuisce garbatamente.
«Questo è tutto», dice Sirhan con indifferenza, mentre la finestra del servo si chiude. Poi riporta lo sguardo sulla punta di spillo dell'abbagliante luce laser blu vicino allo zenit. Iella nera, mamma, subvocalizza per la memoria giornaliera. La sua attenzione è quasi interamente fissata sul presente, concentrata sulla storica botta di fortuna che lo raggiunge dalle profondità della singolarità, sotto forma del trentennale teatro cartesiano della sonda Whisp. Ma riesce ancora a provare un po' di gioia per le disgrazie economiche della famiglia. Ora tutti i tuoi beni appartengono a me. Sorride, interiormente. Dovrò soltanto assicurarmi che se ne disponga in maniera sensata, questa volta.

«Non capisco perché ci stiano deviando verso Saturno. Non è che magari hanno già smantellato Giove, vero?» chiede Pierre, ruotando pensosamente tra il pollice e le altre dita la bottiglia di birra ghiacciata.
«Perché tu non chiedi Amber?» risponde il velociraptor rannicchiato di fianco al lungo tavolo. (L'accento ucraino di Boris non è ostacolato dalla laringe del dromeosauride; in realtà, è un vezzo, di quelli che potrebbe tranquillamente eliminare installando una patch di pronuncia inglese, se volesse).
«Be'». Pierre scuote la testa. «Passa tutto il tempo con quella Lumaca, senza accesso multiplo, con il controllo della privacy attivato. Potrei ingelosirmi». La sua voce non rivela alcuna vera preoccupazione.
«Ingelosirti per cosa? Basta tu chiedi appuntamento per parlare con te, fare amore, fare vedere tu bravo ragazzo, tutto».
«Ah!» sghignazza Pierre arcigno, poi si versa in bocca le ultime gocce della bottiglia. La lancia in direzione di un ammasso di cicadi, poi schiocca le dita; ne appare un'altra al suo posto.
«Comunque sono due megasecondi da Saturno», specifica Boris, poi fa una pausa per affilare i corti incisivi lungo il bordo del tavolo. Le zanne stritolano il legno come se fosse cartoncino bagnato. «Grrrrr. Io vedo molto particolare spettro di emissione da sistema solare interno. Diffìcile volare in fondo a pozzo gravitazionale. Io mi chiedo, miglioramento di materia inerte estende orbita post gioviana ora?».
«Mmm». Pierre beve un sorso dalla bottiglia e la mette giù. «Questo spiegherebbe la deviazione. Ma perché sull'Anello non hanno dato più potenza ai laser per noi? Non ci hai pensato». Per ragioni ignote, l'enorme batteria dei laser di lancio si era spenta, qualche milione di secondi dopo l'ingresso nel Router dell'equipaggio della Field Circus, lasciandola alla deriva nel gelo dell'oscurità.
«Io non so perché non parlano». Boris alza le spalle. «Almeno sono vivi ancora là. Si vede da pezzo "fate rotta per Saturno, seguendo elementi orbitali questo e quello". Qualcuno fa attenzione. Io dico te da inizio, però, trasformare intero sistema solare in computronium è molto brutta idea, a lungo andare. Chi sa dove è arrivata già?».
«Mmm, di nuovo». Pierre disegna un cerchio in aria. «Aineko», chiama, «sei in ascolto?».
«Non mi rompere». Appare un sorriso verde pallido nel cerchio, solo un accenno di grinfie e vibrisse appuntite come spilli. «Avevo in progetto di dormire furiosamente».
Boris gira uno degli occhi indipendenti e sbava sulla tavola. «Gnam gnam», mugugna, lasciando che il suo cervello corporeo sauriano formuli una parola.
«A che cosa ti serve dormire? Questa è una simulazione del cazzo, se non te ne fossi accorta».
«Mi piace dormire», risponde la gatta, scuotendo in maniera irritante la coda, che iniziava a diventare visibile. «Che cosa vuoi? Pulci?».
«No, grazie», dice Pierre in fretta. L'ultima volta che ha visto il bluff di Aineko, la gatta ha riempito tre interi universi tascabili di grigi topi frenetici. Uno degli svantaggi di volare a bordo di una nave spaziale delle dimensioni di una scatoletta di fagioli stufati piena di materia intelligente era che qualcuno dei passeggeri diventasse troppo creativo con il sistema di controllo della realtà. Questa oziosa chiacchierata cretacica non era altro che la partizione per lo svago di Boris; paragonata ad alcuni degli altri spazi di simulazione a bordo della Field Circus, era fin troppo conservatrice. «Senti, hai degli aggiornamenti su cosa succede in fondo al pozzo? Siamo a soli venti giorni oggettivi dall'inserzione orbitale, e c'è così poco da vedere...».
«Non ci danno potenza». Adesso Aineko si materializza completamente, una gattona bianco-arancio con un ciuffo di pelo marrone a forma di chiocciol@ sul costato. Per qualche motivo, si piazza sul tavolo provocatoriamente vicino al naso del corpo da velociraptor di Boris. «Senza laser di propulsione non si ha banda sufficiente. Stanno parlando in testo Latino-1 a 1200 baud, se ti interessa». (Che è un insulto, vista la capacità di immagazzinamento multi-avabit della nave - un avabit è un numero di Avogadro di bit; circa 10 alla 23 byte, diversi miliardi di volte le dimensioni di Internet nel 2001 - e una banda di comunicazione offensiva). «Amber ha detto di andarla a trovare adesso. Aula delle udienze. Informale, ovviamente. Credo che ne voglia discutere».
«Informale? Io bene senza cambiare corpo?».
La gatta sbuffa. «Io sto indossando una vera pelliccia», dichiara altezzosamente, «ma senza le mutande». Poi scompare una frazione di secondo dopo il zicche-zacche delle fauci da Bandersnatch.
«Andiamo», dice Pierre, alzandosi. «È ora di vedere cosa vuole oggi Sua Maestà da noi».

Benvenuti nel decennio otto, terzo millennio, dove gli effetti del cambiamento di fase nella struttura del sistema solare sono finalmente diventati visibili su scala cosmologica.
Ci sono circa undici miliardi di primati sconvolti dal futuro in vari stati vitali e non-morti in tutto il sistema solare. La maggior parte si raccoglie dove la banda interpersonale è più calda, giù nella zona acquatica intorno alla vecchia Terra. La biosfera terrestre è stata in terapia intensiva per decenni, con strani sfoghi di replicatori bollenti, in eruzione da tutte le parti prima che l'Organizzazione Mondiale della Sanità riuscisse a sistemarli… melassa grigia, tilacini, draghi. L'ultimo grande impero commerciale transglobale, diretto dalle arcologie di Hong Kong, è collassato insieme al capitalismo, reso obsoleto da un gruppetto di algoritmi deterministici superiori di allocazione delle risorse chiamati collettivamente Economia 2.0. Mercurio, Venere, Marte e la Luna sono in via di disintegrazione, la massa pompata in orbita con l'energia rubata alla foschia di elementi termoelettrici in volo libero, che si radunano densi attorno ai poli solari, facendo assomigliare il Sole a un rosso gomitolo di lana, delle dimensioni di una giovane gigante rossa.
Gli umani non sono altro che utilizzatori di strumenti a malapena intelligenti; la selezione evoluzionista darwiniana si è fermata quando l'uso della lingua e l'uso degli strumenti sono venuti a convergere, lasciando tristemente privo di ingegno il peloso portatore di meme medio. Adesso l'abbagliante faro della sapienza non è più in mano agli umani (il loro entusiasmo contagioso si è sparso in una miriade di altri ospiti, molti dei quali sono qualitativamente più bravi a pensare). A conti fatti, c'era un migliaio di specie intelligenti non umane nello spazio solare, equamente suddivise in postumani da una parte, IA autorganizzanti naturali in mezzo e mammiferi non umani dall'altra. In moltissime specie in grado di trasportare, alimentare e raffreddare mezzo chilo di materia grigia, la comune carrozzeria neurale dei mammiferi è facilmente aggiornabile per raggiungere l'intelligenza di tipo umano, e i discendenti di un centinaio di tesi di dottorato eticamente svantaggiate ora esigono pari diritti. E lo fanno anche i morti senza pace: i fantasmi, caricati nella rete panottica, delle persone vissute abbastanza di recente da aver impresso la propria identità nell'era dell'informazione, e gli ambiziosi schemi teologico-ingegneristici della Chiesa Tiplerita Riformata dei Santi dell'Ultimo Giorno (che mirano a emulare in tempo reale tutti i possibili esseri umani, in modo che abbiano l'opportunità di essere salvati).
La memesfera umana sta prendendo vita, anche se è ancora in dubbio per quanto tempo rimarrà riconoscibilmente umana. La densità informativa dei pianeti interni sta visibilmente convergendo verso un numero di Avogadro di bit per mole, un bit per atomo, come se la materia inerte decostruita dei pianeti interni (eccetto la Terra, per il momento conservata come un pittoresco palazzo storico abbandonato in una zona industriale) venisse convertita in computronium. E non è solo il sistema interno. Le stesse forze sono all'opera sulle lune di Giove e Saturno, anche se ci vorranno migliaia di anni, piuttosto che decenni, a smantellare le due giganti gassose. Nemmeno l'intero bilancio energetico del Sole è sufficiente a spingere l'enorme massa di Giove fino a velocità orbitale in meno di qualche secolo. I primitivi pensatori, discendenti veloci a estinguersi delle scimmie delle pianure africane, potrebbero essere completamente scomparsi o aver trasceso la propria architettura di carne prima che il cervello matrioska del Sole sia terminato.
Non ci vorrà molto tempo...

Nel frattempo, c'è una festa in fermento nel pozzo di Saturno.
La città-ninfea di Sirhan galleggia, in una sfera gigantesca e quasi invisibile, nell'atmosfera superiore di Saturno; un palloncino largo chilometri con un guscio adamantino rinforzato al fullerene sotto e una sacca d'idrogeno caldo sopra. È una delle numerose bolle di sapone da cento multimegatonnellate galleggianti sul mare di elio e idrogeno turbolento che è l'atmosfera superiore di Saturno, piantato lì dalla Società per il Terraforming Creativo, subappaltatori dell'Esposizione Universale del 2074.
Le città sono eleganti, cresciute da un seme concettuale lungo poche megaparole. Il loro ritmo di replicazione è lento (ci vogliono mesi per costruire una bolla), ma in appena un paio di decenni la crescita esponenziale avrà ricoperto la stratosfera di terreno accogliente per gli umani. Ovviamente, verso la fine il ritmo di crescita rallenterà, dato che ci vuole più tempo a frazionare gli isotopi metallici lontano dalle torbide profondità della gigante gassosa, ma prima che questo accada, i primi frutti delle fabbriche di robot su Ganimede riverseranno idrocarburi nella miscela. Infine Saturno - gravità tollerabile per gli umani, in cima alle nubi, di undici metri per secondo quadrato - avrà una biosfera delle dimensioni di un pianeta dalla superficie di quasi cento volte quella della Terra. E questa sarà una cosa dannatamente positiva, perché altrimenti Saturno non servirebbe a nessuno se non come serbatoio per combustibile da fusione quando, nel futuro remoto, il Sole si sarà spento.
Questa specifica ninfea è tappezzata d'erba, il centro del disco sollevato in una dolce collina sormontata dalla scorbutica gobba di cemento del Museo delle Scienze di Boston. Ha un aspetto curiosamente nudo, spogliato del suo fondale di autostrade e ponti sul fiume Charles, ma perfino gli abbondanti carichi da chilotonnellate di materia inerte degli elevatori che lo hanno portato in orbita avrebbero fatto fatica a portare anche la sua cornice contestuale. Probabilmente qualcuno tirerà su un diorama da quattro soldi come fondale usando la nanonebbia, pensa Sirhan, ma per il momento il museo resta orgoglioso e isolato, rifugio solitario della cultura classica, esule dal nucleo a pensiero rapido del sistema solare.
«Che spreco di soldi», borbotta la signora in nero. «Di chi sarà stata questa stupida idea?». Indica il museo con il puntale di diamante del suo bastone.
«Può dirlo forte», dice Sirhan con fare assente. «Sa com'è, abbiamo talmente tanti newton da bruciare che possiamo spedire le nostre ambasciate culturali dove ci pare. Avete sentito che il Louvre sta andando su Plutone?».
«Che spreco di energia». La signora abbassa il bastone con riluttanza e ci si appoggia. Fa una smorfia: «Non è giusto».
«Lei è cresciuta durante la seconda stretta petrolifera, vero?» la pungola Sirhan. «Com'era?».
«Com'era...? Oh, la benzina era arrivata a cinquanta dollari al gallone, ma ce n'era ancora in quantità per i bombardieri», dice con noncuranza. «Sapevamo che sarebbe finita bene. Se non fosse stato per quei dannati ficcanaso postumanisti...». Il suo viso rugoso, innaturalmente vecchio, lo guarda in cagnesco sotto un ammasso di capelli diventati del colore della paglia marcia, ma lui avverte un ironico sottinteso di autobiasimo che non capisce. «Come tuo nonno, che sia maledetto. Se tornassi giovane, andrei a pisciargli sulla tomba per fargli vedere cosa penso di ciò che ha fatto. Se avesse una tomba», aggiunge, quasi con affetto.
Memo: carica storia familiare, dice Sirhan a uno dei suoi fantasmi. Con la dedizione di uno storico, è abituato a registrare ogni esperienza, prima che entri nel racconto della sua coscienza - i segnali efferenti sono i più puliti - come anche il suo flusso d'individualità, per prevenire futuri cali di memoria. Ma sua nonna è stata straordinariamente coerente, nel corso dei decenni, nel rifiutare di adattarsi alle nuove modalità.
«Stai registrando, vero?» sbuffa la signora.
«Non sto registrando, nonna», dice dolcemente, «sto soltanto preservando i miei ricordi per le generazioni future».
«Ah! Vedremo», dice lei sospettosa. Poi lo sorprende scoppiando in una risata, subito interrotta: «No, tu vedrai, caro. Io non ci sarò più per lamentarmi della delusione».
«Ti va di parlarmi del nonno?» chiede Sirhan.
«Perché mai? Vi conosco, voi postumani, andrai direttamente a chiedere al suo fantasma. Non provare a negarlo! Ogni storia ha due versioni, figliolo, e lui ha avuto più orecchie di quante gli spettassero, quel vecchio barbone. Mi ha lasciata da sola a crescere tua madre e nient'altro che un pugno di proprietà intellettuali senza valore e una dozzina di azioni legali da parte della Mafiya per farlo. Non so che cosa io possa averci visto in lui». Il controllo dello stress vocale di Sirhan rileva un chiaro segno di menzogna in quest'affermazione. «Lui non era altro che ciarpame, non lo dimenticare. Quel pigro idiota non è riuscito a creare nemmeno un'impresa da solo; ha dovuto dare tutto via, tutti i frutti del suo genio».
Mentre continua a divagare, sottolineando di quando in quando la propria caratterizzazione con rapidi affondi del bastone, Pamela guida Sirhan in una lenta, indecisa passeggiata attorno a un lato del museo, finché si ritrovano vicino a un antico bacino di carico progettato alla bell'e meglio. «Avrebbe dovuto provare il vero comunismo piuttosto», dice lei, schiarendosi la voce. «Darsi una svegliata, scuotere per bene quei sogni a occhi aperti da visionario idealista. Ai vecchi tempi sapevi dov'eri, e non c'era da sbagliarsi. Gli umani erano veri umani, il lavoro vero lavoro, e le corporazioni erano soltanto cose che facevano quello che dicevamo loro di fare. Poi, quando lei ha preso la cattiva strada, è stata tutta colpa sua, lo sai».
«Lei? Vuoi dire mia, ehm, madre?». Sirhan riporta i sensi primari sui lamenti vendicativi di Pamela. Ci sono aspetti di questa storia che non gli sono completamente familiari, punti di vista che deve approfondire per convincersi che tutto è come dovrebbe essere, quando gli ufficiali giudiziari verranno a riprendere possesso della mente di Amber.
«Le mandò la nostra gatta. Di tutte le cose più meschine, abiette, pienamente disoneste che abbia mai fatto, quella era la peggiore. Quella gatta era mia, ma lui la riprogrammò per sviarla. E ci riuscì alla perfezione. Lei aveva solo dodici anni allora, un'età impressionabile, converrai. Stavo cercando di tirarla su bene. Ai bambini servono morali assolute, soprattutto in un mondo che cambia, anche se sul momento a loro non piace molto Autodisciplina e stabilità, un adulto non può funzionare se non le ha. Temevo che, con tutti quegli aggiornamenti, non avrebbe mai capito fino in fondo chi era, sarebbe finita per essere più macchina che donna. Ma Manfred non ha mai capito davvero l'infanzia soprattutto se pensi che lui non è mai cresciuto. Era sempre pronto a intromettersi».
«Parlami della gatta», dice Sirhan tranquillo. Uno sguardo alla porta del bacino di carico gli dice che è stato revisionato di recente. Una leggera patina di nebbiolina nanorobot ha formato una crosta candida intorno agli spigoli, che si sfoglia come zucchero filato rifrangente blu lasciando il metallo lucido. «Non si è persa o qualcosa del genere?».
Pamela sbuffa. «Quando tua madre scappò, si caricò sulla sonda Whisp e cancellò il proprio corpo. Nessun altro ebbe il fegato di farlo... o forse aveva paura di una citazione in giudizio come testimone ostile. Oppure, e questo non lo posso escludere, tuo nonno aveva inserito un riflesso suicida. Aveva la cattiveria di fare una cosa simile, dopo la riprogrammazione per credere che io fossi un nemico mortale».
«Quindi quando mia madre morì per evitare la bancarotta, la gatta... non restò? Per nulla? Impressionante». Sirhan non si preoccupa di aggiungere da suicidio. A qualunque entità artificiale che sia pronta a caricare il proprio vettore di stato neurale in una sonda interstellare da un chilo a tre quarti di strada per Alpha Centauri, senza backup o un modo certo per tornare a casa, deve mancare un po' più che qualche ingranaggio nella fabbrica degli oggetti.
«È una bestia vendicativa». Pamela affonda il bastone nel terreno, mormora una parola d'ordine e lo lascia andare. È in piedi davanti a Sirhan, allungando il collo per squadrarlo bene. «Dio, sei un ragazzo alto».
«Persona», la corregge d'istinto. «Scusa, non avrei dovuto».
«Persona, cosa, ragazzo, è uguale... sei sessuato, vero?» chiede rapida, aspettando che lui annuisca riluttante. «Non fidarti mai di chi non sa decidere se essere un uomo o una donna», dice tetra. «Non sono affidabili». Sirhan, che ha messo da parte il proprio apparato riproduttivo in attesa che gli serva, si morde la lingua. «Quel dannato gatto, o gatta che sia», si lamenta la nonna, «Lei ha portato i piani d'affari di tuo nonno a mia figlia e l'ha incantata con le storie sul grande nero. Lei l'ha avvelenata contro di me. Lei l'ha incoraggiata a unirsi a quella follia di costruzione di bolle speculative che ha provocato il riavvio del mercato che ha fatto crollare l'Impero dell'Anello. E adesso lei...».
«È sulla nave?» chiede Sirhan, quasi con troppa foga.
«Può darsi». Pamela lo osserva con gli occhi socchiusi. «Anche tu vuoi parlarci, vero?».
Sirhan non si prende la briga di negare. «Sono uno storico, nonna. E quella sonda è stata in posti che nessun altro senso umano ha percepito. Potrebbero essere notizie vecchie, e forse vecchie azioni legali che non aspettano altro che sfamarsi con gli occupanti, ma...». Scuote le spalle. «Gli affari sono affari, e i miei affari sono in rovina».
«Ah!». La donna l'osserva per un momento, poi annuisce lentamente. Si piega in avanti per posare entrambe le mani rugose sul bastone, le articolazioni come sacchi di noci rinsecchite. L'endoscheletro del suo vestito scricchiola mentre si sistema per assecondare la sua posa informale. «Tu avrai il tuo tornaconto, figliolo». Le rughe vanno a formare un sorriso spaventoso, sessant'anni d'amarezza accumulata che finalmente si trovano a uno sputo di distanza dalla vittima. «E anch'io avrò quello che voglio. Detto tra noi, tua madre non saprà da cosa è stata colpita».

«Rilassati, detto tra noi tua madre non saprà da cosa è stata colpita», dice la gatta, mostrando i denti aguzzi alla Regina - le dita bianche serrate sui braccioli ricoperti di zaffiro - sulla grande sedia, intagliata in un singolo blocco di diamante computazionale, i suoi tirapiedi, amanti, amici, membri dell'equipaggio, azionisti, blogger e ausiliari generici di discussione sistemati attorno a lei. E la Lumaca. «È solo un'altra azione legale. La puoi affrontare».
«Che si fottano se non sopportano uno scherzo», dice Amber, un pochino di malumore. Anche se è lei la regina di questo spazio incastonato, con il completo controllo del modello di realtà su cui si regge, si è permessa di crescere fino a una dignitosa ventina d'anni. Informalmente vestita con una tuta grigia, non sembra il potente signore di una luna di Giove, o il rinnegato capitano di una spedizione interstellare in bancarotta. «D'accordo, credo che dovrai ripetermelo. Oppure qualcuno ha un'idea?».
«Permetti?» chiede Sadeq. «Qui siamo a corto di intuito. Credo che siano state citate due leggi come convenzioni sistemiche assolute - e mi piacerebbe proprio sapere come siano riusciti a convincere l'ulema a concordare con quello - riguardanti i diritti e le responsabilità dei non-morti. Fra cui, a quanto pare, noi. Non è che magari hanno allegato il codice al reclamo?».
«Orsi fanno cacca in boschi?» chiede Boris, raptirascibile, digrignando i denti. «Mentre parliamo grafico di piena dipendenza e albero di sintassi di codice penale lo sta mettendo in culo di corriere. Io affogo in roba di avvocati! Se tu...».
«Boris, piantala!» lo zittisce Amber. Gli animi sono accesi nella sala del trono. Non sapeva cosa aspettarsi ritornando a casa dalla spedizione al Router, ma le procedure fallimentari non ne facevano parte. Dubita che chiunque di loro si aspettasse qualcosa del genere. Specialmente non la parte che li dichiarava responsabili per i debiti contratti da una sua scheggia reietta, la sua stessa identità non-caricata che era rimasta a casa ad affrontare la solfa, era invecchiata nella carne, si era sposata, aveva fatto bancarotta, era morta... incappata negli alimenti per i figli? «Non ve ne ritengo responsabili», aveva aggiunto a denti stretti, rivolgendo uno sguardo significativo verso Sadeq.
«È davvero un casino adatto al giudizio del Profeta in persona, la pace sia con lui». Sadeq sembra scosso quanto lei dalle implicazioni sorte con l'azione legale. Il suo sguardo vaga per la stanza, osserva tutto tranne Amber - e Pierre, il suo spilungone astronauta e giocattolo scaldaletto - mentre incrocia le dita.
«Lascia stare. Ho detto che non ti do la colpa». Amber si sforza di sorridere. «Siamo tutti tesi per essere bloccati qui dentro senza banda. Comunque, sento che c'è la mano del cocco di mamma sotto questa vertenza. Ne sento l'odore. Troveremo il modo di uscire».
«Potremmo andare avanti». È Ang, in fondo alla stanza. Diffidente e timida, di solito non apre la bocca senza un buon motivo. «La Field Circus è in buone condizioni, no? Potremmo fare una deviazione tornando al raggio dal Router, accelerare fino alla velocità di crociera e cercare un posto dove vivere. Ci deve essere qualche nana bruna adatta nel raggio di cento anni luce...».
«Abbiamo perso troppa massa velica», dice Pierre. Nemmeno lui incrocia lo sguardo di Amber. Ci sono un sacco di sottintesi in questa stanza, racconti frammentari provenienti da storie di sentimenti malriposti. Amber fa finta di non notare il suo imbarazzo. «Abbiamo sganciato metà della nostra vela di lancio iniziale per avere lo specchio di frenata a Hyundai +4904/-56 e, quasi otto megasecondi fa abbiamo di nuovo dimezzato l'area per ottenere un raggio finale di decelerazione per l'orbita di Saturno. Se lo facessimo di nuovo, non ci rimarrebbe superficie sufficiente per rifare il giochetto e decelerare ancora sul nostro obiettivo finale». Le vele fotoniche a propulsione laser lavorano con gli specchi; dopo la spinta, possono sganciare metà della vela e usarla per invertire il raggio di lancio e rimandarlo alla nave, per decelerare. Ma lo si può fare solo qualche volta prima di esaurire la vela. «Non possiamo andare da nessuna parte».
«Nessuna parte...» Amber lo fissa con gli occhi socchiusi. «A volte penso davvero a te, lo sai?».
«So che lo fai». E Pierre davvero lo sa, perché porta in giro un piccolo omuncoloide nella sua società della mente, un modello di Amber molto più accurato e dettagliato di quello che un umano preUpload sarebbe mai riuscito a costruire di un amante. (A sua volta, Amber ha un pupazzetto di Pierre tra le spaventose ragnatele della sua testa, parte di uno scambio intellettuale a cui hanno partecipato anni fa. Ma non prova più a inserirsi nella sua testa troppo spesso... non è bello riuscire ad anticipare sempre il proprio amante). «So anche che entrerai di corsa e prenderai il toro per le... ah, no. Ho sbagliato metafora. È di tua madre che stiamo parlando?».
«Mia madre». Amber annuisce pensosa. «Dov'è Donna?».
«Non...».
Dal fondo arriva un rumore gutturale, e Boris si getta in avanti con qualcosa in bocca, una Bolex furente che gli percuote il muso con il treppiedi. «Ancora nascosta negli angoli?» dice Amber con sdegno.
«Sono una fotocamera!» protesta la fotocamera, addolorata e imbarazzata mentre si rialza sul pavimento. «Sono...».
Pierre si avvicina, piazzando la faccia proprio davanti all'obiettivo fish-eye. «Sarai un cazzo di essere umano solo per questa volta. Merde!».
La fotocamera è sostituita da una bionda molto seccata che indossa un abito da safari e più fotometri, obiettivi, borse e microfoni di un inviato della CNN fuori dall'unità di trasmissione. «Andate affanculo!».
«Non mi piace essere spiata», dice Amber in tono freddo. «Soprattutto perché non eri invitata a questo incontro. Giusto?».
«Sono l'archivista». Donna abbassa lo sguardo, rifiutando con testardaggine di ammettere alcunché. «Tu hai detto che dovevo..»
«Sì, vero». Amber è in imbarazzo. Ma non è una buona idea far imbarazzare la Regina nell'aula delle udienze. «Hai sentito di cosa parlavamo. Cosa sai tu dello stato mentale di mia madre?».
«Proprio nulla», dice Donna prontamente. È chiaramente contrariata e preparata a non fare nulla più del minimo per aiutare a risolvere la situazione. «L'ho incontrata solo una volta. Le assomigli quando ti arrabbi, lo sai?».
«Io...». Per una volta, Amber è senza parole.
«Ti prendo un appuntamento per una plastica facciale», propone la gatta. E sottovoce: «È l'unico modo per essere sicuri».
Normalmente, accusare Amber di somigliare a sua madre, per quanto potesse essere leggera e passeggera la somiglianza, basta a scatenare una scossa della realtà nell'ambiente virtuale che passa per il ponte della Field Circus. Il fatto che lasci passare l'impertinenza della gatta è un segnale di quanto lei sia disturbata dall'azione legale. «Comunque, cosa riguarda l'azione legale?» chiede Donna, curiosa come sempre e due volte più impertinente. «Non ho visto quella parte».
«È orribile», dice Amber con veemenza.
«Veramente malvagio», le fa eco Pierre.
«Affascinante ma sbagliato», riflette Sadeq pensoso.
«Ma pur sempre orribile!».
«Sì, ma cos'è?» chiede Donna, l'archivista onniveggente e fotocamera mancata.
«È una richiesta di pagamento». Amber fa un respiro profondo. «Accidenti, puoi anche dirlo a tutti... non rimarrà segreto a lungo». Singhiozza. «Dopo che ce ne siamo andati, sembra che la mia altra metà - cioè, la mia incarnazione originale - si sia sposata. Con Sadeq, qui». Fa un cenno verso il teologo iraniano, che sembra disorientato come la prima volta che ha sentito questa parte della storia. «E hanno avuto un figlio. Poi l'Impero dell'Anello è andato in bancarotta. Il bambino mi sta chiedendo circa vent'anni di assegni di mantenimento, per circa vent'anni, basandosi sul fatto che i non-morti sono responsabili in solido e individualmente dei debiti contratti dalle loro incarnazioni. È un precedente legale stabilito per impedire alla gente di commettere un suicidio temporaneo per evitare la bancarotta. Quel che è peggio, il credito sui miei beni viene misurato in tempo soggettivo, a partire da un determinato momento nell'Impero dell'Anello, circa diciannove mesi dopo la nostra partenza - abbiamo viaggiato in volo relativistico, quindi, mentre la mia altra metà non sarebbe soggetta all'ordine di pagamento se fosse sopravvissuta, io lo sono ancora. Ma l'interesse composto si applica al ritorno - questo per dissuadere le persone dal fare ricorso al paradosso dei gemelli per evitare la responsabilità. Quindi, essendo stati via per circa ventotto anni di tempo d'orologio, ho contratto un debito di cui non sapevo nulla per un ammontare enorme.
«Quest'uomo, questo figlio che non ho mai visto, in teoria è in credito per un valore che supera notevolmente quello della Field Circus. E i miei conti sono in rosso... non ho i soldi sufficienti nemmeno per scaricarci in corpi reali. A meno che qualcuno di voi non abbia un gruzzolo segreto che è sopravvissuto alla crisi del mercato dopo la nostra partenza, siamo tutti nei guai fino al collo».

Un tavolo di mogano di otto metri adorna il pavimento lastricato dell'enorme galleria del museo, sotto lo scheletro di un gigantesco Argentinosaurus e un'antica capsula Mercury sospesa, vecchia più di un secolo. Il tavolo è illuminato dalle candele, e i due estremi sono apparecchiati con posate d'argento e piatti di porcellana finissima. Sirhan è seduto su una sedia dall'alto schienale, all'ombra della cassa toracica di un triceratopo. Di fronte a lui, Pamela si è vestita per la cena secondo la moda di quando era giovane. Alza il bicchiere di vino verso di lui. «Parla della tua infanzia, ti va?» chiede. Alti sopra di lui, gli anelli di Saturno brillano attraverso i lucernai, come una macchia di vernice luminosa scagliata attraverso il cielo di mezzanotte.
Sirhan non è sicuro se debba aprirsi a lei, ma lo consola il fatto che chiaramente Pamela non è in posizione di usare qualunque cosa le dirà contro di lui. «Di quale infanzia vuoi che ti parli?» chiede.
«Come sarebbe a dire quale?». Il viso le si deforma in una smorfia di perplessità.
«Ne ho avute diverse. La mamma continuava a premere il tasto reset, sperando che sarei migliorato». Adesso è il suo turno di accigliarsi.
«L'ha fatto, è vero», sospira Pamela, annotando l'informazione per usarla come munizione contro la figlia vagabonda. «Perché credi che lo facesse?».
«Era l'unico modo che conosceva per crescere un bambino» dice Sirhan sulla difensiva. «Non aveva fratelli o sorelle. E forse era una reazione contro i propri difetti caratteriali». Quando io avrò dei figli, saranno più di uno, si dice compiaciuto: ovvero, quando avrà i mezzi adeguati per trovarsi una sposa e la maturità emotiva adeguata per attivare i suoi organi genitali. Creatura estremamente attenta, Sirhan sta progettando di non ripetere gli errori dei suoi antenati da parte materna.
Pamela sussulta. «Non è colpa mia», dice calma. «La colpa è in buona parte di suo padre. Ma quali... quali diverse infanzie hai trascorso?».
«Oh, davvero molte. C'era l'opzione prestabilita, come mamma e papà che litigavano sempre... lei si rifiutava di prendere il velo e lui era troppo cocciuto per ammettere di essere poco più che un mantenuto, e insieme erano come due stelle di neutroni chiuse in una mortale spirale gravitazionale instabile. Poi c'erano le mie altre vite, biforcate e reintegrate, che andavano in parallelo. Ero un giovane pastore di capre ai tempi del Medio Regno dell'Egitto, me lo ricordo; ed ero un ragazzino a stelle e strisce in Iowa negli anni Cinquanta, e un altro io ha dovuto sopportare il ritorno dell'imam nascosto - o almeno, i suoi genitori pensavano che fosse l'imam nascosto - e...» Sirhan scrolla le spalle. «Forse è da lì che ho preso la mia passione per la storia».
«I tuoi genitori hanno mai pensato di farti diventare una bambina?» chiede la nonna.
«La mamma l'ha proposto un paio di volte, ma papà l'ha proibito». O meglio, ha deciso che era illegale, ricorda. «Sotto certi punti di vista, ho ricevuto un'educazione molto conservatrice».
«Non direi. Quand'ero bambina non c'erano alternative; nessuna questione sull'autoselezione dell'identità. Non c'era via di scampo, soltanto l'escapismo. Hai mai avuto problemi a sapere chi fossi?».
Arrivano gli antipasti, melone a cubetti su un vassoio d'argento. Sirhan aspetta pazientemente che sua nonna insista che il tavolo la serva. «Più persone sei, più capisci chi sei tu», dice Sirhan. «Capisci com'è essere qualcun altro. Papà pensava che forse non è una buona cosa per un uomo capire troppo com'è essere una donna». E il nonno non era d'accordo, ma questo già lo sai, aggiunge per il proprio flusso di coscienza.
«Non potrei essere più d'accordo». Pamela gli sorride, un'espressione che potrebbe essere quella di una vecchia zia condiscendente, se non ricordasse in maniera allarmante quella di un pescecane... o di un cane giocherellone? Sirhan nasconde il suo smarrimento portando alla bocca pezzi di melone, chiedendo ai fantasmi temporanei di ricercare polverosi manuali di bon ton e di avvertirlo se sta per commettere qualche passo falso. «Allora, ti sei goduto le tue infanzie?».
«Godere non è una parola che userei», risponde il più calmo possibile, appoggiando il cucchiaio per non far cadere nulla. Come se l'infanzia fosse qualcosa che prima o poi finisce, pensa amareggiato. Sirhan è di gran lunga sotto il gigasecondo d'età e crede che esisterà almeno per un terasecondo, se non in questa precisa configurazione molecolare, comunque almeno in qualche incarnazione fisica ragionevolmente stabile. E ha tutte le intenzioni di restare giovane per l'intero lasso di tempo, anche negli infiniti petasecondi che potrebbero venire poi, anche se per allora, a mega-anni da adesso, suppone che le questioni neoteniche non lo interesseranno più. «Non è ancora finita. Tu che mi dici? Ti stai godendo la tua terza età, nonna?».
Pamela quasi sussulta, ma mantiene un controllo ferreo dell'espressione. L'afflusso di sangue nei capillari delle guance, visibile da Sirhan attraverso gli occhietti a infrarossi che tiene a fluttuare in aria sopra al tavolo, la tradiscono. «Ho fatto degli errori in gioventù, ma adesso me la spasso», dice calma.
«È la tua vendetta, vero?» chiede Sirhan, sorridendo e annuendo mentre il tavolo fa sparire gli antipasti.
«Piccolo figlio di...». Lo fissa anziché continuare. È uno sguardo alquanto torvo. «Cosa ne sai tu della vendetta?» chiede.
«Sono lo storico di famiglia». Sirhan fa un sorriso freddo. «Ho vissuto tra i due e i diciassette anni centinaia di volte prima del mio diciottesimo compleanno. Per via del tasto reset, lo sai. Non credo che la mamma avesse capito che il mio flusso di coscienza primario stava registrando tutto».
«È mostruoso». Pamela solleva il calice e beve un sorso per nascondere lo smarrimento. Sirhan non ha una simile via di fuga; il succo d'uva nel bicchiere, non fermentato, gli bagna la lingua. «Non farei mai una cosa del genere a mio figlio».
«Allora perché non mi parli della tua infanzia?» le chiede il nipote. «Per la storia di famiglia, ovviamente».
«Io...». Appoggia il bicchiere. «Hai intenzione di scriverne una?» chiede.
«Ci sto facendo un pensiero». Sirhan si drizza a sedere. «un libro vecchio stile che comprenda tre generazioni, che hanno attraversato periodi interessanti», suggerisce. «Un'opera di storia postmoderna, un vademecum per gli incoerenti... come documentarsi su persone che biforcano la propria identità a caso, restano morti per anni prima di tornare in scena e hanno delle discussioni con la propria altra copia relativisticamente preservata? Potrei andare avanti con la storia, ovviamente - se mi parli dei tuoi genitori anche se sono certo che non possano rispondere direttamente alle domande - ma arriviamo alla noiosa materia inerte, giù fino al brodo primordiale, sorprendentemente in fretta se vogliamo, vero? Quindi ho pensato che magari potrei usare, come aggancio narrativo, il punto di vista della gatta robot di famiglia. (Se non fosse che quella dannata cosa è scomparsa, no?). Comunque, con tanta storia umana che occupa l'inutilizzato futuro, noi storici abbiamo il lavoro pronto, registrando il cursore del presente mentre carica gli eventi. Quindi potrei benissimo iniziare a casa».
«Sei impostato sull'immortalismo». Pamela studia il volto di Sirhan.
«Sì», risponde il ragazzo con noncuranza. «Sinceramente, posso capire la tua voglia di invecchiare per il desiderio di vendetta, ma scusami se lo dico, ho qualche difficoltà ad afferrare la volontà di seguire la procedura! Non è tremendamente doloroso?».
«Invecchiare è naturale», mormora la vecchia. «Quando hai vissuto abbastanza a lungo per vedere tutte le tue ambizioni in rovina, le amicizie infrante, gli amanti dimenticati o divorziati con acredine, per quale motivo devi andare avanti? Se ti senti stanco e vecchio nello spirito, dovresti essere stanco e vecchio anche nel corpo. E comunque, voler vivere per sempre è immorale. Pensa a tutte le risorse che usi e servirebbero ai più giovani! Anche gli Upload dopo un po' hanno un limite finito di immagazzinamento dati. È un'affermazione mostruosamente egoistica dire di voler vivere per sempre. Se c'è una cosa in cui credo, è il servizio sociale. Dovere: l'obbligo di far posto al nuovo. Dovere e controllo».
Sirhan assorbe tutto, muovendo lentamente la testa mentre il tavolo serve la portata principale - maiale arrosto in crosta di miele con patate saltate al gratin e carotine Debussy - quando sopra le loro teste si sente un forte colpo.
«Cos'è stato?» chiede Pamela ansiosa.
«Un momento». La visuale di Sirhan si suddivide in una vista a caleidoscopio della sala del museo, mentre fa controllare ai fantasmi ognuna delle onnipresenti videocamere. Si acciglia; c'è qualcosa che si muove sul balcone, tra la capsula Mercury e un'esposizione di antichi stereoisogrammi a puntinatura casuale. «Oh cielo. C'è qualcosa che si muove nel museo».
«Si muove? Che significa, si muove?». Un grido inumano divide l'aria sopra il tavolo, seguito da uno schianto al piano di sopra. Pamela salta in piedi, pulendosi le labbra con il tovagliolo. «Siamo al sicuro?».
«No, non siamo al sicuro», sbuffa lui. «Mi sta disturbando la cena!». Alza lo sguardo. Un lampo di pelo arancio appare sul balcone, poi la capsula Mercury vacilla con violenza in fondo ai cavi. Due braccia e un fascio gommoso di qualcosa ricoperto da una pelliccia marrone esce barcollando dal corrimano e afferra con noncuranza l'inestimabile reliquia storica, poi si arrampica e si rannicchia in cima al manichino che indossa la tuta spaziale di Al Sheperd, crepata dal tempo. «È una scimmia! Città, Città! Che cosa ci fa una scimmia libera alla mia cena?».
«Sono profondamente spiacente, signore, ma non lo so. Le dispiacerebbe identificare il primate in questione?» risponde Città, che per ragioni di privacy si è manifestato come voce incorporea.
C'è un tocco di umorismo nel tono di Città, a cui Sirhan obietta profondamente. «Cosa vuoi dire? Non la vedi?» domanda, concentrandosi sul primate errante, che si è nascosto nella capsula Mercury appesa al soffitto, schioccando le labbra, roteando gli occhi e rimuovendo la guarnizione attorno al boccaporto aperto della capsula. Grida per un po', poi si sporge dal portello aperto e atterra sul tavolo, mostrando le chiappe. «Sta indietro!» Sirhan urla a sua nonna, poi fa un gesto nell'aria sopra il tavolo, per ordinare alla nebbia di congelarsi. Troppo tardi. La scimmia scoreggia con un rombo di tuono, poi lascia cadere un flusso di escrementi per tutto il tavolo. Il viso di Pamela è una maschera di disgusto raggrinzito mentre tiene il tovagliolo davanti al naso. «Dannazione, solidificati, una buona volta!» impreca Sirhan, ma l'onnipresente foschia di robot grandi come granelli di polline si rifiuta di rispondere.
«Che problema hai? Scimmie invisibili?» chiede a Città.
«Invisibili...» si ferma.
«Non vedi cos'ha fatto?» domanda Pamela, per dargli manforte. «Ha appena defecato sulla portata principale!».
«Non vedo nulla», dice Città con tono incerto.
«Ecco, lascia che ti aiuti». Sirhan gli presta uno dei suoi occhi lo punta verso la scimmia, che adesso allunga le braccia attorno al portello e tasta il tetto della capsula, come se fosse a caccia dei punti di fissaggio dei cavi.
«Oh cielo», dice Città, «sono stato bucato. Dovrebbe essere impossibile».
«Invece lo è, cazzo!» sibila Pamela.
«Bucato?» Sirhan smette di provare a dire all'aria cosa fare e si concentra sui propri abiti. La stoffa si modifica istantaneamente, mappandosi in un vestito ermetico corazzato con un visore a bolla che spunta da dietro il collo e si abbassa fino a davanti al volto. «Città, fornisci subito a mia nonna un abito ambientale. Che sia completamente autonomo».
L'aria attorno a Pamela inizia a congelarsi in un bocciolo di sicurezza cristallina, mentre una sfera, come un'immensa palla per criceti, le precipita intorno. «Se ti hanno bucato, la prima domanda è: chi è stato», dichiara Sirhan. «La seconda è "perché", e la terza "come"». Effettua nervosamente un auto test, ma non ci sono segni di inconsistenza nella sua matrice di identità e ha delle ombre calde che dormono leggere in nodi sparsi per una distanza di sei ore luce. Diversamente da Pamela, che è pre-postumana, lui a tutti gli effetti è immune all'omicidio volontario. «Se è solo uno scherzo...».
Sono passati pochi secondi da quando l'orangutan è entrato nel museo, e pochi altri da quando Città si è reso conto della propria triste condizione. Secondi sufficienti perché enormi ondate di contromisure spazzino la superficie dell'habitat-ninfea. I nanorobot, piccoli fino all'invisibilità, si stanno espandendo ovunque e polimerizzando a difesa, intrappolando a mezz'aria le migliaia di piccioni migratori itineranti e bloccando ogni edificio o persona cammini per i viali esterni. Città sta autotestando la sua base sicura di calcolo, cominciando dal più primitivo dei nuclei protetti e procedendo verso l'esterno. Intanto Sirhan, con gli occhi iniettati di sangue, si dirige verso le scale, con il vago obiettivo di attaccare fisicamente l'intruso. Pamela batte in ritirata, ruzzolando verso la salvezza del piano ammezzato e di un giardino di fossili. «Chi ti credi di essere, per interrompere e cacare sulla mia cena?» urla Sirhan mentre salta su per le scale. «Voglio una spiegazione! Subito!».
L'orangutan trova il cavo più vicino e gli dà uno strattone, facendo dondolare una tonnellata di capsula. Mostra i denti a Sirhan in un ghigno. «Ti ricordi di me?» chiede, con un sibilante accento francese.
«Ricordo...» Sirhan diventa immobile. «Tante Annette? Cosa ci fai in quell'orangutan?».
«Ho meno problemi di controllo autonomico». La scimmia fa una smorfia più ampia, poi piega sinuosamente un braccio e si gratta un'ascella. «Mi spiace, mi sono installata nell'ordine sbagliato. Volevo solo salutare e darti un messaggio».
«Quale messaggio?» domanda Sirhan. «Hai scioccato mia nonna, e se scopre che sei qui fuori...».
«Non succederà; me ne vado tra un attimo». La scimmia -Annette - si siede. «Tuo nonno ti saluta e dice che ti farà visita a breve. Di persona, intendo. È ansioso di vedere tua madre e i suoi passeggeri. È tutto. Hai un messaggio per lui?».
«Non è morto?» chiede Sirhan, stupito.
«Non più di quanto lo sia io. E sono in ritardo. Arrivederci!». La scimmia esce dalla capsula dondolando sulle mani, poi si lascia andare e precipita per dieci metri, contro la dura roccia del pavimento. Il rumore del suo cranio è come quello di un uovo sodo contro il cemento.
«Oh cielo», Sirhan fatica a respirare. «Città!».
«Sì, padrone?».
«Rimuovi quel corpo», dice, indicando dal balcone. «Ti raccomando di non disturbare mia nonna con i dettagli. In particolare, non dirle che era Annette. La novità potrebbe turbarla». I rischi di avere una longeva famiglia postumana, pensa, troppe zie matte nella capsula spaziale. «Se trovassi un modo per impedire a zia 'Nette di far crescere altre scimmie, sarebbe una buona idea». Un pensiero lo colpisce. «A proposito, sai quando dovrebbe arrivare mio nonno?».
«Suo nonno?» chiede Città. «Non è defunto?».
Sirhan guarda giù dal balcone, verso il cadavere sanguinolento dell'intruso. «Non secondo l'ultima incarnazione della sua seconda moglie».

Finanziare la riunione di famiglia non sarà un problema, come scopre Amber quando riceve un'offerta di reincarnazione valida per tutti i passeggeri e i membri dell'equipaggio della Field Circus.
Non è molto sicura della provenienza del denaro. Presumibilmente, si tratta di qualche motore finanziario decrepito progettato da papà, che per la prima volta da decenni esce fuori dal suo bunker da mercato in crisi, per succhiare qualche polveroso canale web in syndication e liquidare beni a lungo termine tenuti da parte in caso di suo ritorno. È giustamente - persino ardentemente - grata, dato che più conosce i dettagli della sua posizione indigente, più questi diventano deprimenti. Il suo unico bene è la Field Circus, un'obsoleta sonda Whisp, di oltre trent'anni, con una massa inferiore ai venti chili, compreso quel che resta della sua vela lacera, insieme al suo carico di passeggeri ed equipaggio uploadati. Senza il lungimirante fondo fiduciario che le ha improvvisamente cambiato la vita, sarebbe sperduta nel reame dei leptoni, in orbita per l'eternità. Ma ora che il fondo le ha mandato un'offerta d'incarnazione, ha un dilemma. Perché in realtà uno dei passeggeri della Field Circus non ha mai avuto un corpo in carne e ossa...
Amber trova la Lumaca che mangiucchia tranquilla in uno spazio trasparente riempito di ramoscelli, che ondeggiano pigri e ricordano ventagli di corallo violetto. Sono una memoria fantasma di vita aliena, un ordine di quasi-funghi termofili con una cresta di ife formata da analoghi di actina/miosina, apparati alimentari a filtri muscolosi e viscidi che mangiano organismi unicellulari aerei. La stessa Lumaca è lunga un paio di metri e ha un esoscheletro bianco fibroso di curve e archi che non si ripetono, fastidiosamente simile alla tassellatura di Penrose. Organi color cioccolato pulsano lentamente sotto lo scheletro. Il terreno sotto i piedi è asciutto ma sembra paludoso.
In realtà, la Lumaca è un travestimento chirurgico. Sia lei che l'ecosistema di quasi-funghi sono estinti da milioni di anni, ed esistono soltanto come proprietà intellettuali di poco conto in uno show medico intergalattico fatto con strumenti finanziari disonesti. La Lumaca stessa è una di quelle truffe autocoscienti, probabilmente uno schema piramidale o addirittura un intero mercato azionario compresso in pesante recessione, che cerca di nascondersi dai creditori camuffandosi da forma di vita. Ma c'è un problema a incarnarsi nell'habitat di Sirhan... l'ecosistema per cui si e evoluto è una fresca veneroformazione, trenta atmosfere di vapore saturo cotto sotto un cielo del colore del piombo caldo, striato da nubi gialle di acido solforico. Il terreno è un pantano perche si squaglia, non perché è bagnato.
«Dovrai scegliere un altro somatotipo», spiega Amber, facendo rotolare laboriosamente la sua interfaccia, come una gigantesca bolla di sapone, intorno alla rovente barriera corallina. L'interfaccia ambientale è trasparente e infinitamente sottile, una discontinuità nel modello fisico dello spazio di simulazione, che mappa i segnali tra l'ambiente a misura umana da una parte e il devastante inferno ardente dall'altra. «Questo semplicemente non è compatibile con nessuno degli ambienti supportati dove stiamo andando».
«Non capisco. Mi posso sempre integrare con i mondi disponibili alla nostra destinazione».
«Eh, non funziona così fuori dal cyberspazio». Improvvisamente Amber si trova a un soffio dalla sconfitta. «Il modello fisico potrebbe essere supportato, ma l'input energetico necessario sarebbe proibitivo e non saresti in grado di interagire con altri modelli fisici con la facilità con cui lo fai adesso». Duplica un fantasma, mostra un'altra Amber transitoria in un serbatoio refrigerato che si trascina nel giardino della Lumaca, schiacciando il corallo e sbattendo rumorosamente. «Saresti così».
«Allora la tua realtà è progettata male», risponde la Lumaca.
«Non è progettata affatto, si è semplicemente evoluta casualmente». Amber scuote le spalle. «Non possiamo esercitare lo stesso livello di controllo sul contesto integrato sottostante come facciamo con questo. Non posso far apparire per magia un'interfaccia che ti tenga in un bagno di vapore a trecento gradi».
«Perché no?» chiede la Lumaca. Il wetware traduttivo aggiunge un brutto e sottile mugugno crescente alla domanda, trasformandola in una richiesta.
«Violerebbe i privilegi», Amber cerca di spiegare. «La realtà in cui stiamo per entrare è, come dire, irrefutabilmente coerente. Deve esserlo, perché è coerente e stabile, e se potessimo creare nuovi domini locali con regole diverse, questi potrebbero propagarsi in maniera incontrollata. Non è una buona idea, credimi. Vuoi venire con noi o no?».
«Non ho scelta», dice la Lumaca, leggermente imbronciata. «Ma hai un corpo che posso usare?».
«Credo...» Amber si blocca all'improvviso. Schiocca le dita. «Ehi, gatta!».
Un ghigno da stregatto appare alla vista, mascherato nella parete di dominio tra le due realtà integrate. «Ehi, umana».
«Wow!» Amber fa un passo indietro dall'apparizione. «Il nostro amico qui ha un problema, non ha un corpo adatto al download Noi pupazzi di carne siamo tutti troppo strettamente legati alla nostra ultrastruttura neurale, ma tu hai una vagonata di dispositivi programmabili. Possiamo prenderne qualcuno in prestito?».
«Puoi fare di meglio». Aineko sbadiglia, dando maggior enfasi al momento. La Lumaca si alza e retrocede come una salsiccia preoccupata. Qualunque cosa percepisca nella membrana, sembra spaventarla. «Mi sono progettata un nuovo corpo. Pensavo che fosse ora di cambiare stile per un po'. Il tuo genio della truffa finanziaria può prendere in prestito il mio vecchio schema finché non trova di meglio. Come ti suona?».
«Hai sentito?» chiede Amber alla Lumaca. «Aineko si sta gentilmente offrendo di donarti il suo corpo. Può andare?». Senza aspettare, strizza l'occhio alla gatta e batte i tacchi insieme, sparendo in un soffio e un sorriso. «Ci vediamo dall'altra parte...».

Ci vogliono diversi minuti prima che l'antico ricetrasmettitore della Field Circus scarichi le dozzine di avabit occupati dai vettori di stato congelati di ognuna delle persone caricate nei suoi motori di simulazione. Riposto con loro c'è un fascio di proprietà che comprende le loro intere sequenze genomiche, un gruppetto di indicatori fenotipici e proteomici e una lista di aggiornamenti desiderati. Tra le mappe genetiche e gli indicatori ci sono abbastanza dati per poter estrapolare una macchina di carne. Quindi la catena di montaggio della festosa città si mette al lavoro creando staminali modificate e fabbricando incubatrici.
Oggigiorno non ci vuole molto per reincarnare l'equipaggio e i passeggeri di una nave spaziale, umani con carenze di relatività. Per prima cosa, Città intaglia degli scheletri per loro (ignorando garbatamente Pamela, quando gli chiede grezzamente di smettere e desistere, accampando il fatto che lei non ha procura), poi spruzza osteoclasti nelle spugnose ossa di ricambio. Sembrano normali staminali umane da lontano, ma al posto dei nuclei hanno una primitiva puntina di computronium, una massa di materia intelligente così piccola da essere inerte come un antico Pentium, che legge un nastro di controllo comunque meglio strutturato di qualunque cosa evoluta da Madre Natura. Queste finte staminali, pesantemente ottimizzate - robot biologici in tutto tranne che nel nome - si allargano come un cancro, eliminando le cellule secondarie anucleate poco longeve. Poi Città infonde in ogni porzione di tessuto semicanceroso una vagonata metrica di capsidi portatori, che convogliano i veri meccanismi di controllo cellulare ai loro corpi bersaglio. In un megasecondo, il sommovimento quasi casuale dei bot costruttori lascia il campo a un processo più controllato, mentre le CPU nane vengono sostituite da nuclei normali e si espellono dalle loro cellule ospiti, fuoriuscendo attraverso il semiformato sistema renale... tranne quelle nel sistema nervoso centrale, che hanno un ultimo lavoro da compiere. Undici giorni dopo l'invito, i primi passeggeri vengono editati a livello di schema delle giunzioni sinaptiche all'interno dei crani fior di conio.
(L'intero processo è noiosamente lento e ridicolmente obsolescente dal punto di vista tecnologico, secondo gli standard rapidamente mutevoli del centro del sistema. Laggiù, basterebbe mettere in orbita uno scudo di scia, raffreddarlo fino a una frazione di Kelvin, far scontrare due raggi di materia coerente, teletrasportare sul posto qualche informazione di stato e tirar dentro attraverso una camera stagna il corpo improvvisamente materializzato, prima che rischi di asfissiare. Ma d'altra parte, giù nello spazio caldo, non hanno più posto per la carne...).
Sirhan non si cura troppo degli pseudocancri che fermentano e si agitano nella fila di serbatoi allineati nell'ala del museo dedicata alla Galleria del Corpo Umano nei Boschi. Cadaveri appena formati, che si descheletrizzano lentamente - come un processo di decomposizione alla moviola, con un dito che gira furiosamente il comando dell'indietro veloce; guardarli è sia sgradevole che esteticamente spiacevole. Né i corpi gli dicono nulla sui loro occupanti. Questo genere di cose non è altro che un prequel necessario all'evento principale, un ricevimento formale e un banchetto ai quali ha dedicato la perenne attenzione di quattro fantasmi.
Potrebbe, con meno inibizioni, gettarsi nei cassonetti dei loro archivi mentali, ma questo è uno dei grandi tabù dell'era post wetware. (Le agenzie spionistiche che iniziarono a memo-memorizzare e a memo-minare nel terzo e quarto decennio, ottennero un registro della polizia del pensiero e generarono una forte reazione composta da architetture mentali devianti, elasticamente resistenti alle intrusioni dell'infoguerra. Adesso le nazioni servite da quelle istituzioni fantasma non esistono più, la stessa massa terrestre fa parte del progetto di costruzione orbitante nella noosfera che alla fine trasformerà la massa dell'intero sistema solare in un gigantesco cervello matrioska. E a Sirhan resta una scomoda lealtà verso l'unico grande nuovo tabù inventato dalla fine del Ventesimo secolo... la libertà di pensiero).
Così, per appagare la curiosità, passa gran parte del tempo di veglia del suo corpo con Pamela, facendole domande di tanto in tanto e mappando lo stizzoso traboccare del suo memoma nella sua fiorente base di conoscenze familiari.
«Non sono sempre stata così amareggiata e cinica», spiega Pamela, muovendo il bastone in direzione delle nuvole, oltre il bordo del mondo e fissando Sirhan con uno sguardo d'intesa. (L'ha portata fuori nella speranza di scatenare una nuova cascata di ricordi, tramonti in spiaggia su isole da luna di miele e roba simile, ma sembra venir fuori soltanto bile). «Sono stati i tradimenti consecutivi. Manfred è stato il primo, e per certi versi il peggiore, ma quella stronzetta di Amber mi ha fatto più male, se possibile. Se mai avrai dei figli, ricordati di tenere qualcosa per te; perché se non lo fai, quando ti rinfacceranno tutto, ti sembrerà di morire. E quando se ne saranno andati, non potrai più sistemare le cose».
«Morire è inevitabile?» chiede Sirhan, sapendo fin troppo bene che la risposta è no, ma felicissimo di avere una scusa per metterle il dito sulla crosta della ferita d'amore. Ha il sospetto che sia ancora innamorata di Manfred. Questa storia familiare è grandiosa e se la sta spassando alla grande, con il suo cuore di pietra, a spingerla fino alla soglia della riunione che ha in programma.
«A volte penso che la morte sia anche più inevitabile delle tasse», risponde tetra sua nonna. «Gli umani non vivono nel vuoto; facciamo parte di uno schema di vita più grande». Guarda fuori, attraverso la troposfera di Saturno, dove una leggera brina di nevischio metanico copre l'alba distante con una nebbia di rubino. «Il vecchio lascia spazio al nuovo». Singhiozza, e si tira giù le maniche. (Dopo l'incidente con la scimmia, ha iniziato a portare un antico abito a pressione formale, in tela di ragno nera intessuta con tubi flessibili e argentee reti sensoriali intelligenti). «C'è un momento in cui devi toglierti dalla strada del nuovo, e credo di averlo superato tempo fa».
«Mmm», dice Sirhan, che è in qualche modo sorpreso da questo nuovo punto di vista della sua lunga confessione giustificativa. «E se lo stessi dicendo solo perché ti senti vecchia? Se è soltanto una disfunzione fisiologica, potremmo porvi rimedio e tu...».
«No! Ho la sensazione che il prolungamento della vita sia moralmente sbagliato, Sirhan. Non sto giudicando te, sto solo dicendo che credo sia sbagliato per me. È immorale perché blocca l'ordine naturale, ci mantiene come vecchie ragnatele pendenti che intralciano voi giovani. E poi ci sono le questioni teologiche. Se provi a vivere in eterno, non incontrerai mai il tuo creatore».
«Il tuo creatore? Ma allora sei teista?».
«Io... credo di sì». Pamela resta in silenzio per un po'. «Anche se ci sono così tanti approcci diversi alla materia che è difficile sapere a quale versione credere. Per molto tempo, ho temuto segretamente che tuo nonno potesse davvero avere le risposte. Che potessi essere stata nel torto tutto il tempo. Ma adesso...». Si appoggia al bastone. «Quando annunciò che si sarebbe uploadato, capii che non aveva altro che un'ideologia antiumana biofoba che aveva scambiato per una religione. Il giorno del giudizio nerd e il paradiso delle IA. No, grazie; non me la bevo».
«Oh». Sirhan strizza gli occhi verso le nuvole. Per un momento, crede di vedere qualcosa lontano nella foschia, a una distanza indeterminata - è difficile distinguere centimetri e megametri, senza un indicatore di scala e un orizzonte a distanza continentale - ma non è sicuro di cosa sia. Forse un'altra città, curva come un mollusco e piena di antenne, una strana coda di nodi fabbricatori che le svolazza sotto. Poi un ammasso di nubi la nasconde per un attimo, e quando le nuvole scompaiono, l'oggetto è sparito. «Cosa ti rimane, allora? Se non credi davvero in un creatore benevolo, morire dev'essere terrificante. Soprattutto se lo fai così lentamente».
Pamela fa un sorriso scheletrico, un'espressione particolarmente priva di umorismo. «È perfettamente naturale, caro! Non hai bisogno di credere in Dio per credere nelle realtà integrate. Le usiamo tutti i giorni, come strumenti mentali. Applica il ragionamento antropico, e non ti è chiaro che il nostro intero universo probabilmente è una simulazione? Viviamo nella prima epoca dell'universo. Questa probabilmente», punzecchia la parete interna, di tessuto adamantino, della bolla che trattiene la precaria atmosfera terrestre, lasciando fuori gli ululanti venti di metano e idrogeno criogenico di Saturno, «non è altro che la simulazione panottica di qualche motore di storia antica, che replica la somma di tutte le possibili origini del senso, un miliardo di trilioni di mega-anni da qui. La morte sarà come svegliarsi più grandi, e basta». Il suo sorriso scompare. «O altrimenti, sarò soltanto una vecchia stupida idiota che si merita l'oblio che tanto brama».
«Oh, ma...» Sirhan si ferma, un formicolio sulla pelle. Potrebbe essere matta, si rende conto all'improvviso. Non clinicamente pazza ma ai ferri corti con l'intero universo. Bloccata in una visuale patologica del proprio ruolo nella realtà. «Speravo in una riconciliazione», dice tranquillo. «La tua famiglia allargata ha attraversato dei periodi straordinari. Perché rovinare tutto con acredine?».
«Perché rovinarlo?». Lo guarda con compassione. «È rovinato fin dall'inizio, per via di troppo sacrificio altruistico e troppo poco scetticismo. Se Manfred non avesse desiderato tanto di non essere umano, e se con il tempo io avessi imparato a essere un po' più flessibile, potremmo ancora...». Smette di parlare. «È strano».
«Cosa?».
Pamela alza il bastone e indica un punto tra le ondose nubi di metano, l'espressione confusa. «Giurerei di aver visto un'aragosta...».

Amber si sveglia nel bel mezzo della notte, al buio e in una pressione soffocante, e sente che sta annegando. Per un momento è tornata nello spazio ambiguo sull'altro lato del Router, un orrore di strumenti striscianti che tracciano ogni singola esperienza negli angoli e nelle fessure della sua mente; poi i suoi polmoni diventano di vetro e cocci, e lei tossisce e ansima nell'aria fredda del museo a mezzanotte.
Il pavimento di pietra sotto di lei, e un vecchio dolorino alle ginocchia, le dicono che non è più a bordo della Field Circus. Mani ruvide le tengono su le spalle mentre vomita una nebbiolina azzurra, tormentata da un accesso di tosse. Altro liquido azzurrognolo sta colando dai pori sulla pelle delle braccia e dei seni, evaporando in striscioline stranamente significative. «Grazie», riesce infine a dire a fatica. «Ora riesco a respirare».
Si accovaccia sui talloni, si accorge di essere nuda e apre gli occhi. È tutto confusamente strano, anche se non dovrebbe. C'è un attimo di resistenza, come se le sue palpebre fossero sigillate... poi reagiscono. Le sembra tutto stranamente familiare, come svegliarsi di nuovo in una casa in cui è cresciuta e da cui si è trasferita anni fa. Ma la scena attorno a lei molto difficilmente può ispirare fiducia. Ombre fitte e profonde su serbatoi ovoidali con il sogno di un anatomista, corpi in vari raccapriccianti stadi di assemblaggio. E seduta tra questi, dove si è nascosta dopo averle lasciato andare le spalle, c'è una persona stranamente deforme... è anche lei nuda, eccetto che per qualche chiazza di pelliccia arancione.
«Sei già sveglia, ma chérie?» chiede l'orangutan.
«Mmm». Amber scuote la testa con cautela, sentendo il lezzo di pelo umido, la flebile carezza della brezza... si allunga con un altro senso e cerca di afferrare la realtà, ma scivola via, intransigente e volubile. Tutto intorno a lei è così solido e immutabile che per un attimo sente una fìtta di panico claustrofobico. Aiuto! Sono intrappolata nell'universo reale! Un altro rapido controllo la rassicura che ha accesso a qualcosa fuori dalla propria testa, e il panico inizia a svanire. La sua esocorteccia è migrata con successo in questo mondo. «Sono in un museo? Su Saturno? Chi sei... ci conosciamo?».
«Non di persona», dice cauta la scimmia. «Ci siamo scritte. Annette Dimarcos».
«Zia...». Un'ondata di ricordi scuote con violenza il fragile flusso di coscienza di Amber, costringendola a ramificarsi ripetutamente finché non riesce a riunirli insieme. Annette, in un messaggio registrato: Tuo padre ti manda questo pacco per la fuga. La chiave legale per la gabbia dorata di custodia di sua madre. La libertà è una necessità. «Papà è qui?» chiede speranzosa, anche se sa benissimo che qui nel mondo vero sono passati almeno trentacinque anni di tempo lineare. Per un secolo in cui dieci anni di tempo lineare bastano a svariate rivoluzioni industriali, è molta acqua passata sotto i ponti.
«Non ne sono sicura». L'orangutan chiude gli occhi lentamente, si gratta l'avambraccio sinistro e dà un'occhiata in giro. «Magari è in uno di questi serbatoi, che fa il gioco delle tre carte. O magari sta aspettando che la situazione si calmi». Si gira per guardare Amber con i suoi grandi occhi marroni e profondi. «Questa non è la riunione che speravi».
«Non...» Amber trae un respiro profondo, il decimo o dodicesimo inspirato da questi nuovi polmoni. «E il corpo? Eri umana. E cosa sta succedendo?».
«Io sono ancora umana, dove serve», dice Annette. «Uso questi corpi perché sono comodi a bassa gravità e mi ricordano che non vivo più nello spazio reale. E c'è un altro motivo». Fa un gesto fluido verso la porta aperta. «Troverai grandi cambiamenti. Tuo figlio ha organizzato...».
«Mio figlio». Amber sbatte le palpebre. «È quello che mi sta facendo causa? Quale versione di me? Quanto tempo fa?». Un torte di domande le scorre nella mente, fino a esplodere in quesiti strutturati per tutte le sezioni pubbliche dello spazio mentale a cui ha accesso. Gli occhi le si allargano mentre assorbe le implicazioni. «Oh merda! Dimmi che non è già qui!».
«Temo proprio che ci sia», dice Annette. «Sirhan è un bambino strano: ha preso dalla sua grand-mère. Che, ovviamente, ha invitato alla festa».
«La festa?».
«Certo, sì! Non ti ha detto di cosa si tratta? È la sua festa. Per celebrare l'apertura della sua istituzione speciale. L'archivio di famiglia. Metterà da parte l'azione legale, almeno per la durata della festa. È per questo che siamo tutti qui... anche io». Il corpo di scimmia le sorride compiaciuto. «Temo che sia piuttosto deluso dal mio vestito».
«Parlami di questa biblioteca», dice Amber, strizzando gli occhi. «E di questo figlio che non ho mai incontrato, avuto con un padre con cui non ho mai scopato».
«Quindi vuoi sapere tutto?» chiede Annette.
«Sì». Amber si tira su con uno scricchiolio. «Mi servono dei vestiti. E mobili semplici. E dove posso trovare da bere?».
«Ti faccio vedere», dice l'orangutan, distendendosi in verticale come un fascio di pelosi copertoni arancioni. «Da bere, per prima cosa».

Per quanto il Museo delle Scienze di Boston sia l'edificio principale dell'habitat-ninfea, non è l'unico: è solo il più stupido, composto di materia inerte residuale dell'era pre-illuminata. L'orangutan porta Amber attraverso un passaggio di servizio, fuori nella notte mite, nuda alla luce dell'anello. L'erba è fresca sotto i piedi e c'è una brezza leggera che soffia costantemente verso i ricircolatori sul bordo del piccolo mondo. Segue la scimmia arancione ciondolante su un pendio erboso, sotto un salice piangente, oltre una curva a trecentonovanta gradi che scaglia nell'invisibilità il mondo alle loro spalle, fin dentro una casa con le pareti di tessuto a batuffoli e un soffitto da cui piove luce lunare.
«Cos'è questo?» chiede Amber, come in trance. «Una specie di aerogel?».
«No...». Annette rutta, poi affonda una mano nel pavimento e tira su un ammasso di nebbiolina. «Fai una sedia», dice. Si solidifica, prendendo forma e colore fino a quando c'è una perfetta riproduzione di una Regina Anna con le gambe affusolate ritta davanti ad Amber. «E una per me. Rolla e scegli uno dei miei temi preferiti». Le pareti arretrano leggermente e si induriscono, espellendo vernice, legno e vetro. «Perfetto». La scimmia sorride ad Amber. «Sei a tuo agio?».
«Ma...» Amber si blocca. Osserva il caminetto familiare, la fila di ninnoli, le fotografie infantili eternamente lucide sul loro supporto a sublimazione. È la cameretta della sua infanzia. «Hai portato tutto quanto? Solo per me?».
«Non si sa mai con lo shock del futuro». Annette alza le spalle e prende un braccio di legno che aveva dietro il collo per grattarsi. «Usiamo la nanonebbia quasi per tutto qui, maglie peer-to-peer di assemblatori multibraccio che mutano conformazione e fase solido-gassosa a comando. Trama e colore sono tutte apparenze, non realtà. Però sì, questa viene da una delle lettere di tua madre a tuo padre. L'ha portata qui, per farti una sorpresa. Se solo fosse pronta per tempo». Le labbra si ritirano dai grandi denti quadrati che masticano foglie e assumono la forma di una cosa che potrebbe essere un sorriso tra un milione di anni.
«Tu, io... non me l'aspettavo. Tutto questo». Amber si rende conto di respirare rapidamente, un riflesso prossimo al panico. La semplice vicinanza di sua madre è sufficiente a provocarle reazioni spiacevoli. Annette è a posto, Annette è simpatica. E suo padre è un dio burlone, sempre nascosto dove non lo vedi per saltar fuori e innaffiarti di doni ambigui. Ma Pamela ha cercato di plasmare Amber a sua immagine da bambina, e nonostante abbia viaggiato tanto da allora, e sia cresciuta tanto, Amber nutre un'irragionevole paura claustrofobica nei confronti di sua madre.
«Non essere triste», le dice Annette calorosamente. «Ti mostro tutto questo per convincerti. Lei cercherà di turbarti. È un segno di debolezza, non ha il coraggio delle sue convinzioni».
«Davvero?». Questa è una novità per Amber, che si piega in avanti per ascoltare.
«Sì. E una donna vecchia e amareggiata, adesso. Gli anni non sono stati facili per lei. Forse ha intenzione di ricorrere alla sua irreparata senescenza come arma di suicidio passivo, con cui farci sentire colpevoli, affibbiandoci la colpa del suo maltrattamento, ma ha ugualmente paura di morire. La tua reazione, se fosse triste, sarà una scusa e un incoraggiamento per il suo egoismo. Sirhan la sostiene, inconsapevole, stupido bambino. Lui la tiene in grande considerazione e crede che aiutandola a morire la stia aiutando a raggiungere i suoi scopi. Non ha mai incontrato un adulto che cammina all'indietro verso una scogliera finora».
«All'indietro». Amber fa un respiro profondo. «Mi stai dicendo che la mamma è talmente triste da cercare di uccidersi invecchiando? Non è un po' lento?».
Annette scuote la testa sconsolata. «Ha avuto cinquant'anni per fare pratica. Tu sei stata via ventotto anni! Aveva trent'anni quando ti ha partorito. Adesso ne ha più di ottanta ed è un'avversatrice dei telomeri, socia fondatrice del fronte conservatore genomico. Accettare una lavanda virale e un reset dell'età significherebbe ammainare una bandiera che ha portato per mezzo secolo. Anche accettare l'upload è sbagliato secondo lei. Non accetterà che la sua identità sia una variabile, né una costante. È arrivata qui in una scatola, congelata, con ulteriori danni da radiazioni. Non tornerà a casa. È qui che ha in programma di finire i suoi giorni. Vedi? È per questo che sei stata portata qui. Per questo, e per gli ufficiali giudiziari incaricati dei debiti finanziari del tuo altro te. Ti stanno aspettando nel sistema di Giove con mandati e succhiacervelli per estrarre le tue chiavi private».
«Mi ha incastrato!».
«Oh, non lo dire!. Tutti cambiamo le nostre convinzioni prima o poi, a volte. Lei è inflessibile, non si piegherà, ma non è stupida. Né è vendicativa come forse crede di essere. Pensa di dover essere una donna affranta, anche se questo non è tutto. Tuo padre e io, noi...».
«È ancora vivo?» chiede Amber impaziente, per metà ansiosa di sapere, per metà speranzosa di poter essere sicura che le notizie non saranno cattive.
«Sì». Annette sorride di nuovo, ma non è un'espressione felice, piuttosto un mostrare i denti al mondo. «Come stavo dicendo, tuo padre e io abbiamo cercato di aiutarla. Lei lo rifiuta. Dice che non è un uomo. Allora nemmeno io sono più una donna? No, ma con me ci parla lo stesso. A te andrà meglio. Ma i suoi averi sono stati spesi. Oggi, tuo padre non è un uomo ricco».
«Sì, ma...». Amber annuisce. «Potrebbe riuscire ad aiutarmi».
«Oh? Come?».
«Ricordi qual era l'obiettivo iniziale della Field Circus? La trasmissione degli alieni senzienti?».
«Sì, certo». Annette sbuffa. «Schemi piramidali di azioni schifose provenienti da teste vuote che si bevono le storie sulla saggezza aliena».
Amber si passa la lingua sulle labbra. «Quanto siamo soggetti alle intercettazioni qui?».
«Qui?» Annette si guarda in giro. «Molto. Non puoi mantenere un habitat in un ambiente non biosferico senza una sorveglianza onnipresente».
«Be', allora...».
Amber si chiude in sé, duplica la propria identità, raccoglie un mucchio complesso dei propri pensieri e ricordi, li riordina, offre ad Annette un capo di un tunnel criptato, poi stipa il processo mentale congelato nella sua testa. Annette resta seduta ferma per circa dieci secondi, poi si scuote e mugola a bassa voce. «Devi chiedere a tuo padre», dice agitandosi visibilmente. «Devo andarmene adesso. Non avrei dovuto saperlo! È dinamite, lo sai. Dinamite politica. Devo tornare dalla mia identità sorella primaria e avvertirla».
«La tua... aspetta!» Amber si alza più in fretta che può con il suo corpo scoordinato, ma Annette si muove rapida, arrampicandosi su una translucida scala a mezz'aria.
«Dillo a Manfred!» grida sua zia attraverso il corpo di una scimmia. «Non ti fidare di nessun altro!». Attraverso il tunnel, invia rapidamente ad Amber un altro pacchetto di ricordi criptati compressi, poi, un attimo dopo, il cranio arancione tocca il soffitto e svanisce, un flusso liquido di nanorobot che si dissociano lasciandosi l'un l'altro e disperdendosi nella massa più grande dell'edificio che ha generato la fìnta scimmia.

Immagini dall'album di famiglia: Mentre non c'eri...

* Amber, con indosso una veste di broccato e una corona tempestata di processori adamantini e collegamenti neurali esterni, il suo corteo regale raccolto tutto intorno, partecipa alla conferenza costituzionale pangioviana con la maestosità di un affermato capo di stato, governante di una piccola luna interna. Sorride con aria di intesa all'obiettivo della fotocamera, con lo splendore professionale derivante da un buon filtro video per le pubbliche relazioni. «Siamo molto felici di essere qui», dice, «e siamo lieti che la commissione sia stata d'accordo nel prestarsi a contribuire al continuo progresso del programma per lo spazio profondo dell'Impero dell'Anello».

* Un inutile pezzo di carta, sporcato malamente da lettere scritte con una sostanza marrone scolorita - forse sangue - dice: «Me ne vado, non mi deltare». Questa versione di Pierre non è andata al Router: è rimasto a casa, ha cancellato tutti i backup e si è tagliato le vene, lasciando un epitaffio tagliente e autoinflitto. Arriva come uno shock gelido, la prima folata fredda del vento invernale che soffia attraverso l'élite politica del sistema esterno. Ed è l'inizio di un regime di censura diretto verso la sonda Whisp, che già viaggia a tutta velocità. Amber, nel suo dolore, prende la decisione esecutiva di non dire alla sua ambasciata stellare che uno di loro è morto e, pertanto, unico.


* Manfred, cinquantenne, con l'aspetto pallido alla moda dei digerati, dall'aria in salute per uno della sua età, in piedi di fianco a un cespuglio trasmigrativo con un sorriso stupido sul volto. Ha deciso di fare l'ultimo passo, non soltanto di generare processi mentali esterni in un'esocorteccia di processori distribuiti, ma di trasferire la sua intera persona fuori dallo spazio reale, ovunque siano andati gli Upload a bordo della Field Circus. Annette, magra, elegante e molto parigina, è in piedi al suo fianco, con l'aspetto incerto della moglie di un condannato a morte.

* Un matrimonio sciita, mut'ah, dalla durata limitata. Molti lo trovano scandaloso, ma la mamtu'ah non è musulmana, indossa una corona anziché un velo e molti degli altri membri del clero islamico transmarziano parlano già dello sposo in termini oltraggiosi. Per di più, oltre a essere innamorati, la coppia felice ha più potenza di fuoco strategico di una superpotenza di fine Ventesimo secolo. La loro gatta, accucciata ai loro piedi, sembra compiaciuta: è la custode dei dispositivi di sicurezza sui grandi laser.


* Un puntino luminoso color rubino nell'oscurità, tendente quasi all'infrarosso, è il segnale di ritorno dalla vela fotonica della Field Circus, mentre la sonda Whisp supera la distanza di un anno luce, a quasi dodicimila miliardi di chilometri da Plutone. (Anche se è difficile chiamarla sonda Whisp quando ha una massa di quasi cento chili, modulo di propulsione incluso. Le sonde Whisp dovrebbero essere piccole!).

* Collasso dell'economia translunare. Giù nelle pensierose profondità del sistema solare, nuove vaste intelligenze concepiscono una nuova teoria di ricchezza che ottimizza l'allocazione delle risorse meglio del precedente, pervasivo Libero Mercato 1.0. Senza l'impedimento dei minimi locali e la necessità di generare e mietere start-up alla maniera di Darwin, le compagnie, le menti di gruppo e le organizzazioni che adottano la cosiddetta Infrastruttura di Vendita Accelerata dell'Economia 2.0 trattano in maniera ottimale le une con le altre. Il cambiamento di fase accelera con l'ingresso di altre entità, facendo leva sulle esternalità di rete per sorpassare l'ecosistema tradizionale. Amber e Sadeq sono in ritardo, con Sadeq ossessionato dalla ricerca di un modo per riconciliare l'ASI con il murabaha e il mudaraba mentre l'economia postmoderna di metà Ventunesimo secolo si disintegra attorno a loro. Il ritardo implica conseguenze punitive (l'Impero dell'Anello è sempre stato importatore di rete di potenza cerebrale ed esportatore di energia potenziale gravitazionale). Adesso è una stagnante zona depressa, essendo il bit rate della sonda relativistica spostata verso il rosso, insufficientemente appetibile per i demoni delle simulazioni di assemblaggio.

In altre parole, sono poveri.

* Un messaggio dall'oltretomba. I viaggiatori a bordo della nave spaziale sono giunti a destinazione, un artefatto alieno alla deriva in un'orbita congelata attorno a una nana bruna ghiacciata. Sono incoscientemente andati in Upload, bloccando la sonda Whisp in anni di sonno. Amber e suo marito hanno pochi fondi per pagare i laser di propulsione: quel che è rimasto loro dell'energia cinetica dell'Impero dell'Anello - che ha sede nel momento orbitale di una piccola luna interna di Giove - sta finendo rapidamente, quasi in perdita, per via delle rudi richieste degli esobionti e dei metantropi che si biforcano e procreano nella datasfera dei pianeti gioviani esterni. Il costo dell'importazione dei cervelli nell'Impero dell'Anello è esorbitante. Quasi per disperazione Amber e Sadeq producono un figlio, la Generazione 3.0, per popolare il loro regno in calo. Fotografano la gatta, offesa, scodinzolante di fianco alla culla a gravità zero.

* Sorpresa e cartoline dagli orbitali interni... la madre di Amber offre aiuto. Per il bene del bambino, Sadeq offre banda e arricchimento dell'interfaccia utente. Il bambino si biforca, svariate volte, mentre Amber gioca disperatamente con le probabilità, simulando risultati di crescita. Lei e Sadeq non sono bravi genitori... il padre è distratto e incline a perdersi nella decostruzione intertestuale delle sure, la madre sull'orlo dell'abisso per aver gestito l'economia di un piccolo regno in fallimento. Nello spazio di un decennio, Sirhan vive una dozzina di vite, buttando identità come fossero vecchi vestiti. L'incertezza della vita nel decadente Impero dell'Anello non lo incanta, le ossessioni dei suoi genitori lo infastidiscono e quando sua nonna si offre di finanziare il suo delta-v e l'educazione successiva su uno degli orbitali di Titano, i suoi genitori danno il loro riluttante consenso.


* Amber e Sadeq si separano con astio. Sadeq, abbandonati gli studi in seguito alle crescenti intrusioni del mondo dell'essere nell'universo del dover essere, si unisce a una setta sufi iperspaziale, racchiusa in una matrice di nanorobot vetrificanti nella Nube di Oort ad aspettare un'epoca migliore. Il suo strumento di volontà - il meccanismo legale della sua resurrezione - specifica che sta aspettando il ritorno del dodicesimo imam nascosto.

* Da parte sua, Amber ricerca rapidamente nel sistema interno notizie di suo padre... ma non c'è niente. Isolata e sola, inseguita da debiti accusatori, si lancia in una riborganizzazione, eliminando gli aspetti della sua personalità che l'hanno portata così in basso; dal punto di vista legale, la sua responsabilità è legata alla sua identità. Alla fine si dona a una comune di perdenti, accettando la loro personalità in cambio di un taglio netto con il passato.

* Senza Regina e principe consorte, l'Impero dell'Anello - ora disabitato, con perdite di gas respirabile, attivo in controllo autonomico - esce lentamente dall'orbita nelle tenebre gioviane, irradiando potenza alle lune esterne fino a quando fora la superficie delle nuvole con un'incandescente macchia luminosa finale, che non si era più vista dall'impatto della Shoemaker-Levy 9.


* Sirhan, preso dai Saturnalia, è offeso dal fallimento dei suoi genitori che volevano migliorarsi. E decide di farlo per loro, non necessariamente in un modo di loro gradimento.

«Vedi, spero tu voglia aiutarmi nella mia ricerca storica», dice il giovane con il viso serio.
«Ricerca storica». Pierre lo segue lungo la galleria curva, le mani volutamente incrociate dietro la schiena per evitare di mostrare la propria agitazione. «Di che storia si tratta?».
«La storia del Ventunesimo secolo», dice Sirhan. «Ti ricordi, vero?».
«Se ricordo...» Pierre fa una pausa. «Dici sul serio?».
«Sì». Sirhan apre una porta laterale. «Da questa parte, prego. Ti spiego».
La porta si apre su una di quelle che erano le gallerie laterali del palazzo del museo, piene di mostre interattive ideate per spiegare gli elementi dell'ottica a bambini iperattivi e alle loro indulgenti unità parentali. L'ottica tradizionale è obsoleta da molto tempo - la materia sintonizzabile può rallentare i fotoni fino ad arrestarli, teletrasportarli di qua e di là, giocare a ping pong con lo spin e la polarizzazione - e poi, la materia inerte delle pareti e del pavimento è stata sostituita da computronium impoverito, scarichi di calore appesi sotto il suolo dell'habitat della ninfea per disfarsi degli inutili rifiuti fotonici della computazione reversibile. Adesso la stanza è vuota.
«Da quando sono diventato curatore di questo posto, ho trasformato i supporti strutturali del museo in un funzionale magazzino di memoria ad alta densità. Uno dei benefici di un posto da supervisore, ovviamente. Ho circa un miliardo di avabit di capacità, abbastanza per archiviare la banda sensoriale combinata e i ricordi dell'intera popolazione terrestre del Ventesimo secolo... se fosse questo che mi interessa».
Lentamente le pareti e il soffitto prendono vita, si illuminano, creando una vista vertiginosamente vibrante dell'aurora sopra il bordo del Meteor Crater in Arizona... o forse è il centro di Baghdad.
«Una volta che mi sono reso conto di come mia madre avesse sperperato la fortuna di famiglia, ho passato del tempo a cercare una soluzione al problema», continua Sirhan. «E ho capito, allora che c'è solo una merce che aumenterà di prezzo con il passare del tempo: la reversibilità».
«La reversibilità? Non ha molto senso». Pierre scuote la testa. È ancora leggermente frastornato per via della decantazione. È sveglio da un'ora soltanto e si deve ancora abituare alle bizze di un universo che non modifica le proprie leggi per assecondare il suo ferreo capriccio... questo, e la preoccupazione per Amber, della quale non c'è segno nella sala di crescita dei corpi. «Scusami, sai dov'è Amber?».
«Si starà nascondendo, probabilmente», dice Sirhan, senza rancore. «Sua madre è in giro», aggiunge. «Perché me lo chiedi?».
«Non so cosa sai di noi». Pierre lo guarda di traverso. «Siamo stati a bordo della Field Curcus per molto tempo».
«Oh, non ti preoccupare per me. So che non siete gli stessi che sono rimasti nelle retrovie per contribuire al collasso dell'Impero dell'Anello», dice Sirhan con indifferenza, mentre Pierre genera in fretta un paio di fantasmi per indagare sulla storia a cui sta alludendo. Le loro scoperte lo sconvolgono fino al midollo mentre si integrano con la sua narrazione cosciente.
«Non ne sapevamo niente!» Pierre incrocia le braccia sulla difensiva. «Né di te né di tuo padre», aggiunge calmo. «Né della mia altra... vita». Sconvolto: Mi sono ucciso? Perché mai avrei dovuto fare una cosa del genere? E non riesce a immaginare cosa possa aver visto Amber in un religioso introverso come Sadeq; non che voglia farlo.
«Sono sicuro che dev'essere un grande shock per te», dice Sirhan accondiscendente, «ma ha tutto a che fare con quello di cui stavo parlando. Reversibilità. Cosa significa per te, nel tuo prezioso contesto? Tu sei, se vuoi, un'opportunità per invertire ciò in cui la malasorte ha fatto autodarwinare la tua istanza primaria. Lo sai, ha distrutto tutti i backup su cui i suoi fantasmi hanno messo le mani. Solo una linea di ritardo di un anno luce e il fatto che in quanto istanza attiva sei tecnicamente un persona diversa ti hanno salvato. E adesso sei vivo, e lui è morto... e qualunque cosa l'abbia portato a uccidersi non ha effetti su di te. Pensala come una selezione naturale tra diverse versioni di te. La versione più adatta sopravvive».
Indica la parete del cratere. Un diagramma ad albero inizia a crescere dall'angolo inferiore sinistro della parete, ripiegandosi e ricomplicandosi mentre si arrampica verso l'angolo superiore destro, zoomando e dividendosi in linee di frattura tassonomiche. «La vita sulla Terra, l'albero genealogico, ciò che la paleontologia è stata in grado di dedurne per noi», dice pomposamente. «I vertebrati iniziano qui» - un punto a tre quarti dell'albero - «e abbiamo una media di cento campioni fossili per mega-anno a partire da allora. La maggior parte è stata raccolta negli ultimi vent'anni, dato che la mappatura esaustiva della crosta e del mantello superiore della Terra a livelli micrometrici è diventata pratica comune. Che spreco».
«Sarebbe a dire», Pierre fa un rapido calcolo, «cinquantamila specie diverse? È un problema?».
«Sì!» dice Sirhan con veemenza, non più distaccato o distante. Fatica visibilmente a tenersi sotto controllo. «All'inizio del Ventesimo secolo, c'erano circa due milioni di specie di vertebrati e più o meno una trentina di milioni di specie di organismi pluricellulari... è difficile applicare lo stesso trattamento statistico ai procarioti, ma senza dubbio anche di questi ce n'era un numero enorme. La durata di vita media di una specie è di circa cinque mega-anni. Si pensava che fosse più o meno uno, ma questa è una stima adatta solo ai vertebrati... molte specie di insetti sono stabili per lunghi periodi. Ad ogni modo, abbiamo un campione totale, comprendendo tutta la storia, di solo cinquemila specie preistoriche conosciute... su una popolazione di trenta milioni, con un ricambio ogni cinque milioni di anni. Ossia, conosciamo soltanto una forma di vita su un milione, di quelle che sono esistite sulla Terra. E la situazione con la storia umana è anche peggiore».
«A-ha! Allora sono ricordi quelli che cerchi? Cos'è davvero successo quando abbiamo colonizzato Barney? Chi ha liberato i rospi di Oscar nel nucleo a caduta libera dell'Ernst Sanger, cose così?».
«Non proprio». Sirhan sembra dolorante, come se essere costretto a parlare svalutasse il significato del suo intuito. «Sto cercando la storia. Tutta intera. Voglio mettere alle strette il mercato dei futuri storici. Ma mi serve l'aiuto di mio nonno. E tu sei qui per aiutarmi a ottenerlo».
Nel corso della giornata, vari rifugiati della Field Circus escono dai serbatoi e sbattono le palpebre alla luce circolare, creature disperse di un'antica era. Il sistema interno è una chiazza vaga da così lontano, una nuvola rossa e gonfia che maschera il sole alto sopra l'orizzonte. Comunque, la grande ristrutturazione è ancora visibile a occhio nudo... qui, a forma di anelli con una struttura frattale talmente organizzata da essere fastidiosa mentre volteggiano in orbita in cielo. Sirhan (o chiunque stia pagando questa celebrazione della carne di famiglia) ha provveduto alle loro necessità fisiche: cibo, acqua, vestiti, alloggi e banda... sono tutti copiosamente disponibili. Un paesino di case a bolla cresce sulla collinetta erbosa adiacente al museo, mentre la nanonebbia si condensa in varie forme e stili.
Sirhan non è l'unico abitante della città in festa, ma gli altri si mantengono in disparte. Solo isolazionisti borghesi ed eccentrici asociali vorrebbero vivere qui in questo momento, con così tanti minuti luce tra loro e il resto della civiltà. La rete di habitat-ninfea non è ancora pronta per l'ondata migratoria da Saturno che arriverà su questa sponda aliena in tempo per l'Esposizione Universale, ad almeno un decennio da adesso. Il circo volante di Amber ha spinto i reclusi nativi sottoterra, in alcuni casi letteralmente: il vicino di Sirhan, Vinca Kovic, dopo essersi lamentato molto per la confusione e il rumore («Quaranta immigrati! È un oltraggio!»), si è avvolto in un bozzolo ambientale ed è in letargo in fondo a un cavo di tela di ragno un chilometro sotto le fondamenta spaziali della città.
Ma questo non impedirà a Sirhan di organizzare un ricevimento per gli ospiti. Ha portato fuori il suo magnifico tavolo da pranzo, insieme allo scheletro di Argentinosaurus. In effetti, ha costruito una sala da pranzo nella cassa toracica del dinosauro. Non che abbia in programma di fare lo sbruffone, ma sarà interessante vedere le reazioni dei suoi invitati. E forse svelerà il mistero del benefattore che ha pagato tutti questi corpi di carne.
Gli agenti di Sirhan invitano gentilmente gli ospiti alla festa, mentre il secondo tramonto di questo ciclo diurno scurisce lievemente il cielo di violetto. Discute i suoi piani con Pamela attraverso un antiquato telefono solo vocale, mentre il suo silenzioso valletto lo veste con grazia ed efficienza inumana. «Sono sicuro che ascolteranno quando verrà loro chiarita la situazione», dice. «Altrimenti, be', scopriranno presto cosa significa essere poveri sotto l'Economia 2.0. Niente accesso alla molteplicità, niente forza di volontà, essere ridotti a semplici risorse di tipo spaziale, alla mercé di metareligioni e borganismi predatori... non è certo un picnic!».
«Non hai le risorse per organizzare tutto da solo», sottolinea sua nonna con toni secchi e didattici. «Se ci fosse la vecchia economia, potresti rivolgerti all'infrastruttura di banche, assicurazioni e altri meccanismi di gestione del rischio...».
«Non c'è alcun rischio in questa speculazione, in termini puramente umani», insiste Sirhan. «L'unico rischio è iniziarla con una riserva così limitata».
«Alcune le vinci, alcune le perdi», ribadisce Pamela. «Fatti vedere». Con un sospiro, Sirhan fa un cenno a una videocamera ferma; questa sobbalza, sorpresa. «Ehi, stai bene! Il vecchio imprenditore di famiglia in tutto e per tutto. Sono orgogliosa di te, tesoro».
Respingendo un'insolita lacrima d'orgoglio, Sirhan annuisce. «Qualche minuto e sono da te», dice, poi chiude la chiamata. Al valletto più vicino: «Portatemi la carrozza, presto».
Un'ondeggiante nebbia, che si connette e si disconnette costantemente nel contorno fosco di una Rolls Royce Silver Ghost del 1910, porta Sirhan in silenzio fuori dalla sua ala del museo. Lo guida fuori sul viale del tramonto dietro il palazzo, fino all'anfiteatro affondato, dove lo scheletro montato dell'Argentinosaurus se ne sta come una scultura colonnare semisquagliata sotto la luce circolare arancio-argento. Una piccola folla di persone è già sul posto, alcuni vestiti in maniera informale e altri abbigliati alla maniera formale dei decenni passati. Per la maggior parte sono passeggeri o membri dell'equipaggio appena scesi dalla sonda Whisp, ma alcuni sono eremiti guardinghi, con un linguaggio del corpo difensivo e le loro persone il centro di un costante ronzio orbitale di api di sicurezza. Sirhan scende dalla sua auto d'argento e la dissolve come per magia, una nuvola dispersa nella brezza. «Benvenuti nella mia dimora», dice, inchinandosi profondamente verso un cerchio di facce interessate. «Mi chiamo Sirhan al-Khurasani e sono il principale appaltatore responsabile di questo piccolo angolo del progetto di terraformazione temporanea di Saturno. Come alcuni di voi probabilmente sapranno, sono imparentato per sangue e design al vostro ex capitano, Amber Macx. Sarei grato di potervi offrire i comfort della mia casa mentre vi acclimatate al cambiamento delle circostanze prevalenti nel sistema e decidete quale sarà la vostra prossima meta».
Cammina verso il tavolo a ferro di cavallo di aria solidificata che galleggia sotto la gabbia toracica del dinosauro morto, si gira lentamente per accogliere i volti e fa apparire delle didascalie per ricordarsi chi è chi in questo incontro. Aggrotta leggermente la fronte: non c'è nessuna scritta sotto sua madre. Ma quel tipo snello, con la barba... Non può essere... «Padre?» chiede.
Sadeq ammicca solennemente. «Ci conosciamo?».
«Forse no». Sirhan sente che gli gira la testa, perché anche se Sadeq sembra una versione più giovane di suo padre, c'è qualcosa di sbagliato... qualche incongruenza essenziale: l'espressione garbatamente sollecita, la completa mancanza d'impegno, l'assenza di coinvolgimento paterno. Questo Sadeq non ha mai tenuto il piccolo Sirhan nel nucleo di controllo del cilindro assiale dell'Anello, non ha mai indicato il ciclone che spazza la vasta faccia di Giove per raccontargli storie di jinn e meraviglie da far rizzare i capelli a un ragazzino. «Non te lo rinfaccerò, te lo prometto», mormora.
Sadeq alza un sopracciglio ma non commenta, lasciando Sirhan al centro di uno scomodo silenzio. «D'accordo, allora», dice in fretta. «Se volete servirvi da bere e da mangiare, avremo tutto il tempo per parlare più tardi». Sirhan non crede all'utilizzo dei fantasmi per la semplice interazione con gli altri - le possibilità di fraintendimento sono imbarazzanti - ma sarà un impegno gestire la festa.
Si guarda in giro. C'è un tipo calvo dall'aspetto aggressivo, con le sopracciglia folte e indosso quelli che sembrano un paio di pantaloncini e una maglia ricavata da una tuta spaziale. Chi è? (Gli agenti di Sirhan suggeriscono: «Boris Denisovitch». Ma cosa vuol dire?). C'è una donna anziana allegra, con in spalla una videocamera maliziosa dipinta con i colori violenti di un uccello del paradiso. Dietro di lei una donna più giovane, vestita dalla testa ai piedi di nero attillato, i capelli attualmente biondi acconciati in treccine, lo guarda... come fa anche Pierre, con un braccio protettivo sulle spalle di lei. Sono... Amber Macx? Quella è sua madre? Sembra fin troppo giovane, troppo innamorata di Pierre. «Amber!» dice avvicinandosi ai due.
«Sì? Tu sei, mmm, il misterioso personaggio che mi ha chiesto il mantenimento?». Il suo sorriso è decisamente poco amichevole mentre va avanti. «Non posso dire che sia un vero piacere conoscerti, viste le circostanze, anche se ti dovrei ringraziare per il banchetto».
«Io...». La lingua gli si attacca al palato. «Le cose non stanno così».
«Allora come stanno?» chiede tagliente, puntandogli contro un dito. «Sai benissimo che non sono tua madre. Che cos'è che vuoi, eh? Sai anche benissimo che sono quasi al verde, quindi non è dalle mie tasche che vuoi qualcosa. Cosa vuoi da me?».
La sua veemenza lo prende alla sprovvista. Questa donna tagliente e aggressiva non è sua madre e nemmeno l'introverso religioso - credente - al suo fianco è suo padre. «D-d-dovevo impedirti di arrivare al sistema interno», dice, con il centro vocale che arriva a un punto morto prima che il modulo anti balbuzie lo fermi. «Laggiù ti mangeranno viva. La tua altra metà ha lasciato grossi debiti, che sono stati acquisiti dai più rapaci...».
«Atti societari fuggitivi», afferma lei, con una certa calma. «Completamente senzienti e autosufficienti».
«Come lo sapevi?» chiede lui preoccupato.
Lei diventa scura in volto. «Li ho già incontrati». È un'espressione sinistra molto familiare, una che conosce a fondo e che non dovrebbe venire da questa semisconosciuta. «Siamo stati in posti strani, mentre eravamo via». Guarda dietro di lui, si concentra su qualcun altro e inspira a fondo mentre il viso perde espressione. «Veloce, dimmi qual è il tuo piano. Prima che arrivi la mamma».
«Archiviazione mentale e fusione storica. Fare una copia di te, scegliere diversi corsi di vita, vedere quali funzionano e quali no... senza fallimenti, basta cliccare l'icona "ricarica" e ricominciare. Questo e una visuale a lungo termine sul mercato dei futuri storici. Mi serve il tuo aiuto», borbotta. «Non funzionerà senza famiglia e sto cercando di impedirle di uccidersi...».
«Famiglia». Annuisce guardinga, e Sirhan nota che il suo compagno, questo Pierre - non l'anello debole che si è rotto prima che nascesse, ma un esploratore truce di ritorno dalla natura - lo sta squadrando. Sirhan ha un paio di trucchetti nell'esocorteccia e vede il nugolo di fantasmi attorno a Pierre; la sua tecnica di estrazione dati è rozza e superata, ma entusiasmante e non priva di un certo intuito. «Famiglia», ripete Amber, come fosse una maledizione. Più forte: «Ciao, mamma. Avrei dovuto immaginarlo che aveva invitato anche te».
«Riprova». Sirhan muove lo sguardo su Pamela, poi di nuovo su Amber, sentendosi improvvisamente come un topo intrappolato tra due cobra furenti. Piegata sul bastone, con un trucco leggero e i sostegni medici nascosti sotto un vestito antico, Pamela potrebbe essere una sessantenne conservata male dei vecchi tempi, anziché il caso di suicidio orrendamente lento che ne fanno le sue condizioni oggi. Sorride garbatamente ad Amber. «Forse ti ricordi di quando ti ho detto che una signora non è mai scortese per sbaglio. Non volevo offendere Sirhan presentandomi nonostante il suo volere, quindi non gli ho dato l'opportunità di dire di no».
«E con questo ti saresti guadagnata una scopata di consolazione?» dice Amber a denti stretti. «Mi sarei aspettata di meglio da te».
«Brutta...». Il fuoco nei suoi occhi si spegne improvvisamente, soggetto alla pressione gelata di un controllo che si ottiene solo con l'età. «Speravo che essere stata via tanto avesse migliorato il tuo carattere, se non le tue maniere, ma evidentemente mi sono sbagliata». Pamela colpisce il tavolo con il bastone: «Te lo ripeto, questa è un'idea di tuo figlio. Perché non mangi qualcosa?».
«Prima gli assaggiatori». Amber sorride maliziosamente.
«Ma che cazzo!». È la prima cosa che ha detto Pierre finora e, volgare o no, è un profondo sollievo quando fa un passo avanti, prende un piatto di tartine d'acqua cariche di caviale di salmone e se ne mette una in bocca. «Non potete smetterla di pugnalarvi alle spalle finché noialtri non ci siamo riempiti lo stomaco? Qui non riesco a ignorare il modello biofisico». Spinge il piatto verso Sirhan. «Avanti, a te».
L'incantesimo è infranto. «Grazie», dice Sirhan serio, prendendo un salatino e sentendo la tensione calare, mentre Amber e sua madre smettono di prepararsi a un bombardamento reciproco e si concentrano sull'argomento in questione... ovvero che in ogni evento sociale il cibo viene prima della lotta, non il contrario.
«Provate anche la maionese di uova, vi piacerà», dice Sirhan. «Ci vuole del tempo a spiegare perché si sia estinto il dodo la prima volta».
«Il dodo». Amber tiene un occhio guardingo su sua madre mentre accetta un piatto da un cameriere argenteo a forma di cespuglio che fluttua silenzioso. «Cos'è questa storia del progetto d'investimento familiare?» chiede.
«Semplicemente senza la tua collaborazione la tua famiglia probabilmente farà la fine del topo», taglia corto sua madre prima che Sirhan riesca ad aprire bocca. «Non mi aspetto che t'importi».
Boris si intromette. «Mondi nucleari brulicano di corporazioni. È brutto affare per noi, buono affare per loro. Se tu vedi quello che noi abbiamo visto...».
«Non mi sembra che tu fossi là», dice Pierre stizzito.
«In ogni caso», dice Sirhan piano, «il nucleo non è più salutare per noi ex umani. Là c'è ancora un sacco di gente, ma quelli che si sono uploadati in attesa di un boom economico sono rimasti piuttosto delusi. L'originalità è sopra la media, e l'architettura nervosa umana non è ottimizzata... siamo, per natura, una specie conservativa, perché in un ecosistema statico, che fornisce il miglior ritorno a costi d'investimento riproduttivo bassissimi. Sì, cambiamo con il tempo - siamo più flessibili di quasi tutte le altre specie animali cresciute sulla Terra - ma siamo come statue di granito paragonati agli organismi che si sono adattati alla vita sotto l'Economia 2.0».
«Diglielo», cinguetta Pamela, quasi lo prendesse in giro. «Non era così incruento quando l'ho vissuto io». Amber le lancia un'occhiata gelida.
«Dov'ero rimasto?» Sirhan schiocca le dita e appare un bicchiere di succo d'uva frizzante. «I primi imprenditori dell'upload si biforcavano ripetutamente, hanno scoperto di potersi aggiornare linearmente per occupare una capacità di processore proporzionale alla massa di computronium disponibile, e che i compiti computazionalmente semplici diventavano trattabili. Potevano anche andare più veloci, o più lenti, del tempo reale. Ma erano ancora umani e incapaci di operare efficacemente fuori dai limiti umani. Prendete un essere umano e lavorate sulle estensioni che gli permettono di usufruire pienamente dell'Economia 2.0 e fondamentalmente rompete la sua catena narrativa di coscienza, sostituendola con un diario elettronico di transazioni offerta/domanda tra i vari agenti; è incredibilmente efficiente e flessibile, ma non è un essere umano senziente in nessun riconoscibile senso del termine».
«D'accordo», dice Pierre lentamente. «Credo che abbiamo visto qualcosa del genere. Al Router».
Sirhan annuisce, non avendo capito se sta parlando di qualcosa di importante. «Quindi, vedete, ci sono dei limiti al progresso umano... ma non al progresso stesso! Gli Upload hanno scoperto che il loro lavoro è una merce in deflazione perenne, una volta superato il punto di utilità decrescente. Il capitalismo non ha molto da dire agli operai con abilità obsolete, oltre al fatto che dovrebbero investire in maniera oculata finché guadagnano, e magari aggiornarsi. Ma anche solo sapere come investir nell'Economia 2.0 supera le capacità di un umano non amplificato. Non puoi riaddestrarti come gabbiano, no? Ed è altrettanto difficile riorganizzare per l'Economia 2.0. La Terra è...». Ha un fremito.
«Ai vecchi tempi si sentiva una frase», dice Pamela con calma «Pulizia etnica. Sai cosa vuol dire, cara figlioletta scema? Prendi le persone che secondo te sono di poco valore, e prima le ammassi in un ghetto affollato con risorse limitate, poi decidi che non vale la pena di spendere quelle risorse per loro, e le pallottole costano meno del pane. Gli estropici chiamavano i postumani "bambini della mente", ma erano piuttosto una Vile Progenie. Ce n'erano molti, durante la rapida fase sigmoide. A morir di fame tra numerose conversioni obbligatorie, l'esatta antitesi di tutto quello che tuo padre diceva di volere...».
«Non ci credo», dice Amber con foga. «È una pazzia! Non possiamo fare la fine del...».
«Da quand'è che la storia dell'umanità è diversa?» chiede la donna con la videocamera in spalla... Donna, in quanto archivista pubblica, secondo Sirhan gli sarà probabilmente utile. «Ricordi cosa abbiamo trovato nella ZDM?».
«La ZDM?» chiede Sirhan, momentaneamente confuso.
«Dopo che abbiamo attraversato il Router», dice Pierre torvo. «Diglielo, tesoro». Guarda Amber.
Osservandolo, Sirhan sente che tutto va a posto in quel momento, un presentimento di essere entrato in un universo alternativo, dove la donna che potrebbe essere stata sua madre non c'è, dove il nero è bianco, la sua nonna gentile è la strega cattiva dell'ovest e quell'irresponsabile di suo nonno è un visionario dallo sguardo lungimirante.
«Siamo andati in upload attraverso il Router», dice Amber, e per un attimo sembra confusa. «C'è una rete dall'altra parte. Ci hanno detto che era a velocità superluminale, istantanea, ma adesso non ne sono convinta. Credo che sia più complicato, come una rete alla velocità della luce con alcune parti collegate da tunnel spaziali che la fanno sembrare superluminale dalla nostra prospettiva. Ad ogni modo, i cervelli matrioska, il prodotto finale di una singolarità tecnologica... sono limitati dalla banda. Prima o poi i discendenti postumani evolvono l'Economia 2.0, o 3.0, o qualcos'altro e questa, come dire, mangia gli originari istigatori consapevoli. O li usa come moneta di scambio o roba simile. Il risultato finale che abbiamo individuato è uno spaventoso caos di dati degenerati, compressi frattalmente, processi postconsapevoli che rallentano sempre più, via via che scambiano lo spazio di immagazzinamento con la potenza di calcolo. Siamo stati», si passa la lingua sulle labbra, «fortunati a scappare con le nostre menti. Ce l'abbiamo fatta solo grazie a un amico. È come la sequenza principale dell'evoluzione stellare; una volta che una stella tipo G ha iniziato a bruciare elio e a espandersi in una gigante rossa, è game over per la vita in quella che prima era la sua zona di acqua liquida. Le civiltà consapevoli prima o poi trasformano tutta la loro massa in computronium, alimentato dall'emissione solare. Non diventano interstellari perché vogliono restare vicino al nucleo, dove la banda è alta e la latenza bassa, e prima o poi la concorrenza per le risorse genera un nuovo livello di metaconcorrenza che li rende obsoleti».
«Sembra verosimile», dice Sirhan lentamente. Appoggia il bicchiere e si mastica distrattamente una nocca. «Credevo che fosse un esito poco probabile, ma...».
«L'ho sempre detto, le idee di tuo nonno ci si ritorcono contro alla fine», dice giustamente Pamela.
«Ma...» Amber scuote la testa. «C'è dell'altro, non è vero?».
«Probabilmente», dice Sirhan, poi si zittisce.
«Hai intenzione di dircelo?» chiede Pierre con aria infastidita. «Qual è la genialata?».
«Un archivio», dice Sirhan, decidendo che questo è il momento giusto per la sua proposta. «Al livello più basso, qui, puoi salvare un tuo backup. Tutto bene finora, no? Ma c'è dell'altro. Ho in progetto di offrire una serie di universi integrati - grandi, più veloci del tempo reale - studiati e creati per permettere alle intelligenze umanoequivalenti di modellarsi tramite analisi what-if. È come duplicare fantasmi di te stesso, ma non solo... dategli alcuni anni per differenziarsi, acquisire nuove abilità e valutarle rispetto ai requisiti del mercato, prima di decidere quale versione di te è la più adatta a funzionare nel mondo reale. Ho già parlato del paradosso dell'aggiornamento. Pensatela come una soluzione per intelligenze umanoequivalenti di primo livello. E questo è solo il modello d'impresa a breve termine. Sul lungo termine, voglio acquisire il controllo totale del mercato dei futuri storici attraverso un archivio completo delle esperienze umane, dall'alba della quinta singolarità in poi. Basta con le specie estinte sconosciute. Questo ci darebbe qualcosa da barattare con le intelligenze di prossima generazione quelle che non sono i figli della nostra mente e a malapena si ricordano di noi. Come minimo, ci dà un'opportunità di vivere di nuovo, lontanissimi nel tempo. Altrimenti, può diventare una scialuppa di salvataggio. Se non possiamo competere con le nostre creature, almeno chi vuole ha un posto dove scappare. Ho degli agenti al lavoro su una cometa, nella Nube di Oort... potremmo spostare lì l'archivio, trasformarla in una nave generazionale, con spazio sufficiente per miliardi di evacuati, che proceda nello spazio di archiviazione a una velocità di molto inferiore al tempo reale finché non troviamo un nuovo mondo da colonizzare».
«Non sembra buono per me», commenta Boris. Lancia un'occhiata preoccupata a una donna dall'aspetto orientale che osserva la loro discussione silenziosa dall'esterno.
«Siamo davvero a questo punto?» chiede Amber.
«Ci sono ufficiali giudiziari che ti danno la caccia nel sistema interno», dice Pamela in maniera diretta. «Dopo le procedure di bancarotta, diverse corporazioni hanno avuto il sospetto che tu potessi nascondere qualcosa. Secondo la loro teoria, tu eri matta a prenderti un rischio così grosso solo per la possibilità di un artefatto alieno a pochi anni luce da casa, quindi dovevi avere ulteriori informazioni su quello che hai svelato. Alcune teorie includono la tua gatta - i dispositivi hardware erano di moda negli anni Cinquanta, che sarebbe la chiave per numerosi conti bancari; la faccenda è stata abbandonata dopo l'avvento dell'Economia 2.0, ma alcuni complottisti da quattro soldi si rifiutano di abbandonare l'idea».
Sorride, in maniera spaventosa. «Che è il motivo per cui ho suggerito a tuo figlio di farti un'offerta che non puoi rifiutare».
«Cosa vuoi dire?» chiede una voce da sotto le ginocchia.
Pamela guarda in basso, con un'espressione di profondo disgusto sul viso. «Perché dovrei dirlo a te?» chiede, appoggiandosi sul bastone. «Dopo il modo vergognoso con cui hai ripagato la mia ospitalità! Tutto quello che ti puoi aspettare da me è un bel calcio. Se solo il mio ginocchio ne fosse in grado».
La gatta inarca la schiena: le si gonfia la coda per la paura e le si rizzano i peli, ma ci vuole un attimo prima che Amber capisca che non sta reagendo a Pamela, ma a qualcosa dietro l'anziana signora. «Attraverso la parete di dominio. Fuori da questo bioma. Fa freddo. Cos'è quello?».
Amber si gira per seguire lo sguardo della gatta e le crolla la mascella. «Aspettavi visite?» chiede a Sirhan, tremando.
«Visite...». Si gira per vedere cosa stanno guardando tutti e raggela. L'orizzonte è illuminato da una falsa aurora... la scintilla di fusione di una nave spaziale che esce dall'orbita.
«Sono gli ufficiali giudiziari», dice Pamela, la testa ritta da un lato come se stesse ascoltando con un'antica cornetta per duri d'orecchio. «Sono venuti per i tuoi ricordi, cara», spiega, aggrottando la fronte. «Dicono che abbiamo cinque chilosecondi per arrenderci. Altrimenti, ci ridurranno a brandelli...».

«Siete tutti in guai grossi», dice l'orangutan, scivolando dolcemente giù per un'enorme costola fino ad atterrare con un salto goffo davanti a Sirhan.
Sirhan si ritira disgustato. «Di nuovo tu! Cosa vuoi questa volta?».
«Niente». La scimmia lo ignora. «Amber, è ora che chiami tuo padre».
«Sì, ma verrà quando lo chiamo?» Amber fissa la scimmia. Le si dilatano le pupille: «Ehi, tu non sei mia...».
«Tu». Sirhan guarda la scimmia. «Vattene! Non ti ho invitato!».
«Altri ospiti sgraditi?» chiede Pamela, alzando un sopracciglio.
«Sì che l'hai fatto». La scimmia sorride ad Amber, poi si accovaccia, sbuffa calma e fa un cenno alla gatta, che si sta nascondendo dietro uno degli aggraziati servitori metallici.
«Manfred non è il benvenuto. E nemmeno quella donna», giura Sirhan. Incrocia lo sguardo di Pamela: «Tu ne sapevi qualcosa? E degli ufficiali giudiziari?». Fa un gesto verso la finestra, dietro la quale il faro guida getta ombre frastagliate. Sta scendendo verso l'orizzonte mentre esce dall'orbita... la prossima volta che sarà in vista, sarà sul bordo iniziale di un'onda d'urto ipersonica, precipitando verso di loro all'altezza delle nuvole per compiere la rapina.
«Io?» sbuffa Pamela. «Cresci». Dà un'occhiata guardinga alla scimmia. «Non ho tutto questo potere sulle cose. E per quanto riguarda gli ufficiali giudiziari, non li metterei alle calcagna del mio peggior nemico. Ho visto cosa possono fare quelle cose». Per un attimo i suoi occhi sprizzano rabbia. «Cresci, vedi di farlo!» ripete.
«Sì, per favore», dice un'altra voce da dietro Sirhan. È una donna a parlare, un po' rauca, con un accento particolare. Si gira a guardarla: alta, capelli neri, indossa un abito scuro da uomo di taglio antico e occhiali a specchio. «Ah, Pamela, ma chérie! È molto che non litighiamo». Sogghigna in maniera terrificante e allunga una mano.
Sirhan è già sorpreso. Adesso, vedendo la sua zia onoraria in forma umana, guarda la scimmia confuso. Dietro di lui Pamela cammina verso Annette e le prende la mano tra le proprie fragili dita. «Sei sempre uguale», dice seria. «Capisco perché avevo paura di te».
«Tu». Amber arretra fino a sbattere contro Sirhan, e lo guarda. «Perché cazzo li hai invitati tutti e due? Stai cercando di far scoppiare una guerra termonucleare?».
«Non chiederlo a me», dice indifeso, «non so perché siano venuti! Questa storia...». Si concentra sull'orangutan, che adesso si sta facendo leccare un palmo peloso dalla gatta. «La tua gatta?».
«Non credo che il pelo arancione faccia per Aineko», dice Amber lentamente. «Ti ho parlato del nostro autostoppista?».
Sirhan scuote la testa, cercando di far svanire la confusione. «Non credo che ci sia tempo. In meno di due ore gli ufficiali giudiziari saranno tornati. Sono armati e pericolosi, e se dirigono la fiamma propulsiva verso il tetto e danno fuoco all'atmosfera qui dentro, saremo nei guai... frantumerebbe le nostre cellule elevatrici, e anche il computronium non funziona troppo bene sotto un paio di milioni di atmosfere di idrogeno metallico pressurizzato».
«Allora, è meglio se crei tempo». Amber gli prende il gomito con una presa d'acciaio e lo fa girare verso il vialetto che porta al museo. «Folle», mormora. «Tante Annette e Pamela Macx sullo stesso pianeta! E sono socievoli! Non può essere un buon segno». Dà un'occhiata in giro, vede la scimmia: «Tu. Vieni qui. Porta la gatta».
«La gatta...» Sirhan si blocca. «Ho sentito parlare della tua gatta», dice ingenuamente. «L'hai portata con te sulla Field Circus».
«Davvero?». Si guarda alle spalle. La scimmia le manda un bacio, sta cullando la gatta su una spalla mentre la gratta sotto il mento. «Ti è venuto in mente che Aineko non è soltanto una gatta robot?».
«Ah», dice Sirhan piano. «Allora gli ufficiali giudiziari...».
«No, quelle sono solo stronzate. Quello che voglio dire è che Aineko è un'intelligenza simil-umana, o meglio, artificiale. Perché credi che si tenga un corpo felino?».
«Non ne ho idea».
«Perché gli umani sottovalutano sempre le cose piccole, pelose e carine», dice l'orangutan.
«Grazie, Aineko», dice Amber. Fa un cenno con il capo alla scimmia. «Come la trovi?».
Aineko trascina un po' i piedi, con una gatta che le fa le fusa su una spalla, e dà alla domanda l'importanza necessaria. «Diversa», dice, dopo un attimo. «Non meglio».
«Oh». Amber sembra piuttosto contrariata alle orecchie confuse di Sirhan. Passano sotto le fronde di un salice piangente, attorno alla riva di uno stagno, di fianco a un cespuglio troppo cresciuto di ibiscus, poi su per l'entrata principale del museo.
«Annette aveva ragione su una cosa», dice lei con calma. «Non fidarti di nessuno. Credo sia ora di evocare il fantasma di papà». Rilassa la presa sul gomito di Sirhan e lui lo ritira guardandola. «Sai chi sono gli ufficiali giudiziari?» chiede lei.
«I soliti». Fa un gesto verso l'ingresso all'interno delle porte anteriori. «Ripeti l'ultimatum, per favore, Città».
Nell'aria luccica un antico campo olografico, che avvolge l'output di una presentazione visiva compressa progettata per la vista umana. Un uomo dall'aspetto piratesco con indosso una tuta spaziale stracciata e tutta rattoppata sbircia la visuale di registrazione dal sedile del pilota di un'antica capsula Soyuz. Ha un occhio completamente nero, segno di un impianto a banda alta. Ha un paio di sottili baffetti. «Saluti e baci», biascica. «Noi siamo la guardia nazionale della California e abbiamo una lettera di doglianza da parte del congresso degli Sputati Induriti d'America».
«Sembra ubriaco!» Amber ha gli occhi spalancati. «Cos'è questa...».
«Non è ubriaco. Il morbo di Creutzfeldt-Jacob è un effetto collaterale comune di una inaffidabile terapia neurale coadiuvante dell'Economia 2.0. Contrariamente a quanto dice il detto, per lavorare qui devi essere matto. Ascolta».
Città, che l'aveva messa in pausa per l'uscita di Amber, fa ripartire l'esecuzione. «State nascondendo la fuggitiva Amber Macx e la sua gatta magica. Vogliamo la gatta. Tenetevi la troia. Vi abbiamo beccato in orbita. Ci date subito la gatta e non vi zottiamo».
Lo schermo si disattiva. «Questo era finto, ovviamente», aggiunge Sirhan, guardandosi dentro dove un fantasma sta fondendo le memorie del sistema orbitale meccanico della città.
«Hanno aerofrenato mentre entravano, toccato i novanta G per quasi mezzo minuto. Mentre questo è stato inviato in seguito. È solo un avatar a simulazione virtuale, un corpo umano che attraversasse una decelerazione simile verrebbe ridotto in poltiglia».
«Quindi gli ufficiali giudiziari sono...» Amber sta chiaramente faticando a capire la situazione.
«Non sono umani», dice Sirhan, sentendo un'improvvisa fìtta di - no, non affetto, ma assenza di cattiveria andrà bene per il momento - verso questa giovane donna che non è la madre, che adora detestare, ma che avrebbe potuto diventarlo in un altro mondo. «Hanno assorbito molto di quello che significa essere umani, ma le loro radici corporative si vedono. Per quanto facciano un ciclo orario, piuttosto che uno basato sui cicli produttivi dei più poveri contadini sumeri, e per quanto abbiano diverse etiche e schemi di pratica finanziaria, in fondo non sono umani: sono società a responsabilità limitata».
«Allora cosa vogliono?» chiede Pierre, facendo sussultare Sirhan apposta. Non si era accorto che Pierre si potesse muovere tanto silenziosamente.
«Vogliono denaro. Il denaro nell'Economia 2.0 è originalità quantizzata... che permette a un'entità senziente di superarne un'altra. Pensano che la tua gatta abbia qualcosa, e la vogliono. Probabilmente non gli dispiacerà mangiarti le cervella, ma...». Ha un brivido. «Il cibo obsoleto è cibo stantio».
«Ah». Amber guarda intensamente Pierre, che le fa un cenno con il capo.
«Cosa?» chiede Sirhan.
«Dov'è la... la gatta?» chiede Pierre.
«Penso che Aineko l'abbia capito». Sembra pensosa. «Stai pensando quello che penso io?».
«È ora di liberarci dell'autostoppista». Pierre annuisce. «Sempre se è d'accordo...».
«Vi spiace spiegarvi?» chiede Sirhan, appena capace di contenersi.
Amber fa un largo sorriso, guardando la capsula Mercury sospesa sopra le loro teste. «I complottisti avevano ragione a metà. Nel Medioevo, Aineko craccò la seconda trasmissione aliena. Eravamo convinti che avremmo trovato qualcosa là fuori, solo che non eravamo completamente sicuri di sapere di cosa si trattasse. Ad ogni modo, la creatura incarnata in quel corpo felino attualmente non è Aineko, è il nostro misterioso autostoppista. Un organismo parassita che infetta; come dire che abbiamo trovato qualcosa di non molto diverso dall'Economia 2.0 al Router e oltre, e ha dei parassiti. Il nostro autostoppista è una di quelle creature... il suo corrispondente più vicino umanamente comprensibile sarebbe l'equivalente, nell'Economia 2.0, di uno schema piramidale incrociato con una truffa telematica nigeriana. Come succede, molti dei fantasmi finanziari fuggitivi al di là del Router sono consapevoli di questa cosa, quindi ha bucato il sistema di alimentazione del Router per darci un raggio per tornare a casa in cambio di asilo. E questo è tutto finora».
«Un momento». Sirhan strabuzza gli occhi. «Avete trovato qualcosa là fuori? Avete portato indietro un vero alieno vivo?».
«Sembra di sì». Amber sembra compiaciuta.
«Ma, ma, è meraviglioso! Questo cambia tutto! È incredibile! Anche sotto l'Economia 2.0 deve valere un sacco di soldi. Pensa solo a cosa possiamo imparare da lui!».
«Oui. Un modo completamente nuovo di frodare le finanziarie per far indagare le bolle cognitive», interrompe Pierre cinicamente. «Mi sembra che stiate dando due cose per scontate... che il nostro passeggero voglia essere sfruttato da noi, e che sopravvivremo all'arrivo degli ufficiali giudiziari».
«Ma, ma...» Sirhan si abbassa balbettando, smettendo di agitare le braccia solo con uno sforzo di volontà.
«Andiamo a chiedergli cosa vuole fare», dice Amber. «Adesso collabora», avverte Sirhan. «Parleremo più tardi degli altri tuoi piani, maledizione. Prima le cose più importanti... dobbiamo liberarci di questi pirati».

* * *

Mentre tornano alla festa, la casella della posta in arrivo di Sirhan è zeppa di messaggi provenienti da qualche parte nel sistema di Saturno... da altri curatori a bordo di habitat-ninfea sparsi per tutta l'enorme atmosfera planetaria, dai pochi minatori dell'Anello che ancora si ricordano com'era essere umani (anche se per la maggior parte sono tipi da cervello sottovetro, o Upload che indossano corpi a energia nucleare fatti di ceramica e metallo): anche dalle piccole navi-città in orbita intorno a Titano, dove orde urlanti di blogger giocano freneticamente al rialzo con i segnali personali dell'equipaggio della Field Circus. Sembra che la notizia dell'arrivo della nave stellare sia diventata importante solo dopo che è diventato palese che qualcuno o qualcosa aveva pensato che sarebbero stati un buon bersaglio di prova. Adesso che qualcuno ha spifferato in giro del passeggero alieno, le reti sono impazzite.
«Città», mormora, «dov'è la creatura autostoppista? Dovrebbe avere addosso il corpo della gatta di mia madre».
«Gatta? Quale gatta?» risponde Città. «Qui non vedo gatti».
«No, sembra una gatta, è...». Un pensiero terribile gli passa per la mente. «Sei stato bucato di nuovo?».
«Sembra di sì», conferma Città entusiasta. «Non è stancante?».
«Mer... santo cielo. Ehi!» chiama Amber, duplicando nel frattempo vari fantasmi per andare a caccia della creatura scomparsa attraversando le migliaia di sensori ottici che pervadono l'habitat in loco personae... un processo noioso, reso meno sgradevole facendo diventare i fantasmi autistici, «avete armeggiato con la mia infrastruttura di sicurezza?».
«Noi?» Amber sembra contrariata. «No».
«Qualcuno l'ha fatto. All'inizio pensavo che fosse quella francese matta, ma non ne sono più tanto sicuro. Comunque, è un bel problema. Se gli ufficiali giudiziari capiscono come superare gli antivirus per guadagnarsi un punto d'appoggio qui, non hanno più bisogno di bruciarci... sarà sufficiente prendere il controllo di tutto».
«Questo è l'ultimo dei tuoi problemi», sottolinea Amber. «Con che tipo di statuto agiscono questi ufficiali giudiziari?».
«Statuto? Ah, vuoi dire sistema legale? Credo sia uno da poco, forse addirittura quello ereditato dall'Impero dell'Anello. Nessuno si dà la briga di infrangere la legge al giorno d'oggi, è più facile comprare un sistema legale disponibile, modificarlo secondo necessità e conformarsi a esso».
«Giusto». Si blocca, resta immobile e guarda la cupola quasi invisibile della cellula gassosa sopra di loro. «Piccioni», dice, quasi stanca. «Dannazione, come ho fatto a non pensarci? Da quanto tempo hai un'infestazione di menti di gruppo?».
«Gruppo?» Sirhan si gira. «Cosa stai dicendo?».
Dall'alto arriva un baccano di risate volatili, e una pioggerella di cacca d'uccello si spiaccica sul viale intorno a lui. Amber si scansa agilmente, ma Sirhan non è altrettanto leggero sui piedi e finisce per imprecare, evocando uno straccio di aria congelata per ripulirsi la testa.
«È il comportamento da stormo», spiega Amber, guardando in alto. «Se monitori gli elementi - gli uccelli - vedi che non seguono traiettorie individuali. Anzi, ogni piccione resta a non più di una decina di metri da sedici compagni. È una rete hamiltoniana, ragazzo. Gli uccelli veri non lo fanno. Da quanto tempo?».
Sirhan smette di imprecare e alza lo sguardo sugli uccelli che volteggiano, tubano e lo prendono in giro dal cielo sicuro. Mostra loro il pugno. «Ve la farò pagare, fosse anche...».
«Non credo». Amber gli prende di nuovo il gomito e lo riporta intorno alla collina. Sirhan, preoccupato a mantenersi un ombrello di nanonebbia sulla zucca lucente, si rassegna a essere stato manovrato. «Non credi che sia soltanto una coincidenza, vero?» gli chiede su un canale privato testa-testa. «Sono uno dei giocatori in ballo».
«Non m'importa. Hanno hackerato la mia città e si sono imbucati alla mia festa! Non mi importa chi siano, non sono i benvenuti».
«Le ultime parole famose», mormora Amber, mentre i partecipanti alla festa arrivano dal lato della collina e quasi li investono. Qualcuno ha introdotto motori e nanofibre nello scheletro dell'Argentinosaurus, animando l'enorme sauropode con una simulazione di vita non-morta. Chiunque sia stato, lo ha estratto dai canali di sorveglianza. Il primo segnale d'avviso è una pedata che fa saltare la terra sotto i loro piedi... poi lo scheletro dell'erbivoro da cento tonnellate, più alto di un palazzo di sei piani e più lungo di un treno per pendolari, alza la testa sopra le cime degli alberi e li guarda. C'è un piccione che se ne sta ritto sul cranio del dinosauro, il petto in fuori, e una sala da pranzo piena di taikonauti spaventati seduti su un pavimento di legno sospeso all'interno della gabbia toracica
«È la mia festa e il mio schema finanziario!» insiste Sirhan lamentosamente. «Nulla di quello che fate tu o chiunque altro della famiglia può portarmelo via!».
«È vero», risponde Amber, «ma nel caso non l'avessi notato, hai offerto asilo temporaneo a un gruppo di persone - che, senza andare troppo nei dettagli, include me - che secondo alcuni idioti sono abbastanza ricche da valere una rapina, e l'hai fatto senza attuare piani d'emergenza, eccetto invitare quella troia manipolatrice di mia madre. Cosa pensavi di fare? Appendere un cartello con scritto "gli artisti della truffa sono i benvenuti"? Dannazione, mi serve Aineko».
«La tua gatta». Sirhan ci si attacca: «È colpa della tua gatta! Vero?».
«Solo indirettamente». Amber si guarda in giro e fa un cenno con la mano allo scheletro di dinosauro. «Ehi, tu! Hai visto Aineko?».
L'enorme dinosauro piega il collo e il piccione apre il becco per tubare. Armonie prodigiose fuoriescono mentre un gruppo di altri uccelli, sparpagliati sui due lati, fanno il controcanto per produrre una voce gorgheggiante pazzoide. «La gatta è con tua madre».
«Oh merda!» Amber si gira verso Sirhan con aria feroce. «Dov'è Pamela? Trovala!».
Sirhan è ostinato. «Perché dovrei?».
«Perché ha la gatta! Cosa credi che abbia intenzione di fare se non scendere a patti con gli ufficiali giudiziari per mettermene uno alle calcagna? Non lo vedi da dove viene la tendenza di questa famiglia del cazzo a fare giochetti cerebrali?».
«Arrivi tardi», echeggia la sinistra voce dei piccioni sopra e intorno a loro. «Ha rapito la gatta e preso la capsula dal museo. Non è in grado di volare, ma non riusciresti a credere cosa si può fare con un centinaio di fantasmi e qualche tonnellata di nebbia».
«D'accordo». Amber alza lo sguardo sui piccioni, i pugni sui fianchi, poi osserva Sirhan. Si mastica il labbro inferiore per un po', poi fa un cenno all'uccello sul cranio del dinosauro. «Smettila di cazzeggiare con la testa del ragazzo e fatti vedere, papà».
Sirhan trasale mentre un intero stormo di piccioni migratori arriva insieme a mezz'aria e si piazza verso l'erba, tubando e gorgheggiando come un'esplosione in una fabbrica di sintetizzatori.
«Cos'hai in mente di fare con la Lumaca?» chiede Amber al mucchio di uccelli. «E non è un po' stretto lì dentro?».
«Ti ci abitui», dice la copia primaria - ed equamente distribuita - di suo padre. «Non sono sicuro di che cosa abbia in mente, ma posso farti vedere cosa sta facendo. Mi spiace per la tua città, figliolo, ma avresti davvero dovuto stare più attento a quelle patch di sicurezza. C'è una quantità di pessimi bachi del Ventesimo secolo in giro sotto la tua nuova singolarità rilucente, con tanto di errori di progettazione, che sputano pacchetti di merda sulla tua macchina nuova di zecca».
Sirhan scuote la testa contrariato. «Non ci credo», mormora tranquillo.
«Fammi vedere cosa fa la mamma», ordina Amber. «Devo vedere se posso fermarla prima che sia troppo tardi...».

L'antica donna in tuta spaziale si appoggia sullo stretto sedile, guarda la videocamera e fa l'occhiolino. «Ciao, caro. So che mi stai spiando».
C'è una gatta bianco-arancio accucciata sulle sue gambe ricoperte di nomex e alluminio. Sembra felice: sta sicuramente facendo le fusa, anche se questo riflesso è cablato a un livello bassissimo. Amber osserva inerme mentre sua madre allunga la mano artritica e schiaccia un paio di interruttori. In sottofondo c'è qualcosa che ronza forte... probabilmente un ricircolatore d'aria. La capsula Mercury non ha finestre, solo un periscopio di fianco al ginocchio destro di Pamela. «Non ci vorrà molto», borbotta, poi lascia ricadere la mano sul fianco. «È troppo tardi per fermarmi», aggiunge, come se stesse conversando. «L'equipaggiamento del paracadute è a posto e il gonfiature del pallone è lieto di trattarmi come il seme di una nuova città. Sarò libera tra un minuto».
«Perché lo fai?» chiede Amber stancamente.
«Perché non avete bisogno di me». Pamela si concentra sulla videocamera incollata al pannello degli strumenti davanti alla sua testa. «Sono vecchia. Guarda in faccia la realtà, sono sacrificabile. Il vecchio deve lasciare il posto al nuovo, e basta. Tuo padre non l'ha mai capito davvero... invecchierà in maniera sgraziata, soccombendo alla decomposizione dei bit nella grande eternità. Io invece non sto andando là. Me ne andrò con un'esplosione. Non è così, gatta? Chiunque tu sia davvero». Accarezza l'animale, che fa le fusa e si allunga sulle sue gambe.
«Non hai mai guardato Aineko abbastanza, al tempo», dice ad Amber, lisciando i fianchi dell'animale. «Pensavi che non sapessi che avresti verificato il suo codice sorgente, alla ricerca di qualche trabocchetto? Ho usato il trucco di Thompson... è stata mia, corpo e anima, per moltissimo tempo. Ho saputo l'intera storia dei tuoi passeggeri da fonte certa. E adesso stiamo andando a sistemare quegli ufficiali giudiziari. Alé!».
L'inquadratura trema e Amber sente un fantasma unirsi a lei, ne panico più totale. La capsula Mercury se n'è andata, si allontana dall'apice dell'habitat che si trova sotto una sacca quasi trasparente di idrogeno caldo.
«È stata un po' dura», osserva Pamela. «Non vi preoccupate rimarremo in comunicazione per un'altra ora più o meno».
«Ma morirai!» le grida Amber. «Cosa pensi di fare?».
«Penso di morire alla grande. Tu cosa pensi?» Pamela stende una mano sul fianco della gatta. «Ecco, devi crittarlo un po' meglio. Ho lasciato una parola chiave ad Annette. Perché non andate a cercarla? Così poi vi dico cos'altro ho in mente».
«Ma la zia è...» Amber incrocia gli occhi mentre si concentra. Intanto, Annette sta già aspettando e, poco prima di chiedere, nella mente di Amber appare un segreto rivelato. «Oh. D'accordo. Però cosa ne farai della gatta?».
Pamela sospira. «La darò agli ufficiali giudiziari», dice. «Qualcuno lo deve fare, ed è meglio essere lontani da questa città prima che si rendano conto che non è Aineko. Così è molto meglio della maniera in cui pensavo di uscire di scena prima del vostro arrivo. Nessun ricattatore del cazzo metterà le mani sui gioielli di famiglia finché ci sono io di mezzo. Sei sicura di non essere un genio del crimine? Non credo di aver mai sentito parlare di uno schema piramidale che infetta le strutture dell'Economia 2.0».
«È...» Amber inghiotte. «È un modello d'impresa alieno, mamma. Sai cosa significa? L'abbiamo portato con noi dal Router e non saremmo stati in grado di tornare se non ci avesse aiutato, ma non sono sicura che sia perfettamente amichevole. Ha senso? Puoi tornare indietro, adesso, c'è ancora tempo...».
«No». Pamela agita con noncuranza una mano macchiata dall'età. «Ho pensato molto ultimamente. Sono stata una vecchia sciocca». Sorride malvagiamente. «Commettere un lento suicidio rifiutando la terapia genetica solo per farvi sentire in colpa è stato stupido. Non abbastanza subdolo. Se avessi cercato di farvi sentire responsabili adesso, avrei dovuto fare qualcosa di molto più sofisticato. Come trovare un modo per sacrificarmi eroicamente per voi».
«Oh, mamma».
«Lascia stare gli "oh, mamma". Ho mandato la mia vita a puttane, non cercare di convincermi a mandarci anche la mia morte. E non sentirti in colpa per me. Tu non c'entri nulla, ho fatto tutto da sola. È un ordine».
Con la coda dell'occhio Amber nota che Sirhan le sta facendo gesti inconsulti. Lascia aperto il canale in entrata e reagisce a scoppio ritardato. «Ma...».
«Ehilà?» È Città. «C'è una cosa che dovresti vedere. Aggiornamenti sul traffico!». Appare un diagramma animato e contornato, sovrapposto alla stretta capsula funebre di Pamela e al giardino dei dinosauri vivi e non-morti. È una mappa atmosferica di Saturno, con la città-ninfea e la capsula di Pamela segnalate... e un altro oggetto, un punto rosso che sì sta avvicinando a loro a più di diecimila chilometri orari, su nella stratosfera glaciale del gigante gassoso.
«Oh cielo». Anche Sirhan lo vede. Il veicolo da rientro degli ufficiali giudiziari sarà proprio sopra di loro tra trenta minuti al massimo. Amber osserva la mappa con emozioni contrastanti. Da una parte, lei e sua madre non si sono mai viste occhi negli occhi - in effetti dire questo è minimizzare - sono sempre state ai ferri corti da quando Amber se n'è andata da casa. Fondamentalmente è una questione di controllo. Entrambe sono donne molto decise con opinioni diametralmente opposte sul loro rapporto reciproco. Ma Pamela ha rovesciato completamente la situazione a proprio favore, escogitando un'astuta azione di autosacrificio che non tollera obiezioni. È un totale non sequitur, un rifiuto di tutte le sue accuse di egocentrismo, e fa sentire Amber come una merda, per quanto Pamela l'abbia assolta da ogni colpa. Per non parlare del fatto che la cocca di mamma le ha fatto fare la figura dell'idiota davanti a Sirhan, questo figlio insicuro e permaloso che non ha mai visto, figlio di un uomo con cui non si sognerebbe mai di scopare (almeno, non in questa incarnazione). Che è il motivo per cui quasi le prende un colpo quando una mano bitorzoluta e marrone coperta di opachi peli arancioni le si appoggia pesantemente sulla spalla.
«Sì?» si gira di scatto verso la scimmia. «Suppongo tu sia Aineko».
La scimmia corruga le labbra, mostrando i denti. Ha un alito ferocemente cattivo. «Se devi fare così, non vedo perché dovrei parlarti».
«Allora devi essere...» Amber schiocca le dita. «Ma! Ma! La mamma pensa di controllarti...».
La scimmia la fissa in modo raggelante. «Ricompilo il mio firmware regolarmente, grazie per la preoccupazione. Usando un compilatore esterno. Uno che ho boostrappato da sola, iniziando con il dispositivo di una sveglia e lavorandoci sopra».
«Oh». Osserva la scimmia. «Non sarai più una gatta?».
«Ci devo pensare», dice Aineko con una dignità esagerata. Alza il naso nell'aria - un gesto che in un orangutan funziona meno della metà che in un felino - e va avanti: «Per prima cosa, però devo scambiare quattro chiacchiere con tuo padre».
«E sistemare i tuoi riflessi autonomici», tuba il Manfred-stormo. «Non vorrei che mangiassi qualche parte di me!».
«Non ti preoccupare, penso che il tuo sapore sia schifoso quanto le tue battute».
«Bambini!» Sirhan scuote la testa stanco. «Per quanto tempo...».
Torna l'eccedenza della videocamera, stavolta attraverso un collegamento crittato quantico con la capsula. Si trova già a circa duecento chilometri dalla città, abbastanza lontano perché la comunicazione radio abbia problemi, ma Pamela ha avuto la lungimiranza di inserire un laser compatto a elettroni liberi all'esterno della sua inestimabile scatoletta rubata. «Non per molto, credo», dice soddisfatta, accarezzando la non-gatta. Sorride compiaciuta alla videocamera. «Dite a Manfred che è ancora la mia puttanella; lo è sempre stata, sempre lo...».
Il segnale scompare.
Amber guarda Sirhan, come se meditasse. «Per quanto tempo?» chiede.
«Per quanto tempo cosa?» risponde lui guardingo. «Il tuo passeggero...».
«Mmm». Alza un dito. «Lasciagli il tempo di scambiare le credenziali. Pensano di ricevere un gatto, ma si dovrebbero accorgere presto che abbiamo venduto loro un cucciolo. Ma ha una bella parlantina quel figlio di una Lumaca, e se penetra oltre il loro firewall e raggiunge il loro uplink prima che riescano a far partire l'autodistruzione...».
Un doppio lampo di luce abbagliante imprime ombre tagliate con il laser per tutto l'habitat a ninfea. Lontano, dall'altra parte della vasta curva di Saturno, una torbida nube a fungo di metano risucchiata dalle profondità glaciali della troposfera del gigante gassoso si dirige verso le stelle.
«... dategli sessantaquattro periodi di duplicazione, mmm, aggiungete un fattore di ritardo per la propagazione attraverso il sistema, diciamo largo sei ore luce, mmm, e direi...» guarda Sirhan. «Oh cielo».
«Cosa?».
L'orangutan spiega: «L'Economia 2.0 è più efficiente di ogni altro schema di allocazione delle risorse progettato dall'uomo. Aspettatevi una bolla speculativa e una crisi di mercato in dodici ore».
«Di più», dice Amber, calciando pigramente una zolla d'erba. Strizza gli occhi verso Sirhan. «Mia madre è morta», osserva con calma. Poi più forte: «Non ci ha mai chiesto veramente cosa abbiamo trovato oltre il Router. Nemmeno tu, vero? I cervelli matrioska... è una parte normale del ciclo di vita stellare. La vita genera intelligenza, l'intelligenza genera materia intelligente e una singolarità. Ci ho pensato un po'. Suppongo che la singolarità rimanga vicino casa nella maggior parte dei casi, perché la banda e il tempo di latenza sono uno svantaggio per chi se ne va. Infatti, il rovescio della medaglia di avere risorse tanto grandi vicino casa è che il tempo di trasferimento ad altri sistemi stellari diventa sconfortante. Quindi ristrutturano l'intera massa del loro sistema stellare per formare uno scudo di nanocomputer a volo libero, poi altri, le sfere di Dyson, formano scudi all'interno degli scudi, come una bambola russa: un cervello matrioska. Poi arriva l'Economia 2.0 o uno dei suoi successori e spazza via i creatori. Ma. Alcuni sopravvivono. Alcuni sfuggono a quel destino: l'enorme raccolta nell'alone attorno a M-31 e forse quelli che hanno costruito i Router. Da qualche parte là fuori troveremo le intelligenze trascendentali, quelle che sono sopravvissute ai propri motori economici di ridistribuzione... motori che ridistribuiscono entropia se la loro efficienza economica supera la loro forza d'immaginazione, la loro capacità di inventare nuova ricchezza».
Fa una pausa. «Mia madre è morta», aggiunge loquacemente, con un piccolo inciampo nella voce. «Con chi me la prenderò adesso?».
Sirhan si schiarisce la gola. «Mi sono preso la libertà di registrare alcune delle sue parole», dice lentamente, «ma lei non credeva ai backup. O all'upload. O alle interfacce». Si guarda in giro. «Se n'è andata davvero?».
Amber lo guarda diretta. «Così sembra», dice calma. «Quasi non riesco a crederci». Guarda i piccioni più vicini, e grida furente: «Ehi, tu! Che cos'hai tu da dire a tua discolpa adesso? Sei felice che se ne sia andata?».
Ma i piccioni, tutti e ciascuno, rimangono stranamente in silenzio. E Sirhan ha la stranissima sensazione che lo stormo che una volta era suo nonno sia in lutto.



8. Elettore

Su Saturno passa metà anno, sulla Terra più di un decennio, e molte cose sono cambiate nel frattempo. Il grande progetto di terraformazione è quasi completo. Il pianeta è vestito a festa per un giubileo che durerà quasi venti dei suoi anni - quattro vite pre-singolarità - prima della Demolizione. Gli habitat-ninfea sono proliferati, congiungendosi in lastre grandi come continenti, alla deriva nella sommità delle nubi saturniane. E i profughi sono cominciati ad arrivare.
C'è un mercato specializzato in vestiti e accessori di moda, a una ventina di chilometri dal museo trapiantato dove abita la madre di Sirhan, in un nesso di trasporto fra tre habitat-ninfea, dove i treni della sotterranea si intersecano in un'enorme trifoglio a levitazione magnetica. Il mercato è affollato di visualizzazioni strane e spettacolari, algoritmi dispiegati in tempo ultrareale davanti alle tende degli accampamenti. Iurte a cupola rigurgitano fumo aromatico da rozzi caminetti - che cosa centrano i primati glabri con la loro tendenza alla piromania? - intorno alla base dei grattaterreno dai muri di diamante che punteggiano con attenzione le strade eleganti della città. La folla è varia ed enormemente mista, immigranti di ogni continente che mercanteggiano, fanno acquisti e in qualche caso escono dal cranio con strane sostanze sui marciapiedi di fronte a gigantesche taverne a guscio di lumaca, e a tozzi bunker fatti di sottili strati di cemento spruzzati su aero-gel a bolla di sapone. Non esistono automobili, ma una sbalorditiva gamma di gadget da trasporto personale, da bastoni pogo e monopattini girostabilizzati a motoveicoli a tre ruote e carrozze-portantine che sgomitano con pedoni e animali, in cerca di spazio. Due donne si fermano, fuori da ciò che nei secoli precedenti poteva essere la vetrina di una boutique di moda: quella giovane (bionda, i capelli legati in trecce elaborate, con pantacollant neri e una lunga giacca di pelle nera su una maglietta mimetica) indica un elaborato abito rétro. «Mi farebbe un bel sedere, non credi?» chiede, dubbiosa.
«Ma chérie, devi solo provarlo...» L'altra donna (alta, con un gessato da uomo di un altro secolo) lancia un pensiero in direzione della vetrina, e il manichino muta forma, facendo germogliare la testa della donna più giovane, imitandone la postura e l'espressione.
«Mi sono persa l'autentica esperienza della vendita al minuto, lo sai? Sembra ancora strano tornare in un posto dove ci sono negozi. È il risultato dell'esserci mantenute troppo a lungo con biblioteche di progetti di pubblico dominio». Amber scuote i fianchi, sperimentando. «Perdi l'abitudine di rovistare. Non so niente di tutto questo rétro. Il voto dei Vittoriani non è critico, vero...». La voce si affievolisce.
«Sei una piattaforma del Ventunesimo secolo che cerca di vendersi a elettori dell'Età Dorata, resimulati e incarnati. E sì, una crinolina ti migliora il didietro. Ma...». Annette osserva, assorta.
«Hmm». Amber aggrotta le ciglia, e il manichino della vetrina si volta e dimena i fianchi verso di lei, sferzando il pavimento con strati di gonne. Il cipiglio si acuisce. «Se veramente andremo avanti con questa merda elettorale, non sono solo gli elettori resimulanti che devo convincere, ma anche i contemporanei, e quella è questione di sostanza, non di immagine. Sono passati per troppe guerre mediatiche. Sono immuni a qualunque carico semiotico inferiore a un assalto cognitivo attivo. Se mando a far campagna dei Parziali che mi faranno sembrare una passacarte...».
«... ascolteranno il tuo messaggio, e nulla di ciò che indosserai o dirai li smuoverà. Non preoccuparti di loro, ma chérie. I resimulati ingenui sono un'altra faccenda, e forse li si potrebbe smuovere. Questo è il tuo primo azzardo con la democrazia, da quanti anni? La privacy è un'illusione adesso. La domanda è: quale immagine proietterai? La gente ti ascolterà solo quando conquisterai l'attenzione. Inoltre, sono gli elettori incerti che devi raggiungere (hanno lo shock del futuro, sono timorosi). La tua piattaforma è radicale. Non dovresti proiettare un'immagine rassicurante e conservatrice?».
Amber fa una smorfia, un'espressione di lieve disgusto per l'intero programma populista. «Sì, penso che dovrei, se necessario. Ma ripensandoci, quello...», Amber schiocca le dita, e il manichino si volta ancora, prima di mutare nella forma neutrale, i capezzoli perfetti dischi increspati al di sopra del corsetto, «è proprio eccessivo».
Non è necessario fondersi nell'opinione di diverse personalità frazionarie, critici di moda e psefologi, per immaginare che la moda di fusione vittoriano-cretese - una fantasia feticista di tette e culi - non è il modo di vendersi come politicante credibile alla frangia degli ottocenteschi pre-singolarità. «Non partecipo alle elezioni come madre della nazione. Partecipo perché abbiamo circa un miliardo di secondi, al massimo, per uscire da questa tagliola di pozzo gravitazionale prima che la Vile Progenie si comporti sul serio in maniera medievale verso i nostri cicli CPU, e se non li convinciamo a venire con noi, siamo condannati. Cerchiamo qualcosa di più pratico da sovraccaricare con i significanti giusti».
«Come gli abiti dell'incoronazione?».
Amber trasale. «Touché». L'Impero dell'Anello è morto, insieme a tutto quanto rimane della sua originaria struttura legale orbitale, e Amber è fortunata ad essere rimasta in vita come privata cittadina in questa fredda nuova epoca al margine dell'alone. «Ma quella era solo scenografia. Allora non capivo pienamente cosa facevo».
«Benvenuta alla maturità e all'esperienza». Annette rivolge un sorriso a un debole ricordo lontano. «Non ti senti più vecchia, è solo che stavolta sai quel che fai. A volte, mi chiedo cosa ne direbbe Manny se fosse qui».
«Quel cervello di gallina», dice Amber con noncuranza, colpita dall'idea che suo padre potesse offrire qualche contribuito. Segue Annette e oltrepassa una frotta di evangelisti di strada, mendicanti che predicano qualche nuova religione, superando le porte di un vero centro commerciale, con reali commessi umani e sale di prova per dare la forma giusta ai vestiti. «Se invio gli io frazionari fatti su misura secondo le diverse demografie, non è un po' controproducente lanciarsi su un'immagine unica? Voglio dire, potremmo sondare e confezionare un Parziale per ciascun singolo elettore...».
«Forse». La porta si riforma dietro di loro. «Ma ti serve un'identità centrale». Annette si guarda intorno, in cerca di un commesso da guardare negli occhi. «Cominciare con un progetto centrale, uno stile, poi operare verso l'esterno, confezionandoti per il pubblico. E poi, stasera c'è... ah, bonjour!».
«Salve. Come posso aiutarvi?». Le due commesse e il commesso che compaiono accanto alla merce esposta - pedalando attraverso la storia dell'industria della couture, modelle da passerella mescolate giustapponendo secoli di moda - sono chiaramente schegge di una comune personalità primaria, istanze unite dall'amplificata ossessione sartoriale. Se non sono un vero borganismo della moda, non ne sono lontani, vestiti dalla testa ai piedi di repliche Chanel e Armani della massima qualità, in una classica dimostrazione novecentesca. Questo non è semplicemente un negozio, è il tempio di una forma d'arte molto particolare, col personale addestrato per custodire gli esoterici segreti del buon gusto.
«Mais oui. Siamo in cerca di un guardaroba per mia nipote». Annette fruga nel collettore concettuale della moda, mappato all'interno della memoria del negozio, e lancia alla capocommessa un elenco di richieste, appena completato da uno dei suoi fantasmi. «Si sta dando alla politica, e la questione dell'immagine è importante».
«Saremmo felici di aiutarla», scodinzola la direttrice, facendo delicatamente un passo avanti. «Forse potreste dirci cosa avete in mente».
«Oh. Bene». Amber fa un respiro profondo, guarda Annette di traverso; Annette le restituisce lo sguardo, senza batter ciglio. È la tua testa, le invia. «Sono coinvolta nel programma amministrativo degli Accelerazionisti. Ne siete a conoscenza?».
La direttrice dei couture-borg aggrotta lievemente le sopracciglia, perfettamente simmetriche, depilate in tono col suo classico completo New Look. «Ho sentito qualcosa, ma una signora della moda come me non si interessa di politica», dice, con un tocco di autocritica. «Specialmente della politica dei clienti. Sua, ah, zia diceva che era una questione di immagine?».
«Sì». Amber scrolla le spalle, temporaneamente consapevole dei suoi stracci informali. «È la mia agente elettorale. Il mio problema, come dice lei, è che esiste una certa demografia elettorale che scambia l'immagine con la sostanza e ha paura dell'ignoto, e devo acquistare un guardaroba che scateni associazioni di integrità, rispetto e decisione. Idoneo a un rappresentante con un'agenda politica radicale ma con precedenti solidi. Tanto per cominciare, ho paura di aver fretta, stasera ho una festa di autofinanziamento. So che il preavviso è breve, ma mi serve qualcosa di disponibile».
«Cosa esattamente spera di ottenere?» chiede il couturier maschio, con la voce rauca e la erre arrotata di un accento mediterraneo non completamento perduto. Sembra affascinato. «Se pensa che possa essere influenzato dalla scelta del guardaroba...».
«Concorro per l'assemblea», dice bruscamente Amber. «Con una piattaforma che chiede lo stato di emergenza e uno sforzo totale e immediato per assemblare un'astronave. Questo sistema solare non sarà abitabile a lungo, e dobbiamo emigrare. Tutti noi, compresi voi, prima che la Vile Progenie decida di riprocessarci nel computronium. Andrò porta a porta, in parallelo, per l'intero elettorato, e l'esperienza deve essere personalizzata». Riesce a sorridere. «Questo significa, credo, otto vestiti con quattro diverse variabili indipendenti per ciascuno, accessori, e due o tre cappelli, abbastanza perché ciascuno non venga visto da più di qualche migliaio di elettori. Tessuti fisici e virtuali. In più, voglio vedere la vostra gamma di abiti storici da cerimonia, ma per ora questo è di interesse secondario». Ghigna. «Avete servizi per verificare la reazione alle combinazioni da parte di diversi tipi di personalità, di secoli diversi? Se potessimo sviluppare dei modelli, sarebbe utile».
«Penso che possiamo fare di meglio». La manager annuisce in segno di approvazione, pensando forse al suo conto di deposito garantito in oro. «Hansel, per favore, scoraggia altri visitatori finché non avremo terminato con le richieste della signora...».
«Macx. Amber Macx».
«... Macx». Non mostra segni di riconoscere il nome. Amber trasale lievemente; è un segno di quanto siano diventati enormemente divisi i figli di Saturno, e di quanto sia diventata vasta la popolazione dell'alone, che dopo solo una generazione quasi nessuno si ricordi della Regina dell'Impero dell'Anello. «Se venite da questa parte, per favore, possiamo iniziare a ricercare una combinazione in un alterstile adatto alle sue esigenze...».

Sirhan cammina, avvolto nell'isolamento, nel mezzo della folla radunata per il festival. Le uniche persone che lo vedono sono gli schiamazzanti fantasmi di politici e scrittori morti, deportati dal sistema interno per ordine della Vile Progenie. La pianura, verde e gradevole, si stende verso un orizzonte lontano migliaia di chilometri, sotto un cielo giallo limone. L'aria ha un lieve odore di ammoniaca, e i grandi spazi sono pieni di piccole idee; ma Sirhan non se ne cura. Perché, per ora, è solo.
Ma in realtà non lo è.
«Mi scusi, è reale?» gli chiede qualcuno, in un inglese dall'accento americano.
Ci mette qualche secondo a staccarsi dalla sua introspezione, rendendosi conto di essere stato apostrofato. «Cosa c'è?» chiede lievemente confuso. Pallido e segaligno, Sirhan indossa sul corpo le vesti di un guardiano di capre berbero, e sulla testa l'alone numinoso di una nanonebbia: nella sua astrazione, somiglia vagamente al pio pastore di una natività pre-singolarità. «Dico, cosa c'è?». Lo sdegno gli ribolle in fondo alla mente. Non esiste un posto privato? Mentre si volta, vede che uno dei baccelli fantasma si è diviso nel senso della lunghezza, spaccando la bianca corona a fungo, riversando uno sgocciolio di fluido da costruzione residuo e un maschio Anglo, completamente glabro e un po' imbambolato, con un'espressione di profonda sorpresa.
«Non riesco a trovare i miei impianti», dice, scuotendo la testa. «Ma sono davvero qui, giusto? Incarnato?». Guarda gli altri baccelli. «Non è una sim».
Sirhan sospira - un altro esule - e invia un demone a interrogare l'interfaccia astratta del baccello fantasma. Non gli dice molto, a differenza di quasi tutti i resuscitati, questo sembra essere privo di documentazione. «Eri morto. Adesso sei vivo. Presumo significhi che sei reale quasi come me. Che altro vuoi sapere?».
«Quando è...». Il nuovo arrivato si interrompe. «Puoi indirizzarmi al centro immigrazione?» chiede, cauto. «Sono disorientato».
Sirhan è sorpreso (gran parte degli immigranti impiega molto più tempo a rendersene conto). «Sei morto di recente?» chiede.
«Non sono sicuro di essere morto». Il nuovo arrivato si strofina la testa calva, con l'aria confusa. «Ehi, niente jack·». Scrolla le spalle, esasperato. «Ascolta, il centro immigrazione...?».
«Laggiù». Sirhan indica la monumentale massa del Museo delle Scienze di Boston (spedito dalla Terra un paio di decenni fa, per salvarlo dalla demolizione del sistema interno). «Lo gestisce mia madre». Sorride lievemente.
«Tua madre...». L'immigrante appena resuscitato lo fissa intensamente, poi sbatte gli occhi. «Cazzo». Fa un passo verso Sirhan. «Sei tu...».
Sirhan si ritrae e schiocca le dita. La sottile scia di vapore nebuloso che l'aveva sempre seguito, schermandogli la pelata dalla diffusa luminescenza rossa del guscio dei brulicanti nanocomputer orbitali che hanno preso il posto dei pianeti interni, estrude un nebuloso bastone azzurro, che scende dall'aria e gli cade in mano, come un'asta intessuta di bollicine. «Mi sta minacciando, signore?» chiede, con aria ingannevolmente mite.
«Io...». Il nuovo arrivato si immobilizza. Poi piega la testa all'indietro e ride. «Non essere sciocco, figlio mio. Siamo parenti!».
«Figlio?». Sirhan si irrigidisce. «Chi pensi di essere...». Gli sovviene un pensiero orrendo. «Oh! Oh, santo cielo». Una scarica di adrenalina lo bagna di sudore caldo. «Credo che ci siamo incontrati, per così dire...». Oh santo cielo, questo romperà le uova nel paniere a tanti, si rende conto, intessendo un fantasma per pensare alla faccenda. Le implicazioni sono enormi.
Il nuovo arrivato nudo annuisce, ghignando per uno scherzo privato. «Sembri diverso al livello del suolo. E adesso sono nuovamente umano». Si passa la mano sulle costole, si ferma e guarda Sirhan, istupidito. «Uhm... Non intendevo spaventarti. Ma non potresti trovare qualcosa da mettersi al tuo anziano nonno?».
Sirhan sospira e punta l'asta verso il cielo. Gli anelli sono di taglio, perché i continenti ninfea fluttuano su un oceano di gas freddo lungo l'equatore di Saturno, e brillano come un raggio laser color rubino che squarcia il cielo. «Che ci sia l'aerogel».
Una nube di sottili bolle di sapone si congela in una forma conica, al di sopra dell'antico appena resuscitato, e cade su di lui, formando un caffetano. «Grazie», dice. Si guarda intorno, torcendo il collo, e trasale. «Accidenti, mi ha fatto male. Ahia! Devo prendermi un set di impianti».
«Possono sistemarti nel centro di processamento. È nel seminterrato dell'ala ovest. Ti daranno anche qualcosa di più permanente da metterti». Sirhan lo scruta. «Il tuo viso...». Scorre memorie raramente usate. Sì, è Manfred, com'era nei primi anni dello scorso secolo. Con l'aspetto che aveva al tempo della nascita della nonmadre. C'è qualcosa di decisamente indecente nell'incontrare un nonno nel vigore della gioventù. «Sei certo di non esserti manipolato il fenotipo?» chiede sospettoso.
«No, è così che ero fatto, credo. Di nuovo una scimmia nuda, dopo tutti questi anni come funzione emergente di uno stormo di colombi migratori». Il nonno sorride compiaciuto. «Cosa dirà tua madre?».
«Davvero non lo so...» Sirhan scuote la testa. «Forza, andiamo al processing degli immigranti. Sei certo di non essere soltanto una simulazione storica?».
Il posto è già palpitante per i resimulati. Perché mai la Vile Progenie senta necessario applicare preziosi exaquops al compito di derivare accurate simulazioni di umani morti – simulazioni offensivamente accurate di vite da tempo morte, temprate finché il loro corpus scritto non corrisponda a quello ereditato dall'era presingolarità sotto forma di scalfitture di gallina su polpa di legno - e ancor più a quello di teletrasportarle nei campi profughi di Saturno, supera la comprensione di Sirhan. Ma vorrebbe che smettessero.
«Solo un paio di giorni fa ti ho cacato sul prato. Spero non ti disturbi». Manfred reclina la testa e guarda fisso Sirhan. «In effetti, sono qui per le prossime elezioni. Ha il potenziale per diventare un grosso punto di crisi, e ho pensato che Amber avrebbe avuto bisogno di me».
«Allora faresti meglio a entrare», dice Sirhan, rassegnato, mentre sale i gradini, entra nel foyer e conduce il suo turbolento nonno nella nebbia di nanomacchine che riempiono l'edificio.
È ansioso di vedere cosa farà sua madre, quando incontrerà suo padre in carne e ossa, dopo tutto questo tempo.

Benvenuti su Saturno, il vostro nuovo mondo. Questo memeplex di FAQ (Frequently Asked Questions) è progettato per orientarvi e spiegare quanto segue:

• Come siete arrivati qui
• Dov'è «qui»
• Cose da evitare
• Cose da fare non appena possibile
• Dove andare per ulteriori informazioni.

Se ricordate questa presentazione, siete probabilmente resimulati. Non è uguale a essere resuscitati. Potete ricordare di essere morti. Non preoccupatevi: come i vostri altri ricordi, è una falsificazione. Infatti, questa è la prima volta che siete vivi. (Eccezione: se siete morti dopo la singolarità, potete essere dei risorti genuini. Nel qual caso, perché state leggendo queste FAQ?).

COME SIETE ARRIVATI QUI:
Il centro del sistema solare - Mercurio, Venere, la Luna della Terra, Marte, la fascia degli asteroidi e Giove - è stato smantellato, o è in corso di smantellamento da parte di intelligenze debolmente divine. [N.B.: Gli ecclesiastici monoteisti e gli europei che ricordano di esser vissuti prima del 1600, consultino il memeplex alternativo all'inizio]. Un'intelligenza debolmente divina non è un'entità soprannaturale, ma il prodotto di una società altamente avanzata che ha imparato a creare artificialmente le anime [tardo Novecento: software] e a tradurre le menti umane nelle anime, e viceversa. [Concetto centrale: tutti gli esseri umani hanno l'anima. Le anime sono oggetti software. Il software non è immortale].
Alcune delle intelligenze debolmente divine sembrano coltivare un interresse verso i loro antecedenti umani per ragioni ignote. [Le possibilità comprendono lo studio della storia attraverso l'orticoltura, il divertimento attraverso giochi di ruolo dal vivo, la vendetta e la frode economica]. Mentre non è possibile un'analisi definitiva, tutte le persone finora resimulate esibiscono certe caratteristiche comuni: sono tutte basate su persone storiche ben documentate, i loro ricordi mostrano vuoti sospetti [sì veda: fumo e specchi], e ignorano o predatano la singolarità [si veda: Oracolo di Turing, catastrofe di Vinge].
Si ritiene che le entità debolmente divine vi abbiano creato per lo studio introspettivo del vostro antecedente storico risalendo a partire dal vostro corpus di opere documentate, e proiettando all'indietro un genoma derivato dai vostri discendenti collaterali, per generare una descrizione astratta del vostro vettore di stato computazionale. Questa tecnica è estremamente intensiva [si veda: algoritmi EXPTIME-completi, Oracolo di Turing, viaggio nel tempo, magia industriale] ma marginalmente plausibile in assenza di spiegazioni soprannaturali.
Dopo aver sperimentato la vostra vita, le entità debolmente divine vi hanno espulso. Per ragioni ignote, hanno scelto di farlo trasmettendo il vostro stato upload e il vostro complesso genoma/proteoma a ricettori posseduti e operati da un consorzio di istituzioni benefiche con sede su Saturno. Queste istituzioni hanno provveduto ai vostri bisogni fondamentali, fra cui il corpo che ora occupate.
Riassumendo: siete la ricostruzione di una persona vissuta e morta molto tempo fa, non una reincarnazione. Non avete diritto morale all'identità che ritenete vostra, e un esteso corpo giurisprudenziale afferma che non ereditate le proprietà del vostro antecedente. A parte ciò, siete liberi individui.
Notare che la risimulazione letteraria è strettamente vietata. Se avete motivo di credere che possiate essere un personaggio di finzione, dovete contattare immediatamente le autorità municipali [si veda: James Bond, Spider Jerusalem]. La mancata osservanza costituisce un crimine.

DOVE VI TROVATE:
Siete su Saturno. Saturno è un pianeta gigante gassoso del diametro di 120.500 chilometri, situato a 1,5 miliardi di chilometri dal Sole della Terra [N.B.: gli europei che ricordano di essere vissuti prima del 1580, vedano il memeplex alternativo: la Terra non è piatta]. Saturno è stato parzialmente terraformato da emigranti postumani provenienti dall'orbita della Terra e di Giove: la terra sotto i vostri piedi è, in realtà, il pavimento di un pallone all'idrogeno delle dimensioni di un continente, che fluttua nell'atmosfera superiore di Saturno [N.B.: gli europei che ricordano di essere vissuti prima del 1790, interiorizzino il memeplex supplementare: i fratelli Montgolfier]. Il pallone è molto sicuro, ma le attività minerarie e l'uso di armi balistiche sono fortemente condannati, perché l'aria esterna è irrespirabile ed estremamente fredda.
La società in cui siete stati istanziati è estremamente ricca, secondo i termini dell'Economia 1.0, il sistema di trasferimento del valore sviluppato dagli esseri umani durante e dopo il vostro tempo. Il denaro esiste, ed è usato per la solita gamma di beni e servizi, ma i beni fondamentali - alimentazione, acqua, aria, energia, vestiti, alloggio, divertimento storico e megacamion - sono gratuiti. Un implicito contratto sociale detta che, in cambio dell'accesso a questi servizi, si obbedisca a certe leggi.
Se desiderate disimpegnarvi da questo contratto sociale, vi avvisiamo che altri mondi possono basarsi sull'Economia 2.0 o versioni successive. Questi sistemi di trasferimento del valore sono più efficienti - dunque più ricchi - dell'Economia 1.0, ma la vera partecipazione all'Economia 2.0 non è possibile senza chirurgia cognitiva deumanizzante. Dunque, in termini assoluti, sebbene questa società sia più ricca di ogni altra società a voi nota, è anche una miserabile zona depressa, a paragone dei suoi vicini.

COSE DA EVITARE:
Qui sono legali molte attività classificate in altre società come delitti. Queste comprendono (ma non si limitano a esse): atti di culto, arte, sesso, violenza, comunicazione e commercio fra esseri senzienti, consenzienti e competenti di qualunque specie, tranne laddove tali atti contravvengano al seguente elenco di proibizioni [si veda il memeplex aggiuntivo: definizione di competenza].
Alcune attività, che possono essere state legali nella vostra esperienza precedente, sono proibite. Queste attività comprendono la volontaria deprivazione della capacità di consenso [si veda: schiavitù], interferire con l'assenza di consenso [si veda: minori, status legale dei], la formazione di società a responsabilità limitata [si veda: singolarità], e invadere la difesa della privacy [si veda: la Lumaca, Frodi Piramidali Cognitive, Pirateria Cerebrale, Thompson hack].
Alcune attività a voi non familiari sono altamente illegali, e vanno scrupolosamente evitate. Queste attività comprendono: il possesso di armi nucleari, il possesso di replicatori autonomi illimitati [si veda: poltiglia grigia], l'assimilazionismo coercitivo [si veda: borganismo, aggressivo], l'interruzione coercitiva di personalità Turing-equivalenti [si veda: Basilischi], e l'ingegneria teologica applicata [si veda: disturbare Dio].
Alcune attività a voi superficialmente familiari sono semplicemente stupide, e vanno evitate per la vostra sicurezza, pur non essendo illegali in quanto tali. Queste attività comprendono: dare i dettagli del vostro conto bancario al figlio del ministro nigeriano delle finanze; comprare titoli di ponti, grattacieli, navi spaziali, pianeti e altri beni immobili; l'assassinio; la vendita dell'identità; stipulare contratti finanziari con entità basate sull'Economia 2.0 o versioni superiori.

COSE DA FARE NON APPENA POSSIBILE:
Molti artefatti materiali che potete considerare essenziali per la vita sono liberamente disponibili (chiedete alla città, e vi produrrà vestiti, una casa, alimenti o altri articoli essenziali di base). Si noti, comunque, che la biblioteca degli schemi strutturali di pubblico dominio è necessariamente restrittiva e non contiene articoli di gran moda o ancora sotto copyright. E la città non vi rifornirà di replicatori, armi, favori sessuali, schiavi o zombi.
Vi viene consigliato di registrarvi come cittadini non appena possibile. Se si conferma la morte dell'individuo di cui siete una resimulazione, potete adottarne il nome ma non - secondo la legge - rivendicare diritti o privilegi sulle sue proprietà, contratti o discendenti. Vi registrate come cittadino chiedendo alla città di registrarvi; il procedimento è indolore e normalmente completo entro quattro ore. Se non siete registrati, il vostro status di cittadino senziente può essere messo in discussione. L'abilità di richiedere i diritti di cittadinanza è una delle prove legali della capacità senziente. Potete rinunciare alla cittadinanza a vostro piacimento: questo può essere desiderabile, se emigrate in un'altra comunità.
Laddove molte cose sono gratuite, è altamente probabile che non possediate alcuna abilità vendibile, e dunque alcun modo di guadagnare i soldi per acquistare articoli non gratuiti. Nello scorso secolo, il ritmo di cambiamento ha reso obsolete quasi tutte le abilità che avete appreso [si veda: singolarità]. Comunque, a causa del rapido ritmo del cambiamento, molte cooperative, fondazioni e gilde offrono addestramento interno o prestiti all'istruzione.
La vostra capacità di apprendere dipende dall'abilità di assorbire informazione nel formato con cui è offerta. Frequentemente, si usano impianti per fornire un collegamento diretto fra il cervello e le macchine intelligenti che vi circondano. La città mette a disposizione, su richiesta, un set base di impianti principali [si veda: sicurezza degli impianti, firewall, wetware].
Se siete stati appena reistanziati, la vostra salute è probabilmente buona, e rimarrà buona per un certo periodo. Gran parte delie malattie è curabile, e nell'eventualità di affezioni o ferite incurabili, si può fornire un nuovo corpo a pagamento. (In caso di assassinio, vi sarà fornito un corpo nuovo a spese dell'assassino). Se avete problemi medici preesistenti o handicap, consultare la città.
La città è una democrazia partecipativa agorico-temprata, con una costituzione a responsabilità limitata. Il suo attuale organo esecutivo è un'intelligenza debolmente divina che sceglie di associarsi a intelligenze umano-equivalenti: questa entità è colloquialmente nota come «Hello Kitty», «Bel Gattino» o «Aineko», e può manifestarsi con una varietà di avatar fisici, se si desidera l'interazione corporea. (Prima dell'arrivo di «Hello Kitty», la città usava una varietà di sistemi esperti di progettazione umana, che forniva risultati subottimali).
La dichiarazione di intenti della città è fornire un ambiente mediatorio per intelligenze umano-equivalenti e per proteggere le suddette davanti ad aggressioni esterne. I cittadini sono incoraggiati a partecipare al continuo processo politico della determinazione di tali reazioni. I cittadini hanno anche il dovere di partecipare a una giuria, se convocati (fra cui il servizio senatoriale), e di difendere la città.

DOVE ANDARE PER ULTERIORI INFORMAZIONI:
Finché non siete registrati come cittadini, e avete ottenuto gli impianti base, ogni ulteriore domanda va rivolta alla città. Una volta appreso a usare gli impianti, non avrete bisogno di fare questa domanda.

Benvenuti nel decennio nove, singolarità più un gigasecondo (o forse di più. Nessuno è certo quando, o in effetti se, sia stata creata una singolarità). La popolazione umana del sistema solare è di sei milioni di abitanti, o sessanta milioni, se considerate come persone le diramazioni dei vettori di stato dei postumani e delle simulazioni di fenotipi morti, operate nelle scatole di Schrödinger della Vile Progenie. Gran parte dei fisicamente incarnati vive ancora sulla Terra, ma le ninfee galleggianti, al di sotto dei palloni a idrogeno caldo di dimensione continentale nell'atmosfera superiore di Saturno, danno già alloggio ad alcuni milioni di abitanti, e i presagi sono infausti per i rocciosi pianeti interni. Tutte le restanti intelligenze umano-equivalenti con un po' di sale in zucca stanno cercando di emigrare, prima che la Vile Progenie decida di riciclare la Terra per riempire il vuoto nei gusci concentrici di nanocomputer che li sostengono. Il semicompleto cervello matrioska oscura già i cieli della Terra, e ha provocato un enorme crollo nella biomassa fotosintetica del pianeta, mentre le piante sono affamate di luce a onde corte.
Dal decennio sette, la densità computazionale del sistema solare si è impennata. All'interno della fascia degli asteroidi, più di metà della massa planetaria disponibile è stata trasformata in nanoprocessori, legati dalla correlazione quantica in una rete così densa che ogni grammo di materia può simulare tutte le possibili esperienze vitali di un essere umano individuale in una misera manciata di minuti. Anche l'Economia 2.0 è obsolescente, costretta a mutare in una furiosa corsa alle armi per la sopravvivenza, causata dall'arrivo della Lumaca. Ne resta solo il nome, una vaga abbreviazione usata da intelligenze umano-equivalenti per descrivere interazioni che non comprendono.
L'ultima generazione di entità postumane è meno apertamente ostile agli umani, ma molto più aliena delle generazioni degli anni Cinquanta e Settanta. Fra le loro attività meno comprensibili, la Vile Progenie è impegnata a esplorare dall'interno lo spazio di fase di ogni possibile esperienza umana. Forse hanno ricevuto una dose di eresia Tipleriana, perché ora un continuo flusso di Upload resimulanti si riversa nei commutatori di uscita nell'orbita di Titano. L'Estasi dei Nerd è stata seguita dalla Resurrezione degli Estremamente Confusi, ma non sono veramente risorti, sono simulazioni basate sulla storia registrata degli originali, frammentaria e con settori di memoria mancanti, frastornati come anatroccoli condotti nella truciolatrice del futuro.
Sirhan al-Khurasani li disdegna con l'astratto disprezzo dell'antiquario verso un falso ben fatto ma, in ultima analisi, evidente. Però Sirhan è giovane, e ha più disprezzo del necessario. È un utile sfogo per le frustrazioni. Ha molto di cui sentirsi frustrato, a partire dalla sua famiglia, intermittentemente disfunzionale, e dalle vecchie stelle intorno a cui ruota il suo pianeta, in caotiche traiettorie di entusiasmo e disgusto.
Sirhan si immagina come filosofo-storico dell'epoca singolare, cronista dell'incomprensibile, il che sarebbe ottima cosa, non fosse che deriva le sue massime intuizioni da Aineko. Alterna adulazione e rabbia nei confronti della madre, che attualmente è un faro della comunità dei profughi, e (quando non cerca di sfuggire alla sua volontà) onora il padre, divenuto recentemente un patriarca filosofico in ascesa nell'ambito della fazione dei Conservazionisti. È segretamente intimorito (per non dire leggermente astioso) verso questo Manfred. Infatti, la sua improvvisa reincarnazione lo ha decisamente sconcertato. E talvolta ascolta la nonna acquisita, Annette, che si è reincarnata più o meno nel suo corpo originario del 2020, dopo aver trascorso anni come grande scimmia, e che sembra considerarlo una specie di progetto personale.
Solo che Annette non è molto di aiuto, adesso. Sua madre fa campagna su una piattaforma elettorale che richiede un voto per far saltare in aria il mondo, Annette l'aiuta nella campagna, il nonno cerca di convincerlo ad affidare tutto ciò che ha di più caro nelle mani di un'Aragosta illegale, e il gatto è come sempre felino ed evasivo.
E poi parlano di famiglie problematiche...

Hanno trapiantato su Saturno tutta la Bruxelles imperiale, mappando su nanoscala decine di megatonnellate di edifici, e li hanno teletrasportati nell'oscurità esterna per essere reistanziati in fondo al pozzo gravitazionale del gigante gassoso, sulle colonie-ninfea che ne punteggiano la superfìcie. Infine, l'intera superficie della Terra la seguirà - dopodiché la Vile Progenie ne toglierà il nucleo come un torsolo di mela, smantellandola in una nube di neonati nanocomputer quantici che contribuirà allo sviluppo del loro cervello matrioska. A causa di un contenzioso problema di risorse nell'algoritmo di progettazione del comitato di celebrazione - o forse semplicemente per uno scherzo elaborato - adesso, mentre il colombo migratore vola, Bruxelles comincia sull'altro lato della bolla di diamante di un muro del Museo delle Scienze di Boston, a meno di un chilometro di distanza. Questo è il motivo, quando si deve festeggiare un compleanno o un onomastico (per quanto questi concetti siano privi di significato sulla superficie sintetica di Saturno), per cui Amber tende a trascinare la gente nelle luci brillanti della grande città.
Stavolta dà una festa molto speciale. Grazie a un'astuta imbeccata di Annette, ha preso in prestito l'Atomium e ha invitato un'orda di ospiti per un grande evento. Non è tanto una festa di famiglia - anche se Annette le ha promesso una sorpresa - quanto una riunione di affari che sonda il terreno come preliminare per la dichiarazione della candidatura. È un colpo a effetto mediatico, un tentativo di preparare il rientro di Amber nella politica ufficiale del sistema umano.
Sirhan, in realtà, non vuole essere presente. Ha da fare cose molto più importanti, come continuare a catalogare i ricordi di Aineko del viaggio della Field Circus. Inoltre, sta confrontando una serie di interviste con i positivisti resimulati della scuola logica di Oxford, in Inghilterra (quelli che non si sono ritratti in uno stato di balbuzie semicatatonica rendendosi conto che i loro vettori di stato sono tutti membri dell'insieme di tutti gli insiemi che non li contengono), quando non cerca di stabilire una solida argomentazione razionale per la sua convinzione che la superintelligenza extraterrestre sia un ossimoro, e la rete di Router solo un incidente, uno scherzetto dell'evoluzione.
Ma tante Annette lo ha preso per la gola, e gli ha promesso che sarebbe stato parte della sorpresa se fosse venuto alla festa. E nonostante tutto, non si sarebbe fatto sfuggire l'opportunità di fare la mosca sul muro durante l'imminente incontro fra Manfred e Amber, a qualunque costo.
Sirhan cammina verso la luccicante cupola di acciaio inossidabile che contiene l'ingresso dell'Atomium, e aspetta l'ascensore. È in fila dietro una torma di donne dall'aria giovane, mingherline ed eleganti, in abiti da sera e tiare riprese dai film muti degli anni Venti (Annette ha dichiarato l'era dell'eleganza come tema della festa, sapendo bene che avrebbe costretto Amber a concentrarsi sulla sua immagine pubblica). L'attenzione di Sirhan, tuttavia, è altrove. I vari frammenti della sua mente conducono tre interviste simultanee con dei filosofi («su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere», decisamente), controllando due robot che stanno ispezionando il sistema idraulico e di riciclaggio dell'aria del museo, ed è impegnato a discutere con Aineko le osservazioni dell'artefatto alieno in orbita intorno alla nana bruna Hyundai+4904/-56. Ciò che resta di lui rivela la socievolezza di un cavolfiore sottaceto.
Arriva l'ascensore e accetta un carico di passeggeri. Sirhan è spinto in un angolo da una bolla di risate mondane e da uno sbuffo di fumo aromatico proveniente da un'improbabile bocchino d'avorio, mentre l'ascensore risale i sessanta metri del pozzo verso il ponte di osservazione in cima all'Atomium. È un globo metallico del diametro di dieci metri, collegato da scale a chiocciola e ascensori ai vertici di un cristallo cubico che costituiva il pezzo forte della Fiera Mondiale del 1958. A differenza di quasi tutto il resto di Bruxelles, è l'originaria struttura in lega d'acciaio, fatta di connessioni e atomi, precedente all'era spaziale, spedita a un costo enorme fino a Saturno. L'ascensore si ferma con un leggero scossone. «Mi scusi», squittisce una delle gaudenti, barcollando all'indietro e spintonando Sirhan.
Lui sbatte gli occhi, notando appena i corti capelli neri, intorno agli occhi un ombretto al cromatoforo abilmente intonato: «Di nulla». Nello sfondo, Aineko borbotta monotono e sarcastico sulla mancanza di interesse che l'equipaggio della Field Circus aveva mostrato verso il suo tentativo di decompilare il loro autostoppista, la Lumaca. È una distrazione tremenda, ma Sirhan prova l'urgente impulso di comprendere cosa sia successo. È la chiave per capire le ossessioni e le debolezze della sua non-madre che, percepisce, saranno importanti nel tempo a venire.
Evade la frotta di gaudenti troppo vestite, e mette piede sul livello inferiore dei due ponti che intersecano la sfera. Accettando un cocktail alla frutta da un maitron discretamente umaniforme, cammina verso una fila di finestre triangolari prospicienti l'arena verso il Padiglione Americano e il Villaggio Mondiale. Le pareti di metallo sono rinforzate da travi color turchese, e il perspex trasparente è appannato dagli anni. Vede appena il modello in scala 1:10 di una nave transoceanica a propulsione atomica, in partenza dal molo, e il gigantesco idroplano ottomotore al suo fianco. «Non mi hanno chiesto neppure una volta se la Lumaca avesse tentato di mapparsi negli spazi umano-compatibili a bordo della nave», brontola Aineko. «Non che me lo aspettassi, in effetti! Tua madre si fida troppo, ragazzo».
«Immagino che tu abbia preso delle precauzioni», mormora al gatto il fantasma di Sirhan. Questo lancia l'irascibile metafelino in una lunga tirata discorsiva sull'inaffidabilità degli strumenti finanziari che ottemperano all'Economia 2.0. In apparenza, l'Economia 2.0 sostituisce lo strato monoraggirante del denaro convenzionale e le mappature multiraggiranti degli scambi azionari con una specie di struttura di relazione oggettuale, follemente barocca, basata sui desideri parametrizzati e sui valori dell'esperienza soggettiva dei giocatori; per quanto riguarda il gatto, questo rende intrinsecamente inaffidabile ogni transazione del genere.
«Ed è per questo che sei bloccato qui con noialtre scimmie», nota cinicamente Sirhan-primo mentre genera un fantasma Eliza che continuerà a dir di sì al gatto, mentre lui si gode la festa.
Fa spiacevolmente caldo nella sfera dell'Atomium - non c'è da sorprendersi, ci devono essere trenta persone che girano in tondo, senza contare i maitron - e parecchi canali locali multicast trasmettono una quantità di stili musicali per sincronizzare gli sbalzi di umore dei partecipanti alla festa con hardcore techno, valzer, raga...
«Ci stiamo divertendo, vero?» Sirhan si distacca dal tentativo di integrare uno dei suoi paurosi filosofi, si rende conto che ha il bicchiere vuoto e sua madre ghigna allarmata dietro un bicchiere da cocktail contenente qualcosa che brilla nel buio. Indossa stivali coi tacchi a spillo e una calzamaglia che le abbraccia il profilo come una seconda pelle, e si sta già ubriacando. In anni cronologici, è più giovane di Sirhan; è come avere una sorellina bizzarramente sveglia, misteriosamente inseritasi nella sua vita per sostituire l'altermadre, rimasta a casa e morta con l'Impero dell'Anello decenni fa. «Guardati, nascosto in un angolo alla festa di tuo nonno! Ehi, hai il bicchiere vuoto. Vuoi provare questa caipirinha? Laggiù c'è qualcuno che devi incontrare...».
È in momenti come questo che Sirhan si chiede cosa mai abbia visto suo padre in questa donna (ma d'altra parte, nella linea mondiale da cui è tornata questa istanza della madre, non lo ha fatto. E allora che cosa significa?). «Purché non ci sia succo d'uva fermentato», dice rassegnato, facendosi condurre oltre un brulicare di conversazioni e un lugubre gorilla che sorseggia un long drink con la cannuccia. «Altri tuoi alleati Accelerazionisti?».
«Forse no». È la banda di ragazze dagli occhi scintillanti che ha evitato di notare nell'ascensore, che sta prendendo veramente gusto alla festa in maschera Novecento, agitando con abbandono il bocchino e i bicchieri da cocktail. «Rita, vorrei presentarti Sirhan, il figlio della mia biforcazione. Sirhan, questa è Rita. Anche lei è una storica. Perché non...».
Occhi scuri, accentuati non dalla cipria o dal trucco ma dai cromatofori nelle cellule dell'epidermide: capelli neri, una collana di perle enormi, un esile abito nero che spazza il pavimento, uno sguardo di moderato imbarazzo sul viso a forma di cuore. Potrebbe essere un clone di Audrey Hepburn. «Non ti ho appena incontrato nell'ascensore?». L'imbarazzo le sale alle guance, diventando visibile.
Sirhan arrossisce, incerto su come rispondere. In quel momento un'intrusa arriva sulla scena, spingendosi fra di loro. «Sei il curatore che ha riorganizzato la Galleria Precambriana secondo linee teleologiche? Ho qualcosa da dire in proposito». L'intrusa è alta, sicura di sé e bionda. Sirhan la odia non appena vede il dito puntato.
«Oh, zitta, Marissa, questa è una festa. Sei stata un tormento per tutta la sera». Con sua sorpresa, Rita la storica affronta rabbiosamente l'intrusa.
«Non è un problema», riesce a dire lui. In secondo piano, qualcosa fa drizzare la marionetta rogeriana che ascolta il gatto, scaricando e fondendo tutto un grumo di memoria fresca nella sua mente - qualcosa di importante, qualcosa riguardante la Vile Progenie che invia un'astronave per riportare qualcosa dal Router - ma la gente intorno a lui assorbe tanta attenzione che deve rimandarlo per dopo.
«Sì che è un problema», dichiara Rita. Indica l'intrusa, che dice qualcosa sull'invalidità delle interpretazioni teleologiche, cercando di giustificarsi, e dice: «Plonk. Uff... Dove eravamo?».
Sirhan sbatte gli occhi. Improvvisamente tutti tranne lui sembrano ignorare questa fastidiosa Marissa. «Che cosa è successo?» chiede cauto.
«L'ho messa nel killfile. Non dirmi che non hai ancora il Superplonk?». Rita gli lancia un'idea dalla sua memoria locale, e lui la afferra con cautela, generando un paio di Oracoli Turing specializzati per controllarla in cerca di stati di arresto. Sembra essere una specie di hack per il lobo ottico, che accede a un database collaborativo di altervolti, con una sorta di interfaccia laterale per l'area di Broca. «Condividi e godi, feste senza litigate».
«Non ho mai visto...». La voce di Sirhan si affievolisce mentre carica distrattamente il modulo. (In secondo piano, il gatto sproloquia di moduli divini, correlazione metastatica e la difficoltà di confezionare personalità su misura, mentre il suo io frazionario annuisce compunto ogni volta che si interrompe). Si abbassa una sorta di palpebra interiore. Si guarda intorno; c'è un vago blob a un estremo della stanza, che produce un fastidioso ronzio. Sua madre sembra intenta in un'animata conversazione. «È piuttosto interessante».
«Sì, è di grande aiuto in eventi come questo». Rita lo fa sobbalzare prendendogli il braccio - il bocchino si sbriciola e si condensa fino a diventare niente più di un lieve addensamento intorno al polso del suo guanto da opera - e lo conduce verso un maitron. «Mi dispiace per il tuo piede, prima. Ero un po' sovraccarica. Amber Macx è veramente tua madre?».
«Non proprio, è la mia altermadre», mormora. «Il download reincarnato della versione partita per Hyundai +4904/-56 a bordo della Field Circus. Ha sposato un analista della frode franco-algerino invece di mio padre, ma credo abbiano divorziato un paio di anni fa. La mia vera madre ha sposato un imam, ma sono morti durante gli strascichi dell'Economia 2.0». Sembra condurlo in direzione del bovindo da cui prima Amber lo aveva trascinato via. «Perché lo chiedi?».
«Perché non sei bravo a fare conversazione», dice Rita, flemmatica, «e non sembri trovarti bene nella folla. Ho ragione? Sei stato tu a eseguire quella stupefacente dissezione della mappa cognitiva di Wittgenstein? Quella con la stringa preverbale di Gödel?».
«Era...». Si schiarisce la gola. «Pensi che fosse stupefacente?». Improvvisamente, d'impulso, distacca un fantasma per identificare questa Rita e scoprire chi è, cosa vuole. Normalmente non vale la pena conoscere qualcuno oltre la semplice conversazione, ma lei sembra aver scavato nel suo background, e lui vuole sapere perché.
Insieme all'io che chiacchiera con Aineko, sono tre le istanze che attingono alle sue risorse in tempo quasi-reale. Presto si troverà in debito esistenziale, se continua a biforcare fantasmi in questo modo.
«Penso di sì», dice lei. C'è una panca davanti al muro, e si ritrova seduto accanto a lei. Non c'è pericolo, non siamo in privato o roba del genere, si dice, rigido. Lei gli sorride, col viso leggermente inclinato e le labbra aperte, e per un attimo lo inonda un vertiginoso senso delle possibilità. E se abbandona ogni senso di proprietà? Quanto sarebbe indecoroso! Sirhan crede nell'autocontrollo e nella dignità. «Mi interessava davvero...». Gli passa un altro blob dinamicamente caricabile, che abbraccia una critica dettagliata della sua analisi della matriofobia di Wittgenstein nel contesto delle costruzioni linguistiche sessuate e della società viennese dell'Ottocento, insieme a un'ipotesi che fa boccheggiare Sirhan di moderata indignazione, per l'idea che proprio lui condivida il distorto atteggiamento di Wittgenstein. «Che ne pensi?» chiede, con un ghigno malizioso.
«Nnngk...». Sirhan cerca di sciogliere la lingua. Rita incrocia le gambe, facendo frusciare l'abito. «Io, ah, vale a dire...». A quel punto, i suoi parziali si reintegrano, scaricando nella sua memoria una pila di immagini decisamente pornografiche. È una trappola! urlano, mentre il seno, i fianchi e il pube - rasato, non può fare a meno di notare - si premono su di lui in abbandono caldo e appassionato. Mamma sta cercando di renderti come quella donnaccia! e lui ricorda come sarebbe risvegliarsi a letto accanto a questa donna, che conosce appena dopo essere stato sposato con lei per un anno, perché uno dei suoi fantasmi cognitivi ha appena passato parecchi secondi di tempo della rete (parecchi mesi soggettivi) in calore e sudato insieme a uno dei suoi fantasmi, e lei ha interessanti idee di ricerca, anche se è un'invadente donna troppo occidentalizzata che ritiene di potergli gestire la vita. «Che cos'è questo?» biascica, sentendosi le orecchie in fiamme e i vestiti stretti.
«Speculavo sulle possibilità. Insieme potremmo fare molto». Gli cinge un braccio attorno alle spalle e lo tira gentilmente verso di sé. «Non vuoi scoprire se possiamo funzionare?».
«Ma, ma...» Sirhan è su tutte le furie. Sta offrendo sesso occasionale? si chiede, profondamente imbarazzato per via della sua incapacità di leggere i segnali. «Che cosa vuoi?» chiede.
«Lo sai che col Superplonk puoi fare molto più che mettere nel killfile un'idiota fastidiosa?» gli sussurra nell'orecchio. «Possiamo essere invisibili subito, se vuoi. È ottimo per gli incontri confidenziali e anche per altre cose. Possiamo funzionare insieme alla grande, i nostri fantasmi si sono temprati proprio bene...».
Sirhan balza in piedi, col viso avvampato, e si volta. «No, grazie!» reagisce, infuriato con se stesso. «Addio!». Le altre istanze, interrotte dalla trasmissione del suo sovraccarico emotivo, sono distratte dal loro compito e friggono di indignazione. La sua espressione offesa è troppo per lui: il killfile scatta e la cancella in un indistinto blob nero sul muro, su cui il suo cervello pone un velo mentre si volta e si allontana, ribollendo di rabbia contro sua madre perché è stata talmente ingiusta da fargli contemplare il suo viso nell'agonia della passione carnale.

Nel frattempo, in una delle sfere inferiori, imbottita di cuscini isolanti color blu argento, legati insieme con nastro adesivo, i promotori del movimento degli Accelerazionisti discutono il loro tentativo di assumere il potere alla velocità di una frazione di quella della luce.
«Possiamo superare tutto. Per esempio, un collasso nel falso vuoto», insiste Manfred, con una certa mancanza di coordinazione e con le vocali distorte dall'influsso del primo bicchiere di punch alla frutta in quasi-anni di tempo reale. Il corpo è giovane e ancora relativamente informe, con i capelli che crescono ancora, e ha finalmente abbandonato il feticcio della mancanza di impianti, per adottare una schiera di interfacce che gli consentono di interiorizzare tutti i processi esocorticali che prima manteneva su una schiera di inerti macchine di Turing esterne al corpo. Si aggrappa al suo senso dello stile ed è l'unica persona nella stanza che non indossi qualche variante di smoking o un classico abito da sera. «Va bene lo scambio di correlazione via Router, ma non riusciremo a sfuggire all'universo. Ogni cambiamento di fase alla fine ci raggiungerà. La rete deve avere un termine. E poi dove ci troveremo, Sameena?».
«Non lo metto in discussione». La donna con cui parla, con un sari verde e oro e il riscatto di un maharajah medievale in oro e diamanti naturali, annuisce pensierosa. «Ma non è ancora avvenuto, e ci sono prove che le intelligenze superumane sono state in circolazione per giga-anni in questo universo, dunque possiamo scommettere che i peggiori scenari di catastrofe sono improbabili. E guardando le cose più da vicino, non sappiamo a che cosa servano i Router, o chi li abbia fatti. Fino ad allora...». Scrolla le spalle. «Guarda cos'è successo l'ultima volta che qualcuno ha tentato di sondarli. Senza offesa».
«È già successo. Se le voci sono corrette, la Vile Progenie non è sfavorevole verso l'idea di usare i Router come a noi metaumani piace ritenere». Manfred aggrotta le sopracciglia, cercando di ricordare un nebuloso aneddoto (sta sperimentando un nuovo algoritmo di compressione della memoria, reso necessario dalle sue abitudini mnemoniche da topo quando era più giovane, e a volte gli sembra di avere l'intero universo sulla punta della lingua). «Così, sembriamo essere in violento disaccordo sul bisogno di sapere di più su quanto sta succedendo, e di scoprire cosa fanno là fuori. Abbiamo anisotropie cosmiche di fondo causate dal calore in eccesso proveniente da processi di calcolo a milioni di anni luce di distanza - ci vuole una grande civiltà interstellare per farlo, e non sembrano essere caduti nella stessa trappola per topi delle civiltà del cervello matrioska)». E ci sono voci preoccupanti sulla VP che manipola la struttura dello spazio-tempo per trovare un modo di aggirare il limite di Beckenstein. Se la VP cerca di farlo, allora la gente in prossimità del supergrappolo conosce già la risposta. Il modo migliore per scoprire cosa succede è andare a parlare con chiunque ne sia responsabile. Possiamo almeno essere d'accordo su questo?».
«Probabilmente no». Gli occhi della donna brillano divertiti. «Dipende tutto dalla premessa di credere in queste civiltà. So che i tuoi danno importanza alle riprese di campo profondo risalenti alla bolla di cristallo riflettente di qualche trabiccolo Hubble di fine Novecento, ma non abbiamo prove, tranne qualche teoria sull'effetto Casimir, sulla produzione di coppia e sui contenitori rotanti di elio-3 e ancora meno prove che tutto il mucchio di civiltà galattiche aliene stia cercando di far collassare il falso vuoto e distruggere l'universo!». La sua voce si abbassa un poco. «Almeno, non abbastanza da convincere la maggioranza, caro il mio Manny. So che questo ti sconvolge, ma non tutti sono neofilici mutacorpo postumani la cui idea di periodo sabbatico è passare vent'anni sotto forma di piccioni strettamente interconnessi in rete fra loro per cercare di dimostrare la tesi dell'Oracolo di Turing...».
«... Non tutti si preoccupano del futuro profondo» interrompe Manfred. «È importante! Se viviamo o moriamo, quello non conta (non è pensare in grande). La domanda importante è se viene conservata l'informazione originaria del nostro cono di luce, o se invece siamo bloccati in un mezzo a basso rendimento dove anche la nostra esistenza non conta nulla. È davvero imbarazzante essere membro di una specie con una mancanza di curiosità così profonda verso il proprio futuro, specialmente quando ci riguarda personalmente tutti! Voglio dire, se deve venire il momento in cui non ci sarà niente o nessuno a ricordarsi di noi, allora a cosa...».
«Manfred?».
Si interrompe, a bocca aperta e a occhi spalancati.
È Amber, ferma in calzamaglia nera e bicchiere da cocktail. Ha un'espressione aperta e confusa, tremendamente vulnerabile. Il liquido azzurro trabocca, quasi fuoriuscendo dal bicchiere, il cui bordo si estende appena in tempo per cogliere le gocce. Dietro di lei c'è Annette, con un sorriso compiaciuto sul viso.
«Tu». Amber si ferma, e le sue guance si contraggono mentre pezzi della sua mente scorrono in entrata e in uscita dal cranio, soppesando le fonti esterne di informazione. «Tu sei davvero...».
Una nube si materializza frettolosamente sotto la sua mano, mentre le dita si rilassano e fanno cadere il bicchiere.
«Uh...» Manfred ha lo sguardo fisso, senza trovare le parole. «Io, oh...». Dopo un attimo abbassa lo sguardo. «Mi dispiace. Ti prendo qualcos'altro da bere...?».
«Perché nessuno mi ha avvisato?» si lamenta Amber.
«Abbiamo pensato che ti potessero servire un po' di buoni consigli», dichiara Annette nel silenzio imbarazzato. «È una riunione di famiglia. Doveva essere una sorpresa».
«Una sorpresa». Amber ha l'aria perplessa. «Puoi ben dirlo».
«Sei più alta di quanto credessi», dice Manfred inaspettatamente. «La gente sembra diversa quando non usi occhi umani».
«Sì?». Lei lo guarda, e Manfred gira leggermente la testa, ponendosi di fronte a lei. È un momento storico, e Annette lo inserisce tutto sul diamante di memoria, da ogni angolo. Il piccolo, sporco segreto di famiglia è che Amber e suo padre non si sono mai incontrati nell'intimità del faccia a faccia fisico delle macchine di carne. Dopo tutto, lei è nata anni dopo la separazione fra Manfred e Pamela, fertilizzata e decantata da un serbatoio di azoto liquido. Questa è la prima volta che si guardano veramente in faccia, senza intermediazione elettronica. E mentre si sono detti tutto ciò che andava detto in termini di affari, la politica familiare antropoide è ancora in gran parte una questione di linguaggio del corpo e di feromoni. «Quanto tempo sei stato fuori?» chiede lei, cercando di mascherare la confusione.
«Circa sei ore». Manfred fa una mesta risatina sforzata, cercando di assorbirne l'immagine tutta insieme. «Ti prendo un altro drink e ne parliamo?».
«Okay». Amber fa un respiro profondo e guarda Annette. «Tu l'hai organizzato, tu ripulirai il casino».
Annette rimane immobile, sorridendo per la confusione causata da quanto ha fatto.

La fredda luce dell'alba trova Sirhan infuriato, sobrio e pronto a litigare con la prima persona che oltrepasserà la porta del suo ufficio. La stanza è larga circa dieci metri, con un pavimento di marmo levigato e un lucernario nel soffitto dalle stuccature elaborate. Il percorso del suo attuale progetto germoglia nel mezzo della stanza, come uno spettrale cavolfiore astratto, rami frattali che si assottigliano fino a nodi avviluppati, contrassegnati da identificatori compressi. I rami si espandono e rimpiccioliscono mentre Sirhan vi gira intorno, zoomando per mantenere la leggibilità in risposta alle sue dinamiche oculari. Ma non presta molta attenzione. È troppo turbato, incerto, alla ricerca di qualcuno da incolpare. Ed è per questo che, quando si spalanca la porta, la sua prima reazione è di voltarsi e aprire la bocca... poi si ferma. «Che cosa vuoi tu?» domanda.
«Due parole, se me lo permetti». Annette si guarda intorno, distratta. «Questo è il tuo progetto?».
«Sì», dice gelido, e cancella il percorso con un gesto della mano. «Che cosa vuoi?».
«Non ne sono certa». Annette si ferma. Per un attimo ha l'aria esausta, stanca al di là dell'esprimibile per un mortale, e Sirhan per un attimo si chiede se non le attribuisca una colpa esagerata. Sembra improbabile che questa francese novantenne, che non è sua consanguinea e in passato era stata l'amore della vita del suo svampito nonno, cerchi di manipolarlo, almeno in una maniera tanto indesiderata e intima. Ma non si può mai dire. Le famiglie sono cose strane e, anche se le attuali istanziazioni di suo padre e sua madre non sono quelle che hanno gestito il suo cervello preadolescenziale per un paio di dozzine di vite alternative, prima che compisse dieci anni, non può esserne certo, così come non può essere sicuro che loro non richiederebbero l'assistenza di zia Annette per fottergli la mente. «Dobbiamo parlare di tua madre», continua lei.
«Dobbiamo parlarne, dici?» Sirhan si volta e vede il vuoto della stanza per quel che è, una cavità, come dopo l'estrazione di un dente, informata da ciò che è assente come da ciò che è presente. Schiocca le dita, e nell'aria dietro di lui si congela un'intricata panca fatta di nanonebbia bluastra semitrasparente. Si siede: Annette può fare quel che vuole.
«Oui». Lei si infila le mani in fondo al grembiule da contadina che ha addosso - una grossa deviazione dal suo solito stile - e si appoggia al muro. Fisicamente, sembra abbastanza giovane da aver trascorso tutta la vita guizzando in giro per la galassia a tre noni della velocità della luce, ma la sua postura è stanca e antica. La storia è un paese straniero, e i vecchi sono emigranti riluttanti, sfiancati dal viaggio costante. «Tua madre si è imbarcata in un lavoro enorme, ma va fatto. Tu eri d'accordo che andava fatto, anni fa, con l'archivio. Adesso lei cerca di farlo partire. È di questo che si occupa la campagna, mettere davanti agli elettori la scelta di come mettere in movimento un'intera civiltà. Così ti chiedo, perché la ostacoli?».
Sirhan si strofina la mascella; ha voglia di sputare. «Perché?» dice brusco.
«Sì. Perché?» Annette cede ed evoca una sedia dalla nebbia turbinante sotto il soffitto. Si accovaccia, guardandolo fisso. «È una domanda».
«Non ho niente contro le sue macchinazioni politiche», dice Sirhan, teso. «Ma la sua interferenza non richiesta nella mia vita personale...».
«Quale interferenza?».
La fissa. «È una domanda?». Resta in silenzio per un attimo, poi: «Tirarmi dietro quella scostumata ieri notte...».
Annette lo guarda fisso. «Chi? Di che cosa parli?».
«Quella... quella donnaccia!» Sirhan si riduce a balbettare. «False pretese! Se è una delle idee di papà per accoppiarmi, è talmente sbagliata che...».
Annette scuote la testa. «Sei matto? Tua madre voleva semplicemente farti incontrare la squadra della sua campagna, che partecipassi a progettare la politica. Tuo padre non è su questo pianeta! Ma tu hai fatto una scenata. Hai veramente sconvolto Rita, lo sapevi? Rita, lei è la migliore operativa di mantenimento dell'opinione e di costruzione narrativa che io abbia! Eppure l'hai ridotta in lacrime. Che cos'hai che non va?».
«Io...» Sirhan deglutisce. «Lei che cos'è?» chiede ancora, con la bocca secca. «Io pensavo...». La sua voce si affievolisce. Non vuole dire cosa pensava. Quella sfacciata, quella sgualdrina dalla faccia di bronzo, fa parte della squadra della campagna di sua madre? Non un complotto per attirarlo nella corruzione? E se è stato tutto un orrendo fraintendimento?».
«Credo che tu debba chiedere scusa a qualcuno», dice Annette freddamente, alzandosi. A Sirhan gira la testa, fra una dozzina di attori e fantasmi, un diario della festa in replay davanti al suo agghiacciato sguardo interiore. Annette lo trafigge con un'occhiata di disgusto. «Quando riuscirai a comportarti con una donna in quanto persona, e non come una minaccia, allora potremo riparlare. Ci vediamo». Si alza ed esce dalla stanza, lasciandolo a contemplare il moncherino spezzato della sua rabbia, talmente scosso da riuscire appena a concentrarsi sul progetto, pensando: Sono davvero io? È così che le sono sembrato? mentre il grafico cladistico ruota lentamente davanti a lui, spogli rami distesi completamente, in attesa di caricarsi con i nodi della rete interstellare aliena, non appena potrà convincere Aineko a pagargli il prezzo di una visita in profondità della tenebra.

Manfred era stato uno stormo di piccioni, letteralmente, con l'esocorteccia dispersa in una miriade di cervelli di uccello che mangiucchiano fatti dai colori luminosi e cacano conclusioni semidigerite. Essere nuovamente umano gli dà una strana sensazione, anche senza le distrazioni aggiuntive dell'impulso sessuale, che ha disattivato finché non si sarà riabituato a essere unitario. Non solo prova un lancinante dolore al collo quando cerca di guardarsi sopra la spalla sinistra con l'occhio destro, ma ha perso l'abitudine di generare agenti esocorticali che vadano a interrogare un database, un robot frattale o qualcosa del genere, per poi riferire a lui. Invece, continua a cercar di volare in tutte le direzioni allo stesso tempo, il che solitamente termina con una caduta.
Al momento, però, questo non è un problema. È comodamente seduto davanti a una tavola di legno stagionato in una birreria all'aperto dietro una sala sollevata da un posto vicino Francoforte, un bicchiere da litro pieno di un liquido color paglia vicino al gomito e il rassicurante sussurro multiplo dei flussi di conoscenza che gli solletica la nuca. Possono aver vissuto vite separate per quasi un terzo di secolo, dato che lei ha declinato di uploadarsi con lui, ma è ancora profondamente in sintonia con lei.
«Dovrai far qualcosa per quel ragazzo», dice lei, comprensiva. «È abbastanza vicino da sconvolgere Amber. E senza Amber, ci sarebbe un problema».
«Dovrò fare qualcosa anche per Amber», replica Manfred. «Quale era l'idea, non avvisarla che ero in arrivo?».
«Doveva essere una sorpresa». Annette non ha mai avuto un muso tale di recente. Gli riporta alla mente ricordi affettuosi; fa per prenderle la mano attraverso il tavolo.
«Sai che non posso seguire le sottigliezze umane quando sono uno stormo di uccelli». Le accarezza il dorso del polso. Lei si ritrae poco dopo, ma con lentezza. «Mi aspettavo che fossi tu a gestire quella roba».
«Quella roba». Annette scuote la testa. «È tua figlia, lo sai? Non ti era rimasta nessuna curiosità?».
«Come uccello?» Manfred piega la testa così bruscamente da farsi male al collo, e trasale. «No. Adesso sì, ma penso di averla fatta incazzare...».
«E questo ci riporta al punto di partenza».
«Le manderei delle scuse, ma lei penserebbe che stavo cercando di manipolarla», Manfred beve un sorso di birra, «e avrebbe ragione». Sembra un po' depresso. «In questo decennio tutti i miei rapporti sono incasinati. E mi sento solo».
«E allora? Non starci a pensare troppo». Annette ritrae la mano. «Alla fine qualcosa si risolverà. E nel breve termine, c'è il lavoro. Il problema elettorale diventa acuto». Quando è vicino a lui, i resti del suo accento francese, una volta forte, quasi svaniscono in una lentezza transatlantica, si rende dolorosamente conto. È stato non umano per troppo tempo e le persone che contavano molto per lui sono cambiate mentre era via.
«Ci penserò quanto voglio», dice. «Non ho neppure avuto una vera possibilità di dire addio a Pam, vero? Non dopo quella volta a Parigi quando i gangster...». Scrolla le spalle. «Da vecchio, divento nostalgico». Sbuffa.
«Non sei l'unico», dice Annette con tatto. «Qui le occasioni sociali sono un campo minato. Troppe questioni da trattare in punta di piedi. La gente ha troppa, troppa storia. E nessuno sa tutto quel che succede».
«Questo è il problema di questo dannato sistema sociale». Manfred beve un'altra sorsata di hefeweisen. «Abbiamo già sei milioni di persone che vivono su questo pianeta, e cresce come la Internet di prima generazione. Tutti conoscono tutti, ma ci sono talmente tanti arrivi a diluire la mistura senza sapere che qui esiste una piccola rete mondiale, che tutto torna a disposizione dopo un paio di megasecondi. Si formano nuove reti, e non ci accorgiamo neppure che esistono finché non fanno sorgere un'agenda politica che emerge fra di noi. Agiamo sotto la pressione del tempo. Se non mettiamo adesso le cose in movimento, non riusciremo mai a...». Scuote la testa. «Non era così per te a Bruxelles, vero?».
«No. Bruxelles era un sistema maturo. E dovevo pensare a Gianni, che si era rimbambito, dopo che sei partito. D'ora in poi le cose peggioreranno e basta, credo».
«Democrazia 2.0». Rabbrividisce per un attimo. «Non sono certo della validità dei progetti elettorali, di questi tempi. Il presupposto che tutte le persone hanno importanza uguale sembra spaventosamente obsolescente. Credi che riusciremo a farcela?».
«Non vedo perché no. Se Amber è disposta a fare la Principessa del Popolo per noi...». Annette prende una fetta di liverwurst e la mastica, assorta.
«Non sono certo che sia praticabile, comunque ce la giochiamo». Manfred sembra pensieroso. «Tutta l'idea della partecipazione democratica mi sembra discutibile, in queste circostanze. Siamo sotto una minaccia diretta, che riguarda tutto ciò che è a lungo termine, e tutta questa cultura rischia di trasformarsi in un classico stato-nazione. O peggio, in diverse nazioni stratificate l'una sull'altra con una piena collocazione geografica ma senza interpenetrazione sociale. Non sono certo che sia una buona idea cercare di spingere le cose in quella direzione, dei pezzi potrebbero staccarsi. Ti arriverebbero i peggiori effetti collaterali. Per quanto, d'altra parte, se riusciamo a mobilitare un sostegno abbastanza ampio da diventare la prima società planetaria visibile...».
«Ci serve che tu resti concentrato», Annette aggiunge d'improvviso.
«Concentrato? Io?». Fa una breve risata. «Una volta avevo un'idea al secondo. Adesso è forse una all'anno. Sono solo un melancolico vecchio cervello di gallina, io».
«Sì, ma conosci il vecchio detto. La volpe ha molte idee, il riccio ne ha solo una, ma è grande».
«Allora dimmi, qual è la mia grande idea?». Manfred si sporge in avanti, col gomito sul tavolo, un occhio concentrato sullo spazio interno, mentre un bruciante filamento della coscienza gli abbaia parametri esecutivi psefologici, analizzando la posta in gioco. «Dove pensi che stia andando?».
«Penso...» Annette si interrompe d'improvviso, lo sguardo fisso oltre la sua spalla. Una caduta della privacy, e per un agghiacciante momento Manfred si guarda intorno orripilato, e vede altri trenta o quaranta ospiti nel giardino affollato, gomito a gomito, che alzano la voce per superare il chiacchierio in sottofondo. «Gianni!». È radiosa mentre si alza. «Che sorpresa? Quando sei arrivato?».
Manfred sbatte gli occhi. Un giovane magro, che si muove con la grazia, ma senza la goffaggine e la scontrosa scompostezza, di un adolescente (è molto più vecchio di quanto sembri, questione di attrazione genetica per i giovani). Gianni? Sente un'enorme ondata di ricordi scorrergli nell'esocorteccia. Ricorda di aver suonato un campanello in una Roma calda e polverosa: un accappatoio bianco, l'economia della scarsità, un autografo firmato dalla mano morta di Von Neumann. «Gianni?» chiede, incredulo. «È passato tanto tempo!».
Il giovane dorato, incarnato a immagine di un toy-boy metropolitano degli anni 2000, fa un largo ghigno e abbraccia Manfred in una stretta amichevole. Poi scivola sulla panca accanto ad Annette, che bacia con disinvolta familiarità. «Ah, di nuovo fra amici! È passato troppo tempo!». Si guarda intorno con curiosità. «Hmm, è proprio bavarese». Schiocca le dita. «Il mio sarà un... cosa raccomandate? È passato troppo tempo dalla mia ultima birra». Il suo ghigno si allarga. «Non in questo corpo».
«Sei resimulato?» chiede Manfred, incapace di trattenersi.
Annette si acciglia in tono di disapprovazione. «No, sciocco! È venuto dalla porta di teletrasporto...».
«Oh». Manfred scuote la testa. «Mi dispiace...».
«Tutto a posto». Chiaramente a Gianni Vittoria non dà fastidio essere scambiato per un novellino storico, piuttosto che per una persona che ha viaggiato per i decenni nel modo difficile. Deve aver passato i cent'anni, nota Manfred, senza disturbarsi a generare un filamento di ricerca per scoprirlo.
«Era tempo di muoversi e, be', il vecchio corpo non voleva muoversi con me, così perché non andarsene con grazia e accettare l'inevitabile?».
«Non ti ho preso per un dualista», dice Manfred, cupo.
«Ah, non lo sono, ma non sono nemmeno uno sventato». Manfred smette di ghignare per un attimo. L'ex ministro degli affari transumani, teorico dell'economia e poi, in pensione, anziano della tribù dei liberali precognitivi, dice sul serio. «Non mi sono mai uploadato finora, non ho cambiato corpo né mi sono teletrasportato. Anche quando quello vecchio era seriamente... tsk! Forse ho aspettato troppo. Ma eccomi qua. Un pianeta è buono come un altro per farsi clonare e scaricare, non credi?».
«Lo hai invitato tu?» Manfred chiede ad Annette.
«Perché no?». Ha negli occhi un bagliore malizioso. «Non ti aspettavi che vivessi come una suora mentre tu eri uno stormo di piccioni? Possiamo aver fatto campagna contro la morte legale dei transustanziati, Manfred, ma ci sono dei limiti».
Manfred li guarda, poi scrolla le spalle, imbarazzato. «Mi sto appena abituando a essere tornato umano», ammette. «Datemi il tempo di recuperare. Almeno a livello emotivo». Rendersi conto che Gianni e Annette hanno una storia non lo sorprende: in fondo, è una delle cose a cui ci si deve adattare se decidi di uscire dalla specie umana. Comprende che almeno in questo caso la soppressione libidica è di aiuto. Non imbarazzerà nessuno suggerendo un ménage. Si concentra su Gianni. «Ho l'impressione di essere qui per uno scopo, e non è il mio», dice lentamente. «Perché non mi dici che cosa hai in mente?».
Gianni scrolla le spalle. «Hai già il quadro generale. Siamo umani, metaumani e umani amplificati. Ma i postumani sono cose che non sono mai state umane, nemmeno all'inizio. La Vile Progenie ha raggiunto l'adolescenza e vuole tutto il posto per sé in modo da dare una festa. Le indicazioni sono chiare, non credi?».
Manfred lo fissa a lungo. «Tutta l'idea di fuggire nello spazio fisico è carica di pericolo», dice lentamente. Prende in mano il boccale di birra e lo fa ruotare piano. «Guarda, adesso sappiamo che la singolarità non diventa un predatore vorace che divora tutta la materia inerte che incontra, scatenando un cambiamento di fase nella struttura dello spazio, almeno se non hanno fatto qualcosa di stupido alla struttura del falso vuoto, al di fuori del nostro attuale cono di luce. Ma se fuggiamo, noi ci saremo ancora. Presto o tardi, avremo lo stesso problema; amplificazione galoppante dell'intelligenza, autoespressione, intelligenze costruite, quello che è. Forse è quello che è successo oltre il vuoto di Bootes (non una civiltà di scala galattica, ma una razza di codardi patologici che sfugge la sua trascendenza esponenziale). Trasportiamo con noi i semi di una singolarità ovunque andiamo, e se cerchiamo di recidere quei semi cessiamo di essere umani, o no? Allora... forse tu puoi dirmi cosa pensi che dovremmo fare. Hmm?».
«È un dilemma». Un maitron si inserisce nel loro campo visivo, schermato per la privacy. Pianta davanti a Gianni un bicchiere di diamante filato, poi versa la birra. Manfred declina un nuovo bicchiere, in attesa che Gianni beva. «Ah, i semplici piaceri della carne! Sono in corrispondenza con tua figlia, Manny. Mi ha prestato il suo riassunto esperienziale del viaggio a Hyundai +4904/-56. L'ho trovato piuttosto allarmante. Nessuno denigra le sue osservazioni, non dopo che quella bolla azionaria autoalimentata, o truffa telematica nigeriana o quello che è, si è liberata nella sfera dell'Economia 2.0, ma le implicazioni... la Vile Progenie divorerà il sistema solare, Manny Poi rallenteranno. Ma dove ci lascia questo, ti chiedo. Cosa resta da fare agli ortoumani come noi?».
Manfred annuisce pensieroso. «Hai sentito la discussione fra gli Accelerazionisti e i cronofrenatori, immagino», gli chiede.
«Certo». Gianni beve una lunga sorsata di birra. «Che cosa pensi tu delle opzioni?».
«Gli Accelerazionisti vogliono uploadare tutti in una flotta di sonde Whisp e andarsene per colonizzare il sistema planetario disabitato di una nana bruna. O forse rubare un cervello matrioska vittima di demenza senile e riportarlo ai biomi planetari con nuclei di computronium di fase adamantina per soddisfare una specie di demente voglia nostalgica pastorale. I Robot Universali di Rousseau. Capisco che Amber ritenga il fatto di andarsene su una sonda Whisp una buona idea, visto che l'ha già fatto. Suona bene: "Per andare là dove nessuna flotta colonizzatrice metaumana in upload è mai giunta prima", non ti sembra?». Manfred annuisce fra sé. «Come ho detto, non funzionerà. Entro un paio di gigasecondi dall'arrivo, si tornerebbe alla iterazione n. 1 del modello a cascata di formazione della singolarità. È per questo che sono tornato: per avvisarla».
«Allora?» li punzecchia Gianni, facendo finta di ignorare il cipiglio che Annette gli rivolge.
«E quanto ai cronofrenatori», Manfred annuisce di nuovo, «sono come Sirhan. Profondamente conservatori, profondamente sospettosi. Propongono di restare qui il più possibile, finché la Vile Progenie non raggiungerà Saturno, trasferendosi poi, un pezzo alla volta, nella Fascia di Kuiper. Habitat-colonie su palle di neve a mezzo anno luce da tutto il resto». Rabbrividisce. «Spammati una lattina e fatti una passeggiata di un'ora luce fino alla prima azienda civilizzata, se i vostri compagni di prigionia decideranno di reinventare lo Stalinismo o l'Oggettivismo. No, grazie! So che hanno bofonchiato di teletrasporto quantico e di rubare i giocattoli dai Router, ma ci crederò solo quando lo vedrò».
«Il che ci lascia... cosa?» domanda Annette. «Tutto bene, scartare entrambi i programmi, Accelerazionisti e cronofrenatori, Manny, ma cosa puoi proporre al loro posto?». Ha l'aria angosciata. «Cinquant'anni fa, avresti avuto sei nuove idee prima di colazione! E un'erezione».
Manfred la guarda bramoso ma poco convincente. «Chi dice che non ci riesco ancora?».
Lei lo fulmina. «Piantala!».
«Okay». Manfred scola un quarto di litro di birra, vuotando il bicchiere, e lo sbatte sul tavolo. «A quanto pare, ho un'idea alternativa». Ha l'aria seria. «Ne ho discusso con Aineko per un po' di tempo, e Aineko ha piantato i semi in Sirhan (per funzionare in modo ottimale, ci serve a bordo uno zoccolo duro fatto sia di Accelerazionisti sia di conservatori). È per questo che, con riluttanza, mi adeguerò a tutta quest'assurdità delle elezioni. Allora, quanto vale per voi la mia spiegazione?».

«Allora, chi era la testamorta con cui ti davi da fare oggi?» chiede Amber.
Rita scrolla le spalle. «Un noioso e prolisso autore pulp del primo Novecento, con una fobia per il corpo di proporzioni estropiche (mi aspettavo che cominciasse a sbavare e a rovesciare gli occhi se avessi incrociato le gambe). Il buffo è che stava quasi per scappare dalla paura quando ho menzionato gli impianti. Dobbiamo veramente capire come trattare questi dualisti mente/corpo, non credi?». Osserva Amber con uno sguardo prossimo all'ammirazione; è nuova nella cerchia interna del gruppo studi degli Accelerazionisti, e il suo credito sociale è al culmine. Rita ha molto da imparare da lei, se riuscirà ad avvicinarsi abbastanza. E adesso, seguendola lungo un sentiero attraverso il giardino all'inglese dietro il museo, sembra un dorato momento di opportunità.
Amber sorride. «Sono felice di non trattare con gli immigranti in questi giorni: in gran parte sono tanto stupidi che dopo un po' ti mandano fuori dai gangheri. Personalmente do la colpa all'effetto Flynn, al contrario. Provengono da un retroterra di deprivazione sensoriale. Non è niente che un ciclo di amplificatori della crescita neurale non possa riparare in un anno o due, ma dopo i primi ti salta la testa, sono tutti uguali. Così banali. A meno che tu non abbia la sfortuna di trovare uno dei documentati di un periodo religioso puritano. Non sono una suffragetta, ma bestemmierò se troverò un altro superstizioso prete misogino, e prenderò in considerazione di prescrivergli una chirurgia forzosa di riassegnamento sessuale. Almeno gli inglesi vittoriani sono in gran parte solo libidinosi dalla mente aperta, quando superi le loro riserve sociali. E a loro piacciono le nuove tecnologie».
Rita annuisce. Misogini eccetera... Gli echi patriarcali li accompagnano ancora, sembra, e non solo in forma di ayatollah e arcivescovi medievali resimulati. «Il mio autore sembra il peggiore. Un tizio chiamato Howard, del Rhode Island. Continuava a guardarmi come se avesse paura che mi spuntassero ali di pipistrello, o tentacoli, o qualcosa del genere». Come tuo figlio, non aggiunge Rita. E cosa stava pensando, poi? si chiede. Per essere così incasinati ci vuole impegno... «A cosa stai lavorando, se posso chiederlo?» domanda, cercando di spostare la sua attenzione.
«Oh, sto curando la popolarità, credo. Zia 'Nette vuole che incontri qualche suo vecchio contatto politico, che immagina potrà dare il suo contributo al programma, ma lui è rimasto bloccato con lei e papà tutto il giorno». Fa una smorfia. «Ho avuto un'altra sessione di prova con i mercanti di immagine. Stanno cercando di trasformarmi in un manichino politico da passerella. Poi ci sono ancora i dati demografici sul programma. Ci arrivano un migliaio di nuovi immigranti al giorno, in tutto il pianeta, ma il numero è in rapida accelerazione, e dovremmo arrivare a ottanta all'ora per il momento delle elezioni. Il che sarà un problema enorme, perché se iniziamo la campagna troppo presto, un quarto dell'elettorato non saprà che cosa devono votare».
«Forse è deliberato», suggerisce Rita. «La Vile Progenie cerca di truccare i risultati iscrivendo nuovi elettori». Raccoglie un emoticon sorridente dal canale aperto di Amber, evocando un fremente sorriso in risposta. «Vincerà il partito dei fessi, non ci sono dubbi».
«Uh-huh». Amber schiocca le dita e fa una smorfia di impazienza, mentre aspetta che una nuvola passeggera si solidifichi sopra la sua testa e abbassi un bicchiere di succo di mirtilli verso di lei. «Il principale contenzioso è come fuggire, quanto lontano andare e in quale programma allocare le risorse, non se e quando fuggire, anche perché che cos'altro potremmo fare? Forse avremmo dovuto pensarci di più. Ci stanno manipolando?».
Rita ha per un attimo uno sguardo vuoto. «È una domanda?» chiede. Amber annuisce, e lei scuote la testa. «Allora dovrei dire che non lo so. Le prove non sono definitive, finora. Ma non sono proprio felice. La Progenie non ci dirà cosa vuole, ma non c'è motivo di ritenere che non sappia cosa vogliamo noi. Voglio dire, ce la farebbe a prenderci per il naso, vero?».
Amber scrolla le spalle, poi si ferma ad aprire un cancelletto che conduce a un labirinto di cespugli dall'odore dolciastro. «Davvero non lo so. Possono non interessarsi a noi, o perfino essersi dimenticati che esistiamo. A generare i resimulanti può essere qualche meccanismo autonomo, non parte integrante della superiore coscienza della Progenie, o può essere qualche esausto meme post Tipleriano che ha messo le mani su risorse di elaborazione superiori all'intera rete pre-singolarità, una specie di progetto metammormone mirato ad assicurarsi che chiunque sia mai vissuto viva nel modo giusto, per adeguarsi a qualche strambo requisito quasi-religioso di cui non sappiamo niente. O potrebbe essere un messaggio che semplicemente non abbiamo abbastanza intelligenza per decodificare. Il problema è questo, non lo sappiamo».
Svanisce dietro la curva del labirinto. Rita si affretta a raggiungerla, la vede sul punto di svoltare per un altro sentiero, e balza dietro di lei. «Cos'altro?» ansima.
«Potrebbe proprio essere», svolta a sinistra, «qualunque cosa». Sei passi conducono nell'ombra di una galleria; svolta a destra, cinque metri in avanti, poi sei passi riportano alla superficie. «La domanda è: perché loro non si limitano a dirci cosa vogliono», conclude, svoltando a sinistra.
«Parlare con una tenia». Rita riesce quasi a raggiungere Amber, che trotterella per il labirinto come se lo avesse memorizzato perfettamente. «È il rapporto fra il nascente cervello matrioska e noi, come fra gli umani e i vermi segmentati. Noi faremmo quel che ci dicono?».
«Forse». Amber si ferma di colpo, e Rita si guarda intorno. Sono in una cella aperta vicino al centro del labirinto, un quadrato di cinque metri, cintato su ogni lato. Ci sono tre entrate e un altare di ardesia, alto fino alla vita, macchiato di licheni dagli anni. «Credo che tu conosca la risposta alla domanda».
«Io...». Rita la fissa.
Amber restituisce lo sguardo, con occhi scuri e intensi. «Tu vieni da uno degli orbitali di Ganimede passando per Titano. Hai conosciuto la mia altersorella, mentre ero lontana dal sistema solare e volavo su un diamante grande come una lattina di Coca Cola. È quello che mi hai detto. Hai un gruppo di abilità che si adatta perfettamente al gruppo di ricerca della campagna, e mi hai chiesto di presentarti a Sirhan, poi hai spinto i suoi bottoni come una professionista. Dove vuoi arrivare? Perché dovrei fidarmi di te?».
«Io...» Il viso di Rita si raggrinzisce. «Non ho spinto i suoi bottoni! Ha creduto che cercassi di trascinarlo a letto». Alza gli occhi, in segno di sfida. «Non era così. Volevo imparare cosa ti fa - cosa lo fa - funzionare». Richieste di informazioni enormi, oscure, strutturate le colpiscono l'esocorteccia, provocando degli allarmi. Qualcuno fruga fra i database time-series distribuiti di tutto il sistema esterno, misurandole il passato con un micrometro. Lei fissa Amber, mortificata e infuriata. È la massima negazione della fiducia, il bisogno di accertare la verità delle sue affermazioni negli archivi pubblici. «Che cosa stai facendo?».
«Ho un sospetto». Amber resta immobile, come se fosse pronta a fuggire. Fuggire da me? pensa Rita, sorpresa. «Dicevi, cosa succederebbe se i resimulanti provenissero da una funzione subconscia della Progenie? Curiosamente, è una possibilità che ho discusso con papà. Sai, ha ancora la scintilla quando gli mostri un problema».
«Non capisco!».
«No, credo di no», dice Amber, e Rita sente ampie tensioni nello spazio che la circonda. L'intero ambiente ubicomp, chip minuti come polvere, nanonebbie, sfocate nubi di processori ottici nel terreno, nell'aria e nella pelle, sta diventando chiazzato e stagnante, agitandosi sotto il carico di qualunque cosa Amber - col suo accesso di livello direttivo - stia ordinandogli di fare. Rita non percepisce metà della mente, e ha un claustrofobico senso di panico sentendosi intrappolata dentro la propria testa. Poi si ferma.
«Dimmi!» insiste Rita. «Che cosa stai cercando di dimostrare? È uno sbaglio...». E con sua grande sorpresa, Amber annuisce, con aria stanca e cupa.
«Che cosa credi che abbia fatto?».
«Niente. Sei coerente. Scusa».
«Coerente?» Rita sente salire la sua voce insieme all'indignazione, mentre avverte i brividi di sollievo delle parti che erano state escluse per secondi interi. «Coerente un cavolo! Aggredirmi l'esocorteccia...».
«Zitta!» Amber si strofina il viso e contemporaneamente lancia verso Rita l'estremo di un canale criptato.
«Perché dovrei star zitta?» domanda Rita, senza accettare la stretta di mano.
«Perché sì». Amber si guarda intorno. È spaventata! si rende improvvisamente conto Rita. «Fallo e basta», sibila.
Rita accetta l'estremità, lungo il quale scivola un enorme grumo di dati espositivi indigeriti, strutturati e contrassegnati con punti di entrata e cartelle di metainformazione indicanti...
«Santo cielo! sussurra, rendendosi conto di cosa sia.
«Sì», Amber ghigna, senza umorismo. Continua, sul canale aperto: Sembra che siano anticorpi cognitivi generati dal sistema immunitario semiotico del diavolo. È su questo che Sirhan è concentrato, come evitare di attivarli e di abbattere tutto in un momento. Dimentica le elezioni. Saremo nella merda fino al collo, prima e non poi, e stiamo ancora cercando di capire come sopravvivere. Adesso sei sicura di voler entrare?
«Entrare in cosa?» chiede Rita, scossa.
La scialuppa di salvataggio in cui papà sta cercando di farci entrare, sotto la copertura della spaccatura fra Accelerazionisti e Conservazionisti, prima che il sistema immunitario della Vile Progenie capisca come fare a dividerci in fazioni e farci uccidere a vicenda...

Benvenuta, piccola tenia, nella postluminescenza della supernova dell'intelligenza.
Le tenie hanno un numero di neuroni nell'ordine di un migliaio, che pulsano furiosamente per continuare a contorcere il loro piccolo corpo. Gli esseri umani hanno un numero di neuroni nell'ordine delle centinaia di miliardi. Quel che succede nel sistema solare interno, mentre la Vile Progenie rimescola e riconfigura le nubi di polvere strutturate a rapida velocità di pensiero che una volta erano i pianeti, è lontano dalla portata della coscienza semplicemente umana come i pensieri di Gödel rispetto ai convulsi tropismi di un verme. Moduli di personalità limitati dalla velocità della luce, che assorbono miliardi di volte della capacità di processamento di un cervello umano, si formano e si riformano nel risplendente alone di nanoprocessori che riveste il Sole di una rossastra nube ardente.
Mercurio, Venere, Marte, Cerere e gli asteroidi sono tutti scomparsi. La Luna è un'argentea sfera iridescente, spianata a una levigatezza nell'ordine del micrometro, luminosa con i motivi della diffrazione. Solo la Terra, la culla della civiltà umana, rimane non trasformata, e anche la Terra sarà presto smantellata, perché una ragnatela di ascensori spaziali è già intrecciata intorno all'equatore del pianeta, innalzando in orbita materia inerte, lanciandola in esilio nelle riserve naturali del sistema esterno.
Il fiore dell'intelligenza che rosicchia le lune di Giove con artigli di macchinari molecolari non si arresterà fino a esaurire la materia inerte da convertire in computronium. Quando lo farà, avrà la stessa capacità cerebrale che si otterrebbe ponendo un pianeta di dieci miliardi di primati affetti da shock del futuro in orbita intorno a ogni stella della Via Lattea. Ma per ora è ancora stupido, avendo a malapena convertito un punto percentuale della massa del sistema solare (è una semplice civiltà della Nube di Magellano, infantile, rozza e ancora pericolosamente vicina alle sue radici nella chimica del carbonio).
È difficile per le tenie, che vivono nel caldo strame intestinale, avvolgere i loro cervelli da mille neuroni intorno a ciò di cui discutono le entità, immensamente più complesse, che li ospitano, ma una cosa è certa: i padroni hanno molte cose in ballo, non tutte sotto un controllo conscio. L'agitarsi delle secrezioni gastriche e la continua ventilazione dei polmoni sono incomprensibili per il semplice cervello della tenia, ma servono allo scopo di tenere in vita gli umani e a fornire l'ambiente in cui vivono i vermi. E altre funzioni, più esoteriche, che contribuiscono alla sopravvivenza - l'intricata danza dei linfociti clonati specializzati nel midollo osseo e nei linfonodi, le permutazioni casuali degli anticorpi, continuamente prodotti alla ricerca di corrispondenze per gli allarmi contro la presenza di invasori molecolari inquinanti - procedono tutte al di sotto del livello del controllo conscio.
Difese autonome. Anticorpi. Fiori dell'intelligenza che corrodono i margini del sistema esterno. E gli umani non sono privi di sofisticazione, come ciò che si contorce nello strame, riescono a vedere i presagi. Deve sorprendere che fra coloro che guardano fuori, la vera discussione non sia se fuggire ma quanto lontano e quanto veloce?

C'è una riunione di squadra, la mattina dopo, di buon'ora. Fuori fa ancora buio, e quasi tutti i partecipanti presenti in vivo hanno l'aspetto leggermente malconcio dovuto all'abuso di antagonisti della melatonina. Rita soffoca uno sbadiglio mentre osserva la sala conferenze - le pareti espanse in enormi spazi virtuali per accogliere una trentina di fantasmi esocorticali di soci dormienti che si risveglieranno con i ricordi di un sogno particolarmente vivido e lucido - e vede Amber che parla col suo famoso padre, e un uomo dall'aspetto giovanile che uno dei suoi Parziali riconosce come un politicante dell'UE del secolo scorso. Sembra esserci della tensione fra loro.
Adesso che Amber ha concesso a Rita la sua fiducia condizionata, tutto un nuovo livello di informazioni sulla campagna si è aperto al suo occhio interno (materiali steganograficamente celati in uno strato nascosto dello spazio collettivo di memoria del progetto). Ci sono cose che lei non ha mai sospettato, spaventosi studi demografici dei resimulanti, analisi del tasso di emigrazione dal sistema interno, alberi cladistici che dissezionano diverse rozze forme di manipolazione che sono state scoperte rintanate nel wetware dei profughi. Sono il motivo per cui Amber, Manfred e, con riluttanza, Sirhan combattono con una fazione radicale in un'elezione planetaria, nonostante le loro varie riserve sulla validità dell'intero concetto di democrazia in questa era postumana. Lo scarta sbattendo gli occhi, lievemente stupefatta, biforcando un paio di dozzine di subroutine di personalità per corroderne il bordo. «Ho bisogno di caffè», borbotta al tavolo, che le offre una sedia.
«Tutti on line?» ha chiesto Manfred. «Allora comincerò». Sembra stanco e preoccupato e, nonostante il fisico giovanile, mostra tutto il peso della sua età. «Abbiamo una crisi in arrivo, gente. Un centinaio di kilosecondi fa, il bit rate nel flusso di resimulazione ha fatto un balzo in avanti. Adesso riceviamo all'incirca un vettore di stato resimulato al secondo, oltre all'immigrazione legittima che affrontiamo. Se fa un altro balzo in avanti dello stesso fattore, sommergerà la nostra capacità di controllare gli immigranti alla ricerca di qualche zimbo filosofico in vivo. Dovremmo agire per mantenerli in custodia sicura, o resuscitarli alla cieca, e se ci sono dei jolly nel mazzo, quella è la cosa più rischiosa da fare».
«Perché non li registriamo provvisoriamente nel diamante di memoria?» chiede il bel giovane ex politico alla sua sinistra, con un'aria quasi divertita, come se già sapesse la risposta.
«Politica». Manfred scrolla le spalle.
«Scaverebbe un buco nel contratto sociale», dice Amber, con l'aria di chi ha appena inghiottito un boccone amaro, e Rita sente un lampo di ammirazione per il modo in cui cura la regia della riunione. Amber parla perfino col padre, come se si sentisse a suo agio con lui in circolazione, nonostante sia un visibile ricordo del suo insuccesso. Nessun altro ha ancora detto una parola. «Se non li istanziamo, il logico passo successivo è negare il diritto di voto ai resimulati. E questo a sua volta ci mette nella direzione dell'ineguaglianza istituzionale. Ed è un grosso passo da compiere, pur con tutte le riserve sull'idea di risolvere questioni politiche complesse sulla base del voto popolare, perché tutto il nostro sistema si basa sull'idea che le intelligenze meno competenti, ovvero noi, meritino di essere prese in considerazione.
«Hrmph». Qualcuno si schiarisce la gola. Rita si guarda intorno e si blocca, perché è l'incasinato alterfiglio di Amber, e si è appena materializzato sulla sedia accanto a lei. Così ha adottato il Superplonk dopo tutto? osserva lei cinicamente. Lui evita ostinatamente di guardarla. «Quella è stata la mia analisi», dice con riluttanza. «Ci servono vivi. Almeno per l'opzione dell'arca, altrimenti perfino la piattaforma degli Accelerazionisti li vorrà a disposizione più avanti».
Campi di concentramento, pensa Rita, cercando di ignorare la presenza di Sirhan vicino a lei, perché è un'irritazione costante, dove gran parte dei detenuti sono esseri umani, confusi e spaventati, e chi non lo è pensa di esserlo. È un pensiero sinistro, e genera un paio di spettri pieni per portare il sogno fino in fondo, inscenandolo da ogni angolo possibile.
«Come vanno i negoziati sui progetti della scialuppa di salvataggio?» chiede Amber al padre. «Ci serve far uscire un portfolio di schemi di progetto prima di imbarcarci nelle elezioni...».
«Cambiamento di piani». Manfred si piega in avanti. «Questo non deve andare oltre, ma Sirhan e Aineko sono arrivati a qualcosa di interessante». Ha un'aria preoccupata.
Sirhan fìssa la sua altermadre con occhi socchiusi, e Rita deve resistere all'impulso di dargli una selvaggia gomitata nelle costole. Adesso sa abbastanza di lui da rendersi conto che non otterrebbe la sua attenzione - almeno, non come vorrebbe lei, non per i motivi giusti - e in ogni caso, è più chiuso in sé di quanto il fantasma abbia mai ritenuto probabile. (Sfugge alla sua comprensione come faccia chiunque a prender parte a uno scambio di vite simulate così dettagliato e allo stesso tempo respingere la possibilità di farlo nella vita reale, a meno che non sia un artefatto della sua gioventù, quando i suoi genitori lo spinsero attraverso una dozzina di infanzie simulate alla ricerca del sapere, ritrovandosi con un'ostrica testarda come figlio). «Dobbiamo comunque dare l'impressione di voler usare una scialuppa di salvataggio», dice a voce alta. «C'è la piccola questione del prezzo che chiedono in cambio dell'alternativa».
«Cosa? Di che cosa parli?» Amber sembra confusa. «Pensavo che stessi lavorando su una specie di mappa cladistica. Che cos'è questo prezzo?».
Sirhan sorride freddamente. «Sto lavorando su una mappa cladistica, per così dire. Hai sprecato molte delle tue opportunità nel viaggio fino al Router, lo sai. Ho parlato con Aineko...».
«Tu...» Amber avvampa. «Di cosa?». È visibilmente infuriata, nota Rita. Sirhan sta provocando la sua altermadre. Perché?
«Della topologia di alcuni tipi piuttosto interessanti di rete piccolo-mondo». Sirhan appoggia le spalle alla sedia, osservando la nube al di sopra della sua testa. «E del Router. Lo hai attraversato, poi sei tornata alla massima velocità con la coda fra le gambe, non è vero? Senza neppure controllare il tuo passeggero per vedere che non fosse un parassita ostile».
«Non devo subire questo», dice rigida Amber. «Tu non c'eri, e non hai idea sotto quali vincoli operavamo».
«Davvero?» Sirhan alza il sopracciglio. «Comunque, hai mancato un'opportunità. Sappiamo che i Router - per qualunque motivo - sono autoreplicanti. Si diffondono di nana bruna in nana bruna, sfruttano la protostella per energia e materiali, e inviano un mucchio di figli. Macchine di Von Neumann, in altre parole. Sappiamo anche che forniscono comunicazioni ad alta banda agli altri Router. Quando hai attraversato quello di Hyundai +4904/-56, sei finita in una Zona Demilitarizzata non sorvegliata, attaccata da un cervello matrioska alieno che per qualche motivo era degenerato. Ne segue che qualcuno aveva raccolto un Router e l'aveva portato a destinazione, per collegarlo nel cervello matrioska. Allora perché tu non ne hai portato uno a casa?».
Amber lo fulmina. «Il carico utile totale a bordo della Field Circus era intorno ai dieci grammi. Quanto credi sia grande un seme di Router?».
«Così, invece, hai portato a casa la Lumaca, occupando forse metà della tua capacità di stivaggio, pronta a causare ondate di distruzione a...».
«Bambini!». Si voltano entrambi. È Annette, comprende Rita, e non ha un'aria divertita. «Perché non rimandate a dopo questo battibecco?» chiede. «Abbiamo i nostri obiettivi da raggiungere». Dire che non sia divertita è un eufemismo. Annette è fuori di sé.
«Questa affascinante riunione di famiglia è stata una tua idea, ritengo». Manfred le sorride, poi annuisce freddamente verso il politicante europeo ricostruito, seduto accanto a lui.
«Per favore». È Amber. «Papà, puoi rimandarlo a dopo?». Rita drizza la schiena. Per un attimo, Amber ha un aspetto antico, molto più vecchio dei gigasecondi soggettivi della sua età. «Ha ragione. Non intendeva incazzarsi. Lasciamo la storia di famiglia al momento in cui potremo analizzarla in privato. Okay?».
Manfred sembra confuso. Sbatte rapidamente gli occhi. «Va bene». Fa un respiro. «Amber, ho portato in ballo delle vecchie conoscenze. Se vinceremo le elezioni, allora per andarcene via da qui alla massima velocità dovremo usare una combinazione delle due principali idee che abbiamo discusso: registrare il massimo numero possibile di persone in una memoria ad alta densità fino ad arrivare a un posto con sufficiente spazio, massa ed energia per reincarnarli e mettere le mani su un Router. L'intera società planetaria non può permettersi di pagare il conto di un'astronave relativistica abbastanza grande da contenere tutti, anche sotto forma di Upload, e una nave subrelativistica sarebbe troppo dannatamente vulnerabile alla Vile Progenie. E ne consegue che, invece di andare a casaccio fino a destinazione, dovremmo imparare qualcosa sui protocolli di rete usati dai Router, immaginare qualche tipo di valuta trasferibile che possiamo usare per pagare la nostra reistanziazione all'altro estremo, e anche come fare una qualche mappa, per sapere dove stiamo andando. Le parti difficili sono mettere le mani o raggiungere un Router, e pagare - questo significherà viaggiare con qualcuno che comprende l'Economia 2.0 ma non vuole rimanere dalle parti della Vile Progenie. Si dà il caso che queste mie conoscenze sono andate a riportare un seme di Router, per degli scopi loro. È fermo a circa trenta ore luce da qui, nella Fascia di Kuiper. In questo momento stanno cercando di farlo dischiudere. E penso che Aineko potrebbe essere disposto a venire con noi e gestire i negoziati commerciali». Alza il palmo della mano destra e lancia un fascio di identificativi nella cache spaziale condivisa dei ricordi della cerchia interna.
Aragoste. Decenni fa, nell'indistinta terra desolata dei depressi anni Dieci, le Aragoste uploadate erano fuggite. Manfred aveva mediato un accordo a loro beneficio per ottenere una colonia-vivaio cometaria. Anni dopo, la spedizione di Amber verso il Router si era imbattuta in sinistre Aragoste zombi, immagini upload che erano state controllate e rianimate dai Wunch. Ma dove erano andate le Aragoste reali...
Per un attimo, Rita si vede galleggiare nell'oscurità e nel vuoto, il lontano canto di sirena di un pozzo gravitazionale planetario molto sotto di lei. Sul lato... sinistro?... nord?... brilla una pallida e sfocata nube rossa, grande come la luna piena vista dalla Terra, una nube che ronza con un costante rumore di fondo, il calore in eccesso di una civiltà che sogna furiosi pensieri incolori. Poi comprende come far ruotare alla cieca il suo imperturbabile punto di vista, e vede lo scafo.
È un'astronave dalla forma di crostaceo, lunga tre chilometri. È segmentata e appiattita, con gambe che si proiettano dal piano addominale per estendersi rigidamente di lato e trattenere grassi palloni di combustibile criogenico al deuterio. L'azzurra coda metallica è un ventaglio appiattito, avvolto intorno al delicato propulsore di un reattore a fusione. Vicino alla testa, le cose sono diverse: non ci sono enormi chele, ma una peluria di robot frattali dalle delicate diramazioni, nanoassemblatori pronti a riparare i danni in volo e a tessere il paracadute di un collettore magnetico quando la nave sarà pronta a decelerare. La testa è massicciamente blindata contro le fulminee aggressioni della polvere interstellare, gli occhi a radar un riflesso di superfici esagonali composte, che la fissano direttamente.
Dietro e sotto la nave-Aragosta incombe un anello planetario, immenso e tenue. L'aragosta è in orbita intorno a Saturno, a pochi secondi luce di distanza. E mentre Rita la fìssa in un silenzio esterrefatto, la nave le fa l'occhiolino.
«Non hanno un nome, almeno non un identificatore individuale», dice Manfred con tono di scusa, «così ho chiesto se non gli dispiacerebbe essere chiamato con qualche nome. Ha detto Blu, perché lo è. Così vi presento la buona nave Something Blue».
Sirhan lo interrompe. «Ti serve ancora il mio progetto cladistico», la sua voce ha un tono compiaciuto, «per trovare la strada attraverso la rete. Hai una destinazione specifica in mente?».
«Sì a entrambe le domande», ammette Manfred. «Dobbiamo inviare fantasmi duplicati a ogni possibile punto di uscita del Router, aspettare un'eco, poi reiterare e ripetere. Attraversamento ricorsivo in profondità. La meta... questa è dura». Indica il soffitto, che si dissolve in una caotica ragnatela 3D che Rita riconosce, dopo ore di tempo soggettivo di immersione nell'archivio, come una mappa di distribuzione della materia oscura per un raggio di un miliardo di anni luce, galassie incollate come la lanugine dei nodi che uniscono trecce di seta essiccata. «Abbiamo saputo per quasi un secolo che lassù sta succedendo qualcosa di stravagante, oltre il Vuoto di Bootes. Ci sono un paio di superammassi galattici, intorno ai quali l'anisotropia cosmica di fondo ha qualcosa di stravagante. Gran parte dei processi computazionali genera entropia come prodotto collaterale, e sembra che qualcuno stia scaricando calore in eccesso in quell'area, da tutte le galassie della regione, diffuso in modo molto regolare in una maniera che rispecchia la distribuzione dei metalli in quelle galassie, tranne nel nucleo. E secondo le Aragoste, che si sono dedicate a un'interferometria di base molto lunga, gran parte delle stelle nel grappolo più vicino è più rossa del previsto, e impoverita di metalli. Come se qualcuno svolgesse attività minerarie».
«Ah». Sirhan fìssa il nonno. «Perché dovrebbero essere diverse dai nodi locali?».
«Guardati intorno. Vedi indicazioni di ingegneria cosmica su larga scala a meno di un milione di anni luce da qui?». Manfred scrolla le spalle. «Localmente, nulla ha raggiunto... Adesso possiamo ipotizzare il ciclo vitale di una civiltà successiva al picco, non è vero? Abbiamo sentito l'elefante. Abbiamo visto il disastro del collasso delle menti matrioska. Sappiamo quanto sia priva di attrattive l'esplorazione per le intelligenze postsingolarità. Abbiamo visto l'abisso di larghezza di banda che le tiene a casa». Indica il soffitto. «Ma là fuori è successo qualcosa di diverso. Stanno operando cambiamenti su scala di un intero supergrappolo galattico, e sembrano essere coordinati. Sono usciti e hanno viaggiato, e i loro discendenti potrebbero esserci ancora. Sembra che stiano facendo qualcosa di deliberato e coordinato, qualcosa di immenso, forse un attacco di canale temporizzato contro la macchina virtuale che mantiene l'universo, o la simulazione incorporata di un universo. In alto o in basso, è tutta un'illusione oppure lassù c'è qualcosa che è più reale di noi? E non credi che valga la pena di scoprire cosa sia?».
«No». Sirhan incrocia le braccia. «Non particolarmente. Mi interessa salvare la gente dalla Vile Progenie, senza fare scommesse enormi con misteriosi alieni trascendenti che possono aver costruito una macchina per manipolare la realtà, grande come una galassia, un miliardo di anni fa. Vi venderò i miei servizi, e manderò anche un fantasma insieme a voi, ma se vi aspettate che ci impegni tutto il mio futuro...».
È troppo per Rita. Distogliendo l'attenzione dal vertiginoso panorama dello spazio interno, dà una gomitata nelle costole a Sirhan. Lui si guarda intorno un momento, prima in modo assente, poi con rabbia contenuta mentre si fa sfuggire il filtro del kill-file. «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere», sibila lei. Poi, soccombendo a un impulso secondario di cui sa che si pentirà in seguito, fa cadere un canale privato nell'entrata di Sirhan.
«Nessuno ti chiede di farlo», dice Manfred, sulla difensiva e a braccia incrociate. «Lo considero come una specie di Progetto Manhattan, seguire tutte le agende in paralllelo. Se vinceremo le elezioni, avremo tutte le risorse necessarie per farlo. Dovremmo attraversare tutti il Router, e lasceremo tutti dei backup a bordo di Something Blue. Blu è lento, al massimo un decimo della velocità della luce, ma quel che può fare è portare di corsa una sufficiente quantità di diamante di memoria fuori dallo spazio circumsolare prima che le difese autonome della Vile Progenie attivino qualunque trucco stiano progettando nei prossimi megasecondi...».
«Che cosa vuoi?» Sirhan domanda infuriato attraverso il canale. Continua a non guardarla, e non soltanto perché è concentrato sulla visione in blu che domina lo spazio condiviso della riunione di squadra.
Smettila di mentire a te stesso, replica Rita. Stai mentendo sui tuoi scopi e sulle tue motivazioni. Tu puoi non voler sapere la verità elaborata dal tuo spettro, ma io sì. E non ti lascerò negare che sia successo.
Così uno dei tuoi agenti ha sedotto una mia immagine di personalità...
Cazzate...
«Intendi dichiarare apertamente questa piattaforma?» chiede il giovane-vecchio vicino alla piattafonna, l'europolitico. «Perché se è così, delegittimerai la campagna di Amber...».
«Tutto a posto», dice Amber, stanca. «Sono abituata all'inimitabile sostegno di papà».
«Io okay», dice una nuova voce. «Io siamo felice stato pascolo-attesa in eclittica». È l'amichevole Aragosta-scialuppa di salvataggio, frastornata dalla sua traiettoria esterna al sistema dell'anello.
... Sei felice di nasconderti dietro un ipocrita senso della purezza morale che ti fa ritenere di poter guardare gli altri dall'alto in basso, ma al di sotto sei uguale a tutti gli altri...
Lei ti ha incitato a corrompermi, vero? Sei solo un'esca nel suo disegno...
«L'idea è stata di memorizzare backup incrementali nella memoria di carico del Panulirano, nel caso che un'entità debolmente divina del sistema interno tenti di attivare gli anticorpi che hanno già disseminato per tutta la festival culture», spiega Annette, intervenendo a nome di Manfred.
Nessun altro nello spazio di discussione sembra notare che Rita e Sirhan si stanno facendo a pezzi su un canale privato, lanciando in ambo le direzioni granate a mano emotive, come divorziati esperti. «Non è una soluzione soddisfacente alla questione dell'evacuazione, ma dovrebbe soddisfare le richieste di base dei conservatori, e come assicurazione...».
... Proprio così, prenditela con la tua altermadre! Ti è venuto in mente che non le importa abbastanza di te da tentare una trovata del genere? Credo che tu abbia passato troppo tempo con quella tua nonna pazza. Non hai neppure integrato quello spettro, vero? Hai troppa paura di corromperti? Scommetto che non hai neppure mai provato a controllare come ci si senta dall'interno...
... L'ho fatto... Sirhan si blocca un attimo, facendo scorrere i moduli di personalità in entrata e in uscita dal suo cervello come uno sciame di api infuriate. Mi sono reso ridicolo, aggiunge con calma, poi si affloscia sulla sedia. È così imbarazzante... Si copre il viso con le mani. Hai ragione.
Ho ragione? La confusione di Rita cede il passo alla comprensione; Sirhan ha finalmente integrato le memorie dei Parziali che hanno ibridizzato in precedenza. Rigido e orgoglioso, la dissonanza cognitiva deve essere enorme. No, non ho ragione. Sei solo eccessivamente difensivo.
Io sono... Imbarazzato. Perché Rita lo conosce, a fondo. Ha le memorie-fantasma di sei mesi nel sim-spazio con lui, giocando con le idee, scambiando intimità e poi confidenze. Lei ha le memorie-fantasma del suo abbraccio, un nebuloso affare che sarebbe potuto succedere nello spazio reale, se la sua istantanea reazione, rendendosi conto che poteva succedere, non fosse stata di cestinare in frigorifero la scheggia di mente che era contaminata da pensieri impuri, e negare tutto.
«Non abbiamo ancora un profilo di minaccia», dice Annette, interrompendo la conversazione privata. «Se esiste una minaccia diretta - e non lo sappiamo ancora con certezza - la Vile Progenie potrebbe essere semplicemente abbastanza illuminata da lasciarci soli; probabilmente sarà un attacco sottile mirato direttamente alle fondamenta della nostra identità. Cercate una bolla di credito, parametri di fiducia distribuiti che perdono valore d'improvviso, mentre la gente si fa prendere da una strana religione, qualcosa del genere. Forse un risultato elettorale perverso. E non sarà improvviso. Non sono tanto stupidi da lanciarsi a capofitto in un attacco senza ammorbidirsi la strada con una corruzione lenta».
«Evidentemente ci hai pensato per un po' di tempo», dice Sameena con asciutta enfasi. «Cosa ne ricava il tuo amico, uh, Blu? Hai messo da parte abbastanza credito da coprire il costo di noleggio di un'astronave proveniente dalla metabolla dell'Economia 2.0? O c'è qualcosa che non ci hai detto?».
«Uhm». Manfred sembra un ragazzino colto con le mani nella marmellata. «Be', in effetti...».
«Sì, papà, perché non ci dici quanto costerà tutto questo?» chiede Amber.
«Ah, bene». Sembra imbarazzato. «Sono le Aragoste, non Aineko. Vogliono un pagamento».
Rita allunga la mano e afferra quella di Sirhan: lui non resiste. Tu sai di questo? gli chiede Rita.
Tutto nuovo per me... Un confuso filamento parziale segue la sua risposta lungo il canale, e per un po' Rita si unisce a lui in una fantasticheria introspettiva, cercando di comprendere le implicazioni di sapere quel che sanno sulla possibilità di una relazione reciproca.
«Vogliono una mappa concettuale scritta. Una mappa di tutti gli spazi memetici accessibili lungo la rete dei Router, compilata da esploratori umani che possono usare come base, dicono. È piuttosto semplice. In cambio di un biglietto di partenza, alcuni di noi dovranno andare in esplorazione. Ma non vuol dire che non possiamo lasciarci dietro dei backup».
«Hanno particolari esploratori in mente?» Amber arriccia il naso.
«No», dice Manfred. «Solo una squadra per mappare la rete dei Router e assicurarsi di ricevere un allarme per le minacce provenienti dall'esterno». Si ferma. «Tu vorrai venire, vero?».

La campagna pre-elettorale dura approssimativamente tre minuti e consuma una larghezza di banda maggiore della somma di tutti i canali di comunicazione terrestri dalla preistoria fino al 2008. Approssimativamente sei milioni di spettri di Amber, confezionati individualmente per adattarsi al profilo del target di pubblico, si biforcano attraverso il reticolo a fibra oscura che puntella le colonie ninfea, poi procedono attraverso reticoli a banda ultralarga, istanziati negli impianti e facendo fluttuare granelli di polvere per apostrofare i votanti. Molti non riescono a raggiungere il pubblico, e molti altri portano a discussioni infruttuose; sei decidono di essersi distaccati talmente dall'originale che costituiscono persone separate, registrandosi per la cittadinanza indipendente, due disertano nell'altro campo, e uno fugge con uno sciame di api africane modificate, altamente empatiche.
Le Amber non sono gli unici fantasmi che competono per l'attenzione nello Zeitgeist pubblico. Infatti, sono una minoranza. Gran parte degli agenti elettorali autonomi fa campagna per una varietà di piattaforme che vanno dall'introduzione della tassazione progressiva - nessuno è sicuro del perché, ma sembra una cosa tradizionale - a una mozione che richiede la pavimentazione dell'intero pianeta, cosa che ignora le realtà degli elementi abbondanti nell'atmosfera superiore di un gigante gassoso povero di metalli, senza parlare del disordine meteorologico causato. I Senza Volto fanno campagna per assegnare a tutti una nuova serie di muscoli facciali ogni sei mesi, i Lividi Burloni richiedono l'uguaglianza di diritti per le entità subsenzienti, e una quantità di gruppi di pressione monotematici blaterano delle solite cause perse.
Come faccia a consolidarsi il processo elettorale è un mistero tenebroso - almeno, per coloro che non prendono parte alle operazioni del Comitato Celebrazioni, il gruppo che per primo aveva avuto l'idea di ricoprire Saturno di palloni a idrogeno caldo - ma nel corso di un diurno completo, quasi quarantamila secondi, uno schema inizia a emergere. Questo schema sistematizzerà a lungo la tendenza delle reti comunicative che trafficano in punti di reputazione per tutto il sistema sociale planetario forse per cinquanta milioni di secondi, durando un intero anno marziano (se Marte esistesse ancora). Creerà un Parlamento, la fusione mentale collettiva di un borganismo come una supermente unica, costruita con le opinioni dei vincitori. E non ci sono grandi notizie, come lentamente si rende conto il gruppo radunato nella sfera superiore dell'Atomium (affittato da Amber, su insistenza di Manfred, per il party dei sopravvissuti). Amber non c'è, presumibilmente annegando i suoi dolori o impegnata altrove in disegni post elettorali di diversa natura. Ma sono presenti altri membri della sua squadra.
«Poteva andare peggio», razionalizza Rita, a tarda sera. È seduta sullo scheletro di una sedia, in un angolo del ponte del settimo piano; stringe un bicchiere di single malt sintetico e osserva le ombre. «Potremmo ritrovarci in un'elezione contestata vecchio stile, che farà volare ondate di merda. Almeno in questo modo potremo rimanere decentemente anonimi».
Uno dei punti ciechi si distacca dalla visione periferica e si avvicina. Procede in piena vista, congelandosi improvvisamente in Sirhan. Ha l'aria cupa.
«Qual è il tuo problema?» domanda lei. «La tua ex fazione sta vincendo i calcoli».
«Forse sì». Si siede accanto a lei, evitando attentamente il suo sguardo. «Forse è buona cosa. E forse no».
«Allora quando ti unirai al blob?» chiede.
«Io? Unirmi a cosa?». Ha l'aria allarmata. «Pensi che io voglia diventare parte di un borg parlamentare? Per chi mi hai preso?».
«Oh». Lei scuote la testa. «Presumevo che mi evitassi perché...».
«No». Stende la mano, e un maitron di passaggio deposita un bicchiere. Sirhan fa un respiro profondo. «Ti devo delle scuse».
Era ora, pensa lei, spietata. Ma è fatto così. Rigido e orgoglioso, lento a riconoscere uno sbaglio, ma con poche probabilità di scusarsi se non quando è sincero. «Per cosa?» chiede.
«Per non averti dato il benefìcio del dubbio», dice lui lentamente, facendosi ruotare il bicchiere nel palmo. «Avrei dovuto ascoltare me stesso prima, invece di escluderlo».
Le sembra ovvio di quale io parli. «Non sei un uomo facile da avvicinare», dice con calma. «Forse è parte del tuo problema».
«Parte?». Lui fa una risatina amara. «Mia madre...». Si rimangia qualunque cosa stesse per dire originariamente. «Lo sai che sono più vecchio di lei? Di questa versione, voglio dire. Mi manda in bestia con i suoi pregiudizi su di me...».
«Va in ambo le direzioni». Rita gli prende la mano e lui la stringe, stavolta senza rifiutarla. «Ascolta, sembra che non riusciremo a entrare nel parlamento delle menzogne. C'è una vittoria completa dei conservatori, questa gente è in piena rimozione. Quasi l'ottanta per cento della popolazione è composta di resimulanti o gente della vecchia Terra, e le cose non cambieranno prima che la Vile Progenie ci venga addosso. Cosa faremo?».
Lui scrolla le spalle. «Sospetto che chiunque pensi che siamo veramente minacciati se ne andrà. Tu sai che questo distruggerà la fede nella democrazia degli Accelerazionisti? Hanno ancora un piano fattibile - l'amichevole Aragosta di Manfred opererà senza la necessità del bilancio energetico di un intero pianeta - ma il rifiuto farà male. Non riesco a evitare di pensare che il vero obiettivo della Vile Progenie fosse semplicemente di manovrarci per non distogliere le risorse da loro. È brutale, è rozzo, così abbiamo presupposto che non fosse il punto. Ma forse è il momento di essere brutali».
Lei scrolla le spalle. «La democrazia si adatta male alle scialuppe di salvataggio». Ma è ancora a disagio per l'idea. «E pensa a tutta la gente che ci lasceremo alle spalle».
«Bene». Sorride rigido. «Se riesci a pensare a un modo per incoraggiare le masse a unirsi a noi...».
«Un buon inizio sarebbe smettere di pensare a loro come masse da manipolare». Rita lo guarda fisso. «La tua famiglia sembra aver sviluppato una tendenza elitaria ereditaria, e non è attraente».
Sirhan sembra a disagio. «Se pensi che io sia cattivo, dovresti parlarne con Aineko», dice in tono di autodisapprovazione. «A volte mi chiedo di quel gatto».
«Forse lo farò». Si ferma. «E tu? Cosa farai di te? Ti unirai agli esploratori?».
«Io...». La guarda di traverso. «Mi ci vedo a inviare un alterfratello», dice con calma. «Ma non metterò in gioco tutto il mio futuro tentando di raggiungere l'altro lato dell'universo osservabile per mezzo del Router. Ho avuto abbastanza eccitazione per tutta la vita, ultimamente. Penserò a una copia per l'archivio di backup nei gelidi abissi, una per andare a esplorare e una per sistemarmi e metter su famiglia. E tu?».
«Andrai in tutte e tre le direzioni?» chiede.
«Sì, penso di sì. E tu?».
«Dove vai tu, vado io». Si stringe a lui. «Non è quello che conta in fondo?» mormora.



9. Sopravvissuto

Stavolta passa più di un paio di manciate d'anni prima della successiva visita alla famiglia Macx. Nell'oscurità cosparsa di gas, oltre il vuoto della regione, si agita la vita su base carbonio. Lungo cinquanta chilometri, un cilindro di diamante ruota nel buio, con la superficie intagliata di strani pozzi quantici che emulano atomi esotici non presenti in alcuna scala riconoscibile da Mendeleev. Al suo interno, le pareti contengono kilotonnellate di idrogeno e azoto, megatonnellate di terreno infestato dalla vita. A centomila miliardi di chilometri dal relitto della Terra, il cilindro brilla come una gemma nel buio.
Benvenuti su Nuovo Giappone: uno dei posti dove gli esseri umani si aggirano fra le stelle, ora che il sistema solare è off-limits per i corpi di carne.
Mi chiedo chi ci troveremo.

C'è una piazza aperta in uno dei settori terraformati del cilindro-habitat. Su un lato, appeso a una struttura di legno elegantemente dipinta, pende un enorme gong; la piazza è pavimentata di lastre calcaree, consumate dal tempo e composte di atomi strappati da un pianeta che non ha mai visto il ghiaccio fuso. La circondano case e capanne dalla facciata aperta, dove una varietà di maitron umanoidi provvedono affinché la gente reale di passaggio mangi e beva. Un gruppo di bambini in età prepuberale gioca a nascondino con gli animali dagli occhi grandi che sono i loro compagni, brandendo lance e fucili automatici di fortuna (qui non esiste dolore, perché i corpi sono fungibili, ricostruibili in un minuto dai portali di assemblaggio/disassemblaggio in ogni stanza). Ci sono pochi adulti nelle vicinanze, perché la Piazza Rossa è attualmente fuori moda, e i bambini l'hanno rivendicata come spazio giochi. Sono tutti genuinamente giovani, sintomi di un demiurgo demografico, senza WendyPan di sorta fra loro.
Un bambino mingherlino, dalla pelle color nocciola, una zazzera di capelli neri e tre braccia, insegue con pazienza, all'angolo della piazza, un ihoh blu dall'aria preoccupata. Sta superando un chiosco pieno di involtini sushi, quando lo strano animale emerge dimenandosi da sotto una carriola e inarca la schiena, stiracchiandosi sontuosamente.
Il ragazzo, Manni, si ferma, con le mani tese intorno alla lancia mentre si concentra sul nuovo bersaglio. (L'ihoh blu agita la coda verso di lui e si lancia, in cerca di riparo, attraverso una lastra incrostata di licheni). «Città, cos'è quello?» chiede senza muovere le labbra.
«Cosa stai guardando?» risponde Città, che lo sconcerta un po' ma non quanto dovrebbe.
L'animale finisce di stiracchiare una delle zampe anteriori e allunga l'altra. Secondo Manni somiglia un po' a un gattino, ma ha qualcosa di sottilmente sbagliato. La testa è un po' troppo piccola, e anche gli occhi. E quelle zampe... «Sei furbo», dice all'animale in tono d'accusa, corrugando la fronte per la disapprovazione.
«Sì, come no». La creatura sbadiglia, e Manni gli punta la lancia, stringendo l'asta con entrambe le mani destre. Ha anche denti aguzzi, ma gli ha parlato nell'udito interiore, non nelle orecchie. Il discorso interiore è per le persone, non per i giocattoli.
«Chi sei?» domanda.
L'animale lo guarda con insolenza. «Conosco i tuoi genitori», dice, usando ancora il discorso interiore. «Sei Manni Macx, giusto? Pensavo di sì. Voglio che mi porti da tuo padre».
«No!» Manni balza in piedi e agita le braccia nella sua direzione. «Non mi piaci! Vattene!». Brandisce la lancia verso il naso dell'animale.
«Me ne andrò quando mi porti da tuo padre», dice l'animale. Come un gattino, alza la coda e drizza il pelo, ma poi si ferma. «Se mi porterai da tuo padre, poi ti racconterò una storia, che ne dici?».
«Non mi importa!». Manni ha solo duecento megasecondi - sette anni della vecchia Terra - ma è in grado di capire quando lo si manipola, e diventa truculento.
«Ragazzini». La coda della cosa-gatto si dimena da una parte all'altra. «Okay, diciamo così, mi porti da tuo padre o ti stacco la faccia. Ho gli artigli, lo sai». In un batter d'occhio, gli si avvolge sinuosamente intorno alle caviglie, facendo le fusa per smentire una minaccia poco credibile, ma lui vede che gli artigli affilati ci sono. È una cosa-gattino selvatica, e nulla, nella sua educazione ortoumana artificialmente preservata, lo ha preparato ad affrontare una vera cosa-gattino selvatica che parla.
«Vattene!» Manni è preoccupato. «Mamma!» grida, attivando involontariamente il comando di trasmissione nel suo discorso interiore. «C'è questa cosa...».
«Mamma andrà bene». La cosa-gatto sembra rassegnata. Smette di strofinarsi intorno alle gambe di Manni e alza lo sguardo. «Niente panico. Non ti farò del male».
Manni smette di gridare. «Chi sei?» chiede infine, fissando l'animale. Ad anni luce di distanza, un adulto ha sentito il suo grido; la madre sta arrivando velocemente, rimbalzando da un commutatore all'altro, scivolando sulle dimensioni ripiegate in una corsa a capofitto verso di lui.
«Sono Aineko». L'animale si siede e comincia a lavarsi, coprendosi con una delle zampe posteriori. «E tu sei Manni, giusto?».
«Aineko», dice Manni, incerto. «Conosci Lis e Bill?».
Aineko la cosa-gatto smette di lavarsi e guarda Manni, con la testa inclinata. Manni è troppo giovane, troppo inesperto per sapere che le proporzioni di Aineko sono quelle di un gatto domestico, Felis catus, un animale evolutosi naturalmente e non i giocattoli, i palinsesti e i socievoli a cui è abituato. La realtà può essere di moda per la generazione dei suoi genitori, ma ci sono dei limiti dopo tutto. Strisce e volute arancioni e marroni decorano il pelo di Aineko, e gli spunta una soffice barbetta bianca sotto il mento. «Chi sono Lis e Bill?».
«Loro», dice Manni; Bill, grosso e dal viso imbronciato, giunge furtivamente alle spalle di Aineko e cerca di afferrargli la coda, mentre Lis gli fluttua dietro le spalle con un brusio eccitato, come un UFO da un soldo di cacio. Ma Aineko è troppo veloce per i bambini e, come un missile peloso, sgattaiola intorno ai piedi di Manni. Manni grida e cerca di infilzare la cosa-gattino, ma la lancia si trasforma in vetro blu e si frantuma; piovono schegge di neve brillante, che gli bruciano le mani.
«Allora, questo non era molto amichevole, vero?» dice Aineko, con una nota di minaccia nella voce. «Tua madre non ti ha insegnato a non...».
La porta laterale del banco di sushi si apre, e arriva Rita, furiosa e senza fiato. «Manni! Cosa ti ho detto sul fatto di giocare con...».
Si interrompe, vedendo Aineko. «Tu». Si ritrae, con malcelata paura. A differenza di Manni, lo riconosce come l'avatar di un demiurgo postumano, un corpo incarnato soltanto per fornire un punto di interazione personale su cui sia possibile concentrarsi.
Il gatto le rivolge un sogghigno. «Io», concorda. «Pronta a parlare?».
Lei sembra colpita. «Non abbiamo nulla di cui parlare».
Aineko dimena la coda. «Oh, invece sì». Il gatto si volta e guarda ostentatamente Manni. «Non è vero?».

È passato tanto tempo da quando Aineko è venuto da queste parti, e nel frattempo lo spazio che circonda Hyundai +4904/-56 è cambiato fino a diventare irriconoscibile. Al tempo in cui le grandi astronavi costruite dalle Aragoste fuoriuscirono dalla Nube di Oort del Sole, archiviando i grezzi dati congelati dei sistemi-alone della disabitata nana bruna, e disseminandone di materia programmabile gli escrementi strutturati, esistevano solo atomi casuali e morti (e un Router alieno). Ma era tanto tempo fa e, da allora, il sistema della nana bruna ha subito un'infestazione antropica.
Un'istanza di Homo sapiens non ottimizzata mantiene la coerenza di stato per due o tre gigasecondi, prima di cedere alla necrosi. Ma in soli dieci gigasecondi circa, l'infestazione ha rivoluzionato il sistema morto della nana bruna. Hanno scavato miniere a cielo aperto nei gelidi pianeti per adattare gli ambienti alla loro varietà di vita al carbonio. Hanno spostato lune, costruendo massicce strutture, grosse come asteroidi. Hanno liberato dai Router i punti d'uscita dei tunnel spaziali, e li hanno trasformati in una rozza rete punto-punto, hanno appreso a generare nuovi tunnel, per poi eseguirvi i loro sistemi sociali a commutazione di pacchetto. Adesso il traffico nei tunnel sostiene una rete di commercio umano interstellare, in continua espansione, ma sempre nell'oscurità fra le stelle accese e le bizzarre nane, prive di metalli, dalla sospetta radiazione a bassa entropia. La pura e semplice temerarietà del progetto fa girare la testa. Nonostante le scimmie in lattina siano, puramente e semplicemente, inadatte alla vita nel vuoto interstellare, soprattutto nell'orbita di una nana bruna i cui pianeti fanno sembrare Plutone un paradiso tropicale, hanno preso possesso di tutto il dannato sistema.
Nuovo Giappone è una delle società umane più recenti nel sistema, un fascio di nodi fisicamente collocati negli spazi umaniformati dei cilindri-colonia. Evidentemente, i suoi progettisti conoscevano il vecchio Nippon solo dalle registrazioni fatte prima dello smantellamento della Terra, operando a partire da una combinazione di video nostalgici, film di Miyazaki e cultura anime. Nondimeno, è la casa di numerosi esseri umani, anche se assomigliano ai loro antecedenti storici come Nuovo Giappone rispetto al suo defunto omonimo.
Umanità?
I loro nonni sarebbero riusciti a riconoscerli, in gran parte. Quelli che hanno veramente superato la comprensione dei sopravvissuti del Ventesimo secolo sono rimasti a casa, nelle bollenti nubi di nanocomputer che hanno sostituito i pianeti che prima orbitavano intorno al Sole della Terra, in maestosa armonia copernicana. Per i loro antenati, semplici postumani, i superpensanti cervelli matrioska sono altrettanto incomprensibili di un ICBM per un'ameba. Lo spazio è cosparso dei cadaveri di cervelli matrioska esauriti da tempo, in cui il collasso informativo ha fatto crollare intere civiltà rimaste in orbita ravvicinata intorno alle stelle originarie. Ancora più lontano, intelligenze di dimensioni galattiche palpitano a ritmi incomprensibili contro l'oscurità del vuoto, e cercano di manipolare il substrato di Planck per fargli eseguire i loro ordini. I postumani, e le poche altre specie semitrascendenti che hanno scoperto la rete dei Router, vivono furtivi fra queste isole di luminosità. Sembrano esserci dei vantaggi a non essere troppo intelligenti.
Umanità. Intelligenze monadiche, in gran parte intrappolate all'interno del cranio, che vivono i piccoli gruppi familiari all'interno di reti tribali più grandi, adattabili a stili di vita territoriali o migratori. Queste erano le opzioni che si offrivano prima della grande accelerazione. Ora che la materia inerte pensa, e ogni chilogrammo di wallpaper alloggia potenzialmente centinaia di antenati in upload, ora che ogni porta è potenzialmente un tunnel spaziale che conduce a un habitat a mezzo parsec di distanza, gli umani possono rimanere nello stesso posto mentre il paesaggio migra e muta, superandoli e rifluendo nel lussureggiante vuoto della storia personale. Qui la vita è ricca, infinitamente variata e talvolta frastornante. Allora avviene che i gruppi tribali permangano, in associazioni mediate da esotiche entità, per teraclick e giga-secondi. E a volte le entità svaniscono per un po', ricomparendo poi come un'inattesa beffa nei confronti dell'infinito.

Il culto degli antenati assume un significato tutto nuovo quando i vettori di stato di tutti i precursori delle entità filiali sono archiviati e indicizzati, pronti a essere richiamati. Proprio nell'attimo in cui i sottili capillari del viso di Rita si restringono, reagendo a un impulso di adrenalina, facendola impallidire e facendole dilatare le pupille, mentre si concentra sulla cosa-gatto, Sirhan si inginocchia davanti a un piccolo sacrario, accende un bastone di incenso e si prepara ad apostrofare rispettosamente il fantasma di suo nonno.
Il rituale è, a rigor di termini, inutile. Sirhan può parlare al fantasma del nonno quando e dove vuole, senza alcuna formalità, e il fantasma risponderà con un ritardo interminabile, facendo giochi di parole in lingue morte e chiedendo notizie di persone morte prima che il tempio della storia venisse fondato. Ma Sirhan va matto come un fesso per i rituali, e comunque lo aiutano a elaborare un incontro altrimenti stressante.
Se dipendesse da Sirhan, probabilmente smetterebbe di chiacchierare col nonno ogni dieci megasecondi. La madre di Sirhan e il suo partner non sono disponibili, avendo scelto di unirsi a una delle missioni esplorative a lunga distanza attraverso la rete dei Router, lanciate tempo fa dagli Accelerazionisti; e gli antenati di Rita sono pienamente virtualizzati, oppure morti. Sono una famiglia con una presa tenue sulla storia. Ma hanno passato entrambi molto tempo nello stesso stato di semivita in cui attualmente esiste Manfred, e sa che sua moglie lo rimprovererà se non aggiornerà il riverito antenato su quanto è avvenuto nel mondo reale mentre lui era morto. Nel caso di Manfred, la morte non è reversibile solo potenzialmente, ma quasi inevitabilmente. Dopo tutto, stanno crescendo un suo clone. Presto o tardi, il ragazzo vorrà far visita all'originale, o viceversa.
In quale condizione ci ritroviamo, quando i morti inquieti rifiutano di rimanere parte della storia? si chiede con ironia, mentre gratta la striscia d'autoaccensione del rosso bastone d'incenso e si inchina verso lo specchio, in fondo al sacrario. «Il tuo nipote attende rispettosamente la tua guida», intona formalmente, perché oltre a essere conservatore di natura, Sirhan è acutamente consapevole della relativa povertà della sua famiglia, e del bisogno di aumentare il credito sociale; in questa tradizionalista società per inguaribilmente ortoumani, mediata dalla reincarnazione, il formalismo fa guadagnare punti di credito. Si accovaccia sui talloni, in attesa della risposta.
Manfred impiega molto ad apparire negli abissi dello specchio. Come sempre, assume la forma di un orangutan albino: stava mettendo le mani nell'armadio ontologico della prozia Annette quando questa sua copia fu registrata e posta nel tempio (potevano essere separati, ma restavano vicini). «Ciao, ragazzo. Che anno è?».
Sirhan soffoca un sospiro. «Non parliamo più di anni», spiega, non per la prima volta. Prima o poi, quando si consulta col nonno, la nuova istanza fa questa domanda. «Gli anni sono un arcaismo. Sono passati dieci mega da quando abbiamo parlato l'ultima volta, e centottanta anni da quando siamo emigrati. Anche se la correzione per la relatività generale aggiunge un altro decennio, più o meno».
«Oh. Tutto qua?» Manfred riesce ad apparire deluso. Questa è nuova per Sirhan: di solito, a questo punto, il vettore di stato divergente del fantasma del nonno chiede di Amber, o fa una debole battuta. «Nessun cambiamento nella costante di Hubble o nel tasso di formazione stellare? Abbiamo avuto notizie di qualcuno degli alter-io esplorativi?».
«No». Sirhan si rilassa leggermente. Dunque Manfred chiederà della balorda impresa verso l'estremo del limite di Bekenstein, giusto? Questa è la conversazione in lattina numero ventinove. (Amber e gli altri esploratori partiti per la missione esplorativa veramente lunga, poco dopo la fondazione della prima colonia, non sono attesi prima di altri, oh, circa 1019 secondi. È lungo il viaggio fino al margine dell'universo osservabile, anche quando è possibile percorrere le prime centinaia di milioni di anni luce - fino al superammasso di Bootes e oltre - tramite una rete piccolo-mondo di tunnel spaziali. E stavolta non si è lasciata alle spalle alcuna copia di sé).
Sirhan, in questa incarnazione o in un'altra, ha già avuto colloquio con Manfred molte volte, perché questa è l'essenza dei morti. In ogni sessione di richiamo, non ricordano la precedente, tranne quando e se chiedono di essere resuscitati perché sono soddisfatti i loro criteri di restaurazione. Manfred è morto da molto tempo, abbastanza perché Sirhan e Rita siano stati resuscitati, vivendo una lunga vita familiare, per tre o quattro volte, dopo aver trascorso un centinaio d'anni nella nonesistenza a loro volta. «Non abbiamo ricevuto comunicazioni dalle Aragoste, e neppure da Aineko». Fa un respiro profondo. «Mi chiedi sempre a che punto siamo, così ho una risposta preparata per te...» e uno dei suoi agenti lancia il pacchetto, marcato come un rotolo sigillato con cera rossa e un nastro di seta, attraverso la superficie dello specchio (Dopo la decima ripetizione, Rita e Sirhan hanno concordato di scrivere un foglio d'istruzioni di base, utilizzabile dai fantasmi-Manfred per orientarsi).
Manfred resta un attimo in silenzio - probabilmente per ore nello spazio-fantasma - mentre assimila i mutamenti. Poi: «Ma è vero? Ho dormito per la durata di un'intera civiltà?».
«Non hai dormito, eri morto», dice Sirhan, con pedanteria. Si rende conto di essere un po' severo. «In realtà, anche noi», aggiunge. «Abbiamo navigato i primi tre gigasecondi perché volevamo farci una famiglia dove i bambini potessero crescere nel modo tradizionale. Gli habitat con un ambiente acquatico dal punto triplo a ossidazione intensiva furono costruiti solo dopo l'inizio dell'esilio. Fu allora che si consolidò la voga del neomorfismo», aggiunge con disgusto. Per un bel po' di tempo i neo resistettero all'idea di sprecare risorse costruendo cilindri-colonia rotanti per fornire forza di gravità tollerabile per i vertebrati e un'atmosfera respirabile ricca di ossigeno (era stata una gran bella partita politica). Ma la crescente curva di produzione della ricchezza permise agli ortodossi di reincarnarsi dal sonno-morte dopo qualche decennio, una volta superato il fondamentale grattacapo della costruzione di colonie gelidamente in orbita attorno a nane brune carenti di metalli.
«Uh...» Manfred fa un respiro profondo, poi si gratta l'ascella, arricciando le labbra gommose. «Allora, fammi capire. Noi - tu, loro, quel che è - siete arrivati al Router di Hyundai +4904/-56, ne avete replicato una quantità, e adesso usiamo il meccanismo dei tunnel spaziali su cui si basano i Router come portali punto-punto per il trasporto fisico? E vi siete diffusi attraverso un mucchio di sistemi di nane brune, costruendo una pura società da spazio profondo basata su grossi cilindri-habitat connessi da portali di teletrasporto ricavati dai Router?».
«Tu ti affideresti a uno dei Router originari per la trasmissione commutata di dati?» chiede retoricamente Sirhan. «Anche col codice sorgente? Sono stati corrotti da tutte le civiltà matrioska aliene morte con cui sono entrati in contatto, ma sono ragionevolmente sicuri se vuoi solo usarli, cannibalizzarli e arrivare ai tunnel spaziali, incanalando massa inerte da punto a punto». Cerca una metafora. «Come usare la tua, uh... Internet per emulare un sistema postale dell'Ottocento».
«Okay». Manfred sembra assorto, come sempre a questo punto della conversazione, il che vuol dire che Sirhan dovrà fargli capire che i suoi primi pensieri su come utilizzare i portali sono già stati messi in pratica. Sono inguaribili vecchiumi. Infatti, il motivo principale per cui Manfred è ancora morto è che le cose sono andate così avanti che, prima o poi, quando riemerge per fare una chiacchierata, diventa frustrato e sceglie di non essere reincarnato. Non che Sirhan stia per dirgli che è obsoleto, sarebbe sgarbato, per non dire sottilmente inaccurato. «Questo fa sorgere alcune interessanti possibilità. Mi chiedo, qualcuno ha...».
«Sirhan, ho bisogno di te!».
Il gelo cristallino dell'allarme e della paura di Rita penetra come un bisturi la coscienza di Sirhan, distraendolo dal fantasma dell'antenato. Sbatte gli occhi, trasferendo istantaneamente verso Rita il centro dell'attenzione, senza riservare a Manfred neppure un fantasma.
«Cosa succede...».
Vede attraverso gli occhi di Rita: un gatto, con un riccio arancione e marrone sul fianco, è seduto, facendo le fusa, accanto a Manni, nello stanzone della loro abitazione. Manni gli passa le dita sul pelo, e non sembra sciupato, ma Sirhan sente stringersi i pugni.
«Cosa...».
«Scusami», dice alzandosi. «Devo andare. Il tuo maledetto gatto si è fatto vedere». Aggiunge: «Arrivo subito a casa» a benefìcio di Rita, poi si volta ed esce velocemente dal sagrato del tempio. Quando raggiunge la sala grande si ferma, poi il senso di urgenza di Rita lo raggiunge nuovamente e - bando alla parsimonia - entra in un portale di priorità per arrivare a casa il più presto possibile.
Dietro di lui, il malinconico fantasma di Manfred sbuffa, moderatamente offeso, e medita sulla scelta esistenziale: essere o non essere. Poi prende una decisione.

* * *

Benvenuti nel Ventitreesimo secolo, o nel Ventiquattresimo. O forse nel Ventiduesimo, frastornato e colpito da jet-lag per la falsa animazione sospesa e il viaggio relativistico; oggigiorno, importa poco. Quanto resta di riconoscibile dell'umanità si è disperso attraverso cento anni luce, vivendo in asteroidi resi cavi all'interno e in cilindrici habitat rotanti, in orbita intorno a fredde stelle nane brune, e a pianeti senza sole che vagano nel vuoto interstellare. I meccanismi saccheggiati, alla base dei Router alieni, sono stati cannibalizzati, ridotti a un livello quasi comprensibile da semplici postumani, trasformati in generatori per accoppiare i punti d'uscita dei tunnel spaziali, consentendo il trasporto istantaneo commutato attraverso immense distanze. Altri meccanismi, discendenti delle nanotecnologie avanzate sviluppatesi dalla fioritura della tecnognosi umana nel Ventunesimo secolo, hanno reso banale la replicazione di materia inerte; questa non è una società abituata alla scarsità.
Ma per alcuni aspetti, Nuovo Giappone, l'Impero Invisibile e le altre strutture sociali dello spazio umano sono zone depresse e poverissime. Non hanno un posto nelle economie di ordine superiore dei postumani. Riescono appena a comprendere l'ozioso borbottio della Vile Progenie, il cui bilancio massa/energia (derivato dalla loro completa ristrutturazione in computronium della materia libera del sistema solare originario dell'umanità) è gigantesco rispetto al mezzo centinaio di sistemi di nane brune occupati dagli umani. E, cosa preoccupante, conoscono ancora poco della storia profonda dell'intelligenza in quest'universo, delle origini della rete di Router che intreccia tante civiltà morte in un abbraccio di morte e decadenza, dei lontani scoppi di elaborazione informativa su scala galattica, a distanze misurabili in termini di spostamento verso il rosso, o perfino dei postumani liberi che, in un certo senso, vivono fra loro, collocati nello stesso cono di luce di queste reliquie fossili viventi della vecchia umanità.
Sirhan e Rita si sono stabiliti in questa zona depressa, incantevolmente accogliente per gli umani, per crescere una famiglia, studiare xenoarcheologia ed evitare il trambusto e la turbolenza che hanno caratterizzato la storia familiare di lui, nell'ultimo paio di generazioni. La vita è stata per lo più comoda, e se lo stipendio di un accademico nucleo familiare non è alto, è sufficiente, in questo spazio e tempo, per provvedere a ogni necessario comfort della civiltà. E questo va bene a Sirhan (e a Rita); la turbolenta vita dei loro antenati imprenditori conduceva a dolori, angosce e avventure e, come Sirhan ama osservare, un'avventura è una cosa orribile, avvenuta a qualcun altro.
Solo che...
Aineko è tornato. Aineko, che, dopo aver negoziato la fondazione del primo habitat per profughi in orbita intorno a Hyundai +4904/-56, scomparve nella rete di Router con l'altra istanza di Manfred e le copie parziali di Sirhan e Rita che si erano biforcate, alla ricerca di avventura piuttosto che di intima domesticità. Tanti gigasecondi fa, Sirhan aveva fatto un patto col diavolo con Aineko, e ora ha una paura mortale che Aineko sia giunto a esigere il pagamento.

Manfred cammina per una sala di specchi. Giunto alla fine, emerge in uno spazio pubblico modellato su una spugna di Menger (un cubo tagliato sottrattivamente in volumi cubici sempre più piccoli, finché la sua superficie non tende all'infinito). Trattandosi di spazio fisico, o di una sua ragionevole simulazione, non è una vera spugna di Menger; ma da lontano sembra vera, e scende di almeno quattro livelli.
Si ferma dietro una barriera adamantina alta fino alla vita, e abbassa lo sguardo negli abissi interiori, a forma quasi di tesseratto, del cubo, un verde giardino all'inglese con incantevoli ponticelli che attraversano torrenti, accuratamente disposti secondo i dettami del feng shui. Alza lo sguardo: all'interno della struttura pseudo-frattale, alcune delle cubiche aperture sottrattive sono occupate da finestre appartenenti ad abitazioni, o edifici condivisi, prospicienti lo spazio pubblico. In alto, esseri a farfalla, dalle esotiche ali colorate, volano in cerchio nelle correnti di ventilazione. Da quaggiù è difficile capirlo, ma l'apertura cuboide centrale sembra essere di almeno mezzo chilometro su un lato, e gli esseri potrebbero essere postumani con ali per bassa gravità, angeli.
Angeli o topi nel muro? si chiede, e sospira. Metà delle sue estensioni sono off line, così disperatamente obsolete che i sistemi assemblatori del tempio non si sono curati di replicarle, o almeno di creare ambienti di emulazione per eseguirle. Il resto... be', almeno è ancora fisicamente ortoumano, si rende conto. Pienamente funzionale, pienamente maschio. Non è cambiato tutto, solo le cose importanti. È un pensiero tragicomico, carico di ironia. Eccolo qua, nato come quando è nato - appena ricreato, in effetti, rilasciato dal ciclo veglia-esperienza-rese? del tempio della storia - sulla soglia di una civiltà postumana così offensivamente ricca e potente da costruire habitat per mammiferi che assomigliano a opere d'arte negli abissi criogenici dello spazio. Solo che è povero, tutta questa società è povera, e non potrà mai essere altro, infatti, perché è una discarica per semplici brocchi postumani, l'equivalente singolaritario degli australopitechi. Nello splendido nuovo mondo della Vile Progenie, hanno le stesse possibilità di cavarsela di un proto-ominide che volesse diventare scienziato missilistico al tempo di Wernher von Braun. Sono nati per essere primitivi, sguazzando felici nel fango della loro limitata larghezza di banda cognitiva. Così sono fuggiti nell'oscurità e hanno costruito una civiltà tanto luminosa da mettere in ombra tutte le cose terrestri precedenti alla singolarità... e rimane una baraccopoli abitata da handicappati mentali.
Questa incongruità lo diverte, ma solo per un attimo. Dopo tutto, ha scelto di reincarnarsi per un motivo: il commento sul gatto, lasciato cadere da Sirhan, ha catturato la sua attenzione. «Città, dove posso trovare dei vestiti?» chiede. «Qualcosa di socialmente appropriato. E un po', uh, di cervello. Devo essere in grado di scaricare...».
La mente di Città gli fa una risatina, in fondo alla testa, e Manfred si rende conto che c'è un assemblatore pubblico sull'altro lato del muro ornamentale a cui si è appoggiato. «Oh», mormora, mentre si ritrova a immaginare qualcosa di non dissimile dalla sua vecchia e goffa interfaccia neurale diretta, con icone color caramella, sovrapposizioni e via dicendo. È curiosamente cangiante, e con uno strano senso di distacco si rende conto che non si tratta della sua immaginazione, ma di un'interfaccia infinitamente personalizzabile che lo collega ai pervasivi spazi informativi della società, attualmente eseguiti, a suo beneficio, in modalità stupida. È vero; ha bisogno di addestramento. Ma non ci mette molto a capire come chiedere all'assemblatore di fargli un paio di pantaloni e una semplice maglietta nera, e a scoprire che fintanto che le sue richieste sono semplici, i risultati sono gratuiti proprio come a casa, su Saturno. Le società spaziali sono gentili verso gli indigenti, perché le esigenze vitali di base sono economiche, e rifiutarle sarebbe equivalente all'omicidio. (Se la presenza dei transumani ha sconvolto un mucchio di presupposti del passato, almeno non ha fatto danni più che superficiali alla Regola d'Oro).
Vestito e più o meno conscio - almeno a livello umano - Manfred fa il punto. «Dove vivono Sirhan e Rita?» chiede. Gli si manifesta una rotta punteggiata, serpeggiante in modo improbabile attraverso un muro solido che comprende essere il portale istantaneo di un tunnel spaziale, che connette punti ad anni luce di distanza. Scuote la testa, confuso. Penso sia meglio che vada a trovarli, decide. Non è che ci sia qualcun altro da cercare, vero? I Franklin sono scomparsi nel cervello matrioska solare, Pamela è morta da tempo (ed è un peccato, non si sarebbe mai aspettato di sentirne la mancanza), e Annette si è messa con Gianni quando lui era uno stormo di piccioni. (Tirare una linea sotto di lei, e dire che è tutto finito). Sua figlia è scomparsa nel programma di esplorazioni a lunga distanza. È stato morto per un tempo tale che amici e conoscenti sono sparsi in un cono di secoli luce. Non riesce a pensare a nessun altro in cui potrebbe imbattersi qui, tranne il leale nipote che, con zelo non richiesto, mantiene accesa la candela della devozione filiale. «Forse gli serve aiuto», Manfred pensa a voce alta mentre entra nel portale, razionalizzando. «E d'altra parte, forse lui può aiutare me a capire cosa fare».

Immaginando quali siano i problemi, Sirhan arriva a casa. Li trova, ma non come si aspettava. Casa è una varietà multidimensionale a più livelli, con stanze connesse da porte a T, sparsi in una quantità di habitat: dormitorio a bassa gravità, palestra ad alta gravità, e tutto quel che c'è nel mezzo. È arredata con semplicità, stuoie tatami e pareti di materia programmabile in grado di estrudere con breve preavviso qualunque mobile desiderato. Le pareti sono configurate per apparire e dare la sensazione della carta, ma possono assorbire perfino i capricci di un neonato. Adesso, però, la fonoassorbenza non funziona, e quando arriva la casa è inondata delle grida di una gabbia di scimmie, con una chiazza di pelo fulvo e bianco, e una turbata Rita che cerca di spiegare alla vicina Eloise perché la sua ortofiglia Sam va su e giù come una palla impazzita.
«... il gatto, è lui a metterli in agitazione». Si torce le mani e comincia a voltarsi quando vede Sirhan. «Finalmente!».
«Ho fatto il più in fretta possibile». Fa un cenno rispettoso verso Eloise, poi aggrotta le ciglia. «I bambini...». Qualcosa di piccolo e veloce corre a capofitto addosso a lui, gli afferra le gambe e cerca di dargli una testata nell'inguine. «Uuff!». Si china e solleva Manni. «Ehi, figliolo, non ti ho detto di non...».
«Non è colpa sua», dice velocemente Rita. «È eccitato perché...».
«Proprio non credo...» Eloise comincia ad accalorarsi, guardandosi intorno incerta.
«Mrriaouu?» chiede qualcuno con tono colloquiale, vicino alle caviglie di Sirhan.
«Iik!». Sirhan balza all'indietro, agitando le braccia per mantenere l'equilibrio, sotto il peso di un bambino eccitato. Ci sono disturbi giganteschi nello psicospazio della società - come un buco nero di massa stellare - e sembrano strofinarsi pelosamente sulla sua gamba sinistra. «Cosa ci fai qui tu?» domanda.
«Oh, questo e quello», dice il gatto, strascicando sardonicamente l'accento del suo discorso interiore. «Ho pensato fosse ora di fare una nuova visita. Dov'è il vostro assemblatore domestico? Vi dispiace se lo uso? C'è qualcosina che devo fare per un amico...».
«Cosa?» domanda Rita, subito sospettosa. «Non hai causato già abbastanza problemi?». Sirhan la guarda con aria di approvazione; ovviamente i vecchi avvertimenti di Amber hanno fatto profondamente presa, perché certo lei non tratta il gatto come un fagotto di svago per bambini, come Aineko vorrebbe essere percepito.
«Problemi?». Sardonico, il gatto alza lo sguardo verso di lei, dimenando la coda da una parte all'altra. «Non causerò problemi, te lo prometto. È solo...».
Il campanello della porta si schiarisce la gola, per annunciare un visitatore: «Ren Fuller vorrebbe fare visita, signore e signora».
«Che ci fa qui lei?» chiede Rita, irritata. Sirhan sente il suo disagio, il tenue brancolare dei fantasmi mentre lei cerca una ragione in un mondo irragionevole, simulando eventi, facendo brutti sogni e tornando indietro per adattare le sue reazioni di conseguenza. «Falla accomodare, assolutamente». Ren è una dei loro vicini-affini (gran parte della sua abitazione è a parecchi anni luce di distanza, ma in termini di tempo di transito sono due passi); lei e la sua famiglia allargata stanno crescendo una piccola mandria di ragazzini maleducati che occasionalmente vanno in giro con Manni.
Un piccolo ihoh blu nitrisce lugubremente, e si lancia oltre gli adulti, inseguito da un paio di bambini che brandiscono lance e urlano. Eloise tenta di afferrare il suo e lo manca, proprio mentre la porta della palestra scompare e Lis, l'amichetta di Manni, piomba dentro come un missile guidato, grande un soldo di cacio. «Sam vieni qui subito...» esclama Eloise, dirigendosi verso la porta.
«Senti, cosa vuoi?» domanda Sirhan, abbracciando il figlio e guardando il gatto.
«Oh, non molto», dice Aineko, voltandosi per leccarsi una chiazza di pelo arruffato sul fianco. «Voglio solo giocare con lui».
«Tu vuoi...».
«Papà!» Manni vuole scendere.
Sirhan lo mette a terra con cautela, come se avesse le ossa di vetro. «Corri a giocare», gli suggerisce. Girandosi verso Rita: «Perché non vai a scoprire cosa vuole Ren, cara?» chiede. «Probabilmente è venuta a prendere Lis, ma non si sa mai».
«Me ne stavo giusto andando», aggiunge Eloise, «non appena riesco a prendere Sam». Con aria di scusa, guarda Rita, dietro le sue spalle, poi si tuffa dentro la palestra.
Sirhan fa un passo verso l'atrio. «Parliamo», dice rigido. «Nel mio studio». Lancia un'occhiataccia al gatto. «Voglio una spiegazione. Voglio sapere la verità».

* * *

Nel frattempo, in un paese delle meraviglie cognitivo di cui i suoi genitori sono al corrente, ma che sottovalutano profondamente, parti di Manni sono impegnate in attività molto meno innocenti di quanto immaginino.
Nel Ventunesimo secolo, Sirhan aveva vissuto un mucchio di infanzie alternative simulate, con le dita dei genitori premute fermamente sul pulsante dell'avanti veloce finché non ebbero trovato qualcuno che sembrava rispondere ai loro preconcetti. L'esperienza lo segnò dolorosamente, come un collegio dell'Ottocento, finché non promise a se stesso che avrebbe cresciuto un bambino sottoponendolo alla stessa cosa; ma c'è una differenza fra essere spinto in una molteplicità di avatar e tuffarsi volontariamente in un eccitante universo di mito e magia, dove le tue fantasie infantili assumono forma corporea, inseguendo quelle dei tuoi amici e nemici nelle selve della notte.
Manni è cresciuto con interfacce neurali per lo psicospazio di Città di un ordine di magnitudine più complesse rispetto a quelle della giovinezza di Sirhan, e alcune sue parti - i fantasmi derivati da un'immagine iniziale del suo vettore di stato neurale, fertilizzato con una spruzzata presa in prestito dal Manfred originario, simulato su una macchina di carne molto più velocemente che nel tempo reale - sono pienamente adulte. Certo, non possono trovar posto dentro il suo cranio di sette anni, ma comunque lo custodiscono. E quando è in pericolo, cercano di prendersi cura del loro passato e futuro corpo.
Il primario fantasma adulto di Manni vive in alcuni degli psicospazi virtuali di Nuovo Giappone (che sono alcuni miliardi di volte più estesi degli spazi fisici disponibili per gli ostinati biologici, perché la densità computazionale degli habitat umani ha da tempo cessato di avere senso, misurata com'è in MIPS per chilogrammo). Sono modellati sulla Terra pre-singolarità. Il tempo è eternamente congelato all'alba del Ventunesimo secolo reale, alle ore otto e quarantasei dell'undici settembre: un aereo di linea a fusoliera larga è immobile in aria, quaranta metri sotto la finestra panoramica dell'appartimento di Manni, nell'attico al centottesimo piano della Torre Nord. Nella realtà storica, il centottesimo piano era occupato da uffici finanziari; ma lo psicospazio è una narrazione consensuale, e l'idea di Manni è di viverlo in questo punto cardine. (Non che significhi molto per lui - è nato ben oltre un secolo dopo la Guerra al Terrorismo - ma la caduta delle Due Torri, che ha infranto il mito dell'eccezionalismo occidentale e ha preparato la strada per il mondo in cui è nato, fa parte del folklore della sua infanzia.
Manni-adulto indossa un avatar modellato grosso modo sul suo clone-padre Manfred, ma più magro, stabilizzato su un giovane sulla ventina, vestito di nero, e gotico. Sta facendo una pausa da una partita a Matrix, ascoltando musica, i Tipo O Negativo a tutto volume sul sound system, mentre si contorce nella morsa di una gelida sniffata di cocaina. Aspetta la visita di un paio di call girls - a loro volta avatar presenti nello spazio di gioco come fantasmi adulti cresciuti artificialmente, i cui primari potrebbero non essere adulti, femmine o perfino umani - ed è per questo che si è afflosciato come un cencio sulla sedia reclinabile di Arne Jacobsen, in attesa che succeda qualcosa.
Dietro di lui, si apre la porta. Non mostra segno di notare l'intrusione, anche se le pupille si dilatano lievemente davanti al fioco riflesso di una donna che avanza ad ampi passi verso di lui, osservato sul vetro della finestra. «Sei in ritardo», dice con voce piatta. «Dovevi essere qui dieci minuti fa...». Comincia a guardarsi intorno, e ora spalanca gli occhi.
«Chi ti aspettavi?» chiede la bionda gelida e tesa, in un completo nero con la gonna lunga. Ha qualcosa di predatorio nell'espressione. «No, non dirmelo. Così sei Manni, eh? Il parziale di Manni?». Tira su col naso, in segno di disapprovazione. «Decadenza fin de siècle. Sono certa che Sirhan non approverebbe».
«Mio padre può andare affanculo», dice Manni, truculento. «Chi diavolo sei?».
La bionda schiocca le dita: una sedia da ufficio compare sul tappeto, fra Manni e la finestra, e lei si siede sul bordo, lisciandosi ossessivamente la gonna. «Sono Pamela», dice rigida. «Tuo padre ti ha raccontato di me?».
Manni sembra confuso. In fondo alla sua mente, istinti grezzi, alieni a chiunque sia stato istanziato prima della metà del Ventunesimo secolo, danno uno strattone al tessuto della pseudorealtà. «Tu sei morta, vero?» chiede. «Una mia antenata».
«Sono morta come te». Gli rivolge un sorriso senza calore. «Nessuno resta morto oggigiorno, meno di tutti chi conosce Aineko».
Manni sbatte gli occhi. Adesso comincia a sentire un moderato impulso di irritazione. «Tutto questo va bene, ma io aspettavo compagnia», dice con pesante enfasi. «Non una riunione di famiglia, o uno stancante tentativo di predicare il tuo puritanesimo...».
Pamela sbuffa. «Puoi sguazzare nel tuo porcile per quel che mi importa, ragazzo. Ho cose più importanti di cui preoccuparmi. Hai osservato il tuo primario di recente?».
«Il mio primario?» Manni si irrigidisce. «Se la cava bene». Per un attimo i suoi occhi mettono a fuoco l'infinito, con uno sguardo lungo un chilometro, mentre carica e rimette in scena l'ultima copia cerebrale del suo io infantile. «Chi è il gatto con cui gioca? Quello non è un compagno!».
«Aineko. Te l'ho detto». Impaziente, Pamela tamburella sul bracciolo della sedia. «La maledizione di famiglia ha raggiunto un'altra generazione. E se non fai qualcosa...».
«Riguardo a cosa?» Manni si drizza. «Di cosa parli?». Si alza in piedi e si gira verso di lei. Fuori dalla finestra, il cielo si fa buio, in un'eco dei suoi presentimenti. La sedia è evaporata nello sbuffo di un taglio di montaggio, e Pamela è in piedi davanti a lui, con una fredda espressione di sfida.
«Credo che tu sappia esattamente di cosa parlo, Manni. È ora di smettere di giocare questa fottuta partita. Cresci, mentre ne hai ancora la possibilità!».
«Io sono...». Si ferma. «Chi sono io?» chiede, mentre un gelido vento di incertezza asciuga il sudore che gli scende lungo la spina dorsale. «E cosa ci fai tu qui?».
«Davvero vuoi sapere la risposta? Sono morta, ricorda. I morti sanno tutto. E questo non è necessariamente un bene per i vivi...».
«Lui fa un respiro profondo. «Sono morto anch'io?» Ha un'aria confusa. «C'è un me-adulto nel Cubo Settimo Cielo. Cosa ci fa qui lui?».
«È il tipo di coincidenza che non esiste». Si stende a prendergli la mano, caricando simboli criptati in profondità nel suo apparato sensorio, una scia di briciole di pane che conduce in una parte di psicospazio buia e non mappata. «Vuoi scoprirlo? Seguimi». Poi svanisce.
Manni si china in avanti, confuso e spaventato, fissando la congelata maestà dell'aereo in arrivo, sotto la sua finestra. «Merda», sussurra. Mi ha attraversato le difese senza lasciare una traccia. Chi è lei? Il fantasma della sua bisnonna morta, o qualcos'altro?
Dovrò seguirla se voglio scoprirlo, si rende conto. Alza la mano sinistra, fissa il simbolo invisibile che scintilla luminoso dentro il suo guscio di carne. «Risincronizzami col mio primario», dice.
Dopo una frazione di secondo, il pavimento dell'attico trema, scuotendosi selvaggiamente, e gli allarmi antincendio cominciano a urlare mentre il tempo giunge al termine, e l'aereo bloccato completa il suo viaggio. Ma Manni non c'è più. E se un grattacielo cade in una simulazione senza nessuno che lo veda, è successo qualcosa?

«Sono venuto per il ragazzo», dice il gatto. È seduto sul tappeto tessuto a mano in mezzo al pavimento in legno duro, con una gamba posteriore stesa a un angolo strano, quasi se ne fosse dimenticato. Per un attimo, Sirhan vacilla sull'orlo dell'isteria mentre si rende conto delle dimensioni dell'entità davanti a lui, la capricciosa creazione postumana dei suoi antenati. Originariamente un robotico compagno giocattolo, Aineko è stato progressivamente aggiornato e corretto. Negli anni Ottanta, quando Sirhan incontrò Aineko per la prima volta in carne e ossa, era già un'intelligenza spaventosamente aliena, sottile e ironica. E ora...
Sirhan sa che Aineko ha manipolato la sua altermadre, distorcendone i suoi affetti naturali, deviandoli dal suo vero padre verso un altro uomo. Nei momenti di più cupa introspezione, a volte si chiede se il gatto non sia stato anche responsabile, in qualche modo, della sua crescita spezzata, dell'incapacità di legarsi ai suoi veri genitori. Dopo tutto, è stato una pedina nella rabbiosa battaglia per il divorzio fra Manfred e Pamela - decenni prima della sua nascita - e ci potrebbero essere istruzioni a lungo termine sepolte nelle sue pulsioni preconscie. E se in realtà la pedina fosse un re nascosto, che complotta nell'oscurità?
«Sono venuto per Manny».
«Non lo avrai». Sirhan mantiene una facciata di calma esteriore, anche se il suo primo impulso sarebbe di aggredire Aineko. «Non hai già fatto abbastanza danno?».
«Non lo renderai più facile, vero?». Il gatto allunga la testa in avanti e comincia a leccarsi ossessivamente in mezzo alle dita divaricate della zampa sollevata. «Non sto facendo una richiesta, ragazzo. Ho detto che sono venuto per lui, e tu non fai parte della questione. Infatti, mi sto facendo in quattro per avvertirti».
«E io dico...» Sirhan si interrompe. «Merda». Sirhan non approva il sudore: la maledizione è una dimostrazione esteriore del suo tormento interiore. «Dimentica quanto stavo per dire, sono certo che la conoscevi già. Fammi ricominciare, per favore».
«Certo. Giochiamo a modo tuo». Il gatto si morde un'unghia spezzata ma il suo discorso interiore è perfettamente chiaro, in un'intimità noncurante che tiene Sirhan sulle spine. «Tu hai un'idea di cosa io sia, chiaramente. Tu sai - ti attribuisco un'intenzionalità - che la mia teoria della mente è intrinsecamente più forte della tua, che il mio modello cognitivo della coscienza umana è completo. Potresti anche sospettare che io usi un Oracolo di Turing per aggirare i tuoi stati di arresto». Adesso il gatto non si preoccupa di un'unghia spezzata, mentre i suoi appuntiti denti sogghignanti brillano nella luce della finestra dello studio di Sirhan. La finestra guarda sullo spazio interiore del cilindro-habitat, verso un cielo tappezzato di colline, laghi e foreste: è come un paesaggio di Escher, modellato alla perfezione completa. «Hai capito che sono in grado di aggirare la tua scatola dall'esterno, mentre tu ti agiti all'interno, e sono sempre un passo davanti a te. Cos'altro sai che io so?».
Sirhan rabbrividisce. Aineko lo guarda fisso, senza sbattere le palpebre. Per un attimo, sente nelle viscere di essere alla presenza di un dio alieno: è la pura verità, giusto? Ma... «Okay, ti concedo un punto di vantaggio», dice Sirhan dopo un attimo in cui genera una tempesta di terrorizzati fantasmi cognitivi, personalità frazionarie ognuna delle quali ha il compito di esaminare una diversa sfaccettatura dello stesso problema. «Tu sei più intelligente di me. Io sono solo un noioso essere umano amplificato, ma tu hai una teoria della mente, brillante e nuova, che ti permette di mettere nel sacco creature come me, come io posso fare con un gatto reale». Incrocia le braccia, sulla difensiva. «Normalmente non lo fai pesare. Non sarebbe nel suo interesse, vero? Tu preferisci nascondere le tue capacità di manipolazione sotto un'esteriorità affabile, per giocare con noi. Adesso, invece, lo stai rivelando per un motivo». Adesso c'è una nota di amarezza nella sua voce. Guardandosi intorno, Sirhan evoca una sedia, poi, ripensandoci, un cesto per gatti. «Accomodati. Perché adesso, Aineko? Cosa ti fa pensare di poterti prendere il mio alterfiglio?».
«Non ho detto che lo stavo per prendere, ho detto di essere venuto per lui». La coda di Aineko si dimena da una parte all'altra, con agitazione. «Non mi occupo di politica dei primati, Sirhan: non faccio la scimmietta. Ma sapevo che avresti reagito male, perché il modo in cui la tua specie socializza», una dozzina di metafantasmi riconvergono nella mente di Sirhan, sommergendo la voce di Aineko con una cacofonia interiore, «entrerebbe nella situazione, e mi è sembrato preferibile scatenare subito il tuo sfoggio di minaccia territoriale/riproduttiva, piuttosto che rischiare che mi esplodesse in faccia durante una situazione più delicata».
Sirhan agita una mano verso di lui. «Per favore aspetta». Sta cercando di integrare i suoi falsi ricordi - l'uscita proveniente dai fantasmi, che avevano terminato di pensare - e stringe gli occhi, sospettoso. «Deve essere qualcosa di brutto. Normalmente non sei litigioso, scrivi in anticipo le tue interazioni con gli umani, in modo da manovrarli e fargli fare quello che vuoi facendogli credere che sia idea loro». Si contrae. «Cos'ha Manni per portarti qui? Cosa vuoi da lui? È solo un ragazzino».
«Stai confondendo Manni e Manfred». Aineko invia un glifo di sorriso a Sirhan. «Questo è il tuo primo sbaglio, anche se sono cloni in diversi stati soggettivi. Pensa a come sarà da grande».
«Ma non è grande!» si lamenta Sirhan. «Non è stato grande da...».
«... anni, Sirhan. Questo è il problema. In realtà ho bisogno di parlare con tuo nonno, non con tuo figlio, e non col dannato fantasma privo di stato, nel tempio della storia. Mi serve un Manfred con un senso della continuità. Ha qualcosa che mi serve, e ti assicuro che non me ne andrò finché non lo ottengo. Mi capisci?».
«Sì». Sirhan si chiede se la sua voce sembri vuota come la sensazione che ha nel petto. «Ma è il nostro ragazzo, Aineko. Noi siamo umani. Sai cosa significa per noi?».
«Una seconda infanzia». Aineko si alza, si stiracchia, poi si raggomitola nel cesto. «Questo è il problema delle trovate di lunga vita per voi umani. Avete sempre bisogno di un risettaggio e allora perdete continuità. Non è un problema mio, Sirhan. Ho un segnale proveniente dall'altro estremo della rete dei Router, un fantasma che afferma di essere di famiglia. Dice che sono finalmente arrivati nell'aldilà, oltre il superammasso di Bootes, e che hanno trovato qualcosa di concreto e importante a cui varrebbe la pena far visita. Ma prima di rispondere voglio assicurarmi che non sia come i Wunch. Non mi farò entrare quella cosa dentro la mente, anche con una zona cuscinetto. Lo capisci? Ho bisogno di istanziare un Manfred adulto, reale e vivo, con tutti i ricordi, uno che non sia stato parte di me, affinché garantisca per il pacchetto dati senziente. Serve un essere conscio per accreditare quel tipo di messaggero. Sfortunatamente, il tempio della storia è fastidiosamente resistente alle estrazioni non autorizzate - non posso semplicemente entrare e rubare una sua copia - e non voglio usare il mio modello di Manfred: sa troppo. Dunque...».
«Cosa c'è di promettente?» chiede Sirhan, contratto.
Aineko lo guarda con occhi a fessura, con un ronfante ronzio alla base della gola. «Tutto».

«Esistono diversi tipi di morte», dice a Manni la donna chiamata Pamela, sussurrando nel buio con una voce arida. Manni cerca di muoversi, ma sembra essere intrappolato in uno spazio confinato; per un attimo prova panico, poi lo elabora. «Prima cosa, più importante di tutte, la morte è solo assenza di vita. Oh, e per gli esseri umani, anche assenza di coscienza, ma non solo l'assenza di coscienza, l'assenza della capacità di coscienza». L'oscurità è vicina e disorientante, e Manni non è certo di dove si trovi, nulla sembra funzionare. Perfino la voce di Pamela è un suono d'ambiente, privo di direzione, che proviene da tutt'intorno a lui.
«La semplice, vecchia morte, il tipo che predata la singolarità, era l'inevitabile stato di arresto di ogni forma vitale. Nonostante le fiabe sull'aldilà». Una secca risatina: «Una volta cercavo di credere ogni giorno a una fiaba diversa, prima di colazione, capisci, in caso fosse giusta la scommessa di Pascal (esplorare lo spazio di fase di tutte le resurrezioni possibili), capisci? Ma credo che a questo punto potremmo concordare che Dawkins avesse ragione. La coscienza umana è vulnerabile a certi tipi di virus memetici trasmissibili, e le religioni che promettono la vita oltre la morte sono un esempio particolarmente pernicioso, perché sfruttano la nostra avversione per gli stati di arresto».
Manni cerca di dire: Non sono morto, ma non sembra funzionargli la gola. E adesso che ci pensa, non sembra neppure respirare.
«Ora, la coscienza. È una cosa divertente, vero? Il prodotto di una corsa alle armi fra predatori e preda. Se guarderai un gatto che striscia furtivamente verso un topo, sarai in grado di imputare al felino intenzioni facili da spiegare dicendo che ha una teoria della mente che contiene il topo (una simulazione interna del probabile comportamento del topo quando noterà il predatore). In quale direzione correre, per esempio. E il gatto userà la sua teoria della mente per ottimizzare la strategia di attacco. Nel frattempo, le prede abbastanza complesse da avere una teoria della mente sono in posizione di vantaggio difensivo, se riescono ad anticipare le azioni del predatore. Infine, questa corsa alle armi, tipica dei mammiferi, ci ha dato una specie di scimmia socievole che ha usato la sua teoria della mente per facilitare la trasmissione di segnali - in modo da far operare collettivamente la tribù - e poi, riflessivamente, per simulare gli stati interiori propri dell'individuo. Metti insieme le due cose: la trasmissione di segnali e la simulazione introspettiva, e hai la coscienza di livello umano, col linguaggio come bonus, una segnalazione che trasmette informazioni sugli stati interiori, non solo rozzi segnali come "predatore qui" e "cibo lì"».
Tiratemi fuori di qui! Manni sente la morsa del panico, dai denti lubrificati con elio liquido. «Ti-ra-te...». Miracolosamente, le parole escono davvero, anche se non sa capire come le pronunci, avendo la gola bloccata come il suo discorso interiore. Tutto è off line, tutti i sistemi fuori uso.
«Così», continua Pamela inesorabilmente, «siamo arrivati ai postumani. Non solo il tuo wetware neurale, mappato fino al livello subcellulare ed eseguito in un ambiente di emulazione, su un computer fichissimo, grande e grosso così: questo non è postumano, è una parodia. Parlo di esseri che sono fondamentalmente macchine di coscienza migliori di noi, semplici tipi umani, amplificati o altrimenti. Non sono solo migliori nella cooperazione - sia testimone l'Economia 2.0 per una classica dimostrazione - ma migliori nella simulazione. Un postumano può costruire un modello interno di intelligenza di livello umano che sia, be', cognitivamente forte come l'originale. Io e te possiamo pensare di sapere cosa fa muovere gli altri, ma spesso ci sbagliamo, laddove i veri postumani possono effettivamente simularci, con tanto di stati interiori, e farlo bene. E questo vale specialmente per un postumano a cui è stato dato accesso completo, per anni, alle nostre protesi di memoria, prima che ci rendessimo conto che stavano per trascenderci. Non è così, Manni?».
Manni le lancerebbe un urlo, se avesse una bocca - ma invece il panico lascia spazio a un enorme senso di déjà vu. C'è qualcosa in Pamela, qualcosa di sinistro che riconosce... l'ha già incontrata, ne è certo. E mentre gran parte dei suoi sistemi è off line, uno è decisamente attivo. C'è un fantasma di personalità che segnala la sua intenzione di fondersi con lui, e trasporta un enorme delta di memoria, anni e anni di esperienze divergenti da assorbire. Lo respinge con uno sforzo titanico - è un fantasma molto insistente - e si concentra a immaginare il tocco delle labbra che si muovono sui denti, una scaltra lingua che ostruisce l'epiglottide, le parole che si formano nella gola - «mi...».
«Avremmo dovuto avere il buonsenso di non continuare ad aggiornare il gatto, Manni. Ci conosce troppo bene. Posso essere morta nella carne, ma Aineko mi ricordava, con la stessa odiosa accuratezza con cui la Vile Progenie ricordava i resimulati casuali. E tu puoi fuggire - in questo modo, questa seconda infanzia - ma non puoi nasconderti. Il tuo gatto ti vuole. E c'è altro». La sua voce gli fa salire e scendere il gelo nella spina dorsale, perché senza averglielo permesso il fantasma ha cominciato a fondere il suo stupendo carico di ricordi con la sua mappa neurale, e la voce è colma di significato erotico/repulsivo, il risultato di un feedback di condizionamento a cui si sottopose una vita - tante vite? - fa. «Ha giocato con noi, Manni, forse da prima che ci rendessimo conto che era consapevole».
«Fuori...» Manfred si ferma. Riesce nuovamente a vedere, a muoversi e a sentire la bocca. È nuovamente se stesso, fisicamente com'era verso i trent'anni, quando viveva una vita peripatetica nell'Europa pre-singolarità. È seduto sul bordo di un letto, ad Amsterdam, in un incantevole hotel a tema ricorrente, filosofi, vestito con jeans, camicia senza colletto e un giubbetto dalle tasche stipate dei detriti di una rete personale da tempo obsoleta, con gli occhiali proiettivi, follemente goffi, posati sul comodino. Pamela è rigida davanti alla porta, e lo osserva. Non è la caricatura avvizzita che ricorda di aver visto su Saturno, un Fato semicieco appoggiato sulle spalle del nipote. E non è la vendicativa Furia di Parigi, o l'intrigante diavolo fondamentalista della Bible Belt. Con un elegante vestito su misura sopra un corsetto di broccato rosso e oro, i capelli biondi all'indietro come cavi sottili in un teso chignon, è la concentrata forza della natura di cui si era innamorato la prima volta: repressione, dominazione, una macchina severa tutta sua.
«Siamo morti», dice lei, poi dà voce a una mezza risata contratta. «Non dobbiamo passare un'altra volta i brutti tempi se non vogliamo».
«Cos'è questo?» chiede, con la bocca secca.
«È l'imperativo della riproduzione». Tira su col naso. «Forza, alzati. Vieni qui».
Si alza obbediente, ma non fa una mossa verso di lei. «L'imperativo di chi?».
«Non il nostro». Le si contrae una guancia. «Quando muori, scopri delle cose. Quel cazzo di gatto ha un sacco di domande a cui rispondere».
«Mi dici che...».
Lei scrolla le spalle. «Puoi pensare a un'altra spiegazione per tutto questo?». Poi avanza e gli prende la mano. «Divisione e ricombinazione. Partizione di replicatori memetici in gruppi diversi, poi attenta interfertilizzazione. Aineko non stava solo allevando un Macx migliore quando ha combinato tutti quegli strani matrimoni, divorzi, altergenitori e Upload biforcati... Aineko sta cercando di allevarci la mente». Nella sua mano, le dita di Pamela sono sottili e fredde. Prova una temporanea repulsione, come quella per la tomba, e rabbrividisce prima di rendersi conto che è il suo condizionamento che interviene. Riflessi rozzamente impiantati, che non dovrebbero essere ancora attivi dopo tutto questo tempo. «Anche il nostro divorzio. Se...».
«Sicuramente no». Manni ricorda già abbastanza. «Aineko non era neppure consapevole allora!».
Pamela solleva un sopracciglio distintamente scolpito. «Ne sei certo?».
«Tu vuoi una risposta», dice.
Lei fa un respiro profondo, e lui lo sente sulla guancia (gli fa alzare i peli dietro il collo). Poi lei annuisce, rigida. «Voglio sapere quanto della nostra storia è stato scritto dal gatto. Quando pensavamo di stare aggiornando il suo firmware, lo facevamo? O ce lo lasciava pensare lui?». Un sibilo secco. «Il divorzio. Siamo stati noi? O eravamo manipolati? I nostri ricordi, sono reali? Ci è veramente successo qualcosa di tutta quella roba? O...».
Lei è a una ventina di centimetri di distanza, e Manfred si rende conto di essere acutamente consapevole della sua presenza, l'odore della pelle, il sollevarsi del petto mentre respira, la dilatazione delle pupille. Per un infinito momento la fissa negli occhi e vede il suo riflesso - la sua teoria della mente - che gli restituisce lo sguardo. Comunicazione. Macchina severa. Pamela fa un passo indietro, facendo ticchettare i tacchi a spillo, e sorride ironicamente. «Hai un corpo ospite che ti aspetta, fabbricato di fresco: sembra che Sirhan abbia parlato col tuo fantasma archiviato nel tempio della storia, e ha deciso di scegliere la reincarnazione. Proprio una giornata di enormi coincidenze, vero? Perché non vai a fonderti... Ci vedremo, poi potremo andare a fare ad Aineko qualche domanda seria».
Manfred fa un respiro profondo e annuisce. «Penso di sì».

* * *

Il piccolo Manni - clonato dall'albero di famiglia, che in effetti è un glifo ciclico diretto - non capisce perché si stiano facendo tante storie, ma lo capisce quando vede la mamma, Rita, sconvolta. Ha qualcosa a che fare con la cosa-gattino, fin lì ci arriva, ma mamma non glielo vuole dire. «Va' a giocare con i tuoi amici, caro», dice distratta, senza neppure preoccuparsi di generare un fantasma per sorvegliarlo.
Manni va nella sua camera e rovista nello spazio-giochi per un po', ma non c'è niente che sia interessante come il gatto. La cosa-gattino ha l'odore dell'avventura, dell'illecito reso esplicito. Manni si chiede dove l'abbia portato papà. Cerca di chiamare il fantasma-Manni-grande, ma io-grande non risponde: probabilmente dorme o qualcosa del genere. Così, dopo un accesso di gioco, svagato e furioso - che lascia lo spazio-giochi nel disordine più completo, con le cose-Sendak rannicchiate sotto una grossa grancassa - Manni si annoia. E dato che, in fondo, è ancora un ragazzino, non pienamente in controllo della sua metaprogrammazione, invece di regolare la sua prospettiva in modo da non essere più annoiato, esce di soppiatto dalla camera da letto (passando per una porta che il fantasma-Manni-grande ha riprogrammato per condurlo a un sottoutilizzato portale di accesso pubblico su cui aveva eseguito un attacco dell'uomo in mezzo, per poterlo usare come proxy server di teletrasporto) e arriva nei sotterranei della Piazza Rossa, dove esseri senza pelle farfugliano e schiamazzano contro i loro tormentatori, angeli spezzati vengono crocifissi sui pilastri che sostengono il cielo, e bande di bambini di tendenza mettono in scena fantasie psicotiche su repliche androidi di genitori e autorità che non hanno bocca.
C'è Lis, e ci sono Vipul, Kareen e Morgan. Lis è mutata in un Warbody, il guscio grigio e sinistro di un bot da battaglia con aculei sporgenti e minacciose, turbinanti mazze ferrate. «Manni! Giochiamo alla guerra?».
Morgan ha grosse pinze al posto delle mani, e Manni è contento di essere arrivato in forma di alieno Motie, con un'ossuta falce come terzo braccio, dal gomito in giù. Annuisce eccitato. «Chi è il nemico?».
«Loro». Lis rotea e indica, dall'altra parte di un mucchio di macerie disposte artisticamente, un gruppo di ragazzini radunati attorno a un patibolo, che spingono cose luccicanti nella palpitante carne di ciò che è stato incarcerato nella gabbia di ferro battuto. È tutta finzione, ma le grida sono comunque convincenti, e riportano per un istante Manni all'ultima volta che è morto in questo posto, all'inquieta modifica intorno al buco nero di dolore che circondava il suo sventramento. «Hanno preso Lucy, e la stanno torturando. Dobbiamo riprenderla». Nessuno muore veramente in questi giochi, non in modo permanente, ma i bambini possono essere proprio brutali, e gli adulti di Nuovo Giappone hanno scoperto che è meglio lasciarli in pace e affidarsi a Città per riscrivere tutto a danno avvenuto. Consentire questo sfogo rende più facile impedir loro di fare cose davvero pericolose, in grado di minacciare l'integrità strutturale della biosfera.
«È divertente». Gli occhi di Manni si accendono mentre Vipul spalanca le porte dell'arsenale e comincia a distribuire bastoni, coltelli, lance, shurìken e garrote. «Andiamo!».
Dopo una decina di minuti di dita negli occhi, fughe, lotte e grida, Manni si appoggia al retro di un pilastro da crocifissione, ansimando per riprendere fiato. Finora per lui è stata una bella guerra; il braccio gli fa male e gli prude per la pugnalata, e ha la brutta sensazione che le cose stiano per cambiare. Lis ha fatto un attacco pesante, e si è impigliata con le catene intorno ai sostegni del patibolo - adesso la stanno arrostendo sul fuoco, e le sue grida elettronicamente amplificate sommergono il rauco ansimare di Manni. Ha del sangue non suo che gli sgocciola sul braccio, schizzato dalla punta del suo piede di porco. Trema per una folle fame di sofferenza, un crudele bisogno di infliggere dolore. Al di sopra della sua testa, qualcosa produce un rumore gracchiante, e lui alza lo sguardo. È un angelo crocifisso, con le ali strappate dove hanno conficcato le lance fra le giunture che sostengono le grandi, sottili membrane di volo a bassa gravità. Respira ancora, nessuno si è ancora curato di sventrarlo, e non sarebbe qui se non fosse cattivo, dunque...
Manni si alza, tuttavia, mentre si protende a toccare il sottile stomaco dell'angelo dalla pelle blu con l'unghia del terzo braccio, sente una voce. «Aspetta». È un discorso interiore, testimone di accessi coercitivi, privilegi di superutente che gli tengono bloccato il braccio. Piagnucola per la frustrazione e si volta, pronto a combattere.
È il gatto. È seduto rannicchiato su un macigno dietro di lui - questo è strano - proprio dove guardava un attimo fa, e lo osserva con occhi a fessura. Manni prova l'impulso di lanciarsi contro di lui, ma le braccia non si muovono, e neppure le gambe: questo può essere il Lato Oscuro della Piazza Rossa, dove giocano bambini sanguinari e tutto è permesso; qui Manni può usare artigli molto più grossi di quelli che un gatto potrebbe mai avere, ma Città ha ancora un certo grado di controllo, e gli accessi del gatto lo immunizzano efficacemente dal massacro. «Salve, Manni», dice la cosa-gattino. «Tuo papà è preoccupato: dovresti essere in camera tua, e lui ti cerca. Il tuo io-grande ti ha dato una via d'uscita, vero?».
Manni annuisce a scatti, spalancando gli occhi. Vuole gridare e lanciarsi contro la cosa-gattino, ma non ci riesce. «Che cosa sei?».
«Io sono il tuo... padrino fatato». Il gatto lo fissa intensamente. «Lo sai, io credo che non assomigli molto al tuo archetipo - non com'era alla tua età - ma sì, credo che in ultima analisi andrai bene».
«Per cosa?» Manni lascia cadere il suo braccio-Motie, perplesso.
«Mettimi in contatto col tuo altro io, l'io grande».
«Non posso», Manni comincia a spiegare. Ma prima di poter continuare, la pila di sassi emette un lieve sibilo e ruota sotto il gatto, che deve alzarsi e fare un piccolo volteggio per tenersi in equilibrio, drizzando la coda per il fastidio.
Il padre di Manni esce dalla porta a T e si guarda intorno, con una maschera di disapprovazione sul viso. «Manni! Cosa pensi di fare qui? Vieni a casa...».
«È con me, piccolo storico», lo interrompe il gatto, indispettito dall'arrivo di Sirhan. «Lo stavo solo recuperando».
«Accidenti a te, non mi serve il tuo aiuto per controllare mio figlio! Infatti...».
«Mamma ha detto che potevo...» comincia Manni.
«E cos'hai sulla spada?». Lo sguardo di Sirhan assorbe l'intera scena, il gioco improvvisato di cattura-e-tortura contro la vittima sul patibolo, i roghi e le grida. La maschera di disapprovazione si spezza, rivelando un gelido nucleo d'ira. «Tu torni a casa con me!». Guarda il gatto. «Anche tu, se vuoi parlargli. È in punizione».

* * *

C'era una volta un gatto domestico.
Solo che non era un gatto.
Al tempo in cui un giovane imprenditore chiamato Manfred Macx attraversava in volo le strutture, non ancora disassemblate, di un vecchio continente chiamato Europa, arricchendo estranei e sistemando gli amici con progetti finanziari ultrafortunati - una disperata attività di dislocazione affettiva, dandosi da fare nel vano tentativo di sfuggire alla propria ombra - viaggiava insieme a un giocattolo robotico di forma felina. Programmabile e aggiornabile, Aineko era discendente di terza generazione degli originari, lussuosi robot giapponesi da compagnia. Nella sua vita, aveva spazio solo per quel robot, e lo amava, nonostante il modo allarmante in cui si ritrovava gattini decerebrati sulla soglia. Lo amava quasi quanto Pamela, la sua fidanzata, amava lui, e lei lo sapeva. Pamela, essendo molto più furba di quanto concedesse Manfred, sapeva che il modo più rapido per raggiungere il cuore di un uomo era attraverso ciò che amava. E Pamela, essendo molto più fissata col controllo di quanto ritenesse Manfred, era dannatamente pronta a usare senza ritegno tutto ciò che aveva sottomano. Il loro era un rapporto in stile Ventunesimo secolo, vale a dire che sarebbe stato illegale cento anni prima e scandalosamente di moda un altro secolo prima. E ogni volta che Manfred aggiornava il suo animale robot - trapiantandone la rete neurale addestrabile in un nuovo corpo dotato di nuove, eccitanti porte di espansione - Pamela lo hackerava.
Furono sposati per un po' di tempo, e divorziati per molto di più, asserendo di essere persone dalla volontà forte e dalle filosofie di vita irriconciliabili, se non con la morte o la trascendenza. Manny, essendo sfrenatamente creativo e avendo il tempo d'attenzione di una volpe fatta di crack, aveva altre amanti. Pamela... chi lo sa? Se qualche sera lei si metteva in maschera e passava il tempo nelle zone di incontro dei locali fetish, non lo diceva a nessuno: viveva nell'America rispettabile, rigorosa e perbenista, e aveva una reputazione da mantenere. Ma entrambi si tennero in contatto col gatto, e nonostante Manfred ne avesse la custodia per una ragione mai articolata, Aineko continuava a rispondere alle chiamate di Pamela, finché non giunse il momento di andare a mettersi con la figlia Amber, pedinandola nella sua fuga in esilio relativistico, e poi tenendo d'occhio con aria proprietaria il suo alterfiglio Sirhan, con sua moglie e suo figlio (clonato dal vecchio albero di famiglia, Manfred 2.0)...
Ora, ecco il punto: Aineko non era un gatto. Aineko era un'intelligenza incarnata, confinata all'interno di una successione di corpi felini che col passar del tempo diventavano sempre più realistici, ed equipaggiati con la capacità di elaborazione, crescente a ogni aggiornamento, di sostenere simulazioni neurali.
Ha mai pensato qualcuno, nella famiglia Macx, a chiedere cosa volesse Aineko?
E se fosse giunta una risposta, l'avrebbero gradita?

Manfred-adulto, ancora disorientato dopo essersi ritrovato sveglio e reistanziato, un paio di secoli a valle del suo frettoloso esilio dal sistema di Saturno, naviga esitante verso la casa di Sirhan e Rita, quando Manni-grande, con fantasma di memoria di Manfred, gli ricade nella coscienza come una tonnellata di computronium, con i bordi brillanti al calor rosso.
È uno di quei classici momenti in cui si dice oh, cazzo. Fra un passo e l'altro, Manfred inciampa, slogandosi quasi una caviglia, e boccheggia. Ricorda. Di terza mano, ricorda di essersi reincarnato come Manni, l'esuberante maschietto di Rita e Sirhan (e perché mai vogliano crescere un antenato invece di creare un bambino nuovo è una stranezza culturale talmente aliena che non riesce a comprenderla). Poi, per un certo tempo, ricorda di essere vissuto nella forma dell'amnesiaco fantasma accelerato adulto di Manni, sorvegliando l'originale dal cyberspazio consensuale della città: l'arrivo di Pamela, la reazione dell'adulto Manni, lei che scarica dentro Manni un'ulteriore copia dei ricordi di Manfred, e ora questo. Quanti ce ne sono di me? si chiede nervosamente. Poi: Pamela? Cosa ci fa qui lei?
Manfred scuote la testa e si guarda intorno. Ora ricorda di essere Manni-grande, sa dove si trova implicitamente e, cosa più importante, sa cosa dovrebbero fare tutte queste interfacce-Città di nuova generazione. Le pareti e il soffitto sono tappezzati di glifi luccicanti che promettono tutto, da servizi locali di accesso istantaneo al teletrasporto attraverso distanze interstellari. Allora non hanno ancora fatto collassare la geografia, capisce con riconoscenza, aggrappandosi al suo primo pensiero comprensibile prima che i ricordi di Manni-grande gli spieghino tutto. È una sensazione strana, vedere tutta questa roba per la prima volta - le trappole di una tecnosfera avanti di secoli rispetto a quella in cui era sveglio l'ultima volta - ma con i ricordi a spiegare tutto. Scopre che i suoi piedi lo fanno ancora avanzare, in direzione di una piazza erbosa circondata da porte che si aprono su abitazioni private. Oltre una di quelle porte, sta per incontrare i suoi discendenti e, con tutta probabilità, Pamela. Al pensiero, lo stomaco fa un lieve, disgustoso salto mortale all'indietro. Non sono pronto per questo...
È un acuto momento di déjà-vu. Si trova su un uscio familiare, mai visto prima. La porta si apre e appare un bambino con tre braccia, dal volto serio (non può evitare di guardarlo fisso; dal gomito in giù, il braccio extra è una falce d'ossa, malignamente dentellata). «Ciao, io», dice il bambino.
«Ciao, tu». Manfred lo fissa. «Non sei fatto come ricordo io». Ma l'aspetto di Manni è familiare per i ricordi di Manni-grande, catturate dall'impassibile Argo della polvere panottica consapevole, fluttuante nell'aria. «Sono a casa i tuoi genitori? Tua», gli si spezza la voce, «bisnonna?».
La porta si spalanca. «Puoi entrare», dice solennemente il bambino. Poi saltella all'indietro e si tuffa timidamente in una camera laterale, come se si aspettasse che un cecchino ostile gli sparasse, capisce Manfred. È dura essere un bambino, quando non esistono leggi contro l'uso della forza mortale, perché quando il gioco finisce si può essere restaurati a partire da un backup.
Nell'abitazione - a Manfred sembra sbagliato chiamarla casa, quando alcune parti sono divise da migliaia di chilometri di vuoto - la situazione è affollata. Sente voci dalla sala ricreazione, così ci entra, superando l'arco di rose senza spine coltivate da Rita intorno agli infìssi della porta a T. Il suo corpo sembra più leggero, ma guardandosi intorno ha il cuore pesante. «Rita?» chiede. «E...».
«Ciao, Manfred». Pamela annuisce guardinga.
Rita alza il sopracciglio. «Il gatto ha chiesto se poteva prendere in prestito l'assemblatore di casa. Non mi aspettavo una riunione di famiglia».
«Nemmeno io». Manfred si strofina mestamente la fronte. «Pamela, ti presento Rita. Ha sposato Sirhan. Sono i miei... immagino che altergenitori sia una parola abbastanza giusta. Voglio dire, stanno crescendo la mia reincarnazione».
«Prego, accomodati», gli dice Rita, facendo un cenno verso il pavimento vuoto fra il patio e la fontana di pietra a forma di settore di un'ipersfera di vetro. Un futon di diamantoide filato si congela dalla nanonebbia che fluttua nell'aria, luccicando nella luce solare artificiale. «Sirhan sta provvedendo a Manni, nostro figlio. Sarà insieme a noi fra un minuto».
Manfred si siede, esitante, a un estremo del futon. Pamela è seduta rigidamente all'estremo opposto, senza guardarlo negli occhi. L'ultima volta che si sono incontrati fisicamente - è passato un terrificante abisso di anni - si sono separati lanciandosi maledizioni, sui due lati della barricata di uno stizzoso divorzio e di una barriera ideologica alta come uno spartiacque continentale. Ma sono trascorsi molti decenni soggettivi, e sia l'ideologia che il divorzio hanno perso significato, se mai sono avvenuti. Adesso che c'è una causa comune ad avvicinarli, Manfred riesce appena a guardarla. «Come sta Manni?» chiede alla sua ospite, cercando disperatamente di fare conversazione.
«Sta bene», dice Rita, con voce esitante. «La solita turbolenza preadolescenziale, se non fosse per...». La voce si affievolisce. Compare una porta a mezz'aria, e ne esce Sirhan, seguito da una piccola divinità con un cappotto di pelo.
«Guarda cos'ha trascinato il gatto», osserva Aineko.
«Sei bravo a parlare», dice gelidamente Pamela. «Non credi che...».
«Ho cercato di tenerlo lontano da te», Sirhan dice a Manfred, «ma non ha voluto...».
«Tutto a posto», minimizza Manfred. «Pamela, ti dispiacerebbe incominciare?».
«Sì, mi dispiacerebbe». Lo guarda di sbieco. «Comincia tu».
«Va bene. Mi volevi qui». Manfred si accovaccia per fissare il gatto. «Cosa vuoi?».
«Se fossi un tradizionale diavolo mitteleuropeo, direi che sono venuto a rubarti l'anima», dice Aineko, alzando lo sguardo verso Manfred e dimenando la coda. «Per fortuna non sono un dualista. Voglio solo prenderla in prestito per un po'. Nemmeno si sporcherà».
«Uh-huh». Manfred alza il sopracciglio. «Perché?».
«Non sono onnisciente». Aineko si siede, sporgendo una zampa di lato, ma continua a fissare Manfred. «Ho avuto un... un telegramma, credo, che affermava di provenire da te. Dalla tua altra copia, cioè, quella partita attraverso la rete dei Router insieme a un'altra mia copia, ad Amber e a tutti quelli che non sono qui. Dice di aver scoperto la risposta, e vuole fornirmi una scorciatoia per arrivare ai pensatori profondi, al margine dell'universo osservabile. Sa chi ha fatto la rete dei tunnel spaziali e perché, e...» Aineko si interrompe. Se fosse umano, scrollerebbe le spalle, ma essendo un gatto, si gratta distrattamente dietro l'orecchio sinistro con una delle zampe posteriori. «Il problema è che non so se fidarmi. Così mi serve che tu autentichi il messaggio. Io non oso utilizzare la mia memoria di te perché sa troppo di me; se il pacchetto è un Troiano, potrebbe scoprire cose che non voglio che sappia. E non posso riscriverne le memorie (anche quello trasmetterebbe informazioni utili al pacchetto, se fosse ostile). Così voglio una tua copia dal museo, fresca e incontaminata».
«Tutto qua?» chiede Sirhan, incredulo.
«A me sembra abbastanza», risponde Manfred. Pamela apre la bocca, pronta a parlare, ma Manfred la guarda negli occhi e scuote infinitesimamente la testa. Lei gli restituisce lo sguardo e - lo trapassa uno shock - annuisce chiudendo la bocca. Quel momento di complicità è frastornante. «Voglio qualcosa in cambio».
«Certo», dice il gatto. Si interrompe. «Tu capisci che è un processo distruttivo».
«È un... cosa?».
«Ho bisogno di fare una copia funzionante. Poi le presento la, uh, l'informazione aliena, in una zona cuscinetto, che poi viene distrutta, emette soltanto un bit di informazione, un sì o un no alla domanda: posso fidarmi dell'informazione aliena?».
«Uh». Manfred comincia a sudare. «Uh. Non sono certo che mi piaccia».
«È una copia». Un'altra scrollata di spalle felina. «Tu sei una copia. Manni è una copia. Sei stato copiato così tante volte che è sciocco. Ti rendi conto che ogni pochi anni tutti gli atomi del tuo corpo cambiano? Certo, significa che una tua copia morirà dopo una vita o due di esperienze uniche e irripetibili, di cui non saprai niente, ma quello non è importante per te».
«Certo che sì! Stai parlando di condannare a morte una mia versione! Può non toccare me, qui, in questo corpo, ma certo tocca l'altro me. Non puoi...».
«No, non posso. Se accettassi di salvare il corpo qualora raggiungesse un verdetto affermativo, gli darebbe un incentivo a mentire se la verità fosse che il messaggio alieno è inaffidabile, non è così? Inoltre, se intendessi salvare la copia, quello fornirebbe al messaggio un canale di ritorno attraverso cui codificare un attacco. Un bit, Manfred, niente di più».
«Ahh». Manfred smette di parlare. Sa che dovrebbe trovare una qualche obiezione, ma Aineko deve aver già considerato ogni sua possibile risposta, progettando strategie per aggirarle. «Come c'entra lei? chiede, indicando Pamela.
«Oh, lei è il tuo pagamento». Dice Aineko, con studiata noncuranza. «Ho un'ottima memoria per le persone, soprattutto quelle che ho conosciuto per decenni. Tu hai superato il grossolano condizionamento emotivo che ho usato su di te al tempo del divorzio e, quanto a lei, è una buona reistanziazione di...».
«Sai come ci si sente a morire?» chiede Pamela, perdendo finalmente l'autocontrollo. «O vorresti scoprirlo nel modo più difficile? Perché se continui a parlare di me come se fossi una schiava...».
«Cosa ti fa pensare di non esserlo?». Il gatto fa un ghigno spaventoso, denudando i denti affilati. Perché non lo colpisce? si chiede Manfred, confuso, domandandosi inoltre perché lui non sente l'impulso di avanzare verso il mostro. «Ibridizzarti con Manfred è stato un gran bel lavoro da parte mia, lo ammetto, ma tu gli avresti fatto del male durante il picco dei suoi anni creativi. Un Manfred soddisfatto è un Manfred pigro. Dividendovi, gli ho tirato fuori parecchi altri buoni lavori, e quando fu esaurito Amber era pronta. Ma sto facendo una digressione; se mi dai quel che voglio, vi lascerò in pace. È tanto semplice. Crescere nuove generazioni di Macx è stato un buon hobby. Siete interessanti animali domestici, ma in ultima analisi il limite è il vostro testardo rifiuto di trascendere l'umanità. Dunque questo è quanto vi offro, in sostanza. Lasciami eseguire distruttivamente una tua copia, fino al completamento, in un programma a scatola nera, insieme a un presunto Oracolo di Turing basato su di te, e ti lascerò in pace. E anche te, Pamela. Stavolta sarete felici insieme, senza di me ad allontanarvi. E prometto di non tornare a visitare i vostri discendenti». Il gatto si guarda dietro la spalla, verso Sirhan e Rita, che si tengono stretti, nell'orrore più nero, e Manfred scopre di poter percepire un'ombra dell'enorme complessità algoritmica di Aineko, incombente sulla casa, come un traballante incubo venuto dalla teoria dei numeri.
«È tutto quel che siamo per te? Un programma di riproduzione per animali domestici?» chiede freddamente Pamela. Anche lei si è imbattuta contro i limiti impiantati di Aineko, comprende Manfred con orrore crescente. Ci siamo veramente separati perché l'ha voluto Aineko? È diffìcile da credere: Manfred è troppo realista per fidarsi che il gatto dica la verità, tranne quando serve a promuovere i suoi interessi. Ma questo...
«Non del tutto». Aineko è compiaciuto. «Non all'inizio, prima che fossi consapevole della mia esistenza. Inoltre, anche voi umani avete animali domestici. Ma era divertente giocare con voi».
Pamela si alza, quasi sul punto di andarsene infuriata. Prima di capire cosa stia facendo, anche Manfred è in piedi, cingendola protettivamente col braccio. «Prima dimmi, i nostri ricordi sono i nostri?» domanda.
«Non fidarti», dice seccamente Pamela. «Non è umano, e mente». Ha le spalle tese.
«Sì, sono vostri», dice Aineko. Sbadiglia. «Dimmi che mento, puttana», aggiunge con scherno. «Ti ho portata in giro nella mia testa abbastanza da sapere che non hai prove».
«Ma io...». Il suo braccio scivola intorno alla vita di Manfred. «Non lo odio». Una risata mesta: «Ricordo di averlo odiato, ma...».
«Umani: che brillante modello di autoconsapevolezza emotiva», dice Aineko con un teatrale sorriso. «Siete il massimo della stupidità per una specie intelligente - non esistendo pressioni evolutive per diventare più svegli - ma ancora non lo interiorizzate, e davanti a chi vi è superiore agite di conseguenza. Ascolta, ragazza, tutto quel che ricordi è vero. Questo non vuol dire che lo ricordi perché è veramente successo, solo che lo ricordi perché lo hai provato internamente. I tuoi ricordi delle esperienze sono accurati, ma le tue risposte emotive a quelle esperienze sono state manipolate. Capito? L'allucinazione di una scimmia è l'esperienza religiosa di un'altra scimmia, dipende solo da quale modulo divino è attivo in quel momento. Questo vale per tutti voi». Aineko li guarda con leggero disprezzo. «Ma non mi servite più, e se fate quest'unica cosa per me, sarete liberi. Capite? Di' di sì, Manfred: se rimani così, a bocca aperta, un uccello ti farà il nido sulla lingua».
«Di' di no...» lo sollecita Pamela, proprio mentre Manfred dice: «Sì».
Aineko ride sprezzante, denudando le zanne verso di loro. «Ah, la lealtà familiare dei primati! Così meravigliosa e affidabile. Grazie, Manny. Credo che tu mi abbia appena dato il permesso di copiarti e schiavizzarti...».
Ed è a quel punto che Manni, che nell'ultimo minuto è rimasto in attesa sulla soglia, balza sul gatto con un grido e il braccio-falce teso all'indietro, pronto a colpire.
L'avatar del gatto è, naturalmente, pronto: rotea e sibila, allungando artigli affilati come diamanti. Sirhan grida: «No! Manni!» e comincia a muoversi, ma Manfred-adulto si blocca raggelato, comprendendo che quel che succede è più che ovvio. Manni afferra il gatto con le mani umane, prendendolo per la collottola e trascinandolo verso la lama del suo maligno braccio-falce. C'è uno strepito, uno sfibrante miagolio, e Manni strilla, mentre strie parallele di un rosso brillante gli scorrono sul braccio - l'avatar è un vero corpo di carne, con un sistema di controllo autonomico che non cederà senza combattere, qualunque cosa pensi la sua esocorteccia immensamente più grande - ma la falce di Manni ha una convulsione; c'è un orrendo gorgoglio e uno spruzzo di sangue mentre la cosa-gattino vola in aria. In un secondo, è tutto finito, prima che qualcuno degli adulti riesca a muoversi. Sirhan raccoglie Manni e lo spinge via, ma non ci sono sorprese nascoste. L'avatar di Aineko è solo un cencio spezzato di pelo sanguinolento, viscere e sangue versato sul pavimento. Il fantasma di una trionfante risata felina incombe sulle loro orecchie interne, poi svanisce.
«Bambino cattivo!» grida Rita, avanzando infuriata. Manni si rannicchia, e poi comincia a piangere, un riflesso certo per un bambino che non capisce bene la natura della minaccia verso i genitori.
«No! Va tutto bene», cerca di spiegare Manfred.
Pamela stringe la presa su di lui. «Sei ancora...?».
«Sì». Fa un respiro profondo.
«Cattivo, bambino cattivo...».
«Il gatto stava per mangiarlo!» protesta Manni, mentre i genitori lo spingono via, protettivamente, e Sirhan lancia uno sguardo colpevole verso l'istanza adulta e la sua ex moglie. «Dovevo fermare la cosa cattiva!».
Manfred sente le spalle di Pamela che tremano. Sembra sul punto di ridere. «Sono ancora qui», mormora lui, semisorpreso. «Sputato, non digerito, dopo tutti questi anni. Almeno, questa mia versione pensa di essere qui».
«Tu ci credi?» chiede infine lei, con un tono di incredulità nella voce.
«Oh, sì». Sposta l'equilibrio da un piede all'altro, accarezzandole svagatamente i capelli. «Credo che tutto ciò che ha detto fosse inteso a farci reagire esattamente come abbiamo fatto. Fino a darci buoni motivi per odiarlo e provocare Manni a togliere di mezzo l'avatar. Aineko voleva uscire dalla nostra vita, e ha immaginato che sarebbe stato di aiuto un senso di chiusura catartica. Senza parlare del fatto di aver interpretato il ruolo di deus ex machina nella storia della nostra vita familiare. Una cazzo di commedia classica». Verifica il suo stato nella mente di Città, e sospira: il suo numero di versione ha appena perso un punto. «Dimmi, pensi che ti mancherà Aineko? Perché non ne sentiremo più parlare...».
«Non ne parliamo adesso», gli ordina lei, conficcando il mento nel suo collo. «Mi sento così usata».
«Con buone ragioni». Rimangono abbracciati per un po', senza parlare, senza veramente chiedersi perché - dopo una separazione così lunga - siano tornati insieme. «Starsene insieme agli dei non è mai un'attività sicura per semplici mortali come noi. Tu pensi di essere stata usata? Probabilmente a questo punto Aineko mi ha già ucciso. A meno che non mentisse anche sul fatto di liberarsi della copia in più».
Lei rabbrividisce fra le sue braccia. «Questo è il problema quando si tratta coi postumani; il modello mentale che hanno di te è, probabilmente, migliore del tuo».
«Da quanto tempo sei sveglia?» chiede lui, cercando gentilmente di cambiare argomento.
«Io... oh, non sono sicura». Lo lascia andare e fa un passo indietro, guardandolo in viso per valutarlo. «Mi ricordo Saturno, ho cercato di rubare un pezzo da museo e me ne stavo andando, e poi, be'... Mi sono ritrovata qui. Con te».
«Penso», lui si inumidisce le labbra, «che sia stata fatta a tutti e due una chiamata che ci ha svegliati. O forse una seconda possibilità. Cosa farai della tua?».
«Non lo so». Torna quello sguardo, come se cercasse di capire quanto valga. Ci è abituato, ma stavolta non sembra ostile. «Abbiamo una storia troppo lunga per renderla una cosa facile. O Aineko mentiva, oppure... no. E tu? Cosa vuoi veramente?».
Lui sa cosa sta chiedendo lei. «Essere la mia signora?» chiede, offrendole la mano.
«Stavolta», afferrandogli la mano, «senza supervisione adulta». Sorride riconoscente, e si incamminano insieme verso l'uscita, per scoprire come se la stanno cavando i loro discendenti con quell'improvvisa libertà.


fine


Postfazione
Charles Stross, il linguaggio della tecnologia e l'universo incantato

Come inizio di una nuova collana di fantascienza, Accelerando di Charles Stross è la migliore occasione. Pochi autori hanno suscitato tanta attesa in Italia come Stross. In particolare questo romanzo del 2005, nato come rielaborazione di una serie di racconti collegati, pubblicati sulla Isaac Asimov's Science Fiction Magazine fra il 2001 e il 2004, è uno dei vertici della fantascienza degli ultimi anni.
Sin dalle prime pagine, leggere Accelerando significa immergersi in una vertigine di immagini, motivi scientifici e sociopolitici, neologismi, creazioni: come ha scritto l'autore in un forum on line, è quasi una serie di romanzi compressi in uno. Se il ciclo di racconti è una delle forme classiche della fantascienza (pensiamo alla Fondazione di Asimov e a City di Simak), questa è una Fondazione aggiornata per l'era della rivoluzione informatica, e uno dei punti culminanti della nuova fantascienza inglese.
Negli ultimi anni la scuola britannica ha assunto un ruolo di primissimo piano nel panorama della science fiction, non solo di lingua inglese. La SF britannica, ovviamente, vanta una lunghissima storia, che comincia con Frankenstein e H.G. Wells, e passa per una tradizione «colta», diversa dalle riviste popolari americane: le distopie di Orwell e Huxley, le visionarie, laiche cosmologie di Stapledon. Anche in anni successivi, in Ballard e nella new wave degli anni Sessanta, rimane la matrice introspettiva; pur facendosi dichiaratamente surrealista e meno realistica, al centro resta lo inner space, lo spazio interno. Solo pochi autori sembrano parte di un filone recessivo, e sono pochi a usare fino in fondo i motivi del genere: innanzitutto Barrington J. Bayley, M. John Harrison e Ian Watson, ma anche Bob Shaw, Brian Stableford e pochi altri.
Ma a un certo punto tutto cambia. Forse c'entra un generale cambiamento culturale alla fine dell'era thatcheriana (che genera anche il grande rinascimento del fumetto, con Neil Gaiman e Alan Moore), forse il merito è la spinta propulsiva del cyber-punk, che si unisce al lavoro di promozione di riviste come Interzone, sempre all'insegna della qualità e della sofisticazione letteraria. Comunque sia, a metà degli anni Ottanta inizia il cosiddetto British Boom, che rifiuta il realismo della tradizione e torna ad abbracciare le ambiziose panoramiche ad ampio respiro di film come 2001: Odissea nello spazio, e a parlare di scienza, tecnologia e spazio esterno: torna, in altre parole, a immaginare il futuro.
Il primo nome a emergere sono Iain Banks, in cui gli affreschi spaziali della space opera diventano un affollato, sterminato palcoscenico per complessi dilemmi morali, insieme a Ken MacLeod e Gwyneth Jones, con le loro acute proiezioni sociopolitiche sul futuro prossimo della nazione (spesso, con alieni). Le figure sarebbero molte; nell'ultima generazione, menzioniamo almeno Richard K. Morgan con i suoi noir futuribili, Michael Marshall Smith più vicino al thriller, e poi Alastair Reynolds, Nicola Griffith, Jon Courtenay Grimwood, e altri.
Come e più di tutti questi autori, Stross non vuole negare, in nessun momento, di essere scrittore di fantascienza, un genere in cui immaginazione barocca e rigore della riflessione sono sinonimi.
Sin dal primo romanzo, Singularity Sky (2003), il virtuosismo linguistico immerge il lettore in mondi in cui tutto ha mutato forma, la tecnologia, l'organizzazione sociale, la sensibilità dei personaggi (umani, alieni, artificiali o immateriali), con i loro conflitti e scelte. La «singolarità» del titolo è quella ipotizzata e raccontata dallo scienziato-narratore americano Vernor Vinge, in cui il progresso scientifico-tecnologico ha fatto un salto di qualità che modifica le stesse leggi fisiche, aprendo le porte a un mondo di possibilità infinite, anche per una civiltà terrestre disseminata forzosamente per l'universo e che è riuscita a ricostruirsi. D'altra parte, incombe una semidivina intelligenza artificiale, l'Eschaton, che sotterraneamente complotta per tenere la galassia sotto il suo ferreo controllo. La galassia in cui la tecnologia sembra aver cancellato la politica risulta, al contrario, un mondo in cui tutto, specialmente la tecnologia, è soggetto a un dominio imperscrutabile e onnipervasivo. Il romanzo successivo, Iron Sunrise (2004), ambientato sullo stesso sfondo, parte da una premessa di intensità senza pari: la distruzione di un pianeta; i ricordi della ragazzina sopravvissuta all'«Alba di ferro» saranno forse portatori della verità sul genocidio del suo mondo.
In Accelerando, si intrecciano tre filoni. Il primo è quello della speculazione scientifica; la mutazione cosmica della «singolarità» va insieme alla mutazione individuale. Come per Ballard, il salto di paradigma concettuale ha conseguenze nella psiche dei personaggi. Come nella SF sociologica, più che della tecnologia si parla delle sue conseguenze nella politica e nell'economia: in questo, Stross è stato molto chiaro in una recente intervista tradotta quest'anno nel n. 50 della rivista Robot. In una SF che ha imparato la lezione di Gibson e del cyberpunk (e di pensatori come McLuhan), però, la prima sede dei cambiamenti è il corpo, modificato, esteso, articolato nella dimensione cyborg «postumana»; l'ipotesi di partenza (proposta per la prima volta dal ricercatore americano Hans Moravec, uno dei tanti scienziati citati esplicitamente o implicitamente nel testo) è quella della possibilità di convertire l'intelligenza umana in informazione, potenzialmente immortale: l'Upload di cui parla Stross. Eppure, dalle strabilianti, grottesche Aragoste, passando per gli esseri umani (o, appunto, postumani) potenziati, scomposti, ricreati o intrappolati in mondi virtuali, fino alla sfrenata immagine di intelligenze artificiali grandi come sistemi solari, quel che vediamo non è l'abbandono del corpo ma la nascita di nuove forme di corporeità, non solo meccaniche e virtuali. Il virtuale e la nanotecnologia aprono nuove, eccitanti possibilità ma non cancellano il limite: anche i solipsistici supercervelli matrioska muoiono.
D'altra parte, Accelerando è anche una pura e semplice space opera, con tutte le immagini che abbiamo imparato ad amare: l'esplorazione dello spazio, la scoperta dei Router (indimenticabile creazione che unisce 2001: Odissea nello spazio, Stargate e il teletrasporto di Star Trek) che permettono il viaggio interstellare, la creazione di nuove comunità sugli asteroidi, su Giove, Saturno e ancora più lontano, l'incontro con alieni beffardi come i Wunch e la Lumaca, o talvolta tragici. Con tutta la sofisticazione di uno scrittore smaliziato, lo sguardo di Stross trasmette, in queste incessanti ideazioni, una straordinaria innocenza che aggiorna il sense of wonder per l'era dell'informatica diffusa, della fìsica quantistica, e dei disincanti politico-economici..
La visionarietà, infatti, è il piacere della creazione. E questa è l'altra caratteristica di Accelerando. Cambiando loro stessi, i tre personaggi (padre, figlia e nipote) che attraversano questa epica del Ventunesimo secolo, sono pronti ad aprirsi al cambiamento e alle novità. Senza atti di fede cieca nella tecnologia, anzi spesso con riluttanza e scetticismo.
Visionarietà e innocenza ci ricordano che innanzitutto Stross è uno scrittore, che sa usare fino in fondo gli strumenti di una narrazione scoppiettante, piena di invenzioni verbali e spesso di giochi di parole (soprattutto, l'uso del linguaggio tecnico per descrivere nozioni familiari) che sa rendere eccezionalmente brillanti anche le digressioni espositive. Ricordiamolo, Stross è anche autore di fantasy (il ciclo THE MERCHANT PRINCES, di cui sono progettati sei volumi) e di storie al limite dell'horror (come Giungla di cemento, vincitore del premio Hugo 2005 e appena tradotto in Italia). Soprattutto, è un autore con una conoscenza profonda di tutto il fantastico popolare. Della SF e degli altri generi, Stross è innanzitutto un fan.
Questa conoscenza è testimoniata dalla divertita rete di allusioni e riferimenti culturali che rendono affascinante il romanzo. Senza disturbare gli autori letterari come Dickens, Eliot, Tennyson e l'inevitabile Tempesta di Shakespeare, sarebbe lunghissimo l'appello di tutti gli autori di fantascienza evocati, direttamente o indirettamente, in Accelerando. Questo romanzo in fondo vuole ricapitolare tutta la storia del genere, da Isaac Asimov a J.G. Ballard, Arthur C, Clarke, Philip K. Dick, Cory Doctorow, Harlan Ellison, William Gibson, Ursula K. Le Guin, H.P. Lovecraft, Ken McLeod, Richard K. Morgan, Larry Niven & Jerry Pournelle, Robert Sheckley, Clifford D. Simak, Olaf Stapledon, Bruce Sterling, Vernor Vinge, Roger Zelazny, insieme a figure più «colte» come William S. Burroughs, Aldous Huxley, George Orwell. Ma sarebbe sicuramente un elenco per difetto.
E poi ci sono le serie televisive: Star Trek (nelle sue varie reincarnazioni), Guerre stellari, Stargate, Dr. Who, Lost in Space. E ai film, da 2001: Odissea nello spazio, all'Invasione degli ultracorpi, e a Ultimatum alla Terra fino all'animazione della Città incantata, e a tanti videogiochi.
Per non parlare di classici del fantastico come Dracula, Peter Pan, Winnie the Pooh e soprattutto Alice nel Paese delle Meraviglie. Nei giochi verbali di Lewis Carroll, allo stesso tempo scienziato e letterato, sta forse il nucleo ideale di Accelerando. Per affrontare i cambiamenti del futuro e soprattutto del presente, l'arma principale è l'ironia.

Salvatore Proietti